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Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in Psichiatria e Psicoterapia

20 gennaio 2021

PSICOFARMACOLOGIA STRATEGICA: L’UTILIZZO DEGLI PSICOFARMACI IN PSICOTERAPIA (FORMAZIONE ONLINE)

di Luca Proietti, Raffaele Avico

Integrare la psicoterapia alla psicofarmacoterapia non è cosa semplice, spesso infatti manca  una buona comunicazione tra psicoterapeuta e psichiatra.

Inoltre entrambi gli attori di cura (psicoterapeuta e psichiatra) sono naturalmente portati a vedere il paziente e il quadro clinico secondo il proprio punto di vista.

Il rischio è che lo psichiatra faccia troppo affidamento sui farmaci e sulla componente biologica, mentre che lo psicoterapeuta non abbia mezzi per capire e interpretare le decisioni dello psichiatra e la comparsa degli effetti collaterali dei farmaci prescritti.

Sappiamo che per molti disturbi, la presa in carico integrata è fondamentale, tanto più quando il problema è complesso o di difficile gestione.

Pensiamo per esempio ai disturbi di dipendenza, alla doppia diagnosi, alla depressione maggiore, alle psicosi o ai disturbi di personalità gravi.

In questo caso la presa in carico integrata, se vissuta in accordo, permette non solo di potenziare l’efficacia dei rispettivi trattamenti (quello farmacologico e quello psicoterapeutico), ma anche di gestire al meglio la responsabilità, le difficoltà e le richieste della relazione terapeutica

Ci sono inoltre diversi problemi che intervengono nel rendere più complessa l’integrazione tra una buona presa in carico psicoterapica e l’uso di farmaci:

  1. gli effetti collaterali dei farmaci, che interferiscono con le funzioni cognitive normali di chi li assume; è possibile infatti che un farmaco influenzi il modo di pensare di un individuo, cosa che ricade inevitabilmente sul lavoro di psicoterapia. Oppure, alcuni farmaci antidepressivi -ottundendo l’affettività- potrebbero limitare l’efficacia dell’intervento psicoterapeutico, o ancora alcuni antipsicotici potrebbero causare la comparsa di disturbi ossessivo-compulsivi.
  2. è molto difficile, quando si assumano farmaci psichiatrici, capire quanto il beneficio sia da imputare al farmaco stesso, al lavoro di psicoterapia, o all’effetto placebo che ruota intorno al farmaco stesso. Cosa capiterà quando il paziente scalerà i farmaci, rimanendo coperto solo in senso psicoterapico? La letteratura ha denominato tale effetto context shift: in alcuni disturbi l’efficacia della psicoterapia sembra ridotta nella fase di scalaggio (ad es. Disturbi d’ansia); in altri invece questo sembra non avvenire (ad es. Disturbo Ossessivo Compulsivo).
  3. Si rischia, con i farmaci, di creare dipendenza psicologica nell’individuo? Studi in letteratura stanno dimostrando come in realtà molti psicofarmaci rischiano di modificare in maniera plastica il Sistema Nervoso inducendo fenomeni di tolleranza e dipendenza.
  4. Spesso la prescrizione dei farmaci, il loro utilizzo e la durata della terapia non seguono quelle che sono le indicazioni delle linee guida e della letteratura: l’associazione di più farmaci è a volte sconsigliata, così come lo sono le terapie farmacologiche “senza termine”.

Per rispondere a queste domande occorre una buona conoscenza del funzionamento dei farmaci (i principi biologici su cui si basa il loro funzionamento, il razionale con cui vengono somministrati, i tempi di efficacia).

Sappiamo che, in generale, i farmaci regolano il rilascio di diverse categorie di neurotrasmettitori: a ogni neurotrasmettitore corrisponde un particolare “affetto” o “effetto” psichico: la dopamina rende più volitivi, la serotonina più caldi in senso affettivo e meno ansiosi.

Luca Proietti, psichiatra e psicoterapeuta di Genova, ha organizzato un corso di farmacologia approfondita per psicologi, che cercherà di rispondere alla domande prima riposte.

Il corso avrà due forme, entrambe online:

  • unico (due mattine, per un totale di 8 ore): Psicofarmacologia Strategica™ (Link con info e programma del corso).
  • seminariale (una volta al mese, in modo continuativo, con approfondimenti specifici su singoli farmaci o concetti); in questo caso lo scopo è quello di creare un gruppo di lavoro continuato sul tema

Il corso è rivolto a psicoterapeuti, o specializzandi in psicoterapia che lavorino quotidianamento con pazienti seguiti anche in senso psichiatrico, o in generale che vogliano meglio comprendere i “retroscena” dell’approccio farmacologico e capire come integrare adeguatamente il proprio intervento a quello farmacologico

Ecco il programma e i costi.


CORSO UNICO

Psicofarmacologia Strategica™: L’utilizzo strategico degli psicofarmaci in psicoterapia

PROGRAMMA:

  • Dal neurotrasmettitore al sintomo: correlati psicologici e comportamentali dei principali neurotrasmettitori.
  • Il razionale dell’utilizzo degli psicofarmaci nella pratica clinica, al di là delle linee guida e delle indicazioni da scheda tecnica.
  • Sorelle o Suocere? Integrare la psicoterapia e la farmacoterapia per ottenere la remissione.
  • Psicoterapia, Farmacoterapia o entrambi? decidere secondo le indicazioni della letteratura e la comune pratica clinica.
  • Corpo e psiche: ormoni, organi e farmaci non psicotropi che influenzano la nostra psiche.
  • Psicofarmacologia Strategica™  Pratica: saper risalire alle indicazioni, alle prerogative e agli effetti di ciascun farmaco.
  • Conoscerli nella pratica per riconoscerli: Antipsicotici, Antidepressivi, Benzodiazepine, Stabilizzatori dell’Umore.
  • Utilizzo dei farmaci secondo la pratica clinica nei principali disturbi (Depressione, Disturbi d’Ansia, DOC, DCA, Disturbi del Sonno, Disturbi di Personalità, Disturbo Bipolare, Psicosi).
  • Le Due D: Demenza e Depressione, riconoscerle con la diagnosi differenziale, terapia nella pratica clinica.
  • What’s next? Esketamina e le nuove frontiere della farmacologia.
  • Pratica: Esercitazioni pratiche con discussione delle risposte.

INFO:

  • Dove: On-line.
  • Quando: Sabato 30 e Domenica 31 Gennaio 2021 dalle 9:00 alle 13:00 (vedi il form di iscrizione).
  • Quota di iscrizione: 120 euro.
  • Numero Massimo di iscritti: 12.
  • Modalità di iscrizione: Per iscriverti all’evento formativo compila il form cliccando su questo link ed effettua contestualmente il pagamento dell’importo di iscrizione seguendo le indicazioni che troverai nel form stesso. Una volta pervenuto il pagamento, riceverai una e-mail di conferma di avvenuta iscrizione.
  • Formazione Riservata: L’evento è aperto esclusivamente a psicoterapeuti, psicologi, studenti di psicologia e specializzandi in psichiatria o psicoterapia.
  • Attestato di Frequenza: Al termine dell’evento sarà consegnato un attestato di frequenza.
  • Il docente: Luca Proietti (clicca qui).

EDIZIONE SEMINARIALE

Gli incontri di Psicofarmacologia Strategica™: Masterclass annuale sull’utilizzo degli psicofarmaci in Psicoterapia  

12 incontri mensili: il programma copre tutti gli argomenti del corso.

Ciascun incontro si compone di una parte teorica e una parte interattiva dedicata a discussioni, esercitazioni e supervisioni per ciascun argomento.

PROGRAMMA:

  • Lezione 1: Neurotrasmettitori e neurobiologia. Dal neurotrasmettitore al sintomo: correlati psicologici e comportamentali dei principali neurotrasmettitori.  Consigliata a chiunque voglia seguire delle lezioni singole sui farmaci.
  • Lezione 2: Farmaci Antidepressivi. IMAO, Triciclici, Inibitori della ricaptazione della serotonina e Noradrenalina (SSRI, SNRI, NARI), Atipici, multifunzionali, l’ Esketamina e le nuove frontiere (razionale di utilizzo nella pratica clinica al di là delle linee guida, utilizzi off-label, la scelta di un principio attivo rispetto ad un altro).
  • Lezione 3: Farmaci Antipsicotici. Tipici, Atipici e di 3a generazione. (razionale di utilizzo nella pratica clinica al di là delle linee guida, utilizzi off-label, la scelta di un principio attivo rispetto ad un altro).
  • Lezione 4: Stabilizzatori dell’umore. Litio ed Antiepilettici (razionale di utilizzo nella pratica clinica al di là delle linee guida, utilizzi off-label, la scelta di un principio attivo rispetto ad un altro).
  • Lezione 5: Benzodiazepine e farmaci ipnoinducenti, Z-drug, le varie preparazioni di melatonina (razionale di utilizzo nella pratica clinica al di là delle linee guida, utilizzi off-label, la scelta di un principio attivo rispetto ad un altro).
  • Lezione 6:Panoramica generale di ripasso sui differenti neurotrasmettitori e gli effetti dei farmaci. L’effetto placebo, l’effetto nocebo, integrare la psicoterapia con la farmacoterapia, quale dei due trattamenti è il più efficace in senso generale e nei singoli disturbi.
  • Lezione 7: Disturbo Ossessivo Compulsivo: Terapia psicofarmacologica, psicoterapia o entrambe ? Tassi di risposta e di ricaduta. Il trattamento integrato è più efficace del singolo trattamento? Indicazioni della letteratura in base al tipo di paziente.
  • Lezione 8: Disturbi d’ansia, disturbi dissociativi e disturbo Post Traumatico. Farmacoterapia, psicoterapia o entrambe? Le evidenze della letteratura, delle linee guida e delle più importanti metanalisi.
  • Lezione 9: Depressione e Disturbo Bipolare. Depressione anaclitica e Depressione melanconica. Quando dare i farmaci e quando toglierli. Il paziente depresso non piange. Indicazioni di trattamento, la scelta di ciascun principio attivo. Cosa è il Disturbo Bipolare 2? Il primato della mania. Predittori di risposta a ciascun stabilizzatore dell’umore. Terapia in acuto e di mantenimento.
  • Lezione 10: Depressione, Pseudodemenza depressiva e Demenza. La depressione causa demenza? Diagnosi differenziale e trattamento delle differenti forme di demenza. Psicosi non affettive e dello spettro schizofrenico. Scelta dei farmaci antipsicotici, quando utilizzare i farmaci per la Schizofrenia resistente. Per quanto tempo continuare la terapia Antipsicotica.
  • Lezione 11: I disturbi di personalità e la farmacoterapia. Quali sono i farmaci indicati, quali invece da evitare. Cosa dicono le linee guida, per quanto tempo trattare farmacologicamente un paziente con disturbo di personalità. Panoramica delle indicazioni per i differenti Disturbi di personalità con focus particolare sul D. Borderline.
  • Lezione 12: Disturbi Somatici, disturbi conversivi, dolore neuropatico. Disturbi del sonno. ADHD. Disturbi del comportamento alimentare. La prevenzione farmacologica del suicidio. Sesso e farmaci.

INFO:

  • Dove: On-line.
  • Quando: 12 incontri mensili da 2 ore (vedi il form di iscrizione).
  • Quota di iscrizione: singola lezione 35 euro, seminario completo 350 euro.
  • Numero Massimo di iscritti: 20.
  • Modalità di iscrizione: Per iscriverti all’evento formativo compila il form cliccando su questo link ed effettua contestualmente il pagamento dell’importo di iscrizione seguendo le indicazioni che troverai nel form stesso. Una volta pervenuto il pagamento, riceverai una e-mail di conferma di avvenuta iscrizione.
  • Formazione Riservata: L’evento è aperto esclusivamente a psicoterapeuti, psicologi, studenti di psicologia e specializzandi in psichiatria o psicoterapia.
  • Attestato di Frequenza: Al termine dell’evento sarà consegnato un attestato di frequenza.
  • Il docente: Luca Proietti (clicca qui).

Qui alcune testimonianze di alcuni partecipanti alla scorsa edizione:

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14 dicembre 2020

Psicoterapia breve strategica del Disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Intervista ad Andrea Vallarino e Luca Proietti


di Raffaele Avico

Questa intervista ha lo scopo di chiarire alcuni aspetti della terapia del disturbo ossessivo compulsivo. Soffrire di DOC vuol dire essere intrappolati in pensieri ricorrenti, accompagnati o meno da comportamenti percepiti come compulsivi (non dipendenti dalla volontà). Il DOC è uno dei disturbi che più frequentemente si accompagnano al senso di “fallimento della volontà”: chi ne soffre è spesso “manipolato” dal suo stesso disturbo.

Tra l’altro il disturbo può prendere forme differenti: lo abbiamo approfondito estesamente qui.

In questa intervista fatta ad Andrea Vallarino e Luca Proietti, abbiamo cercato di approfondire alcuni aspetti della psicoterapia del DOC, e in particolare della psicoterapia a orientamento breve-strategico.

Alcuni punti toccati nell’intervista riguardano:

  1. la logica di funzionamento del DOC (come si esprime, seguendo quali percorsi di pensiero)
  2. le credenze che “puntellano” il DOC (per esempio un aspetto ricorrente nel DOC è l’iper-responsabilità su molteplici aspetti del mondo; oppure, esistono quote di pensiero magico che portano il soggetto a ritenere che pensando una cosa quella cosa accadrà, oppure di desiderare una certa cosa solo perchè la si pensa)
  3. l’uso di stratagemmi funzionali a far acquisire maggiore controllo sul sintomo da parte del paziente (per esempio il decidere insieme quando e in che modo violare la “legge” del sintomo)
  4. la personalità del terapeuta; Vallarino qui cita l’idea che il terapeuta debba essere percepito dal paziente come qualcuno che riesca a mettere in atto un controllo “più evoluto” di lui/lei; uno dei temi centrali su cui si imposta il DOC, è infatti il controllo.
  5. DOC e farmaci

Tendenzialmente emerge l’idea che la battaglia contro il DOC si giochi su di un piano logico: il paziente riuscirà ad abbandonare il sintomo solo raggiungendo una forma differente di pensiero, pur mantenendo il senso di controllo.

I teorici di Palo Alto (come Watzlawick, autore di Change, qui recensito) hanno compreso e approfondito la strutturazione logica della psicologia umana, arrivando a creare un approccio terapeutico al confine tra il maieutico e il suggestivo, nell’idea che il problema (in questo caso del disturbo ossessivo compulsivo, ma anche di altri disturbi) spesso poggi su “premesse” logiche errate e che, una volta risolte quelle, il disturbo costruito su di esse possa migliorare o risolversi.

Qui l’intervista:



Su questo blog, alcuni approfondimenti:

  • Farmacoterapia del DOC dal presente al futuro (Luca Proietti)
  • Recensione di La mente ossessiva

Per approfondire (libri):

  1. La mente ossessiva
  2. Cogito Ergo Soffro
  3. Avrò chiuso la porta di casa? (più divulgativo e breve)

NOTA BENE: se ti interessano la psicotraumatologia, la clinica del trauma e le avanguardie di ricerca, abbiamo attivato un Patreon per fornire contenuti mensili su queste tematiche. Trovi qui i nostri reward!

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11 giugno 2020

IL CONTROLLO CHE FA PERDERE IL CONTROLLO: UNA VIDEOINTERVISTA AD ANDREA VALLARINO SUL DISTURBO DI PANICO

di Raffaele Avico, Luca Proietti

In questa video intervista fatta ad Andrea Vallarino, vengono approfonditi alcuni aspetti della clinica del disturbo di panico. Il disturbo di panico è un disturbo che si struttura a seguito di uno o più episodi di “ansia parossistica” (cioè l’attacco di panico in sè, che ha durata limitata nel tempo –circa 10 minuti come qui approfondito dal nostro collega Andrea Iengo– ma ha profonde ripercussioni sulla vita dell’individuo).

Il disturbo di panico è una “paura della paura” che si protrae nel tempo, anche per anni a seguito anche solo di un singolo episodio di panico.

La psicoterapia breve strategica (che trova il suo epicentro culturale nel Centro di Psicoterapia Breve e Strategica di Arezzo, intorno alla figura di Giorgio Nardone, “maestro” dello stesso Vallarino qui intervistato) per trattare questo tipo di problema usa modalità e strumenti innovativi, che consentono una presa in carico rapida e spesso una remissione veloce di questo tipo di sintomo.

La scuole di psicoterapia strategica ha trovato un folto numero di detrattori (soprattutto tra le schiere degli psicoanalisti ortodossi) convinti che, prendendo in carico un problema attraverso questo tipo di approccio, si escluderebbero dalla “scena” psichica dell’individuo importanti elementi di indagine come le memorie infantili, l’inconscio, lo stile di attaccamento.

Il fatto che manchino evidenze solide in termini di ricerca in ambito di Psicoterapia Breve Strategica è, ai fatti, un dato reale. Abbiamo in precedenza approfondito alcuni aspetti teorici dell’approccio, recensendo Change.

Il problema grosso, nei disturbi di panico e negli attacchi di panico, sembra essere il comprenderne la causa. Qui le diverse scuole lanciano ipotesi esplicative (dal ritorno di materiale rimosso alle cadute “identitarie” o “di appartenenza” in ambito psicoanalitico, a un disturbo sperimentato in concomitanza con un’interruzione immaginata di un attaccamento, per la CBT): purtroppo nessuna di queste scuole è in grado di spiegarne in maniera convincente una causa unica. Supporre un evento rimosso o immaginare una “rottura dell’attaccamento” rappresentata dal soggetto, sembra più una narrazione costruita a posteriori per dare senso a un evento casuale, che non una spiegazione realistica costruita su basi teoriche solide: sposta il problema su qualcosa di lontano ed esterno, come una sorta di proiezione. Sembra cioè una rappresentazione fatta per il terapeuta, poco utile al paziente. Tante, raffinate spiegazioni sui meccanismi causali, sembrano convergere su un unico problema centrale: del panico, se ne possono comprendere le manifestazioni quando questo sia già avvenuto. Ma sul perchè si presenti, su cosa l’abbia indotto, resta un punto interrogativo.

La psicoterapia strategica sposta quindi il problema non tanto sul come si originò, ma su come, nel momento presente, questo venga mantenuto. Dal perchè, quindi, al come. Vallarino parla in questa intervista di un evento “casuale”, di fatto slegato dal passato o da elementi costituenti del soggetto. Non tutti i soggetti infatti colpiti da panico, sono individui con un passato difficile, o con deficit metacognitivi. Anzi: spesso sono individui con grandi capacità intellettive e portati al ragionamento introspettivo.

In questa intervista, Vallarino ragiona sul disturbo di panico, aprendo con una riflessione sulle tentate soluzioni messe in atto dal paziente nel tentativo, iniziale, di auto-gestirsi il problema.

Le tentate soluzioni, sono 3:

  1. evitamento (di tutto ciò che abbia a che fare con il disturbo, i luoghi, le atmosfere che lo possano riportare alla memoria del soggetto con il rischio che il panico riaccada)
  2. la creazione di “angeli custodi” che consentano al soggetto di fare cose solo se accompagnato
  3. il controllare il pensiero e il corpo. Sul controllo abbiamo scritto un approfondimento qui.

Il controllo, come vedremo nell’intervista, è il punto centrale intorno al quale si struttura il disturbo di panico.

Al di là della causa unica che sta dietro al primo attacco di panico (qualcuno è in grado di trovarla?), quello che sembrerebbe risultare problematico in questa sindrome, è l’affaticamento vissuto dal soggetto colpito dal panico, nel periodo successivo al suo presentarsi. Un affaticamento giunto nel tentativo di controllare ogni manifestazione naturale non solo del pensiero, ma anche del corpo. Questi soggetti, sembrano diventare infatti perfetti ascoltatori del loro corpo, e gonfiare a dismisura le proprie competenze meta-cognitive, nel tentativo di controllare il loro stesso pensiero, così scongiurando -in teoria- il presentarsi di un nuovo attacco di panico.

Nella videointervista a Vallarino, vengono inoltre discussi altri punti intorno a questo tema:

  1. il panico può essere considerato un evento traumatico, e il disturbo di panico uno stress post-traumatico?
  2. cos’è la causalità circolare?
  3. cos’è il paradosso e perchè in questi casi si dovrebbe intervenire in modo contro-paradossale?
  4. le tecniche di rilassamento funzionano per il disturbo di panico?
  5. esistono psicofarmaci efficaci per il disturbo di panico?
  6. dove approfondire in termini bibliografici e sitografici?

Un ultimo punto da sottolineare su questi aspetti, è il tema del paradosso. Il disturbo di panico, infatti, sembra rispondere a una logica paradossale: più cerco di controllare, più perdo controllo. Sembra infatti, in questo caso, un “controllo che fa perdere il controllo”. Per rompere questo circolo vizioso, il soggetto dovrebbe quindi tentare di abbandonare il controllo, operando quello che Vallarino chiama azione contro-paradossale.

Il tema del paradosso, pur sfuggente, sembra essere estremamente pertinente in psicologia clinica. La mente sembra, nell’ambito di alcuni disturbi più che in altri -per esempio il disturbo di panico appunto, o alcune forme di DOC- avvitarsi in gabbie logiche di difficile risoluzione. Il disturbo di panico, in particolar modo, sembra seguire questa logica paradossale. Per approfondire.

Qui di seguito il video:


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17 aprile 2020

AGGIUNGERE LEGNA PER SPEGNERE IL FUOCO. TERAPIA BREVE STRATEGICA E DISTURBI FOBICI

di Luca Proietti, Raffaele Avico

Perchè tentiamo di “controllare” il nostro stesso pensiero? Ma soprattutto: ci è utile?

Il problema del controllo e del paradosso compare citato in molteplici lavori di autori afferenti a diverse aree della psicoterapia; Pierre Janet, in una serie di lezioni tenute ad Harvard nel 1907, sottolineava come quelle che chiamava “idee fisse” fossero in grado di emanciparsi dal controllo cosciente da parte dell’individuo, per poi presentarsi contro la sua volontà alla coscienza, sfuggendo al tentativo di essere controllate.

Il problema del controllo della propria mente, si presenta in diverse problematiche. Per fare un esempio:

  • disturbo da attacco di panico (il paziente tenta di controllare i suoi stessi pensieri rivolti alla paura di un possibile ripresentarsi dell’episodio di panico)
  • disturbo ossessivo compulsivo (il paziente tenta di controllare la presenza di pensieri ricorrenti e intrusivi, sforzandosi di scacciarli dalla coscienza)
  • disturbi di natura post-traumatica (il paziente tenta di evitare, internamente, il ripresentarsi dei ricordi traumatici)
  • disturbi di natura fobica (il paziente tenta di controllare le reazioni fisiologiche, spontanee, connesse allo “stimolo fobico)

Perchè il tentativo di controllare, si rivela per lo più fallimentare?

La perdita di controllo che l’individuo sperimenta su ciò che gli accade internamente, siano pensieri, immagini o sensazioni psicofisiche, non è frutto di un’azione cosciente, dell’utilizzo di una funzione corticale evoluta, ma avviene in maniera spontanea a causa dell’attivazione normale delle strutture “inferiori”, più antiche del cervello. Janet a fine ‘800 parlando della disaggregatiòn aveva già messo in luce come le strutture paleoncefaliche, quando troppo attivate, fossero in grado di “soverchiare” il controllo inibitorio corticale, disgregandolo con la loro influenza.

É evidente come questo fenomeno si presenti, in particolar modo, nel corso di un accesso fobico,  post-traumatico o durante l’escalation che porta all’attacco di panico.

Questa dinamica sembra reggersi su una logica paradossale, per cui più il soggetto prova a controllare gli eventi psicofisici, più ne perde il controllo. Anche nel caso dell’evitamento, comune ai disturbi fobici, ossessivo-compulsivi e post-traumatici, siamo di fronte a un tentativo inefficace di controllo, che si esprime questa volta sulla base di una logica contraddittoria.

Che fare dunque?

In Terapia breve Strategica si parla di tentate soluzioni per indicare quei comportamenti che il soggetto mette in atto nel tentativo di risolvere o controllare la propria sintomatologia, ma che finiscono per mantenere in essere o addirittura peggiorare il problema. (Watzlawick et al., 1974). Occorre chiedersi, quindi, non cosa causa il problema, ma cosa lo mantiene.

L’area fobico-ossessiva, nelle sue diverse declinazioni, è sicuramente il principale terreno dove si gioca il “tentativo di controllo”.

Siamo di fronte a due scenari possibili.

 

  • Il controllo non riesce a esercitare controllo, cosa che porta a una peggioramento della sintomatologia. La forma si oppone alla forza.
    Questo accade quando si cerca di controllare un fenomeno spontaneo e per definizione incontrollabile, come le proprie reazioni psicofisiologiche alla paura o il flusso dei propri pensieri. In Terapia Breve Strategica si usa la formula “Il controllo che mi fa perdere il controllo” e lo troviamo nei disturbi fobico-ossessivi, nel disturbo post-traumatico e nel disturbo ossessivo nel pensiero. Nei disturbi fobico-ossessivi la persona è spaventata dall’intensità o dalla presenza delle proprie reazioni di allarme, fisiologiche, nei confronti di uno stimolo fobico, tentando di controllarle razionalmente.
    Il problema è che queste reazioni originano dalla parte paleo-encefalica, amigdala e circuiti sottocorticali, e quindi non solo non si riducono, ma tendono a peggiorare con un tentativo di controllo corticale, portando -a volte- a un attacco di panico. Il nucleo centrale di questo problema è il tentativo di controllo stesso: qualcosa che dovrebbe essere evacuato o “sfogato”, portato in un certo senso a compimento, viene frenato o ostacolato, di fatto aumentando il suo potenziale “patogeno”.
    Per capire questo fenomeno occorre approfondire la teoria del cervello tripartito di Maclean e le dinamiche gerarchiche tra queste tre parti illustrate da Jackson.
  • Se il controllo riesce, il soggetto rimane imprigionato nel controllo stesso, non potendone più scappare. La forma senza forza.
    “Un controllo così bene riuscito da non poterne più fare a meno”. Parliamo in questo caso dei rituali nel disturbo ossessivo compulsivo o dei pazienti con disturbo ossessivo che programmano e controllano così tanto da inibire la propria prestazione.  Quest’ultimo esempio comprende quadri che vanno dalla persona affetta da lentezza ossessiva primaria, allo studente che si blocca per eccesso di precisione o ricerca di informazioni, all’atleta olimpionico che non riesce più a performare come vorrebbe.

La tentata soluzione del controllo è così diffusa perché è alla base della cultura e della scienza occidentale; il problema sorge quando si tenta di applicare un controllo logico razionale a fenomeni irrazionali, in particolare quando c’è in gioco l’emozione della paura. Per avere il dominio su alcune parti di noi, quello che andrebbe cercato è un controllo esercitato in maniera elastica, un po’ come bisogna fare con l’acqua che se lasciata defluire è gestibile, diventando travolgente se ostacolata.

Per far questo però bisogna partire dalle percezioni e solo in un secondo momento lavorare sulla componente cognitiva. Lungi dal proporre soluzioni new-age, la Terapia Breve Strategica utilizza contro-paradossi, e non solo, in grado di riconvertire la percezione da patologica a sana, e azzerare quindi la sintomatologia. In particolare, nei casi in cui predomini la componente fobica, uno degli interventi usati è la prescrizione della “mezz’ora di peggiore fantasia”, un intervento che trova le sue radici teoriche nell’idea di “intenzione paradossale” di Victor Frankl e formalizzato dal Prof. G. Nardone presso il Centro di Terapia Breve Strategica di Arezzo.

La logica che sta al centro di questo intervento, è la “prescrizione paradossale del sintomo”, spiegata qui. Non è infatti evitando lo stimolo fobico che si potranno controllare le reazioni di “allarme” -che, al contrario, cresceranno. Sarà invece esponendoci ad esso che riusciremo a “demistificarlo”, “aggiungendo legna per spegnere il fuoco”.

FONTI E APPROFONDIMENTI:

 

  • Paul D. MacLean, Evoluzione del cervello e comportamento umano. Studi sul cervello trino, con un saggio introduttivo di Luciano Gallino, Torino, Einaudi, 1984. ISBN 88-06-05684-0
  • Paul Watzlawick, Jhon Weakland e Richard Fisch (1974). Change: la formazione e la soluzione dei problemi. Roma: Casa Editrice Astrolabio.
  • Watzlawick, & G. Nardone, Terapia Breve Strategica (p. 69-83). Milano: Raffaello Cortina Editore.

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12 dicembre 2019

HPPD: HALLUCINOGEN PERCEPTION PERSISTING DISORDER

di Raffaele Avico

Si parla spesso di cannabis, sostanze psichedeliche e dei possibili effetti nocivi sulla salute di chi ne fruisca.

Uno dei possibili “strascichi” dell’uso di sostanze psichedeliche è rappresentato dai sintomi visivo/dissociativi. In particolare, testimonianze dirette di fruitori riportano effetti dissociativi di derealizzazione e depersonalizzazione. Leggere questa pagina può dare un’idea delle esperienze vissute dai fruitori. Vi si racconta di strascichi simil-dissociativi di lunga durata, fino a un anno, a seguito di utilizzo di “psichedelici”. Il termine scientifico per questa sindrome è HPPD.

Questo articolo pubblicato su Brain Sciences esegue un’analisi della letteratura esistente (46 articoli in tutto) sul tema HPPD, rilevando due livelli di disturbo:

  1. HPPD ti tipo 1, di entità lieve, a prognosi breve (massimo un anno)
  2. HPPD di tipo 2, di entità grave, a prognosi negativa e definito “difficilmente reversibile”

In questo studio vengono descritti alcuni punti centrali del disturbo:

  • EZIOLOGIA: l’ipotesi eziologica dominante al momento, è un danno al Sistema Nervoso Centrale (destruction or dysfunction of cortical serotonergic inhibitory interneurons with gamma-Aminobutyricacid (GABAergic) outputs, implicated in sensory filtering mechanisms of unnecessary stimuli), risultante in un effetto “disinibente”. La mente perderebbe in questo senso il suo “filtro” (il cervello è di per se stesso un filtro, con una certa quantità di stimoli esclusi dalla coscienza per ragioni di adattamento funzionale)
  • SOSTANZE MAGGIORI RESPONSABILI: LSD e cannabis (la cannabis è ascritta alla categoria di sostanze dette “dissociative”, al pari dell’LSD, particolare da non trascurare)
  • FENOMENOLOGIA:
    1)tipo 1: “aura”, lieve senso di distacco, senso di “smarrimento”, depersonalizzazione e derealizzazione sfumati
    2)tipo 2: “aura” grave, acuto senso di distacco, senso di “smarrimento”, depersonalizzazione e derealizzazione acuti
  • SINTOMI VISIVI: qui di seguito riassunti
  • COMORBILITÀ: non rilevante/necessaria all’insorgere di un HPPD (a indicare la natura “isolata” del disturbo, avente dignità di fenomeno psichico a se stante)
  • TRATTAMENTO FARMACOLOGICO: prima linea/seconda linea (vd.articolo)
  • ALTRE TIPOLOGIE DI TRATTAMENTO CONSIDERATE: rTMS (neuromodulazione)

In questo articolo viene sottolineata la natura “rara e imprevedibile” del disturbo.

Viene inoltre notato come uno degli effetti del disturbo sia un’alterata e ingigantita interpretazione di fatti “visivi” altrimenti ritenuti ordinari (In many cases, HPPD may also be explained in terms of a heightened awareness of and concern about ordinary visual phenomena, which is supported by the high rates of anxiety, obsessive-compulsive disorder, hypochondria, and paranoia seen in many patients), il che ci racconta di come, a seguito di un evento percepito come traumatico o altamente disturbante, un soggetto possa diventare “preoccupato” a riguardo dei suoi stessi sensi inaugurando un periodo di auto-osservazione ossessiva, drammatica e spasmodica (come accade a seguito di un singolo attacco di panico, in seguito “sospettato” e rintracciato/interpretato in qualunque sintomo fisico di qualunque entità arrivato a disturbare il soggetto), il che rappresenta una possibile deriva o un pervertimento “ansioso” del disturbo stesso.

Inoltre, viene notato come tra i molteplici trigger di innesco del disturbo, la cannabis rappresenti un elemento ricorrente (Among the innumerable triggers able to precipitate HPPD, prospectively, the use of natural and synthetic cannabinoids appears to be the most frequent). Già molto si sa sul potenziale “psicopatogeno” della cannabis: sembra però che questa conoscenza non si sia ancora trasformata in “consapevolezza”. The Lancet Psychiatry (non La Stampa o la Repubblica che sia) lo ricorda qui con forza.

Infine, viene citato un modello euristico utile a concettualizzare questo disturbo, questo. Qui un approfondimento video.

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5 marzo 2019

PSEUDOMEDICINA, DEMENZA E SALUTE CEREBRALE


di Luca Proietti

L’aumento progressivo della prevalenza delle demenze e la mancanza, ad oggi, di cure risolutive per queste, offre spazi in cui la pseudomedicina può svilupparsi. Noi professionisti possiamo vivere il proliferare della pseudomedicina come una sfida, documentarci e formarci al fine di instaurare un dialogo costruttivo con i nostri pazienti; oppure, arrenderci nel viverla solamente come una minaccia alla nostra professionalità.

Joanna Hellmuth, Gil Rabinovici e Bruce Miller sono ricercatori californiani di riferimento per i disturbi neurodegenerativi e le demenze. Sulla prestigiosa rivista scientifica JAMA dello scorso Febbraio hanno espresso la loro opinione nei confronti della così detta Pseudomedicina per la cura della demenza, nell’articolo:  “The rise of Pseudomedicine for Dementia and Brain Health”

Gli autori chiamano in causa i fattori che hanno portato ad un aumento della Pseudomedicina negli USA:

  • L’innalzarsi dell’età media della popolazione statunitense e con questa l’aumento della prevalenza della malattia di Alzheimer.
  • La mancanza, ad oggi, di trattamenti risolutivi per il morbo di Alzheimer.
  • La possibilità di accedere a informazioni “non controllate” sul web.

Con il termine  pseudomecina si riferiscono ai trattamenti medici e alle integrazioni terapeutiche a norma di legge, che spesso sono promossi come scientificamente validati, ma che mancano in realtà di dati credibili che ne supportino l’efficacia. Di solito coloro che praticano la pseudomedicina rispondono al bisogno di trovare cure per patologie gravi per cui non sono ancora disponibili, riportano testimonianze personali come se fossero dati scientifici, propongono terapie non supportate e spesso ne traggono guadagni economici.

Per quanto riguarda le patologie neurodegenerative, il più comune esempio di pratiche di pseudomedicina è la promozione di supplementi dietetici per migliorare le performance cognitive e lo stato cerebrale. Secondo gli autori questa attività genererebbe un indotto monetario di 3.2 bilioni di dollari, anche grazie alla pubblicità tramite giornali, radio, televisione e internet. Gli autori ricordano che nessun supplemento alimentare si è dimostrato efficace nel prevenire il declino cognitivo e la possibilità di sviluppare demenza; in effetti ad oggi solo uno o pochi integratori alimentari hanno evidenze scientifiche nel rallentare la progressione della malattia, ma non esiste ancora un trattamento, farmacologico o non, in grado di prevenire la demenza.

Gli integratori alimentari inoltre non sono sottoposti a controlli della US FDA, l’organo che garantisce l’efficacia e la sicurezza dei farmaci per gli Stati Uniti, e spesso oltre ad essere costosi possono avere importanti effetti collaterali, ad esempio aumentare il rischio di emorragie cerebrali.

Secondo gli autori tali prodotti sono supportati da quella che Feynman definisce “cargo cult science”, “Scienza del culto dei cargo”, cioè da ricerche scientifiche che in apparenza seguono i precetti e la forma del mondo scientifico, ma in realtà mancano di rigore e sostanza.

Feyman in un passo citato dagli autori, afferma che uno dei fondamenti dell’integrità scientifica è l’obbligo di riportare anche dati che possano contraddire o alimentare dubbi sulla propria teoria. Fondamento su cui tante volte anche la medicina accademica inciampa, come nel caso dello scandalo della non pubblicazione di studi che dimostravano l’inefficacia dei nuovi antidepressivi (Kirsh, 2009), o la generale tendenza a pubblicare solo gli studi con esiti positivi (Leichsenring & Steinert, 2017). L’altra differenza tra la ricerca pseudoscientifica e le sperimentazioni scientifiche è che in queste ultime non vi deve essere un guadagno diretto da parte dei medici che propongono il trattamento sperimentale, vengono esplicitati gli effetti collaterali e la possibile non efficacia del trattamento.

Un’ulteriore categoria della pseudomedicina è quella dei trattamenti basati su non provate teorie delle cause di disturbi neurodegenerativi come la tossicità da metalli, l’esposizione a muffe, malattie infettive e il morbo di Lyme, per cui vengono proposti interventi di detossificazione, nutrizione, terapie chelanti e antibiotiche non rimborsate dalle assicurazioni e prive di supporti scientifici.

La pseudomedicina fa leva sulla speranza di famigliari e pazienti di trovare una cura per malattie gravi, per cui ancora non si dispone di cure, e propone trattamenti che non sono eticamente, scientificamente e finanziariamente accettabili.

Cosa deve fare quindi il professionista che ha in cura un paziente che richiede trattamenti della pseudomedicina?

  • Far percepire al paziente e ai famigliari che comprende le motivazioni che li portano a richiedere un tale trattamento.
  • Instaurare un dialogo aperto, senza arroccarsi su una supposta superiorità e senza prese di posizioni aprioristiche.
  • Fornire un’interpretazione scientifica onesta delle evidenze a supporto e contro il trattamento, e un’analisi dei costi-benefici.
  • Esprimere la volontà di continuare a collaborare con i pazienti nelle loro cure mediche anche se le opinioni sulla pseudomedicina differiscono.

BIBLIOGRAFIA

  • Hellmuth et al., “The rise of Pseudomedicine for Dementia and Brain Health”, Jama 2019, 321, 6, 543-544.
  • Kirsh, “The Emperor’s New Drugs- Exploding the Antidepressant Myth”, 2009, The Boadley Head, London, 2009
  • Leichsenring & Steinert, “Is Cognitive Behavioral Therapy the Gold Standard for Psychotherapy? The Need for Plurality in Treatment and Research”, JAMA, 2017 318, 14, 1323-1324.

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19 febbraio 2019

FARMACOTERAPIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (DOC) DAL PRESENTE AL FUTURO

di Luca Proietti

Il Disturbo Ossessivo Compulsivo richiede un trattamento combinato con farmacoterapia e psicoterapia. I farmaci di prima linea sono gli antidepressivi che potenziano l’attività della serotonina, siano essi i moderni inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) o i più datati, ma sempre efficaci, antidepressivi triciclici (TCA). A queste due categorie si sono aggiunte nuove opzioni farmacologiche.

La terapia psicofarmacologica del DOC si è sempre avvalsa di farmaci Serotoninergici, dagli antidepressivi triciclici (TCA) con spiccata compenente serotoninergica come la Clomipramina, agli inibitori selettivi della ricaptazione della Serotonina (SSRI). Sono indicati nel DOC in monoterapia:

Farmaco

Dosaggio
TCA
Clomipramina 150-250 mg
SSRI
Fluoxetina 40-80 mg
Fluvoxamina 150-300 mg
Paroxetina 40-60 mg
Sertarlina 150-200 mg
Citalopram 20-40 mg
Escitalopram 10-20 mg

Il Citalopram e l’Escitalopram in Italia non sono ancora registrati, ad oggi, per il trattamento del DOC; ma il loro utilizzo è supportato da evidenze (Montgomery et al., 2001; Stein et al., 2007). Nel DOC, perché si assista ad una risposta terapeutica possono essere necessarie 6-8 settimane di farmacoterapia a dosaggio pieno (vedi tabella), e l’entità della risposta andrebbe valutata non prima di 12 settimane (Stein et al., 2007). In caso di risposta la terapia deve essere continuata per 1-2 anni a pieno dosaggio.

Predittori clinici di non risposta farmacologica nel DOC

Il 40-60 % dei pazienti con DOC non risponde adeguatamente alla terapia con SSRI, in tal caso abbiamo di fronte tre diverse alternative:

  • Lo Switch:  il passaggio ad un altro farmaco SSRI o TCA
  • La Combinazione: uso sinergico di due antidepressivi indicati per il trattamento del DOC (2 SSRI o 1 1 SSRI + 1 TCA)
  • L’Augmentation o Add-on: vedi dopo.

La ricerca ha evidenziato i predittori clinici di non risposta agli SSRI per il DOC (Shetti, et al., 2005):

  • Severità sintomatologica
  • Comobordità con  Disturbo Depressivo Maggiore
  • Ossessioni a contenuto sessuale
  • Compulsioni di lavaggio
  • Compresenza di compulsioni di diverse categorie
  • Precoce età d’esordio
  • Lunga durata di malattia
  • Scarso insight

Accanto ai farmaci prettamente serotoninergici, negli ultimi anni si sono dimostrati efficaci per il trattamento del DOC altre due molecole: la Venlafaxina, un Inibitore della ricaptazione della serotonina e della Noradrenalina (SNRI); e la Vortioxetina, nuovo farmaco antidepressivo ad azione multimodale, che agisce cioè con diverse attività su diversi recettori, potenziando la trasmissione di differenti neurotrasmettitori:

  • SNRI – Venlafaxina 232-375 mg (Hollander et al., 2003)
    Nei pazienti che non rispondono alla terapia con SSRI, si può tentare una terapia con Venlafaxina, un (SNRI): studi riportano un miglioramento della sintomatologia fino al 75.9% dei casi non rispondenti alla terapia con SSRI. Alcuni autori propongono la Venlafaxina anche come terapia di prima linea, questo farmaco è meno studiato e meno supportato degli SSRI nella terapia del DOC, ma è anche meno incline a causare effetti collaterali di tipo sessuale, soprattutto anorgasmia. (Narayanaswamy et al., 2014).
  • Nuovi antidepressivi Multimodali – Vortioxetina  15-20 mg (De Berardis et al.,2017)
    In letteratura è riportato il caso di un paziente con ossessioni di simmetria ed ordine, con rituali di ricontrollo e dubbio patologico, resistente alla terapia con Fluvoxamina 300 mg e Escitalopram 30 mg + Aripiprazolo 10 mg. Per il persistere della sintomatologia ossessiva-compulsiva, aggravata da un episodio depressivo reattivo al disturbo ossessivo, e per evitare effetti collaterali di tipo sessuale,  è stato effettuato un tentativo con passaggio a terapia con Vortioxetina fino a 20 mg con Aripiprazolo 10 mg. Tale combinazione ha prodotto una riduzione della sintomatologia depressiva e ossessivo-compulsiva dopo 2 mesi di terapia. Questo è il primo caso riportato in letteratura di DOC trattato con Vortioxetina, un nuovo antidepressivo multimodale. La Vortioxetina rispetto agli SSRI, SNRI e TCA presenta prerogative che la renderebbero preferibile in alcuni pazienti: non sembra dare effetti collaterali di tipo sessuale, non allungherebbe il tratto QTc dell’elettrocardiogramma, inoltre sembra avere un effetto diretto sul miglioramento dei sintomi cognitivi.

Terapia di augmentation – per potenziare la monoterapia

L’Augmentation o Add-on consiste nell’associare un farmaco di un’altra categoria (antipsicotici, stabilizzatori dell’umore) al trattamento in atto: questi farmaci potenziano l’effetto degli antidepressivi, ma non sono usati da soli nella terapia del DOC.

Qualora la risposta non fosse sufficiente o nei casi che presentano anche Tic, alcuni autori consigliano, in add-on, antipsicotici, che a basso dosaggio potenziano la trasmissione serotoninergica: Olanzapina 2,5 mg, Aripirazolo fino a 5 mg, Aloperidolo fino a 1-2 mg, Pimozide 1-2 mg, Risperidone 0,5-1 mg (Siracusano et al., 2014).

Le linee guida Canadesi (Katzman et al., 2014) indicano altri farmaci da scegliere come add-on per potenziare l’efficacia terapeutica, definendo anche quali sono indicati come prima scelta e quali come seconda e terza (Modificato da Katzman et al., 2014):

Prima linea   
  • Aripiprazolo
  • Risperidone
Seconda linea   
  • Memantina
  • Quetiapina
  • Topiramato
Terza linea     
  • Amilsulpride Aloperidolo
  • Olanzapina
  • Mirtazapina
  • Pindololo
  • Pregabalin
  • Ziprasidone

Come si può vedere le linee guida canadesi indicano in associazione anche farmaci che non sono antipsicotici come la Mirtazapina (antidepressivo con caratteristiche peculiari), la Memantina (Antagonista di recettori Glutammatergici chiamati NMDA, utilizzato per le anomalie comportamentali nelle demenze), il Pindololo (Beta-bloccante utilizzato in associazione nella terapia della depressione), il Pregabalin e il Topiramato (antiepilettici,  utilizzati nei disturbi d’ansia il primo, il secondo per ridurre le abbuffate nei Disturbi del comportamento alimentare).

È interessante trovare in terza linea anche farmaci che non hanno largo utilizzo in patologie psichiatriche: Celecoxib (antiinfiammatorio), Ondansetron e Granisetron (antagonisti serotoninergici con attività antiemetica), N-Acetilcisteina (mucolitico e antidoto), Riluzolo (Antiglutammatergico, utilizzato nella Sclerosi Laterale Amiotrofica).

BIBLIOGRAFIA

De Berardis et al., Vortioxetine and Aripiprazole Combination in Treatment-Resistant Obsessive-Compulsive Disorder: A Case Report, Journal of Clinical Psychopharmacology, 2017, 37(6), pag. 732–734.

Hollander et al., “Venlafaxine in Treatment-Resistant Obsessive-Compulsive Disorder”, The Journal of Clinical Psychiatry, 2003;64(5), pag. 546-550.

Katzman et al., Canadian clinical practice guidelines for the management of anxiety, posttraumatic stress and obsessive-compulsive disorders. BMC Psychiatry. 2014;14 Suppl 1:S1.

Montgomery Set al.,  Citalopram 20 mg, 40 mg and 60 mg are all effective and well tolerated compared with placebo in obsessive-compulsive disorder, Int Clin Psychopharmacol. 2001 Mar;16(2):75-86.

Narayanaswamy et al., “Venlafaxine in Treatment Resistant Obsessive-Compulsive Disorder”.The Journal of Neuropsychiatry and Clinical Neurosciences, 2014, 26(3), pag.  E44–E45.

Shetti et al., Clinical predictors of drug nonresponse in obsessive-compulsive disorder. J Clin Psychiatry. 2005 Dec;66(12):1517-23

Siracusano et al., “Manuale di psichiatria”  seconda edizione, Il pensiero scientifico editore, Roma, 2014

Sowa-Kućma et al., Vortioxetine: A review of the pharmacology and clinical profile of the novel antidepressant, Pharmacol Rep. 2017 Aug;69(4):595-601.

Stein et al., Escitalopram in obsessive-compulsive disorder: a randomized, placebo-controlled, paroxetine-referenced, fixed-dose, 24-week study. Curr Med Res Opin. 2007 Apr;23(4):701-11.

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25 gennaio 2019

DEPRESSIONE, DEMENZA E PSEUDODEMENZA DEPRESSIVA

di Luca Proietti

La depressione può essere accompagnata da deficit cognitivi. Tali sintomi in alcuni casi, nell’adulto o soprattutto nel paziente anziano, possono essere di entità tale che risulta difficile comprendere se siano legati al quadro depressivo o rappresentare le fasi iniziali di un disturbo neurocognitivo, come il Mild Cognitive Impairment o la demenza.

Il primo a descrivere la pseudodemenza depressiva è stato Mairet, che nel 1883 ha presentato il concetto di démence melancholique (Berrios, 1985).  Il termine è poi caduto in disuso fino a quando Kiloh nel 1961 ha descritto nei pazienti depressi degli stati con alterazioni cognitive simili alla demenza, ma reversibili (Kiloh 1961). In senso stretto possiamo definire pseudodemenza depressiva una sindrome che presenta deficit cognitivi causati non da disturbi organici ma dall’episodio depressivo e che deve essere necessariamente reversibile. Si possono individuare due tipi di pseudodemenza depressiva, il primo è caratterizzato da pazienti che lamentano deficit cognitivi senza deficit intellettuale misurabile (lamentela cognitiva), il secondo da coloro che hanno sintomi depressivi e mostrano scarso rendimento cognitivo, oggettivabile tramite test neuropsicologici. Ad oggi gli autori non sono concordi nella definizione della pseudodemenza depressiva, alcuni sono addirittura contrari all’utilizzo di questo termine e sostengono che la maggior parte dei pazienti a cui viene diagnosticata la pseudodemenza depressiva siano in realtà destinati ad evolvere verso forme di demenza vere e proprie. Secondo questa visione i sintomi depressivi sarebbero i prodromi di una demenza o slatentizzerebbero deficit cognitivi ancora sottosoglia.

Spesso nella realtà clinica la condizione di una demenza organica e i sintomi cognitivi causati da uno stato depressivo non sono chiaramente distinguibili e anzi possono coesistere,  influenzandosi reciprocamente. Il concetto di ‘‘Depression–dementia medius’’ è interessante per la sua applicabilità clinica: un continuum che include manifestazioni sintomatologiche i cui estremi sono rappresentati dalla pseudodemenza depressiva, cioè completamente reversibile,  e dalla sintomatologia depressiva delle forme di demenza propriamente dette. (Kobayashi & Kato 2011; Nussbaum 1994; Fischer 1996; Zapotoczky 1998).

Ipotesi fisiopatologiche

L’associazione tra sintomi depressivi e cognitivi è molto frequente e sono state fatte diverse ipotesi per spiegare questa associazione:

  1. vi sarebbero fattori di rischio comuni che aumentano il rischio di sviluppare sia demenza che depressione;
  2. i sintomi depressivi sarebbero un prodromo della demenza;
  3. la depressione potrebbe essere una reazione psicologica precoce al declino cognitivo;
  4. la depressione slatentizzerebbe una demenza ancora sottosoglia;
  5. la depressione potrebbe essere un fattore causale per la demenza. (Kobayashi & Kato 2011; Fischer 1996; Jorm 2000).

Questi meccanismi non sono da intendersi in maniera mutualmente esclusiva e potrebbero concorrere tra loro in maniera interdipendente.

Diverse ipotesi fisiopatologiche sono state chiamate in causa per spiegare i meccanismi con i quali la depressione possa alterare le prestazioni cognitive. Le teorie più accreditate chiamano in causa il rallentamento psicomotorio e lo scarso livello motivazionale. Il primo comporterebbe una minore capacità di processazione delle informazioni e quindi una minore performance ai test neuropsicologici (Brown et al. 2013, Hart & Kwentus 1987). Il secondo non permetterebbe al paziente di fare fronte alla difficoltà di esecuzione di compiti mentali complessi come i test neuropsicologici. (Elliot et al. 1996 Kang et al. 2014; Lamberty & Bieliauskas 1993)

La sintomatologia depressiva delle demenze degenerative, in particolare l’Alzheimer (AD) viene invece spiegata chiamando in causa:

  1. una reazione psicologica al declino cognitivo;
  2. la ricorrenza di episodi depressivi di cui il paziente aveva già sofferto in passato;
  3. il danno neurobiologico a strutture nervose coinvolte nella regolazione del tono dell’umore, dovuto ai processi degenerativi dell’AD (Kobayashi & Kato 2011; Lee & Lyketsos 2003)

Profilo dei deficit cognitivi

I sintomi cognitivi della pseudodemenza depressiva coinvolgono diverse sfere: quella della memoria sia essa di lavoro o a lungo termine, le funzioni esecutive, il linguaggio -in particolare la fluenza fonemica-, l’attenzione, la concentrazione e l’orientamento.  (Kang et al. 2014; Lamberty & Bieliauskas 1993; Yousef et al. 1998; Kiloh 1961)

Diagnosi differenziale tra demenze e pseudodemenze

Appare di fondamentale importanza differenziare la pseudodemenza depressiva dalle altre forme neurodegenerative per la differente gestione e prognosi. Nella pseudodemenza depressiva l’obiettivo è quello della remissione completa della sintomatologia psicopatologica e cognitiva, ottenibile tramite la terapia antidepressiva e la riabilitazione, nessun intervento possibile andrà lesinato al fine del raggiungimento del migliore out come possibile. Nelle forme neurodegenerative lo scopo della terapia e dell’assistenza è quello di rallentare per quanto possibile l’inevitabile progressione della malattia, cercare di preservare la qualità di vita del paziente ed evitare provvedimenti diagnostici e terapeutici inutili.

Nel tempo diversi autori hanno provato a individuare dei criteri per distinguere tra la pseudodemenza depressiva e le forme di demenza degenerativa, in particulare l’AD.  Alcuni lavori si sono concentrati sui dati forniti da esami strumentali con risultati promettenti: siano di neuroimaging RMN (Schmaal et al. 2016; Boccia et al. 2015), PET con Amiloide e FDG PET (Harrington et al. 2015; Su et al. 2014) o elettroencefalografici (Reynolds et al. 1988). Altri studi si sono concentrati sui biomarker.  In passato la misurazione dei livelli di cortisolo e la risposta al  test di soppressione al desametasone hanno dato risultati contrastanti (Spar & Gerner  1982; Arana et al. 1985; Grunhaus et al. 1983). Le ultime indagini si sono basate sulla rilevazione quantitativa di biomarker del liquor con ottimi risultati: i livelli di Proteina Tau totale, di Proteina Tau fosforilata e di iso-forme particolari dell’Amiloide (Ros et al. 2013; Gudmundsson et al. 2010; Nascimento et al. 2015 (Leyhe et al. 2017; Reynolds et al.1988 ).

Interessanti per la loro facilità di applicazione e economicità risultano i criteri clinici. Suggestivi di pseudodemenza depressiva sono un’anamnesi positiva per precedenti episodi depressivi, una descrizione accurata dell’episodio attuale da parte del paziente, la manifestazione di precedenti sintomi depressivi, la consapevolezza dei propri deficit, il lamentarsi di questi, fornire spesso risposte del tipo “non so” e la presenza di sintomi vegetativi. Mentre risultano suggestivi di demenza il minimizzare i propri deficit cognitivi (anosognosia), il fornire scuse incongrue per questi, il non lamentarsene e il peggioramento notturno. Sempre suggestivi di demenza degenerativa sono deficit cognitivi importanti come il non riconoscere degli oggetti semplici e di uso comune, non riuscire a elencare i mesi dell’anno, non ricordare date importanti (es. prima e  seconda guerra mondiale) o il cognome di personalità importanti (es. il presidente degli stati uniti o della repubblica), ed essere completamente disorientati nel tempo e nello spazio. (Yousef et al. 1998; Kiloh 1961; Ferrua 2014; Trabucchi 2002).

BIBLIOGRAFIA

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Berrios GE. ‘Depressive pseudodementia’ or ‘Melancholic dementia’: A 19th century view. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1985; 48: 393–400

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Kiloh LG. Pseudo-dementia. Acta Psychiatr Scand 1961; 37: 336–351.

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Schmaal L, Veltman DJ, van Erp TG, S€amann PG, Frodl T, Jahanshad N, et al. Subcortical brain alterations in major depressive disorder: findings from the ENIGMA Major Depressive Disorder working group. Mol Psychiatry 2016;21:724–5.

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15 gennaio 2019

QUANDO IL PROBLEMA È IL PASSATO, LA RICERCA DEI PERCHÈ NON AIUTA

di Luca Proietti

Per la Psicoterapia Breve Strategica spesso non è possibile identificare correttamente le cause di un Disturbo, e ad ogni modo ciò non è utile per la sua risoluzione. Per questo il terapeuta strategico si muove cercando di capire cosa mantiene un problema nel presente e non il perché questo si sia sviluppato.

Secondo la Psicoterapia Breve Strategica non è di nessuna utilità terapeutica ricercare e individuare le cause che hanno prodotto nel passato un disturbo psichico; risulta di fondamentale importanza invece definire e agire sulla dinamica attuale che mantiene il problema. Nei confronti del problema ci si domanda “Come si mantiene e funziona?” piuttosto che “Perché si è sviluppato?”.

In ottica strategica la ricerca delle cause spesso è fuorviante, infatti queste solitamente sono molteplici e difficili da individuare. Inoltre la nostra visione del passato è frutto di una rielaborazione e reinterpretazione, mediata dalle nostre emozioni, non un fedele resoconto. Infine anche qualora riuscissimo a identificare nel passato le cause precise di un disturbo, ciò non comporterebbe automaticamente la sua risoluzione. Oltretutto il passato è immodificabile,  pertanto i nostri interventi dovranno essere calzati sulla dinamica presente che mantiene il problema in essere.

A sostegno di questa ipotesi nel Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD) è possibile individuare nel passato con precisione una causa, un vissuto traumatico o doloroso, e i pazienti sono perfettamente consapevoli della causa del loro malessere, ma ciò non è sufficiente alla risoluzione del disturbo.

In ottica strategica sono i tentativi di reazione da parte del soggetto, e di chi gli sta intorno, messi in atto nel tentativo di risolvere un disturbo, a determinarne paradossalmente la sua persistenza. Questi vengono definiti “Tentate Soluzioni” fallimentari, e divengono quindi il bersaglio degli interventi terapeutici.

Nel PTSD le tre Tentate Soluzioni sono:

  • a livello mentale: il tentativo di controllare i propri pensieri e cancellare il ricordo dell’esperienza traumatica
  • a livello comportamentale: l’evitamento di tutte le situazioni che possono richiamare alla mente il trauma
  • nella relazione con gli altri:  la richieste di aiuto, la ricerca di un significato dell’evento e la lamentela continua.

Nel PTSD la tentata soluzione principale è il tentativo di non pensare e scacciare il ricordo dell’evento traumatico con tutte le sensazioni ed emozioni che lo accompagnano. È proprio il tentativo di non pensare un ricordo traumatico ad aumentarne paradossalmente la sua intrusività, poichè “pensare di non pensare è già pensare”, e in questo caso cercare di dimenticare un ricordo è già ricordare. L’intervento quindi è volto ad aiutare il paziente a rimettere il passato nel passato, evitando così che questo inondi e sommerga il presente di paura, rabbia e dolore.

Un veterano del Vietnam scrisse: “La guerra è finita per la storia, ma non è mai terminata per me”

In ottica stratgica, la tecnica di elezione per il PTSD è il “Romanzo del Trauma”. Si prescrive al paziente di raccontare per iscritto il racconto dell’evento traumatico, nella maniera più dettagliata possibile (il paziente dovrà riportare immagini, sensazioni, ricordi, pensieri). Ogni giorno ripercorrerà quei terribili momenti vissuti, fino a quando non sentirà di aver scritto a sufficienza, per riprendere quindi il giorno successivo. Non si tratta di una sorta di diario o di pensieri in libertà, ma di un vero e proprio romanzo da scrivere più e più volte.

“Lei deve prendere un bel quadernone, una penna ed ogni giorno si mette li e ripensando a quell’evento, agli odori, ai rumori, alle sensazioni, alle cose che ha visto. Mi deve descrivere nei minimi dettagli, più riesce ad essere dettagliata e meglio è, tutto quanto è accaduto, tutte le sensazioni, tutte le cose che ha visto, tutti gli odori, tutti i rumori, scrive scrive scrive… Non mi interessa la calligrafia, non mi interessa la grammatica, mi interessa che lei butti fuori tutto quello che ha dentro, mi interessa che lei riviva come se fosse una sorta di film quanto è accaduto. Una volta che per quel giorno sente che può andare allora chiude, evita di rileggere ciò che ha scritto e riprende il giorno dopo.”

L’aforisma di Robert Frost “Se vuoi venirne fuori, devi passarci nel mezzo”, spiega bene il funzionamento di questa tecnica che produce diversi effetti importanti:

  • Permette di esternalizzare tutti i ricordi, le immagini, i flashback che assalgono il paziente trasferendoli su carta e, in questo modo, egli se ne libera a poco a poco.
  • Permette di elaborare e trasferire i ricordi traumatici dalla memoria somatica (implicita) a quella semantica (esplicita e narrabile), con l’effetto che le sensazioni corporee e i sentimenti negativi associati scompaiono.  Studi sulla memoria mostrano che le informazioni relative a un evento traumatico sono immagazzinate nella memoria somatica (che ha a che fare col corpo): per questo la persona rivive le emozioni e le sensazioni fisiche negative correlate all’evento originale. Il ricordo traumatico attiva infatti zone del cervello preposte alla visione e alle emozioni, mentre i centri del linguaggio e dell’espressione, nell’atto del ricordo, sembrano disattivati (si veda questa rubrica che curiamo su Psychiatry On Line). Il processo di scrittura a mano aiuta a ristabilire i collegamenti tra diverse zone del cervello (Janssen 2007) e trasferire i ricordi traumatici alla memoria semantica.
  • La riscrittura quotidiana della narrazione innesca un processo di abituazione o adattamento, la ripetizione infatti fa diminuire le intensità delle emozioni e delle emozioni, siano esse positive o negative.
  • Prescrivere la ricerca volontaria e ripetitiva di ricordi, immagini e sensazioni le priva della loro natura intrusiva.
  • Infine, simbolicamente permette di distaccarsi dall’evento, facendo defluire il flusso emotivo su carta e consegnando il romanzo al terapeuta.

BIBLIOGRAFIA

Cagnoni & Milanese, “Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica”, Ponte alle Grazie, Milano, 2009.

Janssen “Respirare. Per una medicina integrata tra corpo e anima”, Feltrinelli, Milano 2007

Article by admin / Formazione / lucaproietti, neuroscienze, psichiatria, psicoanalisi, psicologia, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia

11 dicembre 2018

NON È ANORESSIA, NON È BULIMIA: È VOMITING

Vi è un sottogruppo di pazienti con disturbo del comportamento alimentare che presentano frequenti episodi di abbuffate seguite da vomito autoindotto. Queste pazienti sembrano soffrire di un disturbo peculiare che si basa su una compulsione piacevole, “la sindrome da vomiting”, e rispondono ad interventi terapeutici ad hoc, volti a trasformare il rito piacevole in una esperienza sgradevole per estinguerne la sua ripetizione compulsiva.    

 di Luca Proietti

Nei primi anni Novanta presso il Centro di Psicoterapia Breve Strategica di Arezzo ci si accorse che le strategie terapeutiche idonee per l’anoressia e la bulimia non producevano gli stessi risultati positivi in un sottogruppo particolare di pazienti, che presentavano frequenti episodi di abbuffate seguite da vomito autoindotto. Queste pazienti rispondevano a strategie di intervento totalmente differenti, volte  a trasformare la compulsione piacevole del mangiare e vomitare in un’esperienza sgradevole per estinguerne la sua ripetizione compulsiva. Si scoprì così un disturbo del comportamento alimentare (DCA) basato sul piacere, quindi con una dinamica di funzionamento totalmente differente dall’anoressia e dalla bulimia, da cui deriva la definizione “Sindrome da Vomiting”. In Terapia Breve strategica infatti è la soluzione di un problema a spiegarne il funzionamento, si sposa il concetto di ricerca-azione di Kurt Lewin per il quale se vuoi comprendere qualcosa devi provare a cambiarne il funzionamento.

Le pazienti descrivono come il piacere provato sia l’esito, non del solo mangiare, ma della sequenza di

  1.  fase eccitatoria (attivazione fisiologica dell’organismo indotta dal desideri)
  2.  fase consumatoria (l’abbuffata che conduce alla voglia di esplodere nel vomito, la fase di scarica)

Chi soffre di vomiting non vomita perché si è abbuffato, ma si abbuffa per vomitare.

Tale visione è coerente con i dati di letteratura che mostrano come il 50 % delle pazienti con anoressia e, al polo opposto, il 30% dei casi di overeating evolvano verso il medesimo pattern comportamentale patologico caratterizzato da abbuffate e vomito. Tuttavia dalla classificazione nosografica attuale (DSM-5) non è riconosciuto un DCA basato sulla compulsione piacevole di abbuffarsi e vomitare, l’autoinduzione del  vomito è letto come sintomo accessorio di un altro DCA (anoressia o bulimia). Questa interpretazione, che può essere valida per fasi iniziali del disturbo, non permette di comprendere il funzionamento e quindi di intervenire in maniera efficace nei casi di vomiting strutturato.

Gli interventi terapeutici infatti devono mirare alla rottura della compulsione piacevole di mangiare e vomitare, alla base del disturbo.

INTERVENTO

A causa della piacevolezza del disturbo le pazienti opporranno una forte resistenza, fino al tentativo di boicottare la terapia. Per aumentare l’aderenza è necessario agganciare la paziente, facendola sentire compresa; a tal fine lo psicoterapeuta asseconda il linguaggio e descrive le sensazioni della paziente, narrandole la sequenza del mangiare e vomitare come un incontro metaforico con il suo “amante segreto”.

“Sarebbe come dire che ti sei costruita uno splendido amante segreto con il quale organizzi gli incontri al meglio per ottenere il massimo del piacere ogni volta. E infatti, come una giovane innamorata, provi eccitazione con le tue fantasie anticipatorie pensando a quando vivrai l’incontro, poi, quando questo avviene, ti lasci andare fino a farti travolgere dal godimento.”

Un amante che travolge di piacere, fino a diventare un demone che non permette di avere altri amanti né piaceri.

Sono state individuate tre categorie di pazienti che richiedono differenti tipi di intervento.

Le Trasgressive inconsapevoli: solitamente sono giovani e non hanno colto le caratteristiche del loro disturbo, che è agli esordi; vengono in terapia portate dai famigliari. L’intervento sarà di tipo sistemico e calzato sulle dinamiche famigliari che mantengono il disturbo. In piena tradizione strategica si prescrive il sintomo: la madre o il padre dovranno chiedere il menù dei cibi preferiti dalla figlia per abbuffarsi e vomitare, comprare tutto l’occorrente e disporlo in bella vista. Tale intervento che sembra assurdo è in realtà paradossale, e priva il rituale della sua caratteristica peculiare, poiché un comportamento trasgressivo prescritto, non è più trasgressivo, soprattutto se i genitori compartecipano alla sua realizzazione. In aggiunta si può prescrivere la congiura del silenzio alla famiglia, evitare di parlare del problema.

Le Trasgressive consapevoli pentite sono le pazienti cronicizzate che vogliono liberarsi dal demone del vomiting. Con le prime sessioni si utilizza la tecnica dell’intervallo: si prescrive alla paziente di abbuffarsi e vomitare quanto vuole, aspettando però un’ora prima vomitare. Inserire un intervallo temporale tra il mangiare compulsivamente e il vomitare, priva il rituale della sua intrinseca piacevolezza che si basa sulla successione immediata delle due fasi. Inoltre  la riduzione degli episodi di vomito così ottenuta, porterà a ridurre anche le abbuffate per il timore di prendere peso. Questa manovra terapeutica, ricalcando la struttura del sintomo, al tempo stesso ne inverte il senso, conducendolo all’autodistruzione. Se la prescrizione è aderita, si procede aumentando progressivamente la durata dell’intervallo.

Quando la paziente rifiuta la tecnica dell’intervallo, oppure dichiara di aver provato ad applicare la tecnica ma di averla poi abbandonata, siamo di fronte a una Trasgressiva consapevole compiaciuta; queste sono ambivalenti: non ce la fanno più, ma non vogliono lasciare il loro amante segreto. In questo caso si opta per la strategia del perfezionamento della ricerca del piacere: si suscita nella paziente il dubbio che nei suoi incontri travolgenti con l’ “amante segreto” non sia giunta al massimo del piacere, e si analizzano quali variabili si possano perfezionare ancora.  Si propone quindi alla paziente di provare a ridurre gli episodi di vomito per evitare di diluire il piacere durante il giorno e concentrarlo così al massimo. Anche in questo caso, seguendo la logica della paziente e del problema si prende il controllo della compulsione. Si crea così del tempo libero dal disturbo, in cui possono trovare spazio attività piacevoli alternative, in modo da rendere più accettabile l’abbandono dell’amante segreto e la tecnica dell’intervallo.

BIBLIOGRAFIA

Nardone & Portelli, “Cambiare per conoscere. L’evoluzione della terapia breve strategica”, TEA, Milano 2015

Nardone & Selkman, “Uscire dalla trappola. Abbuffarsi vomitare torturarsi: la terapia in tempi brevi”, Ponte alle Grazie, Milano, 2011.

Nardone & Valteroni, “L’anoressia giovanile. Una terapia efficace ed efficiente per i disturbi alimentari”, Ponte alle Grazie, Milano, 2017.

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  • PSICOTERAPIE: IL DIBATTITO SU FATTORI COMUNI E SPECIFICI A CONFRONTO
  • L’ATTUALITÀ DI PIERRE JANET: “La psicoanalisi”, di Pierre Janet
  • IL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ: ALCUNE RIFLESSIONI
  • PSICOPATIA E AGGRESSIVITÀ PREDATORIA, LA VERSIONE DI GIOVANNI LIOTTI (da “L’evoluzione delle emozioni e dei Sistemi Motivazionali”, 2017)
  • LA GESTIONE DEL CONTATTO OCULARE IN PAZIENTI CON PTSD
  • MARZO 2017: IL CONSENSUS STATEMENT SULL’UTILIZZO DI KETAMINA NEI CASI DI DISORDINI DELL’UMORE APPARENTEMENTE NON TRATTABILI
  • IL CERVELLO TRIPARTITO: LA TEORIA DI PAUL MACLEAN
  • (LA CONTROVERSIA A PROPOSITO DELL’USO DI) CANNABIS: cosa sappiamo?
  • IL CIRCUITO DI RICOMPENSA NELL’AMBITO DEI PROBLEMI DI DIPENDENZA
  • OTTO KERNBERG: UN AUTORE IMPRESCINDIBILE
  • TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SULLE MNEMOTECNICHE (MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE)
  • LA CURA DEL SE’ TRAUMATIZZATO di Lanius e Frewen, 2017
  • EFFICACIA DI UN BREVE INTERVENTO PSICOSOCIALE PER AUMENTARE L’ADERENZA ALLE CURE FARMACOLOGICHE NELLA DEPRESSIONE
  • PSICOTERAPIE: IL DIBATTITO SU FATTORI COMUNI E SPECIFICI A CONFRONTO

IL BLOG

Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

A CURA DI:

  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
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