di Raffaele Avico
Le recentissime e autorevoli linee guida APA per il trattamento per i PTSD, hanno declassato l’EMDR a seconda scelta per il trattamento del trauma psicologico, tema su cui su questo blog abbiamo scritto molto. Le linee guida attuali sono un aggiornamento delle linee guida pubblicate nel 2017.
Su POPMed, abbiamo fatto fare alla “macchina” un lavoro enorme di confronto tra le fonti, che ha confermato, alimentando, molti dei dubbi che qui avevamo già espresso a riguardo dell’EMDR. L’approfondimento si trova qui.
Alcuni di questi dubbi sono:
- Perché l’EMDR dovrebbe funzionare sia sulla depressione, che sul trauma? Oppure, sia sul DOC, che sul trauma?
- Perchè l’EMDR funziona con i movimenti oculari, ma anche senza? Non era forse partito come uno strumento che faceva dei movimenti oculari il suo punto di forza?
- In che modo esattamente muovere o tamburellare -più o meno velocemente- le dita, potrebbe dare risultati diversi? Nei corsi si insegna che la velocità della stimolazione cambia il risultato finale: in che modo?
Il dubbio è che si tratti di una sofisticazione di una procedura espositiva: l’EMDR non sarebbe altro in questo caso che un modo come un altro di esporre il paziente ad alcuni vissuti dolorosi -con un protocollo rassicurante da seguire nel farlo. Potrebbe essere fatto allo stesso modo quindi, quel procedimento espositivo, toccando oggetti che vibrano, o masticando caramelle dal gusto forte: allo stesso modo l’”imbuto percettivo” verrebbe saturato (per via di un doppio compito) e il ricordo passerebbe -depotenziato- alla coscienza. Si tratterebbe di una sorta di esposizione mediata da un compito, da effettuarsi nel momento in cui ci si espone al ricordo traumatico stesso. Si tratterebbe cioè di gestire l’attivazione allarmata ansiosa, per via di un atto di “grounding” (si veda più avanti per un chiarimento su questo punto). Il protocollo aiuterebbe a “distrarre” l’attivazione ansiosa durante la rievocazione dell’evento traumatico: l’EMDR metterebbe insieme, quindi, un evento espositivo, a un evento di doppio compito: quindi rievocare e insieme reindirizzare l’attenzione altrove, permettendo al ricordo di arrivare alla coscienza per essere affrontato/elaborato.
Lo stesso effetto, partendo dallo stesso razionale, potrebbe essere ottenuto tramite la scrittura: esporsi e insieme portare una quota dell’attenzione al creare- scrivendo.
La teoria del doppio compito sembra in effetti la più plausibile, il che tuttavia inserisce l’EMDR nell’insieme delle terapie espositive, con però un protocollo rigido da seguire, il che andrebbe a giovare alle ansie del terapeuta stesso.
Come prima accennato, su POPMed un lungo approfondimento/review della letteratura a proposito dell’EMDR, raggiungibile da qui. Lo mettiamo anche qui in PDF, per chi volessere scaricarlo.
Infine, un cenno alle ipotesi alla base del funzionamento dell’EMDR, qui si seguito, aggregato da Chatgpt. Come si nota, le ipotesi più plausibili sembrano essere quella sul doppio compito, e quella sul riconsolidamento mnestico.
Le principali ipotesi sul funzionamento dell’EMDR
Introduzione: L’EMDR (dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è una terapia utilizzata con successo per elaborare ricordi traumatici e ridurre i sintomi del PTSD. Ma come funziona esattamente? Nel corso degli anni, ricercatori e clinici hanno proposto diverse ipotesi per spiegare l’efficacia dell’EMDR. Di seguito presentiamo, in modo chiaro e non troppo tecnico, cinque delle principali teorie sul meccanismo d’azione dell’EMDR, ognuna delle quali offre una prospettiva diversa su come i movimenti oculari e la stimolazione bilaterale possano aiutare a desensibilizzare e rielaborare i ricordi traumatici.
L’ipotesi del doppio compito (dual-task)
Secondo l’ipotesi del doppio compito, l’efficacia dell’EMDR dipende dal fatto che il paziente deve svolgere due compiti contemporaneamente: da un lato richiamare alla mente il ricordo traumatico (con le sue immagini ed emozioni) e dall’altro seguire lo stimolo bilaterale (come il movimento delle dita del terapeuta, suoni alternati o tocchi). Questa situazione impegna fortemente la memoria di lavoro del cervello, che ha capacità limitate (ifemdr.fr). In parole semplici, non riusciamo a prestare attenzione massima a due cose nello stesso momento: se dividiamo l’attenzione fra il ricordo e un secondo compito (i movimenti oculari), il cervello non riesce a mantenere il ricordo vivido e carico di emozione come farebbe normalmente (ifemdr.fr). Di conseguenza, l’immagine traumatica appare meno nitida e meno disturbante, il che aiuta il paziente a riesaminarla senza esserne sopraffatto. Questo potrebbe spiegare perché, seduta dopo seduta, il ricordo perde la sua carica emotiva negativa: riducendone l’intensità emotiva e visiva, il cervello può “riscriverlo” in modo più adattivo (trailheadcounselingks.com). In sintesi, l’EMDR “sovraccarica” la memoria di lavoro con un doppio compito, togliendo potenza al ricordo traumatico e rendendolo più gestibile durante la terapia.
L’integrazione interemisferica
Un’altra ipotesi suggerisce che l’EMDR funzioni grazie a una maggiore integrazione tra i due emisferi cerebrali (sinistro e destro). I movimenti oculari orizzontali alternati (o altri stimoli bilaterali) stimolano alternativamente entrambi gli emisferi, aumentando la loro comunicazione reciproca (ifemdr.frifemdr.fr). Ma perché questo aiuterebbe con i traumi? Si pensa che i ricordi traumatici “bloccati” siano memorizzati in modo disfunzionale, magari legati più a un emisfero (per esempio, le emozioni e le immagini nel destro) senza la dovuta integrazione con l’altro emisfero (ad es. il sinistro, più analitico e linguistico). Aumentando la comunicazione interemisferica, l’EMDR potrebbe facilitare il ricollegamento e l’elaborazione completa di quei ricordi: il contenuto emotivo, visivo e sensoriale del trauma verrebbe integrato con una comprensione razionale e contestuale più ampia (ifemdr.fr). In effetti, esperimenti hanno mostrato che movimenti oculari saccadici (rapidi) orizzontali migliorano la capacità di richiamare ricordi episodici, molto più di movimenti verticali o di non muovere affatto gli occhi (ifemdr.frifemdr.fr). Ciò indica che le stimolazioni bilaterali accrescono la cooperazione tra emisfero destro e sinistro, aiutando a “riorganizzare” il ricordo traumatico e ad integrarlo nella memoria autobiografica in forma meno dolorosa. Inoltre, una migliore integrazione tra emisferi è stata associata anche a una riduzione dello stress (ifemdr.fr), il che spiegherebbe la diminuzione del disagio emotivo man mano che il ricordo viene rielaborato. In sintesi, l’ipotesi interemisferica vede l’EMDR come un “ponte” tra i due lati del cervello, che permette di rimettere insieme i pezzi del ricordo traumatico e archiviarlo correttamente.
Il riflesso di orientamento
Il riflesso di orientamento è una risposta automatica del nostro organismo quando veniamo esposti a uno stimolo nuovo o inaspettato: è quel meccanismo evolutivo che ci fa sobbalzare leggermente e concentrare l’attenzione ogni volta che c’è un cambiamento improvviso nell’ambiente (un rumore improvviso, qualcosa che si muove nel nostro campo visivo, ecc.). Alcuni studiosi hanno proposto che i movimenti alternati dell’EMDR sfruttino proprio questo riflesso (emdr.com). In pratica, ogni volta che seguiamo con gli occhi il dito del terapeuta (o percepiamo un suono/tocco alternato), il nostro cervello interpreta lo stimolo come qualcosa di nuovo: ciò cattura l’attenzione in modo ripetuto e innesca una breve reazione di “allerta” seguita subito da una valutazione di sicurezza (“non c’è pericolo”) (emdr.com). Questa continua reazione di orientamento ha due possibili effetti benefici. Primo, interrompe e disturba momentaneamente il network del ricordo traumatico: in altre parole, spezza il filo dei pensieri ed emozioni negative collegate al trauma, dando la possibilità di inserire nuove associazioni più positive o neutre (emdr.com). Secondo, dopo l’istante di allerta iniziale, subentra una risposta di rilassamento quando il cervello si accorge che lo stimolo non è una minaccia (emdr.com). Questo riflesso investigatorio che sfocia in un rilassamento può attivare un meccanismo di “inibizione reciproca”: la calma fisiologica indotta contrasta l’ansia e la paura legate al ricordo, permettendo di riesaminarlo senza lo stesso livello di turbamento emotivo (emdr.com). In sostanza, l’EMDR potrebbe funzionare perché trasforma una sessione di terapia in una serie di piccoli momenti di orientamento: il cervello viene continuamente distratto dal trauma e rassicurato che adesso è al sicuro, il che facilita l’elaborazione. Questa teoria è supportata anche da misurazioni fisiologiche che mostrano un calo dell’attivazione nervosa durante l’EMDR: in altre parole, la stimolazione bilaterale genera un orienting reflex che abbassa temporaneamente l’arousal (attivazione emotiva), aiutando il paziente a rimanere nel ricordo senza esserne travolto (emdr.comemdr.com).
La simulazione del sonno REM
Un’ipotesi affascinante sostiene che l’EMDR riproduca nel cervello uno stato simile a quello del sonno in cui normalmente avviene l’elaborazione della memoria. In particolare, inizialmente si è pensato al sonno REM (la fase del sonno in cui si hanno movimenti oculari rapidi e sogni vividi) perché è noto che durante la fase REM il cervello processa attivamente le esperienze emotive, consolidando i ricordi e integrandoli con le nostre conoscenze precedenti (ifemdr.fr). Il ricercatore Robert Stickgold, ad esempio, ha ipotizzato che i movimenti oculari dell’EMDR inducano uno stato neurobiologico simile al sonno REM, attivando nel cervello i sistemi di rielaborazione della memoria che normalmente operano durante quel periodo della notte (ifemdr.fr). In condizioni di sonno, soprattutto nelle fasi REM (ma anche nel sonno profondo non-REM), avviene il trasferimento dei ricordi dall’ippocampo (dove si formano i ricordi episodici “grezzi”) alla corteccia cerebrale, integrandoli nella memoria a lungo termine e riducendone la carica emotiva (ifemdr.fr). L’EMDR, con la sua stimolazione bilaterale ritmica, sembra innescare un processo analogo: il cervello entra in una sorta di “modalità elaborativa” tipica del sonno (ifemdr.fr), in cui può finalmente digerire il ricordo traumatico. Studi EEG sostengono questa ipotesi mostrando che durante i set di stimolazione bilaterale si rilevano onde cerebrali molto simili a quelle del sonno ad onde lente (fasi profonde del sonno non-REM) (trailheadcounselingks.com). Ciò suggerisce che l’EMDR possa effettivamente simulare alcune condizioni neurofisiologiche del sonno (REM e non-REM) favorevoli alla rielaborazione: il cervello, pur essendo sveglio, lavora sul ricordo come farebbe di notte, archiviamolo in modo adeguato e attenuandone l’impatto emotivo. Questo spiegherebbe perché dopo l’EMDR molti pazienti riferiscono che il ricordo traumatico appare distante, sfuocato o “come un sogno” invece che vivido e presente. In breve, l’EMDR potrebbe funzionare perché “fa fare al cervello di giorno il lavoro che normalmente fa di notte” per elaborare e depotenziare i ricordi dolorosi (ifemdr.fr).
La teoria della riconsolidazione mnestica
L’ultima ipotesi di cui parliamo si basa sulle scoperte nel campo delle neuroscienze della memoria, in particolare sul riconsolidamento dei ricordi (detto anche riconsolidamento mnestico). Per molti anni si è creduto che una volta formato un ricordo nel cervello fosse stabile e immodificabile; invece, la teoria del riconsolidamento ha dimostrato che quando richiamiamo un ricordo possiamo aprire una “finestra” temporanea in cui quel ricordo diventa nuovamente instabile e modificabile (trailheadcounselingks.com). In altre parole, ripensare a un’esperienza passata la rende momentaneamente fragile, offrendo l’opportunità di aggiornarla con nuove informazioni o associazioni emotive prima che venga “salvata” di nuovo in memoria. Come si applica questo concetto all’EMDR? Durante le sedute EMDR, il paziente riattiva intenzionalmente il ricordo traumatico (parlandone e concentrandosi su di esso) mentre riceve la stimolazione bilaterale. Secondo la teoria del riconsolidamento, questa procedura fa sì che il ricordo entri in quello stato labile in cui può essere ristrutturato con elementi nuovi e meno disturbanti(trailheadcounselingks.com). Ad esempio, attraverso l’EMDR la persona potrebbe associare al ricordo originale sensazioni di sicurezza, nuove interpretazioni cognitive o semplicemente sperimentare che può pensarci senza esserne annientato emotivamente. Tutte queste nuove esperienze vengono integrate nel ricordo durante la finestra di riconsolidamento, cosicché il cervello “risalva” il ricordo in forma attenuata – con un peso emotivo minore e con significati diversi. Alcuni ricercatori hanno sottolineato che l’EMDR, anche se nato da osservazioni cliniche, inconsapevolmente sfrutta proprio il meccanismo del riconsolidamento (trailheadcounselingks.com). In effetti, dopo una rielaborazione completa in EMDR, si ritiene che il ricordo originario venga alterato attraverso processi di integrazione e riconsolidamento (viene ricodificato nel cervello in modo non traumatico) (psicologo-mantova.net). Questo spiegherebbe perché, una volta conclusa la terapia, i ricordi che prima causavano intense reazioni emotive diventano ricordi “neutralizzati”: sono sempre parte della propria storia, ma non provocano più il dolore di un tempo, perché il cervello li ha riscritti e ricollocati in modo adattivo.
NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)