• Home
  • RAFFAELE AVICO
  • PODCAST!
  • #TRAUMA
  • FONDATORI E COLLABORATORI
  • PSICOTERAPIA ONLINE
  • DIVENTA PATREON
  • IN VENDITA

Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in Psichiatria e Psicoterapia

15 gennaio 2021

ANATOMIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (E PSICOTERAPIA)

di Raffaele Avico

Il disturbo ossessivo compulsivo, storicamente preso in carico esclusivamente dagli psicoanalisti, oggi è trattato usando modalità più complessificate e attraverso il ricorso a farmaci deossessivizzanti.

La psichiatria, lungo il suo corso, ha assorbito e metabolizzato molteplici apporti teorici provenienti da scuole di pensiero diverse a riguardo di questo pesante disturbo, arrivando, come succede anche per altri tipi di problematiche mediche, a un approccio multidisciplinare e integrato (psichiatra insieme a psicoterapeuta).

La gravità dell’OCD varia dai casi limite a base maggiormente organica (squilibri neurobiologici che vengono trattati quasi esclusivamente attraverso la farmacoterapia), fino ad arrivare alle forme “sfumate” del disturbo, che colpiscono moltissime persone (pensiamo per esempio al timore di non aver chiuso la porta di casa, o la macchina, o al senso di “non aver finito” una determinata cosa -“not just right experience”) e che rispondono anche a un trattamento esclusivamente psicoterapico.

La struttura centrale del disturbo è la stessa, ma l’entità della sua gravità varia, e soprattutto varia la sua forma, in termini di tipologia di compulsione, e in particolare:

  •     i “checkers” sentono l’impulso irrefrenabile di controllare (to check) che “qualcosa” sia chiuso/bloccato: eseguire quella chiusura o quel gesto rituale, spazza via mentalmente la sensazione che qualcosa non sia finito o non chiuso (la prima citata “not just right experience”)
  •     i “washers” compulsivamente (si) lavano o puliscono, raggiungendo una certa soglia di senso di pulizia e igiene, fugando il timore di essere contaminati o non perfettamente puliti
  •     gli “orders”, per ripulire la mente dai pensieri ossessivi, creano intorno a sé un ambiente perfetto, usando simmetria e rigore
  •     i “repeaters” o i “thinking ritualizers” scacciano via i pensieri ossessivi ripetendo un gesto o un’azione, anche mentale (contare fino a 10, ripetere delle parole o dei mantra), fino al punto in cui sia raggiunto uno stato di tranquillità percepita
  •     gli “hoarders”, o “accumulatori”, rappresentano una categoria laterale dei pazienti con disturbo DOC (qui un articolo che approfondisce la questione:)

Le cause non sono totalmente note, la psichiatria biologica presume ci possa essere uno scompenso nel milieu neurotrasmettitoriale (in particolare in riferimento al livello di serotonina), e un comportamento difettoso entro alcuni circuiti che collegano zone antiche del cervello a zone più recenti (qui l’approfondimento); la teoria psicoanalitica dà altre spiegazioni, la psicoterapia a matrice cognitivista ancora altre.

Quello che si osserva in occasione di una “crisi” di DOC (rush ossessivo) è l’innalzarsi, a seguito della comparsa di un pensiero ossessivo, del livello di ansia e di timore esperito soggettivamente, che viene “placato” con il ricorso alla compulsione, che riporta la mente a un livello di funzionamento normale.

Per fare un esempio: un pensiero ossessivo relativamente comune (e che quindi  non corrisponde a un desiderio reale) è quello di agire violenza (anche sessuale) su persone care (bambini, famigliari): il pensiero emerge come improvviso e procura un senso di timore e allarme (in seguito a una valutazione che il soggetto fa nei confronti del suo stesso pensiero): la curva dell’arousal (il livello di attivazione neurofisiologica dell’organismo) sale fino a raggiungere picchi insostenibili per il soggetto, che deve tentare, in tutti i modi, di placare il suo malessere: da qui le compulsioni.

É da notare che questo stato mentale di confusione e paura proviene da un timore che il pensiero possa essere foriero di passaggio all’atto, ovvero, che ci possa essere una sorta di sovrapposizione e identificazione tra il pensiero e l’azione descritta dal pensiero stesso (per esempio la paura di essere ladro solo perchè si pensa di rubare, il timore di coltivare desideri violenti se si pensa anche solo per un attimo di picchiare o uccidere qualcuno: qui un breve approfondimento sulla “fusione pensiero-azione”)

Si osserva poi un fenomeno successivo per cui le compulsioni assumono forma di oggetto di dipendenza, e quand’anche il soggetto sperimentasse uno stato di relativa tranquillità con la mente vuota, “qualcosa”, in assenza del pensiero ossessivo, sembrerebbe mancare: da qui il ritorno al pensiero fisso, che viene come ricercato, a metà tra il desiderio e la coazione.

Le cause, come si diceva, non sono completamente note; alcune teorie tuttavia sono più accreditate di altre: si tende a credere esista una forte componente biologica: per questo in prima linea l’approccio è farmacologico; se in presenza di sintomi troppo invalidanti vengono usati farmaci serotoninergici ad azione deossessivizzante, prescritti da uno psichiatra che conosca nel dettaglio la storia clinica del paziente.

A riguardo della terapia farmacologica del DOC, si veda questo articolo di Luca Proietti.

In ambito psicodinamico/psicoanalitico, il lavoro è mirato a una comprensione del significato che l’ossessione riveste per il soggetto. Non dunque l’origine, ma il significato dell’ossessione stessa.

Nel bellissimo romanzo di Yalom “Le lacrime di Nietzsche”, viene descritta in modo romanzato la vicenda di un rapporto di cura tra Breuer (mentore di Freud) e il celebre filosofo. Uno dei temi affrontati è l’ossessione di Breuer per una giovane paziente, presente a tal punto da divenire invalidante e pericolosa per la vita del celebre medico, che verrà nel proseguire della storia smontata, contestualizzata e ri-significata da Nietzsche, in un interessante dialogo clinico, realistico seppur d’invenzione.

É interessante notare come per Breuer la giovane paziente fosse diventata nel tempo il simbolo di una speranza di vita e di appagamento di potenti bisogni, inespressi altrove, che aveva fatto di Bertha (la giovane paziente) una sorta di pretesto per l’immobilismo del celebre medico, bloccato nel suo percorso di evoluzione umana. Inoltre, il rapporto con la paziente sembrava compromesso e pervertito da emozioni di rabbia, possessione, e mistificato da un’idealizzazione della paziente stessa tale, da impedire a Breuer di compiere il necessario esame di realtà che avrebbe spogliato Bertha della sua allure “magica”, facendo decadere l’ossessione.

In ambito di psicoterapia cognitivo-comportamentale (valutata la più efficace per contrastare i disturbo) si lavora molto, ma non solo, sul tema della responsabilità e del senso morale.

Un senso di responsabilità ipertrofico, e un rigido assetto morale, producono pensieri ossessivi (alcuni studi indagarono le conseguenze di uno stile di leadership autoritario e puntiglioso sugli impiegati, che vennero osservati sviluppare comportamenti simil-ossessivi): il lavoro è quindi finalizzato ad “ammorbidire” il proprio approccio alla realtà e il proprio senso morale.

Vengono inoltri usati qui dei protocolli che de-strutturano il pensiero del paziente, osservando lo svolgimento della dinamica ossessiva nel suo nascere (a partire dall’evento scatenante, fino alla messa in atto della compulsione), per imparare a “disimpararla”.

Alcune osservazioni sul disturbo (nella sua variante più sfumata):

  • il sintomo ossessivo si presenta contro la volontà del soggetto, alla sua coscienza, producendo sofferenza e disorientamento; esistono alcuni bias cognitivi, errori di pensiero che rendono la sua gestione più difficile. Come visto in precedenza, per esempio, l’idea che pensare una cosa equivalga a desiderarla (anche a causa, per alcuni soggetti, di interpretazioni sbagliate di concetti psicoanalitici ambigui e mai veramente divulgati, per cui pensare o sognare una cosa equivarrebbe a desiderarla -nel senso più letterale del termine); oppure l’idea che pensare una cosa la farà accadere
  • il sintomo ossessivo, sembra in un certo senso creare dipendenza. É cioè in grado di essere richiamato alla coscienza quando assente, ed è in grado di dare senso di reward -come in una dipendenza. Questo fenomeno è di lettura molto complicata (perchè il soggetto dovrebbe “attirarsi” il pensiero intrusivo anche quando stesse vivendo un momento di libertà?) e chiama in causa aspetti appunto di dipendenza, masochistici o paradossali (ne abbiamo scritto in questa intervista a Rossella Valdrè sul concetto di masochismo).
  • gli aspetti paradossali riguardano il tema del controllo; un po’ come succede per il disturbo di attacco di panico, tentare di tenere lontano dalla mente un certo pensiero, conduce al suo ripresentarsi. Parliamo dunque di un controllo che fa perdere il controllo.
  • in generale la risoluzione di un DOC, o un suo alleviarsi, dovrebbe corrispondere al passaggio da una logica di conflitto, a una logica di scelta. Ovvero, occorre che il paziente acquisisca maggiori quote di controllo sul pensiero. In che modo? Una modalità può essere agire in modo contro-paradossale, scegliendo il/la paziente stesso/a di pensare a quello stesso pensiero, o di eseguire quel particolare rituale. Oppure, il senso di maggiore controllo potrebbe derivare da un lavoro sulla meta-cognizione sugli schemi di pensiero che di solito si fa in psicoterapia cognitivo-comportamentale (qua un approfondimento)
  • spesso i contenuti di pensiero vengono giudicati come immorali: questo accade quando non si sia abituati a considerare il pensiero stesso come naturale, o quando appunto lo si interpreti come desiderio (se lo penso, lo desidero/lo sono); pensieri di questo tipo possono riguardare qualsiasi cosa, dall’essere pedofili a desiderare la morte per una persona cara, tanto più giudicati scandalosi quanto rigida fu -a monte- l’educazione ricevuta in senso morale. Un’educazione rigidamente cattolica è un buon terreno su cui si possono innestare disturbi di questo tipo. In questo senso il lavoro di psicoterapia sarà finalizzato a “liberalizzare” il pensiero stesso
  • accettare il rischio di poter essere qualcosa, o di poter fare una certa fine, spesso allevia il conflitto interno, arrivando la persona a fare un salto logico su di un livello superiore (se anche lo fossi/lo desiderassi, non sarebbe un problema poi così grave), operando quindi quella che viene chiamata “esposizione con accettazione del rischio”
  • lavarsi fisicamente, vuole essere anche un lavaggio in termini morali. Sappiamo che nel DOC il tema della reponsabilità e della colpa -e dell’indegnità- sono centrali; si veda questo articolo su Science a proposito di quello che è stato definito Effetto Lady Macbeth)

Su questo blog abbiamo svolto diversi approfondimenti sul DOC, che riportiamo qui di seguito:

  1. recensione di “La mente ossessiva” di Francesco Mancini
  2. intervista a Andrea Vallarino e Luca Proietti sulla terapia strategica del DOC
  3. il già citato articolo sulla farmacoterapia del DOC
  4. un approfondimento sul DOC in ottica strategica, visto in questo caso come un’esasperazione della razionalità
  5. DOC ed effetto placebo

Qui per approfondimenti (articoli di ricerca)


NOTA BENE: se ti interessano la psicotraumatologia, la clinica del trauma e le avanguardie di ricerca, abbiamo attivato un Patreon per fornire contenuti mensili su queste tematiche. Trovi qui i nostri reward!

Article by admin / Formazione / psichiatria, psicoanalisi, psicologia, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia, raffaeleavico

11 gennaio 2021

LA STRANGE SITUATION IN BREVE e IL TRAUMA COMPLESSO

di Raffaele Avico

La Teoria dell’attaccamento deriva dagli studi di John Bowlby, con il suo famoso libro “Una Base sicura”, e dal lavoro clinico della sua allieva Mary Ainsworth, con le sue ricerche sulla diade madre-bambino all’interno del contesto della “strange situation”.

In che cosa consistevano questi esperimenti?

Mary Ainsworth ebbe la geniale idea di osservare l’interazione madre-bambino in quattro momenti distinti e seguenti:

  • gioco
  • distacco
  • ricongiungimento
  • gioco (dopo il ricongiungimento)

L’idea era quella di osservare le reazioni di un certo numero di bambini sottoposti a una situazione artificiale di gioco con la madre naturale (considerata come la figura di attaccamento primaria, quella a cui si presumeva il bambino si riferisse per ottenere protezione e nutrimento), seguita da un distacco forzato e da un ricongiungimento.

L’esperimento avveniva in questo modo: dietro uno specchio unidirezionale viene posizionata una videocamera, oppure sono presenti alcuni soggetti che hanno il compito di osservare le reazioni dei bambini coinvolti nell’esperimento:

  1. in una fase iniziale, madre e bambino sono impegnati a giocare insieme
  2. in seguito, dopo un certo lasso di tempo, la madre, con un pretesto, esce dalla stanza (questo è un espediente per procurare stress al bambino ed elicitare l’attivazione del sistema di accudimento): si osserva, in questo caso, la razione del bambino alla separazione (piange? Non reagisce? Protesta?)
  3. la madre rientra quindi nella stanza e si riavvicina al bambino: questo momento, chiamato ricongiungimento, viene osservato in relazione al tipo di risposta data dal bambino
  4. madre e bambino tornano infine al loro gioco

È importante osservare che la strange situation creava un forte stress nel bambino per una ragione precisa: l’obiettivo era valutare la tenuta inerente il “ricordo” della madre nella mente del bambino (ovvero quanto l’oggetto psichico “mamma”, per usare dei concetti psicoanalitici, fosse saldamente radicato nella mente del bambino, o quanto invece questa certezza interiore, una sorta di aspettativa, fosse labile, o addirittura assente, etc).

Si osservava dunque la reazione del bambino all’uscita della madre dalla stanza, la reazione al suo ritorno e, in tutto questo, la “qualità” del suo giocare (perchè questo? Alla base di questo vi è l’assunto che un bambino che non sente di avere una base sicura, non gioca, o gioca in modo “diverso”: è solo in presenza di una base sicura rappresentata nella mente, che è possibile per lui “dedicarsi” alla realtà intorno a sé; senza una base sicura, secondo Bowlby e in generale chiunque lavori in ambito di attaccamento, non può esservi una normale esplorazione).

Come reagivano questi bambini?

La maggior parte di loro, circa l’80%, reagivano protestando all’uscita della madre, tuttavia poi dedicandosi nuovamente al gioco, e gioendo al ritorno di questa: questo faceva supporre uno stile di attaccamento “sicuro” (stile di attaccamento di tipo B)nella mente del bambino, come un’aspettativa “preconscia” (quello che chiameremmo Modello Operativo Interno) che la madre, prima o poi, sarebbe tornata senza abbandonarlo: sarebbe stato “solo questione di tempo”.

Una percentuale di essi, tuttavia, rispondeva usando pattern definiti insicuri, con uno schema diverso, in questo modo:

  1. i bambini classificati come EVITANTI (stile di attaccamento di tipo A), sembravano giocare senza coinvolgere la madre inizialmente, non protestare alla separazione dalla madre, né gioire al suo ritorno, come si osserva nel video sotto riportato. Questo fece ragionare i ricercatori a proposito di ciò che accadeva nella mente del bimbo in risposta a questo cambio di situazione e questo stress potenzialmente alto (teniamo conto che nei video i bambini hanno poco più di un anno di età, quindi sono totalmente dipendenti dalla figura di attaccamento): sembrava che ci fosse una sorta di assenza di aspettative positive nella mente del bimbo a proposito di un rapporto che fosse durevole e centrato su una vicinanza fisica con la madre: in risposta a questo, sembrava esserci stato un disinvestimento relazionale iniziale messo in atto in modo difensivo, anticipatorio. In questi casi si osservava inoltre la presenza di un certo stile di accudimento della madre, definito “dismissing” (respingente), con atteggiamenti distanzianti e una certa freddezza emotiva: il bambino avrebbe messo in atto questa risposta evitante proprio per non dover più investire in questo rapporto “monco”, che non gli avrebbe consentito di ottenere risposte adeguate in senso relazionale, con la figura di attaccamento primaria.
    Vediamo in questo caso che il bambino ha come impegno centrale qualcosa che ha che fare col gioco e con attività pratiche, la sua attenzione non sembra essere rivolta al mantenimento del rapporto con la madre, che è disinvestito e non cercato (e questo lo si osserva molto bene nel video)
  2. i bambini invece considerati come AMBIVALENTI (stile di attaccamento di tipo c), giocavano con la madre nel periodo iniziale, quindi, al distacco, prorompevano in un pianto inconsolabile, e anche al ricongiungimento con la madre sembravano continuare a soffrire. Perchè questo? Consideriamo come ognuno di noi si faccia, nel tempo, una rappresentazione mentale delle relazioni più importanti in senso affettivo, e costruisca delle aspettative a riguardo di come queste si sviluppino e siano più o meno, solide, più o meno durevoli: in questo specifico caso, osservato in questo gruppo di bambini, il rapporto con la madre sembrava essere caratterizzato da una sorta di ansia continua relativa al fatto di dover riconfermare, riaccendere sempre, il rapporto con una madre sperimentata e sentita come un oggetto “intermittente”, poco presente in maniera stabile, sempre da ricercare. Questo stile di attaccamento richiede una riconferma continua delle figura di attaccamento: per questo è vissuto con ansia e viene appunto chiamato ansioso/ambivalente; la figura di riferimento non è sentita come presente in modo continuativo: la realtà esterna viene disinvestita e tutta l’energia psichica viene impiegata per ricercare attivamente il contatto con la figura di riferimento. Si osservi questo video:
  3. una terza modalità è quella definita (ma anni dopo, a partire da studi successivi) DISORGANIZZATA (stile di attaccamento di tipo D): in questo caso si osservavano modalità comportamentali del bambino aventi caratteristiche specifiche: il bambino sembrava rifuggire e insieme ricercare la figura d’attaccamento (cosa che avviene quando il bambino cresce in una ambiente traumatico in senso relazionale, temendo e contemporaneamente dipendendo dalla figura di attaccamento); in questo caso, nel bambino esistono due spinte opposte: mi avvicino alla mia figura di attaccamento, e insieme la rifuggo, perché la temo (quindi PAURA vs BISOGNO)

Queste tipologie di attaccamento, definiti appunto “stili”, sono state osservavate su campioni molto grandi di bambini, e hanno contributo a creare il filone teorico inerente appunto l’attaccamento, chiamato “teoria dell’attaccamento”.

Come colleghiamo la teoria sul trauma alla teoria dell’attaccamento? La genesi di un trauma complesso avverrebbe proprio all’interno di un attaccamento disorganizzato. Un trauma complesso è infatti un trauma protratto, che affonda le sue radici nei tempi lontani dell’infanzia. Come ben espresso in un libro che spesso qui citiamo, Sviluppi Traumatici, la presenza di una doppia spinta nel bambino (che si difende dalla persona che dovrebbe proteggerlo), creerebbe il terreno entro il quale il trauma si esprimerebbe durante la crescita. Il risultato? Un PTSD complex, appunto, che abbiamo qui definito e sintetizzato.

La conseguenza diretta del formarsi di questi stili relazionali, è il formarsi di “aspettative” verso le relazioni future, che ricalcheranno le modalità relazionali sperimentate nei primi 3 anni, che come sappiamo, contribuiscono grandemente alla formazione della personalità degli individui, come un “imprinting” relazionale che ci portiamo dietro dall’infanzia ma del quale possiamo divenire consapevoli, per promuovere cambiamenti o sperimentarci in relazioni “correttive”.

Per un approfondimento, consigliamo anche la lettura di questo articolo su Psychiatry On Line.


NOTA BENE: QUESTO CONTENUTO È UN ESTRATTO DAGLI INVII PATREON. Se ti interessano la psicotraumatologia, la clinica del trauma e le avanguardie di ricerca, abbiamo attivato un Patreon per fornire contenuti mensili su queste tematiche. Trovi qui i nostri reward!

Article by admin / Formazione / psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia, PTSD, raffaeleavico

2 gennaio 2021

SIMBOLIZZARE IL TRAUMA: IL RUOLO DELL’ATTO ARTISTICO

di Raffaele Avico, Ilaria Carolina Bruschi

“Gli atti che rimangono atti inferiori possono essere chiamati atti subconsci… Vi sono nel mondo attuale dei fatti che sono scritti nei libri, e possiamo dire che tutta l’evoluzione attuale consiste nel trasformare in libri i fenomeni che esistono nel mondo. Esistono evidentemente dei fenomeni che ancora non sono scritti nei libri, ad ogni grado esistono fenomeni che non si trasformano, il che fa sì che gli atti inferiori sussistano in quelli superiori” (Pierre Janet)

INTRODUZIONE

In un essere umano sano, l’esperienza traumatica ha il potere di creare uno spartiacque esperienziale in grado di differenziare tra un “prima” e un “dopo” l’esperienza traumatica stessa. 

Nel resoconto che un individuo farà del suo passato, il trauma occuperà un posto di primo piano nella scena drammatizzata del suo percorso di vita, come uno degli eventi più importanti e difficili da dimenticare. Con il tempo, l’evento traumatico assumerà colori più sbiaditi, ma non per questo i contorni del suo ricordo saranno meno acuminati o taglienti; l’impatto che avrà il suo riportarlo alla luce, saprà sopravvivere al tempo, come se questo, appunto, non fosse mai passato. Una delle caratteristiche centrali di un evento traumatico, è la sua non elaborabilità in termini mnestici. La sindrome post-traumatica, per questo motivo, è stata più volte definita come una patologia della memoria. Sembra cioè che il problema centrale del periodo post-traumatico, sia la difficoltà per il soggetto di lasciare andare questo ricordo nel passato, confinandolo a un tempo finalmente trascorso. 

Il ricordo del trauma permane nella mente di un individuo in modo monolitico, attivo nei suoi effetti: ogni volta che si presenterà alla coscienza sotto forma di ricordo, i suoi effetti non tarderanno a farsi sentire costituendosi in una sindrome ben conosciuta e studiata nell’uomo, chiamata Disturbo da Stress Post Traumatico (e non, come a volte si legge, Disturbo Post traumatico da Stress), in inglese sintetizzato nell’acronimo PTSD. 

Il PTSD è stato studiato diffusamente a partire dalla Prima Guerra Mondiale: viene al giorno d’oggi studiato in relazione a qualunque evento sia in grado di impattare in modo traumatico, appunto, sulla vita di un individuo. Per capire se un evento abbia avuto un impatto di natura traumatica, occorre prestare attenzione ai segni e sintomi che un PTSD porta con sè: centrali sono in questo la presenza di un senso di disregolazione emotiva al ricordo dell’evento traumatico (che potremo scambiare per paura panica, però meno intensa, in grado di alterare lo stato neurofisiologico di un individuo in modo acceso), la fobia degli stati mentali collegati al suo ricordo, la possibile presenza di sintomi dissociativi più o meno gravi.

L’uomo pare incistarsi nel suo lavoro di tentata elaborazione del trauma, con scarsi risultati: l’associazione istantanea ricordo+disregolazione sembra invincibile per molto tempo. 

Alcuni strumenti clinici usati in questi casi, come l’EMDR, tentano un approccio differente al problema, per così dire aggirando il ricordo diretto dell’evento per via di un intervento che potremmo definire bottom-up, non focalizzato direttamente cioè sulla memoria dell’evento, ma sulle sue ripercussioni somatiche.

Per quanto riguardo l’uomo, sono stati osservati traumi di diversa natura, e con un differente impatto sulla mente: generalmente, però, distinguiamo i traumi unici e potenti, dai traumi subdoli e continuativi vissuti nel contesto di un attaccamento problematico con le figure di riferimento. 

Un’ulteriore distinzione che viene fatta a riguardo della natura dei traumi, riguarda la questione identitaria. Abbiamo cioè traumi definiti interni all’identità, e  traumi esterni all’identità. Se immaginiamo un bambino intrattenere un rapporto problematico con una figura di attaccamento violenta, per esempio, ci verrà facile immaginare quanto l’intera identità dell’individuo possa essere in seguito modellata a partire da quel difficile rapporto iniziale perdurato, per ragioni di sopravvivenza del bambino stesso, molto a lungo. 

Uno degli aspetti più problematici del lavoro sul trauma nell’uomo, consta del problema dell’elaborazione mnestica del ricordo traumatico, che permane per molto, spesso moltissimo tempo nella memoria del soggetto. I potenti strumenti di apprendimento messi a sua disposizione dall’evoluzione, sembrano ritorcerglisi contro contribuendo a far sì che per lungo tempo questi non riesca a dimenticare il trauma, adattando la sua vita all’emergere del suo ricordo. 

In questo senso, possiamo definire il PTSD come una forma di condizionamento esasperato e disfunzionale. 

L’uso dell’arte per rispondere allo stress post traumatico, è cosa nota e ben sperimentata; arte terapia, musicoterapia, uso di forme espressive di varia natura (come per esempio la sabbia terapia, strumento notoriamente in mano a psicoanalisti junghiani, ma non solo), ci raccontano di modalità alternative, non necessariamente verbali, per tentare di “ricomporre” una trama narrativa nella vita di un individuo, devastata, per esempio, da un evento traumatico. La parola chiave in questo caso è simbolizzazione.

IL RUOLO DELL’ARTE NELLA CLINICA 

In arte-terapia, quando si propone un lavoro clinico sul trauma, si cerca l’attivazione di un processo creativo tramite i medium artistici. 

L’arte ha, da sempre, rivestito un ruolo centrale nell’elaborazione dei traumi. 

Se il trauma è infatti un evento che spiazza il soggetto essendo inimmaginabile, scandaloso nella sua portata dirompente, l’arte ha nel tempo assunto un ruolo terapeutico tanto più importante quanto più profonda è la ferita inferta dal trauma stesso. Spesso, l’arte che potremmo definire post-traumatica, è altrettanto scandalosa e dirompente, inimmaginabile allo stesso modo del trauma, ma in senso positivo. 

L’artista, come spesso ripete Massimo Recalcati, lavora con i “resti”, con la ferita, esponendola, simbolizzandola. Dove il linguaggio verbale non sembra arrivare, può arrivare il pensiero artistico (un pensiero “de-burocratizzato”), espresso nel gesto artistico. Pensiamo per esempio a Guernica di Picasso, alle opere di Munch, all’espressionismo tedesco del dopo-guerra.  È più che probabile che il periodo post pandemico che si apre a noi davanti, porti molta nuova arte, necessaria ad aiutarci alla mentalizzazione di ciò che nel 2020 abbiamo trascorso. Non c’è protocollo CBT o strumento psicoterapeutico che tenga: l’arte avrà un ruolo centrale nel fornirci di una cornice simbolica che ci consenta di comprendere e, di nuovo, simbolizzare il trauma.

Il processo artistico, in grado di “forzare” l’artista a una simbolizzazione del trauma, prevede non solo gli aspetti concreti del “fare arte con le mani”: coinvolge anche specifiche funzioni cerebrali della memoria, dell’immagine e della generazioni di simboli.

L’attivazione del processo creativo è il motore dell’elaborazione emotiva. 

Il processo creativo svolge una funzione auto-regolatoria fondamentale. Sappiamo che l’emisfero destro -se confrontato con il sinistro- ha un ruolo determinante nell’elaborazione dell’esperienza emotiva e nell’autoregolazione. L’emisfero destro è il vero emisfero “dominante”, come sostiene Iain McGilchrist.

Nelle esperienze traumatiche la dissociazione si esprime con una mancata integrazione delle aree corticali – e le memorie traumatiche rimangono contenute nel CervelloMente in forma procedurale e implicita.

Ci sono varie tecniche in arte-terapia per collegarsi con queste esperienze profonde: una semplice modalità, e poco conosciuta, è imparare a disegnare con la mano non dominante, come spiega Lucia Capacchione in “The power of the other hand”. Disegnare, scrivere o dipingere con la mano che non è dominante aiuta a collegarsi con le parti più inespresse dell’esperienza emotiva, latenti e localizzate nelle aree limbiche dell’emisfero destro. Katherine Killick, in “Art, Psychotherapy ad psychosis”, scrive alcune riflessioni interessanti sul materiale artistico prodotto dai suoi pazienti relative alla capacità di simbolizzazione e agli effetti terapeutici: creando un’immagine essa “contiene” e “delimita” l’intensità energetica del processi emotivi e in accordo con le teorie freudiane delle sublimazione anche il “gesto pittorico” -ossia la manualità artistica-, delimita e incanala la personalità del materiale inconscio, producendo la spinta creativa.

Senza dimenticare che una volta creata l’immagine o l’opera, qualsiasi sentimento/affetto verrà da essa custodito, protetto e celato a seconda della volontà dell’artista, divenendo ancora una volta interscambio autoregolatore tra il mondo interno e il mondo esterno. Su questo tema, per approfondire, Massimo Recalcati ha scritto molteplici lavori. Si veda: Massimo Recalcati. Arte e psicanalisi: il mistero dell`opera – Rai Scuola. Sempre sul lavoro di Recalcati (relativamente anche al rapporto tra elaborazione del trauma e gesto artistico), questo libro di Nicolò Terminio: Introduzione a Massimo Recalcati. 


FORMAZIONE CONTINUA: se ti interessano la psicotraumatologia, la clinica del trauma e le avanguardie di ricerca, abbiamo attivato un Patreon per fornire contenuti mensili su queste tematiche. Trovi qui i nostri reward!

Article by admin / Formazione / psicoanalisi, psicologia, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia, PTSD

14 dicembre 2020

Psicoterapia breve strategica del Disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Intervista ad Andrea Vallarino e Luca Proietti


di Raffaele Avico

Questa intervista ha lo scopo di chiarire alcuni aspetti della terapia del disturbo ossessivo compulsivo. Soffrire di DOC vuol dire essere intrappolati in pensieri ricorrenti, accompagnati o meno da comportamenti percepiti come compulsivi (non dipendenti dalla volontà). Il DOC è uno dei disturbi che più frequentemente si accompagnano al senso di “fallimento della volontà”: chi ne soffre è spesso “manipolato” dal suo stesso disturbo.

Tra l’altro il disturbo può prendere forme differenti: lo abbiamo approfondito estesamente qui.

In questa intervista fatta ad Andrea Vallarino e Luca Proietti, abbiamo cercato di approfondire alcuni aspetti della psicoterapia del DOC, e in particolare della psicoterapia a orientamento breve-strategico.

Alcuni punti toccati nell’intervista riguardano:

  1. la logica di funzionamento del DOC (come si esprime, seguendo quali percorsi di pensiero)
  2. le credenze che “puntellano” il DOC (per esempio un aspetto ricorrente nel DOC è l’iper-responsabilità su molteplici aspetti del mondo; oppure, esistono quote di pensiero magico che portano il soggetto a ritenere che pensando una cosa quella cosa accadrà, oppure di desiderare una certa cosa solo perchè la si pensa)
  3. l’uso di stratagemmi funzionali a far acquisire maggiore controllo sul sintomo da parte del paziente (per esempio il decidere insieme quando e in che modo violare la “legge” del sintomo)
  4. la personalità del terapeuta; Vallarino qui cita l’idea che il terapeuta debba essere percepito dal paziente come qualcuno che riesca a mettere in atto un controllo “più evoluto” di lui/lei; uno dei temi centrali su cui si imposta il DOC, è infatti il controllo.
  5. DOC e farmaci

Tendenzialmente emerge l’idea che la battaglia contro il DOC si giochi su di un piano logico: il paziente riuscirà ad abbandonare il sintomo solo raggiungendo una forma differente di pensiero, pur mantenendo il senso di controllo.

I teorici di Palo Alto (come Watzlawick, autore di Change, qui recensito) hanno compreso e approfondito la strutturazione logica della psicologia umana, arrivando a creare un approccio terapeutico al confine tra il maieutico e il suggestivo, nell’idea che il problema (in questo caso del disturbo ossessivo compulsivo, ma anche di altri disturbi) spesso poggi su “premesse” logiche errate e che, una volta risolte quelle, il disturbo costruito su di esse possa migliorare o risolversi.

Qui l’intervista:



Su questo blog, alcuni approfondimenti:

  • Farmacoterapia del DOC dal presente al futuro (Luca Proietti)
  • Recensione di La mente ossessiva

Per approfondire (libri):

  1. La mente ossessiva
  2. Cogito Ergo Soffro
  3. Avrò chiuso la porta di casa? (più divulgativo e breve)

NOTA BENE: se ti interessano la psicotraumatologia, la clinica del trauma e le avanguardie di ricerca, abbiamo attivato un Patreon per fornire contenuti mensili su queste tematiche. Trovi qui i nostri reward!

Article by admin / Formazione / lucaproietti, psichiatria, psicoanalisi, psicologia, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale, raffaeleavico

28 novembre 2020

INTRODUZIONE A JAAK PANKSEPP

di Raffaele Avico


Jaak Panksepp fu un neuroscienziato e psicologo estone.

Introdursi al suo lavoro per punti rischia di essere riduzionistico; vale la pena però cercare di comprendere il portato del suo contributo teorico, che ha ripercussioni dirette sul lavoro psicoterapeutico, essendo di fatto molto concreto e immediato.

Abbiamo qui fatto una recensione del suo ultimo I fondamenti emotivi della personalità.

Un aspetto che troviamo nei suoi lavori e a proposito della sua idea di mente, riguarda i “sistemi d’azione”.

Cosa sono i sistemi d’azione?

I sistemi d’azione, secondo Panksepp, sono dei mandati evolutivi innati: ovvero, degli schemi di comportamento che ci accomunano agli animali, che possediamo dalla nascita e che ci orientano nel nostro quotidiano agire. Alcuni altri autori chiamano questi sistemi d’azione “sistemi motivazionali interpersonali” (come per esempio Giovanni Liotti, come qui approfondito): di fatto sono la stessa cosa, pur con sfumature differenti.

I sistemi d’azione sono mediati da emozioni primarie, che sono:

  1. RABBIA
  2. PAURA
  3. PANICO
  4. CURA
  5. GIOCO
  6. RICERCA
  7. RIPRODUZIONE SESSUALE

Come si osserva, tutto questo ci accomuna a qualsiasi altro animale, o almeno agli animali più simili a noi in senso evoluzionistico. Anche gli animali più semplici, tuttavia, sono in grado di mettere in campo sistemi d’azione ed apprendere da essi: anche un gambero, o un pesce, apprende dall’esperienza ed è in grado di ricercare, evitare stimoli minacciosi e combattere per le sue risorse. In animali lontani da noi in senso evoluzionistico, inoltre, troviamo anche il gioco (su questo, questo documentario è molto interessante, oltre a essere fatto molto bene).

Al di là dei tecnicismi inerenti la psicologia evoluzionistica e la paleopsicologia (che ci accomuna ai nostri progenitori così come agli animali da cui discendiamo), quali sono le nozioni spendibili in senso clinico, che mutuiamo dalla lettura di un autore come Panksepp?

Cerchiamo di vederlo per punti.

  • se il cervello è mosso da una logica gerarchica, con le parti più antiche a “energizzare” le parti superiori, e le parti superiori a frenare le parti sottostanti (Panksepp chiama questo modello gerarchia nidificata), in senso psicoterapeutico le direzioni da intraprendere per “intervenire”, concettualmente, sono due: dal basso verso l’alto, e dall’alto verso il basso. Ovvero: non sono sufficienti nè la parola nè il ragionamento logico/intellettuale (che pertengono a zone recenti, “alte” del cervello) per combattere, a volte, un disturbo: occorre approcciarlo da più punti di vista in contemporanea (sia dall’alto verso il basso, che dal basso verso l’alto). Ha sempre più senso, dunque, un approccio olistico, totale, al problema. Benvenga dunque tutto ciò che concerne il corpo, lo stile di vita, integrato al semplice lavoro di psicoterapia verbale.
  • Panksepp vede la personalità come una proprietà emergente, un sottoprodotto dell’espressione variegata dei sistemi d’azione e delle emozioni primarie ad essi collegate. Questo ci consente di cambiare sguardo su un particolare sintomo, andando a cercare le emozioni di sottofondo che, “dietro di esso”, si esprimano. Per esempio il panico, può essere letto come un’espressione parossistica di ansia da separazione, come un sentirsi troppo esposti a un mondo percepito come alieno (ne abbiamo parlato a fondo qui); oppure, alcuni sintomi di scarsa performance cognitiva potrebbero essere una conseguenza di un’attivazione anomala del sistema “paura” (che è in grado di bloccare tutti gli altri); una lettura di questo tipo, può inoltre farci immaginare una persona abulica, come una persona che si rappresenta sconfitta in una dinamica di rango sociale (come una sorta di animale dominante sconfitto/a). Questa lettura potrà sembrare forzata, ma ci permette di aprirci a nuove possibili letture di un particolare comportamento: la lettura di Panksepp ci aiuta in questo senso a immaginare l’animale uomo come mosso da spinte molto antiche che, quando ostacolate, deviate o non vissute, potrebbero portarlo/a ad un disturbo.
  • Gli autori dello stesso I fondamenti emotivi della personalità citano gli studi di William McDougall: questo psicologo inglese proponeva di teorizzare la psicopatologia a partire da una griglia costruita sulle emozioni primarie: nella sua lettura, i disturbi non sarebbero altro che espressioni eccessive di emozioni primarie sperimentate da tutti -ma in quantità minori.
  • Sulla linea di pensiero e ricerca di Panksepp, si inserisce anche il lavoro di Antonio Damasio (che ha ben chiarito come un uomo che non “ragioni” -per esempio a seguito di un trauma cranico- continuerà a sentire emozioni primarie, di fatto continuando a essere un individuo con sue caratteristiche primarie di personalità): questo ci dovrebbe far riflettere su come il pensiero stesso non sia altro che, di nuovo, un prodotto finale, un epifenomeno di processi che avvengono “prima”, o più in profondità -e che seguono logiche instintuali, animalesche.

Panksepp propone, di fatto, una metapsicologia costruita su assunti di tipo evoluzionistico. In qualche modo, una metapsicologia comparata sviluppata usando la teoria dell’evoluzione di Darwin come riferimento paradigmatico.

Nulla ci rende veramente diversi dagli animali che ci circondano. In questo senso potremo immaginare che gli animali sentano emozioni proprio come noi, pur mancando in essi un aspetto di auto-consapevolezza completa. Più ci allontaneremo da essi sulla linea dell’evoluzione, più il loro funzionamento sarà semplice: resterà comunque in essi un qualche tipo di funzionamento a noi sovrapponibile.

Questo ci autorizza a pensare che essi possano sviluppare psicopatologie e disturbi, di vario tipo. Ed è probabilmente ad essi (secondo la prospettiva di Panksepp) che dovremmo guardare per comprendere meglio alcuni nostri problemi (vd. la questione del PTSD negli animali).

Per approfondire: http://tomascipriani.it/panksepp/ e queste slide:

.4012.file from Iva Zigghyova Martini

FORMAZIONE CONTINUA: se ti interessano la psicotraumatologia, la clinica del trauma e le avanguardie di ricerca, abbiamo attivato un Patreon per fornire contenuti mensili su queste tematiche. Trovi qui i nostri reward!

Article by admin / Formazione / psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia, PTSD, raffaeleavico

24 novembre 2020

AREA PATREON DEL BLOG: UNO SGUARDO AI CONTENUTI

L’area Patreon de Il Foglio Psichiatrico consente di accedere ad alcuni contenuti esclusivi a tema trauma, in forme diverse (PDF, podcast e video).

Accedere al formato Patreon, consente di avere accesso immediato a tutti i contenuti -che vengono di volta in volta inviati, mensilmente, agli abbonati all’area membri.

Il tema è sempre lo stesso: il trauma e la dissociazione. L’obiettivo di questo lavoro è approfondire in modo sempre più verticale la questione, costruendo un serpente editoriale e di contenuti che consenta al fruitore di averne una visione sempre più completa. Già molto materiale lo si trova su questo blog, raccolto qui.

Qui alcuni dei contenuti per ora inviati:

  1. NOVEMBRE 2020 PODCAST: I FONDAMENTI EMOTIVI DELLA PERSONALITÁ (di Jaak Panksepp), recensione per punti
  2. IL TRAUMA IN JAAK PANKSEPP
  3. PATREON LUGLIO 2020: cos’è la dissociazione? Proviamo a dare una definizione generale
  4. PODCAST: IL MODELLO LIOTTIANO, I PUNTI CENTRALI DEL LAVORO DI GIOVANNI LIOTTI
  5. RECENSIONE DI “GUARIRE DAL TRAUMA” DI JUDITH LEWIS HERMAN: SECONDA PARTE
  6. COME SI USA LA TAVOLA DISSOCIATIVA DI FRASER CON PAZIENTI TRAUMATIZZATI
  7. LUGLIO 2020 PODCAST RECENSIONE PER PUNTI DI “GUARIRE DAL TRAUMA ” DI JUDITH LEWIS HERMAN (PRIMA PARTE)
  8. RENDERE NON NECESSARIA LA DISSOCIAZIONE: DA UN ARTICOLO DI VAN DER HART, STEELE, NIJENHUIS
  9. VIDEOPATREON N.2 – GIUGNO 2020. APPROCCIO FISICO AL PTSD: spunti di approfondimento e riflessioni.
  10. GIUGNO 2020 PODCAST: RECENSIONE PER PUNTI DI “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE”
  11. FARMACOLOGIA DEL PTSD e INTERVENTO PERI-TRAUMATICO
  12. VIDEOCORSO #1: INTRODUZIONE E DEFINIZIONE DI TRAUMA
  13. PODCAST #1 – LA TEORIA POLIVAGALE: INTRODUZIONE E SPUNTI
  14. 3MDR: UNO STRUMENTO SPERIMENTALE PER COMBATTERE IL PTSD
  15. IL PDF di PTSD: CHE FARE?
  16. IL TRAUMA NEGLI ANIMALI

Qui il progetto Patreon (con il patrocinio di AISTED, Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione).

Article by admin / Editoriali / neuroscienze, psichiatria, psicoanalisi, psicologia, psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia, PTSD

20 novembre 2020

INTERVISTA A DANIELA RABELLINO: LAVORARE CON RUTH LANIUS E NEUROBIOLOGIA DEL TRAUMA

di Raffaele Avico


Daniela Rabellino lavora nel gruppo di ricerca di Ruth Lanius.

Il lavoro di questo gruppo di ricerca è incentrato sulla neurobiologia dello stress post traumatico (PTSD). Ne abbiamo scritto qui:

  • il modello a cascata (qui riassunto)
  • le due tipologie di PTSD, con e senza sintomi dissociativi (qui approfondite)
  • il libro La cura del Sè traumatizzato, (qui recensito)

In questa intervista, vengono toccati diversi argomenti centrali nella neurobiologia del trauma. In particolare, Daniela Rabellino descrive gli intenti di ricerca del gruppo di Ruth Lanius, e alcune implicazioni neurobiologiche interessanti; se infatti il modello “neuro” dominante sembrava essere il modello Amigdala VS. Corteccia Prefrontale (con la corteccia prefrontale a fare da freno all’attivazione dell’amigdala in condizioni di allarme protratto, cosa che nel PTSD risultava non funzionante o problematico), ci avviciniamo progressivamente ora a una lettura del PTSD che coinvolge anche strutture più profonde del cervello (per esempio, la sostanza grigia periacqueduttale, come qui approfondito). Capire come il PTSD sia da considerarsi un disturbo proveniente da zone antiche del nostro cervello, ci dà l’idea del perché sia così tanto difficile affrontarlo ed estirparlo. La parola, inoltre, non sembra sufficiente.. o almeno, non la parola solamente.

Si parla inoltre di schema corporeo alterato e di strategie di cura innovative.

Qui l’intervista:


Di seguito alcuni riferimenti in letteratura consigliati dalla Dott.ssa Rabellino per approfondire le questioni emerse dall’intervista.

Su Jaak Panksepp abbiamo fatto questo mese un approfondimento e una recensione per punti del volume I fondamenti emotivi della Personalità, reperibile qui in area Patreon.

Articoli dal team Lanius (molti degli articoli sono accessibili su researchgate):

  1. Lanius, R. A., Rabellino, D., Boyd, J. E., Harricharan, S., Frewen, P. A., and McKinnon, M. C. (2016). The Innate Alarm System in PTSD: Conscious and Subconscious Processing of Threat. Curr. Opin. Psychol. 14, 109–115. doi:10.1016/j.copsyc.2016.11.006.
  2. Harricharan, S., Rabellino, D., Frewen, P. A., Densmore, M., Théberge, J., McKinnon, M. C., et al. (2016). fMRI functional connectivity of the periaqueductal gray in PTSD and its dissociative subtype. Brain Behav. 6. doi:10.1002/brb3.579
  3. Harricharan, S., Nicholson, A. A., Densmore, M., Théberge, J., McKinnon, M. C., Neufeld, R. W. J., et al. (2017). Sensory overload and imbalance: Resting-state vestibular connectivity in PTSD and its dissociative subtype. Neuropsychologia 106, 169–178.
  4. Rabellino, D., Densmore, M., Frewen, P. A., Théberge, J., and Lanius, R. A. (2016). The innate alarm circuit in post-traumatic stress disorder: Conscious and subconscious processing of fear- and trauma-related cues. Psychiatry Res. – Neuroimaging 248.
  5. Rabellino, D., Densmore, M., Theberge, J., McKinnon, M. C., and Lanius, R. A. (2018). The cerebellum after trauma: Resting-state functional connectivity of the cerebellum in posttraumatic stress disorder and its dissociative subtype Short title: Cerebellar functional connectivity in PTSD. Human Brain Mapping 39(1-3)  DOI: 10.1002/hbm.24081
  6. Rabellino, D., Harricharan, S., Frewen, P. A., Burin, D., McKinnon, M. C., and Lanius, R. A. (2016). “I can’t tell whether it’s my hand”: a pilot study of the neurophenomenology of body representation during the rubber hand illusion in trauma-related disorders. Eur. J. Psychotraumatol. 7, 1–11. doi:10.3402/ejpt.v7.32918.
  7. Rabellino, D., Boyd, J. E., McKinnon, M. C., and Lanius, R. A. (2019). The innate alarm system: A translational approach. doi:10.1016/B978-0-12-813146-6.00017-5.
  8. Rabellino, D., Burin, D., Harricharan, S., Lloyd, C., Frewen, P. A., McKinnon, M. C., et al. (2018). Altered sense of body ownership and agency in posttraumatic stress disorder and its dissociative subtype: A rubber hand illusion study. Front. Hum. Neurosci. 12. doi:10.3389/fnhum.2018.00163.
  9. Rabellino, D., D’Andrea, W., Siegle, G., Frewen, P. A., Minshew, R., Densmore, M., et al. (2017). Neural correlates of heart rate variability in PTSD during sub- and supraliminal processing of trauma-related cues. Hum. Brain Mapp. 00. doi:10.1002/hbm.23702.
  10. Terpou, B., Harricharan, S., Frewen, P. A., McKinnon, M. C., Jetly, R., Lanius, R. A. (2019) The effects of trauma on brain and body: A unifying role for the midbrain periaqueductal gray. Journal of Neuroscience Research 97(6). DOI: 10.1002/jnr.24447 

Modello di difesa a cascata:

  1. Schauer, M., and Elbert, T. (2010). Dissociation Following Traumatic Stress. Zeitschrift für Psychol. / J. Psychol. 218, 109–127. doi:10.1027/0044-3409/a000018.
  2. Kozlowska, K., Walker, P., McLean, L., and Carrive, P. (2015). Fear and the Defense Cascade. Harv. Rev. Psychiatry 23, 263–287.

Libri suggeriti:

  1. Panksepp, J., and Biven, L. (2012). The Archaeology of Mind: Neuroevolutionary Origins of Human Emotions. W. W. Nort. New York.
  2. Porges, S. W. (2011). The Polyvagal Theory: Neurophysiologcal Foundations of Emotions, Attachment, Communication and self-regulation. New York, NY: WW Norton & Company 
  3. Putnam, F. W. (2016). The Way We Are: How States of Mind Influence Our Identities, Personality and Potential for Change. Ipbooks.
  4. Frewen, P.A. & Lanius, R.A. (2017) La cura del Sé traumatizzato. Coscienza, neuroscienze, trattamento. Giovanni Fioriti Editore, Roma.
  5. Van der Kolk, B. (2015) Il corpo accusa il colpo. Raffaello Cortina Editore.
  6. Ogden P, Minton, K., Pain C. (2006) Trauma and the Body: a Sensorimotor Approach to Psychotherapy. Norton Series.
  7. Levine P., Frederick A. (1997) Waking the Tiger: Healing Trauma : The Innate Capacity to Transform Overwhelming Experiences. North Atlantic Books

Avanguardie:

  1. Schwarz L, Corrigan F, Hull A., Raju R. (2017) The Comprehensive Resource Model: Effective therapeutic techniques for the healing of complex trauma. Routledge.
  2. Corrigan, F.M., Christie-Sands, J. (2020). An innate brainstem self-other system involving orienting, affective responding, and polyvalent relational seeking: Some clinical implications for a “Deep Brain Reorienting” trauma psychotherapy approach. Medical Hypotheses, 136, 109502.

FORMAZIONE CONTINUA: se ti interessano la psicotraumatologia, la clinica del trauma e le avanguardie di ricerca, abbiamo attivato un Patreon per fornire contenuti mensili su queste tematiche. Trovi qui i nostri reward!

Article by admin / Formazione / psicologia, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia, PTSD, raffaeleavico

16 novembre 2020

MDMA PER IL TRAUMA: VIDEOINTERVISTA A ELLIOT MARSEILLE (A CURA DI JONAS DI GREGORIO)

di Raffaele Avico, Jonas Di Gregorio

L’MDMA molto probabilmente verrà approvato per l’uso terapeutico negli Stati Uniti nel 2022.

Si prevede l’apertura di nuovi scenari di psicoterapia, con setting nuovi (per esempio, l’uso di un lettino con il paziente disteso e a occhi chiusi, sotto effetto di MDMA “medicale”, osservato e seguito da una coppia di terapeuti formati a riguardo).

L’obiettivo primario dell’MDMA, è favorire la psicoterapia stessa, interrompendo (in teoria) la reazione di fear response del paziente quando si trovi ad aver a che fare con le memorie traumatiche.

Ne abbiamo già scritto altre volte su questo blog.

Questo studio pubblicato su PLOS, è il primo a formulare un’indagine sul rapporto costi/benefici di questo tipo di trattamento, mettendo a confronto il costo dei trattamenti tradizionali con il costo della terapia con MDMA.

Lo studio, che si basa su dati relativi alla spesa pubblica e privata negli Stati Uniti, rileva che grazie alla terapia con MDMA per il PTSD si risparmierebbero $103.2 milioni in 30 anni per ogni 1000 pazienti.

Inoltre, il direttore di MAPS, Rick Doblin, co-autore dello studio, ha dichiarato:

“L’oneroso bilancio personale del disturbo da stress post-traumatico può includere il deterioramento della salute fisica, delle relazioni e della capacità di partecipare ad attività sociali insieme all’ansia, all’insonnia e all’ideazione suicida che caratterizzano il PTSD. Dimostrando un ritorno in media di 5,5 quality-adjusted life-years in 30 anni, abbiamo dimostrato che la psicoterapia assistita da MDMA ha il potenziale non solo di ridurre il carico personale del PTSD, ma anche di contribuire a migliorare lo stato di salute e ridurre gli oneri per il contribuente e per le istituzioni che pagano per i trattamenti (come per esempio le assicurazioni sanitarie, N.d.T.)”

Venerdì 6 novembre 2020, Jonas Di Gregorio, da San Francisco, ha intervistato Elliot Marseille, lead author di questo studio realizzato in collaborazione con la Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies (MAPS).

Ricordiamo che Jonas ha da poco avviato una rubrica su Psychiatry on Line sul tema degli psichedelici e le nuove prassi di psicoterapia che si stanno sviluppando a riguardo, che trovate qui, che a breve verrà aggiornata con contenuti a tema.

Ecco l’intervista:



FORMAZIONE CONTINUA: se ti interessano la psicotraumatologia, la clinica del trauma e le avanguardie di ricerca, abbiamo attivato un Patreon per fornire contenuti mensili su queste tematiche. Trovi qui i nostri reward!

Article by admin / Formazione / psichiatria, psicoanalisi, psicologia, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia, PTSD, raffaeleavico

12 novembre 2020

PSICHIATRIA E CINEMA: I CINQUE MUST-SEE (a cura di Laura Salvai, Psychofilm)

di Laura Salvai, Psychofilm

Sono moltissimi i film che si sono occupati di raccontare la malattia mentale e i modi in cui è stata definita, trattata e vissuta.

Alfred Hitchcock, Stanley Kubrick, Ron Howard, Lars Von Trier, Scott Hicks, David Cronenberg, Milos Forman, M. Night Shyamalan (cfr. “Split“), sono solo alcuni dei grandi registi ad averci raccontato la sofferenza psicologica, in modo estremamente realistico o attraverso significati simbolici e scelte stilistiche originali.

La narrazione cinematografica ha cercato di spiegare, con diverse sfaccettature e suggestioni, il complesso mondo delle emozioni, dei comportamenti e delle motivazioni che spingono i soggetti psichiatrici e chi si è occupato e si occupa di loro a determinate scelte e azioni e alle relative loro conseguenze.

È molto difficile fare una scelta tra le tante apprezzabili opere che il Cinema internazionale ha prodotto nel corso degli anni e che sta continuando a produrre sul tema. Escludere dalla selezione film come “Ragazze interrotte”, “Shine”, “Spider”, “Melancholia”, o il più recente e acclamato “Joker”, da una lista di opere sull’argomento dispiace un po’, ma quella che vorrei fare è una riflessione storica, clinica e temporale per la quale alcuni titoli mi sembrano particolarmente indicati.

La malattia mentale è stata studiata, definita e trattata a livello pratico in modi molto diversi nel corso dei secoli.

La sua storia è infatti legata a quella delle società, con i loro sistemi di valori, di conoscenze e di credenze. Le circostanze storiche, il progresso scientifico, le condizioni sociali ed economiche che hanno caratterizzato le diverse epoche, hanno determinato il modo in cui i disturbi mentali sono stati “giudicati”, descritti e curati nel corso del tempo.

Durante tutto il Medioevo prevale l’idea che la “follia” non sia una malattia da curare, bensì la manifestazione di una possessione demoniaca. Essa non è dunque oggetto di competenza dei medici, bensì della Chiesa: c’è un “male esterno”, che è entrato in un corpo e che deve essere sconfitto per mezzo dell’esorcismo, della preghiera e della fede. Sono molti i film che hanno parlato e ancora oggi parlano di queste pratiche, ma non mi soffermerò su questi, che benché apprezzabili sono spesso legati al genere cinematografico “horror”, proprio per la loro vicinanza al “male”, all’oscuro, all’incomprensibile e al non spiegabile. In passato, tutti gli eventi che l’uomo non riusciva a comprendere ed era costretto in qualche modo a subire, venivano attribuiti alla volontà di entità potenti e incontrollabili: la siccità poteva essere la conseguenza di un maleficio, il terremoto l’espressione dell’ira di un dio, l’epilessia (che non si chiamava così, perché non era ancora stata studiata) la manifestazione di una possessione malefica.

Per quanto queste spiegazioni e questi “trattamenti” fossero bizzarri e spesso nocivi, c’era comunque l’idea che i soggetti vittime di queste sofferenze fossero “curabili”, appunto con la preghiera e la fede. L’idea di guaribilità viene soppiantata però con l’avvento dell’Inquisizione, per la quale solo attraverso la distruzione del corpo l’anima corrotta poteva essere liberata e il male sconfitto.

La segregazione del malato mentale ha inizio con l’avvento dell’Illuminismo e dell’Era della Ragione. A partire dal XVII secolo, tutte le forme di superstizione vengono osteggiate e combattute. Nei luoghi di contenzione si trovano tutte quelle forme sociali che si scontrano con la razionalità secentesca e che possono ledere la solidità della struttura sociale e famigliare: il malato mentale, il povero, il libertino, il sifilitico, il mendicante, l’omosessuale, il criminale, sono messi tutti sullo stesso piano e segregati nelle stesse strutture. Repressione, coercizione e isolamento servono ad assicurare l’ordine e la sicurezza sociale. 

Il “folle” rimane in catene fino alla fine del Settecento, quando il medico francese Philippe Pinel dà il via alla medicalizzazione della malattia mentale. Nascono gli istituti manicomiali, preposti ancora al controllo e alla custodia, ma anche allo studio e al trattamento del disturbo mentale. Si tratta di un trattamento che prevede l’utilizzo di mezzi coercitivi, ma l’uso di questi metodi ha un significato diverso rispetto al passato: la reclusione, la camicia di forza, le docce fredde, sono delle pratiche abominevoli che al tempo però avevano aggiunto al fine di custodire (per la sicurezza sociale) anche quello di “curare”.

Fino al processo di deistituzionalizzazione, la vita asilare è caratterizzata dalla segregazione e dall’utilizzo di metodi di cura esasperati e spesso brutali, tra i quali quello della lobotomia, procedura utilizzata dalla psichiatria a partire dagli anni Quaranta dello scorso secolo. 

Il film che maggiormente riflette quanto detto finora sulla vita manicomiale, un cult dalla drammaticità e potenza emotiva finora ineguagliate, è “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Milos Forman (1975), prima tappa imprescindibile del nostro excursus storico sulla malattia mentale.

A partire dagli anni Cinquanta dello scorso secolo, iniziarono ad imporsi delle teorie alternative a quelle più propriamente legate al modello medico: tra queste quella comportamentale. Il modello behavioristico descriveva la devianza e la malattia mentale come conseguenze di condizionamenti esercitati dall’ambiente sul soggetto. Alcune “distorsioni” delle tecniche di condizionamento furono utilizzate all’interno delle prigioni e degli ospedali psichiatrici criminali. Donata Francescato (1977) riporta un esempio di trattamento utilizzato nella “cura” delle “devianze sessuali”, che associava le tecniche di condizionamento all’uso di farmaci. In particolare, cita l’uso di una tecnica “usata sempre con omosessuali: al soggetto venne fatta un’iniezione di apomorfina. Dopo circa 8 minuti cominciò a sentirsi nauseato. Si mirava ad ottenere una forte nausea che durasse circa dieci minuti senza arrivare al vomito e la dose è stata aggiustata costantemente per ottenere questa risposta. Un minuto prima della nausea, il paziente azionava un proiettore e vedeva la diapositiva d’un uomo nudo o parzialmente nudo”. 

Arriviamo così alla seconda fondamentale tappa della nostra analisi cinematografica, e approdiamo a un altro must see movie, tratto, come il precedente di Milos Forman, da un libro. Si tratta di “Arancia meccanica”, di Stanley Kubrick (1971). 

Il protagonista del film è Alex, leader di una banda giovanile dedita allo stupro, al furto e alla violenza. Tradito dai suoi compagni, Alex viene catturato e immesso in un programma di “riabilitazione”. Attraverso la “terapia del disgusto” Alex diventa momentaneamente inoffensivo e viene reintegrato nella società. L’utilizzo di sostanze che provocano la nausea, associate alla proiezione di scene di violenza, fanno sì che Alex si senta male ogni volta che si trovi di fronte a un atto criminale o che tenti di compierlo. La stessa cosa accade quando Alex sente la musica di Ludwig Van Beethoven, che fino a quel momento era stata lo stimolo per le sue malefatte: la Quinta Sinfonia è infatti stata utilizzata per le sue sedute di “terapia”, battezzata per questa ragione come “Tecnica Ludovico”.

Molti passi sono stati fatti, nel tempo, per migliorare le condizioni dei pazienti, per cambiare il modo di definire e trattare i disturbi mentali e anche per decostruire i consolidati stereotipi negativi culturali su questi temi, anche se molto è il lavoro ancora da fare. In Italia la prima vera grande innovazione nell’ambito della legislazione psichiatrica è stata fatta in seguito all’opera di Basaglia e all’approvazione della Legge 180/1978, assorbita nello stesso anno dalla Legge 833 di istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.

Uno dei passi più fondamentali fatti nell’ambito della salute, sia fisica che mentale, è stato inoltre certamente quello di coinvolgere sempre di più i pazienti nelle decisioni di cura, grazie all’introduzione della pratica del consenso informato in medicina, in psichiatria e in psicoterapia.

Parlando di passi, non posso non citare tra i miei film consigliati il film di Bille August del 2017 “55 passi”, che racconta della battaglia legale per il consenso informato sull’utilizzo dei farmaci con i pazienti psichiatrici messa in atto da una paziente e dalla sua avvocata. 

La storia si focalizza sul fatto che sia fondamentale che i medici condividano, con i pazienti in grado di comprendere, i piani terapeutici, illustrino in modo trasparente e chiaro lo scopo delle terapie, i rischi e gli effetti collaterali spesso gravi delle cure, le conseguenze dell’accumulo di certe sostanze nei trattamenti a lungo termine.

Un ultimo aspetto da considerare, per completare questo quadro certamente non esaustivo sulla sofferenza mentale, è quello a cui ho già accennato: l’importanza del cambiamento di visione non solo in ambito scientifico, ma anche “popolare” della malattia mentale. Le visioni del passato, radicate in stereotipi e false credenze, si sono consolidate e sono difficili da scardinare, si trascinano ancora oggi, nonostante le grandi innovazioni in campo scientifico, nonostante i cambiamenti a livello sanitario e legislativo, nonostante le lotte contro le discriminazioni e la diffusione dell’informazione.

Sono molti i film che ci aiutano a comprendere la sofferenza psichica, la sua umanità, la sua vicinanza al nostro complesso mondo interiore, e quanto siano immense le risorse e il patrimonio culturale scaturiti da molte menti travagliate e geniali della nostra storia. 

Gli ultimi due suggerimenti di visione che vi voglio lasciare in proposito, al termine di questo breve viaggio, sono “A beautiful mind”, di Ron Howard, del 2001 e “Il professore e il pazzo” di P.B. Shemran del 2019.

Come affermai tempo fa in un articolo, forse se le vite di alcuni uomini, ad esempio pittori, compositori e poeti, fossero state prive di sofferenze e disagi, oggi noi avremmo dei girasoli in meno da ammirare, delle sinfonie in meno da ascoltare, delle poesie in meno da recitare.


BIBLIOGRAFIA:

  • Basaglia F. (a cura di), Che cos’è la psichiatria?
  • Basaglia F. (a cura di), L’istituzione negata
  • Burgess. A., Arancia Meccanica
  • Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia
  • Foucault M., Malattia mentale e psicologia
  • Foucault M., Storia della follia nell’età classica
  • Francescato D., Psicologia di Comunità
  • Goffman E., Asylum – Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza
  • Szasz T.S., Il mito della malattia mentale

[Per chi fosse interessato all’argomento “Film psicologici e psicologia spiegata attraverso il cinema” può seguirmi sul sito www.psicofilm.it]


FORMAZIONE CONTINUA: se ti interessano la psicotraumatologia, la clinica del trauma e le avanguardie di ricerca, abbiamo attivato un Patreon per fornire contenuti mensili su queste tematiche. Trovi qui i nostri reward!

Article by admin / Formazione / neuroscienze, psichiatria, psicoanalisi, psicologia, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia, recensioni

7 novembre 2020

STRESS POST TRAUMATICO: una definizione e alcuni link di approfondimento

di Raffaele Avico

Questo articolo avrà due sezioni brevi: una di definizione del problema, l’altra di approfondimento.

Per cominciare, occorre dire che la formula “disturbo post traumatico da stress“, è scorretta. In questa definizione si mette l’accento sullo stress, che in questa formulazione risulterebbe la causa prima del disturbo.

La formulazione corretta, è “disturbo da stress post traumatico“, che prevede l’esistenza di un trauma e di uno stress seguente (post-traumatico, appunto), che d’altronde corrisponde alla corretta traduzione dall’inglese post traumatic stress disorder.

DEFINIZIONE

Cos’è lo stress post traumatico? Lo stress post traumatico è uno stato di stress protratto, mantenuto per molto tempo dopo l’aver subìto una qualche forma di traumatizzazione. Ne esistono diverse sfumature e di diverse lunghezze, se vogliamo ragionare in termini categoriali; sostanzialmente però parliamo di uno stato di tensione e stress sperimentato in 4 modi principali:

  1. intrusione di pensieri e flashback
  2. tendenza all’evitamento di particolari luoghi/pensieri/ persone/atmosfere
  3. senso di accelerazione e iperarousal
  4. pensieri negativi relativi a sè

Il PTSD è stato definito una patologia della memoria. Perchè? Lo sintetizza bene una formula coniata da Francine Shapiro: il problema, nella stress post traumatico, è lasciare il passato nel passato, senza riviverlo contro la propria volontà. Il concetto che sta al cuore di questa formula è semplice: certi ricordi e sensazioni diventano così indigesti e intrusivi, da modellare la vita di chi li possieda, in diversi modi.

LINK DI APPROFONDIMENTO

Qui di seguito alcuni link per approfondire aspetti diversi del disturbo:

  • lo stress post traumatico può essere di due tipi: semplice o complesso. Lo stress post traumatico semplice, riguarda un singolo episodio accaduto nella vita di un individuo (come un’aggressione, un cataclisma, una violenza fisica). Quello complesso, riguarda per lo più tutto l’arco di vita di un individuo, dato che si struttura nell’infanzia (qui un approfondimento sullo stress post traumatico complesso)
  • lo stress post traumatico, presenta al suo interno ulteriori due modalità: con o senza sintomi dissociativi. L’ha ben studiato il gruppo di lavoro di Ruth Lanius: qui un approfondimento
  • lo stress post traumatico ha tre aree di impatto principali; corpo, memoria, coscienza. Si veda qui per approfondire
  • lo stress post traumatico si manifesta in modo molto evidente sul corpo di chi lo vive. É un disturbo altamente connotato da ricadute fisiche. Il corpo accusa il colpo. L’alternanza infatti di stati di accelerazione, alternati a stati di spegnimento, produce contraccolpi corporei difficili da gestire. Per capire come questa alternanza si manifesti, è utile approfondire il modello a cascata, qui descritto
  • lo stress post traumatico, si accompagna sempre a cognizioni negative rivolte a sè: pensieri di impotenza, di fallimento, di chiusura: qui un approfondimento
  • lo stress post traumatico è stato rappresentato in video e film (qui un video in soggettiva per meglio farsene un’idea, qui invece una recensione ad American Sniper, che lo descrive)
  • Dato che lo stress post traumatico si esprime molto nel corpo, la psicoterapia ha elaborato forme nuove di approccio, che prevedono l’uso attivo del corpo. Parliamo di psicoterapia sensomotoria, di psicoterapia orientata dalla teoria polivagale (qui approfondita) ma anche di approcci più nuovi che mettono insieme la psicoterapia allo sport (qui un approfondimento)
  • farmaci risolutivi per questo disturbo, non esistono: qui un approfondimento sulla farmacologia del PTSD in area Patreon
  • per un approfondimento ulteriore a cura AISTED (Associazione italiana per lo studio del trauma e della dissociazione), questo Ebook gratuito può essere utile
  • per una bibliografia ragionata e basilare, si veda questo articolo (5 libri fondamentali per partire con lo studio del trauma)
  • qui il progetto Patreon de Il Foglio Psichiatrico a tema trauma e dissociazione

Si veda infine:


Article by admin / Formazione / psichiatria, psicoanalisi, psicologia, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia, PTSD, raffaeleavico

  • 1
  • 2
  • 3
  • …
  • 17
  • Next Page »

Categorie

  • Aggiornamento (43)
  • Editoriali (28)
  • Formazione (105)
  • Generale (16)
  • podcast (4)
  • Recensioni (27)

I NOSTRI ARTICOLI!

  • ANATOMIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (E PSICOTERAPIA)
  • LA STRANGE SITUATION IN BREVE e IL TRAUMA COMPLESSO
  • GIORNALISMO = ENTERTAINMENT
  • SIMBOLIZZARE IL TRAUMA: IL RUOLO DELL’ATTO ARTISTICO
  • PSICHIATRIA: IL MODELLO DE-ISTITUZIONALIZZANTE DI GEEL, BELGIO (The Openbaar Psychiatrisch Zorgcentrum)
  • STABILIZZARE I SINTOMI POST TRAUMATICI: ALCUNI ASPETTI PRATICI
  • Psicoterapia breve strategica del Disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Intervista ad Andrea Vallarino e Luca Proietti
  • CRONOFAGIA DI DAVIDE MAZZOCCO: CONTRO IL FURTO DEL TEMPO
  • PODCAST: SPECIALIZZAZIONE IN PSICHIATRIA E CLINICA A CHICAGO, con Matteo Respino
  • INTRODUZIONE A JAAK PANKSEPP
  • AREA PATREON DEL BLOG: UNO SGUARDO AI CONTENUTI
  • INTERVISTA A DANIELA RABELLINO: LAVORARE CON RUTH LANIUS E NEUROBIOLOGIA DEL TRAUMA
  • MDMA PER IL TRAUMA: VIDEOINTERVISTA A ELLIOT MARSEILLE (A CURA DI JONAS DI GREGORIO)
  • PSICHIATRIA E CINEMA: I CINQUE MUST-SEE (a cura di Laura Salvai, Psychofilm)
  • STRESS POST TRAUMATICO: una definizione e alcuni link di approfondimento
  • SCOPRIRE IL FOREST BATHING
  • IL TRAUMA COME APPRENDIMENTO A PROVA SINGOLA (ONE TRIAL LEARNING)
  • IL PANICO COME ROTTURA (RAPPRESENTATA) DI UN ATTACCAMENTO? da un articolo di Francesetti et al.
  • LE PENSIONI DEGLI PSICOLOGI: INTERVISTA A LORENA FERRERO
  • INTERVISTA A JONAS DI GREGORIO: IL RINASCIMENTO PSICHEDELICO
  • IL RITORNO (MASOCHISTICO?) AL TRAUMA. Intervista a Rossella Valdrè
  • ASCESA E CADUTA DEI COMPETENTI: RADICAL CHOC DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA
  • L’EMDR: QUANDO USARLO E CON QUALI DISTURBI
  • FACEBOOK IS THE NEW TOBACCO. Perchè guardare “The Social Dilemma” su Netflix
  • SPORT, RILASSAMENTO, PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA: oltre la parola per lo stress post traumatico
  • IL MODELLO TRIESTINO, UN’ECCELLENZA ITALIANA. Intervista a Maria Grazia Cogliati Dezza e recensione del docufilm “La città che cura”
  • IL RITORNO DEL RIMOSSO. Videointervista a Luigi Chiriatti su tarantismo e neotarantismo
  • FARE PSICOTERAPIA VIAGGIANDO: VIDEOINTERVISTA A BERNARDO PAOLI
  • SUL MERCATO DELLA DOPAMINA: INTERVISTA A VALERIO ROSSO
  • TARANTISMO: 9 LINK UTILI
  • FRANCESCO DE RAHO SUL TARANTISMO, tra superstizione e scienza
  • PROGETTO PATREON DEL FOGLIO PSICHIATRICO: I REWARD DI LUGLIO 2020 (ARTICOLI, VIDEO, PODCAST)
  • ATTACCHI DI PANICO: IL MODELLO SUL CONTROLLO
  • SHELL SHOCK E PRIMA GUERRA MONDIALE: APPORTI VIDEO
  • LA LUNA, I FALÒ, ANGUILLA: un romanzo sulla melanconia
  • VIDEOINTERVISTA A FERNANDO ESPI FORCEN: LAVORARE COME PSICHIATRA A CHICAGO
  • ALCUNI ESTRATTI DALLA RUBRICA “GROUNDING” (PDF)
  • STRESS POST TRAUMATICO: IL MODELLO A CASCATA. Da un articolo di Ruth Lanius
  • OTTO KERNBERG SUGLI OBIETTIVI DI UNA PSICOANALISI: DA UNA VIDEOINTERVISTA
  • MDMA PER IL TRAUMA: VERSO LA FASE 3 DELLA SPERIMENTAZIONE
  • SONNO, STRESS E TRAUMA
  • Il SAFE AND SOUND PROTOCOL, UNO STRUMENTO REGOLATIVO. Videointervista a GABRIELE EINAUDI
  • IL CONTROLLO CHE FA PERDERE IL CONTROLLO: UNA VIDEOINTERVISTA AD ANDREA VALLARINO SUL DISTURBO DI PANICO
  • STRESS, RESILIENZA, ADATTAMENTO, TRAUMA – Alcune definizioni per creare una mappa clinicamente efficace
  • DA “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE”: COS’É LA NEUROCEZIONE
  • AUTO-TRADIRSI. UNA DEFINIZIONE DI MORAL INJURY
  • BASAGLIA RACCONTA IL COVID
  • FONDAMENTI DI PSICOTERAPIA: LA FINESTRA DI TOLLERANZA DI DANIEL SIEGEL
  • L’EBOOK AISTED: “AFFRONTARE IL TRAUMA PSICHICO: il post-emergenza.”
  • NOI, ESSERI UMANI POST- PANDEMICI
  • IL FOGLIO PSICHIATRICO SU PATREON: FORMAZIONE IN AMBITO DI TRAUMA PSICHICO
  • PUNTI A FAVORE E PUNTI CONTRO “CHANGE” di P. Watzlawick, J.H. Weakland e R. Fisch
  • APPORTI VIDEO SUL TARANTISMO – PARTE 2
  • RISCOPRIRE L’ARCHIVIO (VIDEO) DI PSYCHIATRY ON LINE PER I SUOI 25 ANNI
  • SULL’IMMOBILITÀ TONICA NEGLI ANIMALI. Alcuni spunti da “IPNOSI ANIMALE, IMMOBILITÁ TONICA E BASI BIOLOGICHE DI TRAUMA E DISSOCIAZIONE”
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.3 – MODELLO ITALIANO E MODELLO BELGA A CONFRONTO, CON GIOVANNA JANNUZZI!
  • RISCOPRIRE PIERRE JANET: PERCHÉ ANDREBBE LETTO DA CHIUNQUE SI OCCUPI DI TRAUMA?
  • AGGIUNGERE LEGNA PER SPEGNERE IL FUOCO. TERAPIA BREVE STRATEGICA E DISTURBI FOBICI
  • INTERVISTA A NICOLÓ TERMINIO: L’UOMO SENZA INCONSCIO
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.3
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.2 – MODELLO ITALIANO E MODELLO SVIZZERO A CONFRONTO, CON OMAR TIMOTHY KHACHOUF!
  • ANTONELLO CORREALE: IL QUADRO BORDERLINE IN PUNTI
  • 10 ANNI DI E.J.O.P: DOVE SIAMO?
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.2
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE: RISTRETTI.IT
  • NELLE CORNA DEL BUE LUNARE: IL LAVORO DI LIDIA DUTTO
  • LA COLPA NEL DOC: LA MENTE OSSESSIVA DI FRANCESCO MANCINI
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.1
  • PREFAZIONE DI “PTSD: CHE FARE?”, a cura di Alessia Tomba
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO”: EP.1 – FERNANDO ESPI FORCEN
  • NERVATURE TRAUMATICHE E PREDISPOSIZIONE AL PTSD
  • RIMOZIONE E DISSOCIAZIONE: FREUD E PIERRE JANET
  • TEORIA DEI SISTEMI COMPLESSI E PSICOPATOLOGIA: DENNY BORSBOOM
  • LA CULTURA DELL’INDAGINE: IL MASTER IN TERAPIA DI COMUNITÀ DEL PORTO
  • IMPATTO DELL’ESERCIZIO FISICO SUL PTSD: UNA REVIEW E UN PROGRAMMA DI ALLENAMENTO
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI GIULIO TONONI
  • THOMAS INSEL: FENOTIPI DIGITALI IN PSICHIATRIA
  • HPPD: HALLUCINOGEN PERCEPTION PERSISTING DISORDER
  • SU “LA DIMENSIONE INTERPERSONALE DELLA COSCIENZA”
  • INTRODUZIONE AL MODELLO ORGANODINAMICO DI HENRY EY
  • IL SIGNORE DELLE MOSCHE letto oggi
  • PTSD E SLOW-BREATHING: RESPIRARE PER DOMINARE
  • UNA DEFINIZIONE DI “TRAUMA DA ATTACCAMENTO”
  • NO CASI, NO SUPERVISIONE: GRUPPI A TORINO
  • PROCHASKA, DICLEMENTE, ADDICTION E NEURO-ETICA
  • NOMINARE PER DOMINARE: L’AFFECT LABELING
  • MEMORIA, COSCIENZA, CORPO: TRE AREE DI IMPATTO DEL PTSD
  • CAUSE E CONSEGUENZE DELLO STIGMA
  • IMMAGINI DEL TARANTISMO: CHIARA SAMUGHEO
  • “LA CITTÀ CHE CURA”: COSA SONO LE MICROAREE DI TRIESTE?
  • LA TRASMISSIONE PER VIA GENETICA DEL PTSD: LO STATO DELL’ARTE
  • IL LAVORO DI CARLA RICCI SUL FENOMENO HIKIKOMORI
  • QUALI FONTI USARE IN AMBITO DI PSICHIATRIA E PSICOLOGIA CLINICA?
  • THE MASTER AND HIS EMISSARY
  • PTSD: QUANDO LA MINACCIA É INTROIETTATA
  • LA PSICOTERAPIA COME LABORATORIO IDENTITARIO
  • DEEP BRAIN REORIENTING – IN CHE MODO CONTRIBUISCE AL TRATTAMENTO DEI TRAUMI?
  • STRANGER DREAMS: STORIE DI DEMONI, STREGHE E RAPIMENTI ALIENI – Il fenomeno della paralisi del sonno nella cultura popolare
  • ALCUNI SPUNTI DA “LA GUERRA DI TUTTI” DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA
  • Psicopatologia Generale e Disturbi Psicologici nel Trono di Spade
  • L’IMPORTANZA DEGLI SPAZI DI ELABORAZIONE E IL DEFAULT MODE NETWORK
  • LA PEDAGOGIA STEINER-WALDORF PER PUNTI
  • SOSTANZE PSICOTROPE E INDUSTRIA DEL MASSACRO: LA MODERNA CORSA AGLI ARMAMENTI FARMACOLOGICI
  • MENO CONTENUTO, PIÙ PROCESSI. NUOVE LINEE DI PENSIERO IN AMBITO DI PSICOTERAPIA
  • IL PROBLEMA DEL DROP-OUT IN PSICOTERAPIA RIASSUNTO DA LEICHSENRING E COLLEGHI
  • SUL REHEARSAL
  • DUE PROSPETTIVE PSICOANALITICHE SUL NARCISISMO
  • TERAPIA ESPOSITIVA IN REALTÀ VIRTUALE PER IL TRATTAMENTO DEI DISTURBI D’ANSIA: META-ANALISI DI STUDI RANDOMIZZATI
  • DISSOCIAZIONE: COSA SIGNIFICA
  • IVAN PAVLOV SUL PTSD: LA VICENDA DEI “CANI DEPRESSI”
  • A PROPOSITO DI POST VERITÀ
  • TARANTISMO COME PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA?
  • R.D. HINSHELWOOD: DUE VIDEO DA UN CONVEGNO ORGANIZZATO DA “IL PORTO” DI MONCALIERI E DALLA RIVISTA PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE
  • EMDR = SLOW WAVE SLEEP? UNO STUDIO DI MARCO PAGANI
  • LA FORMA DELL’ISTITUZIONE MANICOMIALE: L’ARCHITETTURA DELLA PSICHIATRIA
  • PSEUDOMEDICINA, DEMENZA E SALUTE CEREBRALE
  • CORRERE PER VIVERE: I BENEFICI DELL’ATTIVITÀ FISICA SULLA DEPRESSIONE
  • FARMACOTERAPIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (DOC) DAL PRESENTE AL FUTURO
  • INTERVISTA A GIOVANNI ABBATE DAGA. ALCUNI APPROFONDIMENTI SUI DCA
  • COSA RENDE LA KETAMINA EFFICACE NEL TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE? UN PROBLEMA IRRISOLTO
  • CONCETTI GENERALI SULLA TEORIA POLIVAGALE DI STEPHEN PORGES
  • UNO SGUARDO AL DISTURBO BIPOLARE
  • DEPRESSIONE, DEMENZA E PSEUDODEMENZA DEPRESSIVA
  • Il CORPO DISSIPA IL TRAUMA: ALCUNE OSSERVAZIONI DAL LAVORO DI PETER A. LEVINE
  • IL PTSD SOFFERTO DAGLI SCIMPANZÈ, COSA CI DICE SUL NOSTRO FUNZIONAMENTO?
  • QUANDO IL PROBLEMA È IL PASSATO, LA RICERCA DEI PERCHÈ NON AIUTA
  • PILLOLE DI MASTERY: DI CHE SI TRATTA?
  • C’È UN EFFETTO DEL BILINGUISMO SULL’ESORDIO DELLA DEMENZA?
  • IL GORGO di BEPPE FENOGLIO
  • VOCI: VERSO UNA CONSIDERAZIONE TRANSDIAGNOSTICA?
  • DALLA SCUOLA DI NEUROETICA 2018 DI TRIESTE, ALCUNE RIFLESSIONI SUL PROBLEMA ADDICTION
  • ACTING OUT ED ENACTMENT: UN ESTRATTO DAL LIBRO RESISTENZA AL TRATTAMENTO E AUTORITÀ DEL PAZIENTE – AUSTEN RIGGS CENTER
  • CONCETTI GENERALI SUL DEFAULT-MODE NETWORK
  • NON È ANORESSIA, NON È BULIMIA: È VOMITING
  • PATRICIA CRITTENDEN: UN APPROFONDIMENTO
  • UDITORI DI VOCI: VIDEO ESPLICATIVI
  • IMPUTABILITÀ: DA UN TESTO DI VITTORINO ANDREOLI
  • OLTRE IL DSM: LA TASSONOMIA GERARCHICA DELLA PSICOPATOLOGIA. DI COSA SI TRATTA?
  • LIMITARE L’USO DEI SOCIAL: GLI EFFETTI BENEFICI SUI LIVELLI DI DEPRESSIONE E DI SOLITUDINE
  • IL PTSD IN VIDEO
  • PILLOLE DI EMPOWERMENT
  • SALIENZA ABERRANTE: UN MODELLO DI LETTURA DEGLI ESORDI PSICOTICI
  • COME NASCE LA RAPPRESENTAZIONE DI SÈ? UN APPROFONDIMENTO
  • IL CAFFÈ CI PROTEGGE DALL’ALZHEIMER?
  • PER AVERE UNA BUONA AUTISTIMA, OCCORRE ESSERE NARCISISTI?
  • LA MENTE ADOLESCENTE di Daniel Siegel
  • TALVOLTA È LA RASSEGNAZIONE DEL TERAPEUTA A RENDERE RESISTENTE LA DEPRESSIONE NEI DISTURBI NEURODEGENERATIVI – IMPLICAZIONI PRATICHE
  • COSA RESTA DELLA LEGGE 180?
  • Costruire un profilo psicologico a partire dal tuo account Facebook? La scienza dietro alla vittoria di Trump e al fenomeno Brexit
  • L’effetto placebo nel Morbo di Parkinson. È possibile modificare l’attività neuronale partendo dalla psiche?
  • I LIMITI DELL’APPROCCIO RDoC secondo PARNAS
  • COME IL RICORDO DEL TRAUMA INTERROMPE IL PRESENTE?
  • “The Perspectives of Psychiatry” di McHugh e Slavney: commento in due parti su come superare le fazioni in psichiatria.
  • SISTEMI MOTIVAZIONALI INTERPERSONALI E TEMI DI VITA. Riflessioni intorno a “Life Themes and Interpersonal Motivational Systems in the Narrative Self-construction” di Fabio Veglia e Giulia di Fini
  • IL SOTTOTIPO “DISSOCIATIVO” DEL PTSD. UNO STUDIO DI RUTH LANIUS e collaboratori
  • “ALCUNE OSSERVAZIONI SUL PROCESSO DEL LUTTO” di Otto Kernberg
  • INTRODUZIONE ALLA MOVIOLA DI VITTORIO GUIDANO
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI DANIEL SIEGEL
  • DALL’ADHD AL DISTURBO ANTISOCIALE DI PERSONALITÀ: IL RUOLO DEI TRATTI CALLOUS-UNEMOTIONAL
  • UNO STUDIO SUI CORRELATI BIOLOGICI DELL’EMDR TRAMITE EEG
  • MULTUM IN PARVO: “IL MONDO NELLA MENTE” DI MARIO GALZIGNA
  • L’EFFETTO PLACEBO COME PARADIGMA PER DIMOSTRARE SCIENTIFICAMENTE GLI EFFETTI DELLA COMUNICAZIONE, DELLA RELAZIONE E DEL CONTESTO
  • PERCHÈ L’EFFETTO PLACEBO SEMBRA ESSERE PIÙ DEBOLE NEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO: UN APPROFONDIMENTO
  • BREVE REPORT SUL CONCETTO CLINICO DI SOLITUDINE E SUL MAGNIFICO LAVORO DI JT CACIOPPO
  • SULL’USO DEGLI PSICHEDELICI IN PSICHIATRIA: L’MDMA NEL TRATTAMENTO DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO
  • LA LENTE PSICOTRAUMATOLOGICA: GLI ASSUNTI EPISTEMOLOGICI
  • PREVENIRE LE RECIDIVE DEPRESSIVE: FARMACOTERAPIA, PSICOTERAPIA O ENTRAMBI?
  • YOUTH IN ICELAND E IL COMUNE DI SANTA SEVERINA IN CALABRIA
  • FILTRO AFFETTIVO DI KRASHEN: IL RUOLO DELL’AFFETTIVITÀ NELL’IMPARARE
  • DIFFIDATE DELLA VOSTRA RAGIONE: LA PATOLOGIA OSSESSIVA COME ESASPERAZIONE DELLA RAZIONALITÀ
  • BREVE STORIA DELL’ELETTROSHOCK
  • TALVOLTA É LA RASSEGNAZIONE DEL TERAPEUTA A RENDERE RESISTENTE LA DEPRESSIONE NEI DISTURBI NEURODEGENERATIVI
  • COSA VUOL DIRE FARE PSICOTERAPIA?
  • LO STATO DELL’ARTE SUGLI EFFETTI DELL’ATTIVITÀ FISICA NEL PTSD (disturbo da stress post-traumatico)
  • DIPENDENZA DA INTERNET: IL RITORNO COMPULSIVO ON-LINE
  • L’EVOLUZIONE DELLE RETI NEURALI ASSOCIATIVE NEL CERVELLO UMANO: report sullo sviluppo della teoria del “tethering”, ovvero di come l’evoluzione di reti neurali distribuite, coinvolgenti le aree cerebrali associative, abbia sostenuto lo sviluppo della cognizione umana
  • COMMENTO A “PSICOPILLOLE – Per un uso etico e strategico dei farmaci” di A. Caputo e R. Milanese, 2017
  • L’ERGONOMIA COGNITIVA NEL METODO DI MARIA MONTESSORI
  • SUL COSTRUTTIVISMO: PERCHÉ LA SCIENZA DEVE RICERCARE L’UTILE. Un estratto da Terapia Breve Strategica di Paul Watzlawick e Giorgio Nardone
  • IN MORTE DI GIOVANNI LIOTTI
  • ALL THAT GLITTERS IS NOT GOLD. APOLOGIA DELLA PLURALITÀ IN PSICOTERAPIA ATTRAVERSO UN ARTICOLO DI LEICHSERING E STEINERT
  • COMMENTO A:  ON BEING A CIRCUIT PSYCHIATRIST di JA Gordon
  • KERNBERG: UN AUTORE IMPRESCINDIBILE, PARTE 2
  • IL PRIMATO DELLA MANIA SULLA DEPRESSIONE: “LA MANIA È IL FUOCO E LA DEPRESSIONE LE SUE CENERI”.
  • IL CESPA
  • COMMENTO A LUTTO E MELANCONIA DI FREUD
  • LA DEFINIZIONE DI SOTTOTIPI BIOLOGICI DI DEPRESSIONE FONDATA SULL’ATTIVITÀ CEREBRALE A RIPOSO
  • BORSBOOM: PER LA SEPARAZIONE DEI MODELLI DI CAUSALITÀ RELATIVI AL MODELLO MEDICO E AL MODELLO PSICHIATRICO, E SULLA CAUSALITÀ CIRCOLARE CHE REGOLA I RAPPORTI TRA SINTOMI PSICOPATOLOGICI
  • IL LAVORO CON I PAZIENTI GRAVI: IL QUADRO BORDERLINE E LA DBT
  • INTERNET ADDICTION, ALCUNI SPUNTI DAL LAVORO DI KIMBERLY YOUNG
  • EMDR: LO STATO DELL’ARTE
  • PTSD, UNA DEFINIZIONE E UN VIDEO ESPLICATIVO
  • FLASHBULB MEMORIES E MEMORIE TRAUMATICHE, UN APPROFONDIMENTO
  • NUOVA PSICHIATRIA, RDoC E NEUROPSICOANALISI
  • JACQUES LACAN, LA CLINICA PSICOANALITICA: STRUTTURA E SOGGETTO di Massimo Recalcati, 2016
  • DGR 29: alcune riflessioni su quello che sembra un passo indietro in termini di psichiatria pubblica
  • PSICOTERAPIE: IL DIBATTITO SU FATTORI COMUNI E SPECIFICI A CONFRONTO
  • L’ATTUALITÀ DI PIERRE JANET: “La psicoanalisi”, di Pierre Janet
  • IL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ: ALCUNE RIFLESSIONI
  • PSICOPATIA E AGGRESSIVITÀ PREDATORIA, LA VERSIONE DI GIOVANNI LIOTTI (da “L’evoluzione delle emozioni e dei Sistemi Motivazionali”, 2017)
  • LA GESTIONE DEL CONTATTO OCULARE IN PAZIENTI CON PTSD
  • MARZO 2017: IL CONSENSUS STATEMENT SULL’UTILIZZO DI KETAMINA NEI CASI DI DISORDINI DELL’UMORE APPARENTEMENTE NON TRATTABILI
  • IL CERVELLO TRIPARTITO: LA TEORIA DI PAUL MACLEAN
  • (LA CONTROVERSIA A PROPOSITO DELL’USO DI) CANNABIS: cosa sappiamo?
  • IL CIRCUITO DI RICOMPENSA NELL’AMBITO DEI PROBLEMI DI DIPENDENZA
  • OTTO KERNBERG: UN AUTORE IMPRESCINDIBILE
  • TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SULLE MNEMOTECNICHE (MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE)
  • LA CURA DEL SE’ TRAUMATIZZATO di Lanius e Frewen, 2017
  • EFFICACIA DI UN BREVE INTERVENTO PSICOSOCIALE PER AUMENTARE L’ADERENZA ALLE CURE FARMACOLOGICHE NELLA DEPRESSIONE
  • PSICOTERAPIE: IL DIBATTITO SU FATTORI COMUNI E SPECIFICI A CONFRONTO

IL BLOG

Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

A CURA DI:

  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
  • Home
  • RAFFAELE AVICO
  • PODCAST!
  • #TRAUMA
  • FONDATORI E COLLABORATORI
  • PSICOTERAPIA ONLINE
  • DIVENTA PATREON
  • IN VENDITA

Copyright © 2021 · Education Pro Theme on Genesis Framework · WordPress · Log in

DIVENTA PATREON QUI: logo
  • Home
  • RAFFAELE AVICO
  • PODCAST!
  • #TRAUMA
  • FONDATORI E COLLABORATORI
  • PSICOTERAPIA ONLINE
  • DIVENTA PATREON
  • IN VENDITA