di Raffaele Avico
Dati riportati ultimamente fanno preoccupare a riguardo di quanto sia alta l’incidenza della malattia mentale sul pianeta, e di come si muoveranno le cose in futuro. La realtà è che niente di particolarmente nuovo si sta muovendo sotto il sole: cambiano le forme della psicopatologia, cambiano i suoi tempi, ma non stiamo assistendo a una qualche forma di collasso psicologico mondiale, semplicemente a un maggior numero di notizie diffuse a scopo di clickbait, o a un maggior sensazionalismo espresso da testate giornalistiche pietrificate dalla paura del recesso economico.
I dati a riguardo della malattia mentale diffusi da ISTAT, reperibili qui, ci raccontano di un’Italia a quanto pare “più sofferente” di un tempo, ma meno del resto dell’Europa per numero di suicidi, termometro teorico dello stato di salute mentale della popolazione; mancano inoltre studi longitudinali che seguano grandi campioni di individui per tempi lunghi, unico vero strumento di indagine per capire in che modo, effettivamente, una certa patologia psichiatrica possa cambiare, aggravandosi o migliorando, nel corso del tempo. Il profeta Harari, con i suoi voli d’uccello sulla storia dell’umanità in grado di fornirci una “big picture” dell’essere umano come animale (e sempre più, a suo dire, “dio“), ipotizza che avendo smesso di lottare per la sopravvivenza, i problemi inerenti la salute mentale degli individui si siano complessificati e nevrotizzati, e che l’umanità occidentale sia in cerca, con il frigo pieno, di un capro espiatorio da accusare per spiegare un dolore di fatto fisiologico, o di qualcosa in cui credere o per cui lottare. Dio resta morto, e noi lo abbiamo ucciso.
Diagnosticare, per esempio, una condizione di depressione di un’intera nazione, o di un continente, vorrebbe dire in ogni caso prendere il polso di uno stato psicologico “macro”, che risulta sempre ostico come procedimento e, forse, inutile.
Il problema della salute mentale, in ogni caso, esiste: la sofferenza mentale c’è, ha una sua dignità ontologica. Solo che è molto più semplice osservarlo su un singolo individuo. Intanto, la psichiatria e la psicoterapia si muovono, come pachidermi, su sentieri di volta in volta diversi, spesso seguendo mode o tendenze: di fatto siamo ancora lontani dal cogliere il segreto ultimo del problema della patologia psichiatrica, in primis dal capire quanto impatto abbia la genetica e quanto l’ambiente di sviluppo.
L’attività fisica rappresenta uno strumento clinico che ingenuamente è sempre stato, classicamente, utilizzato per promuovere un innalzamento della qualità della vita. In un’epoca tuttavia dominata dai numeri, serviva standardizzare questa conoscenza ingenua, renderla dignitosa agli occhi della comunità scientifica. A questo proposito sono ultimamente stati effettuati degli studi sugli effetti dell’attività fisica sia sulla depressione che sullo stress post-traumatico (ptsd).
ATTIVITÀ FISICA E DEPRESSIONE
Molto vasta la letteratura sugli effetti benefici dell’attività fisica sulla depressione.
In questo video, è raccolta la testimonianza presentata nel corso del 48esimo congresso della Società Italiana di Psichiatria, svoltosi a Torino Lingotto a ottobre 2018, di Roberto di Sante, giornalista e autore del libro “CORRI – Dall’inferno a Central Park”.
Vi si raccoglie la testimonianza di una battaglia contro la depressione, combattuta attraverso la disciplina trovata nella corsa. Vi è inoltre un invito, rivolto agli psichiatri presenti nell’auditorium, relativo al tentare una comprensione più profonda della soggettività del paziente, facendo sì che lo strumento “farmaco” possa essere affiancato a un maggior ascolto e a un tentativo di comprensione umana.
Un laboratorio di comprensione degli effetti dell’attività fisica sulla sofferenza psichiatrica, è il Black Dog Institute, australiano (https://www.blackdoginstitute.org.au/), in particolare nella persona di Simon Rosenbaun, che nel seguente video illustra in modo chiaro i benefici di un’attività fisica costante sulla salute mentale; in particolare, qui viene evidenziato il potenziale effetto benefico di un’attività fisica costante sugli effetti secondari di un disturbo di natura psichica (per esempio l’indebolimento fisico prodotto da uno stato di prostrazione depressiva, o gli effetti collaterali sul fisico degli psicofarmaci, quando assunti):