PREMESSA: il pensiero di Unabomber può apparire controverso, di difficile inquadramento ideologico. Qui lo pubblichiamo perché riteniamo che le riflessioni formulate da Ted Kaczynski negli anni ’90 (più di trent’anni fa) mettano in luce con estrema lucidità molte delle storture che oggi viviamo quotidianamente. Unabomber è stato diagnosticato con la pesante etichetta di schizofrenico paranoide, ma fino alla fine del suo processo rivendicò la propria lucidità mentale, rinunciando alle attenuanti che quella diagnosi gli avrebbe concesso. Il suo pensiero sembra, piuttosto, il risultato di un percorso di osservazione di incredibile penetranza sulle dinamiche psicologiche dell’uomo “immerso” nel sistema tecnologico moderno. Le critiche che rivolge, in modo molto netto, alla sinistra liberale americana non sono, a mio parere, necessariamente da intendersi come una rivendicazione di appartenenza alla destra, quanto più una critica a un partito che Kaczynski riteneva, in ultima analisi, difendere il sistema dominante — la “macchina”— attraverso continue scissioni interne e battaglie -a suo giudizio- pretestuose. Il suo pensiero si colloca su una linea di confine tra diverse ideologie, risultando di interesse tra attivisti eco-ambientali, militanti di destra o di sinistra estrema. Al di là delle appartenenze, che in questo caso risultano poco rilevanti, spicca l’assoluta potenza interpretativa e analitica delle idee di “Ted”, formulate in un’epoca in cui i social media non esistevano ancora e Internet era agli albori. In questo articolo verranno messi in luce aspetti inerenti alcune dinamiche psicologiche che Kaczynski aveva individuato, per lo più risultanti, dal suo punto di vista, dall’impatto del sistema tecnocratico sull’uomo moderno. L’ambiente, così come è costruito, risulta essere estremamente nevrotizzante per la psiche umana, con un potere coercitivo e liberticida che si origina dalla soppressione continua e subdola di istinti primari (come si leggerà in merito al tema “potere e autonomia”), insieme a una spinta verso un conformismo totale che — secondo Unabomber — passa attraverso la tecnologia (ormai “cuore della politica”) e i bisogni da essa indotti. Al di là, dunque, degli aspetti ideologici — qui poco utili — si tratta di un pensatore “folle”, lucidissimo sul presente e profetico se si considera che i suoi testi, come si diceva, sono stati scritti trent’anni fa. (R. A.)
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Il manifesto politico di Unabomber è da poco stato pubblicato per D edizioni: si tratta di un testo rimaneggiato e lavorato da Ted Kaczynski poco prima della sua morte -avvenuta nel 2023.
Kaczynski era un matematico di Berkeley, nel cuore della sua carriera ritiratosi a vita anarco-primitivista nei boschi del Montana -e da lì proseguiva la sua attività di attivista “contro il sistema tecnologico). Il messaggio che Unabomber lancia da questo manifesto, scritto sotto forma di pensieri/note tra loro indipendenti ma raccolti in capitoli ognuno con un “tema”, è una pesante critica al sistema americano e al turbocapitalismo, e all’”inevitabilismo” del progresso tecnologico portato avanti da tecnocrati interessati al profitto.
Il libro ruota intorno alla possibilità immaginata da K. di avviare un cambiamento rivoluzionario, un collasso del sistema tecnologico ad opera di individui che decidessero di attaccarlo in modo diretto: il suo stile mette insieme una forte ideologia luddista e anarchica, a un pragmatismo tutto americano. Unabomber credeva fermamente nel suo progetto di rivolta, e incarnò per primo il cambiamente che voleva accadesse, a partire dalle precoci dimissioni da Berkeley -precedenti a un periodo di isolamento nella natura selvaggia: a 29 anni, Kaczynski si trasferì in una baracca di undici metri quadri senza elettricità né acqua, nei pressi di Lincoln, nel Montana. Da lì partì il progetto “Freedom Club” e il suo proposito di divulgare il suo manifesto, “La società industriale e il suo futuro”, diffuso tramite quotidiani negli anni a seguire -sotto minacce di ulteriori attentati dinamitardi.
“La società industriale e il suo futuro” contiene molteplici spunti di riflessione che vale la pena riprendere, soprattutto nelle sue riflessioni “psicologiche”, e inerenti l’impatto della società sulla psicologia dell’individuo. Uno dei primi capitoli presenta il concetto di “sovrasocializzazione“. Secondo K., l’uomo moderno viene esposto da quando nasce a un sistema di leggi e convenzioni sociali, al fine di “socializzarlo” correttamente. Ma cosa accade a un individuo che assorba e si identifichi “troppo” a questo insieme di regolamentazioni e usi “normali”? Unabomber parla di sovrasocializzazione, un processo in cui gli individui, sin dall’infanzia, vengono condizionati in modo così intenso dalle norme, dai valori e dalle aspettative della società, che perdono la loro capacità di pensare in modo indipendente e agire in base ai propri istinti e desideri. Lo declina attraverso quattro punti:
- Conformità estesa: Gli individui sovrasocializzati interiorizzano le norme sociali in modo così profondo che ogni pensiero o azione che si discosti da queste norme provoca in loro un senso di colpa o vergogna. Kaczynski sostiene che questa conformità estrema soffochi la creatività e l’individualità.
- Colpa e vergogna: Le persone sovrasocializzate non solo seguono le regole della società, ma sono anche fortemente influenzate da sensi di colpa e vergogna quando avvertono di deviare, anche minimamente, da tali regole. Questo li rende particolarmente vulnerabili al controllo sociale e alla manipolazione.
- Senso di inferiorità: Secondo Kaczynski, la sovrasocializzazione contribuisce a creare un senso di inferiorità negli individui: rendere prioritaria la difesa dei diritti inerenti la collettività a scapito dell’individuo, rivelerebbe un senso di difficoltà da parte degli individui nel “vivere lontano dal branco” (da qui l’esasperata tensione alla difesa delle minoranze, qualunque esse siano)
- Dipendenza dalla società: Le persone sovrasocializzate dipendono dalla società per definire i loro valori, obiettivi e identità, perdendo la capacità di sviluppare un senso autonomo di sé. Questo porta alla perdita di libertà individuale, poiché ogni aspetto della loro vita è governato dalle aspettative sociali.
Kaczynski vede la sovrasocializzazione come un prodotto della società industriale, che richiede un elevato grado di conformità per mantenere l’ordine e l’efficienza. Nel suo manifesto, critica aspramente questa tendenza, sostenendo che è una delle ragioni per cui gli individui non sono più liberi e sono invece intrappolati in un sistema che li opprime e li aliena.
Nel testo, Unabomber critica poi la categoria dei “liberali”, accusati di nascondere al di sotto di tematiche universali come la lotta all’immigrazione e alla violenza sulle donne, desideri nascosti di autoritarismo e potere. La sua idea è che le minoranze vengano utilizzate dalla “sinistra moderna” come pretesto per rinforzare la compattezza politica dei partiti stessi, senza compiere un vero attacco nei confronti delle spinte andidemocratiche -anzi, colludendo con le stesse; fa inoltre riferimento al prima citato fenomeno della sovrasocializzazione, di cui gli individui che si definiscono progressisti e “liberal” sarebbero particolarmente affetti.
Nella pagina dedicata a Kaczynski di Anarcopedia, viene chiaramente spiegato il suo pensiero. Leggiamo:
“Il pensiero di Theodore Kaczynski, esplicitato nel suo Manifesto (La Società Industriale e il Suo Futuro), è riassumibile in quattro punti fondamentali:
- Il progresso tecnologico comporta un inevitabile disastro ecologico.
- Solo il crollo della civiltà moderna può prevenire un disastro.
- La sinistra politica è in prima linea in difesa della società tecnologica alienante.
- Ciò che serve è un nuovo movimento rivoluzionario che si batta contro la società tecnologica e adotti misure per impedire alla sinistra di nuocere i rivoluzionari con il suo senso d’inferiorità che trasmette agli individui e con le politiche di sovrasocializzazione.
Secondo Kaczynski la “sinistra” è la corrente dei perdenti, poiché difende chi ha di meno, chi è emarginato, chi è sfruttato, cioè chi sta perdendo nei confronti della società. Egli ritiene che la sinistra non vuole abbattere le strutture che hanno causato determinate ingiustizie, ma pretende una “semplice” rivincita dei perdenti sui padroni rimanendo all’interno della stessa organizzazione statale. Per ottenere questa rivincita, la “sinistra” auspica la presenza invasiva dello Stato e così facendo, sostiene Kaczynski, si sovrasocializza l’individuo, cioè lo si vincola in maniera così totalizzante che questo non avrà più alcuna libertà.
Kaczynski giustifica apertamente la violenza dei suoi atti: «A mio modesto parere, l’uso della violenza (ad esempio contro la realizzazione di una società tecnologica disumana) è auto-difesa. Alcuni possono obiettare, naturalmente. Se pensate che sia immorale e scorretto, allora si dovrebbe evitare qualsiasi uso della violenza. Ma ho una domanda per voi in questo contesto: che tipo di violenza ha causato i danni maggiori nella storia del genere umano? La violenza che fu sancita dagli Stati (società, cultura, ideologia). O la violenza che fu usata senza sanzioni, da parte di individui?»
Egli ritiene che la rivoluzione industriale abbia portato ad un ordine economico e politico che si pone in antitesi all’ordine naturale; che riduce la libertà individuale, trasforma l’uomo in un semplice ingranaggio del sistema tecnologico e in breve tempo distruggerà la razza umana stesso. La conseguenza è che non ci sono margini per riformare la società perché «questo sistema non esiste per soddisfare i bisogni umani, non ne è capace. I desideri e i comportamenti degli uomini devono essere modificati per soddisfare le esigenze di questo sistema».
Ted Kaczynski sostiene quindi l’impossibilità di scendere a compromessi con la civiltà industriale. Egli ritiene inoltre che le specifiche lotte – ecologiste\animaliste\sociali – (liberazione animale, lotta all’inquinamento, lotta per le rivendicazioni sindacali ecc.), seppur lodevoli, non intaccano in alcun modo il sistema industriale, per questo sostiene che, se si vuol distruggere la civiltà moderna, sia necessario colpire i suoi gangli vitali: per es. il sistema delle telecomunicazioni, il sistema dell’energia elettrica, gli apparati dell’istruzione scientifica ecc.
Il suo pensiero è per molti tratti affine alle correnti maggiormente radicali dell’eco-anarchismo. Il movimento anarchico è però diviso riguardo alle azioni di Kaczynski: una parte, formata principalmente da individualisti e primitivisti (es. John Moore e John Zerzan), lo ritiene un anarchico a tutti gli effetti, seppur non condivida al 100% il suo pensiero; un’altra parte invece non lo considera per nulla anarchico quanto piuttosto un ecologista radicale”.
Unabomber aveva però idee molto lucide relativamente a problemi diversi, che qui tenteremo di formalizzare usando la funzione deepresearch di Chatgpt, suddivisi per argomento. Il testo è supervisionato e controllato, e non presenta inesattezze di concetto.
Tra parentesi, le fonti cliccabili.
POTERE, AUTODETERMINAZIONE E ATTIVITÁ SURROGATE
“Un concetto centrale nell’analisi di Kaczynski è quello di “processo del potere” (power process). Con questo termine egli indica l’insieme di quattro elementi fondamentali per la salute psicologica dell’individuo: l’avere obiettivi da raggiungere, l’intraprendere sforzi autonomi per perseguirli, il raggiungimento (anche parziale) di tali scopi, e un certo grado di autonomia nel tutto (thetedkarchive.comthetedkarchive.com). Kaczynski, rifacendosi implicitamente a idee etologiche ed evolutive, sostiene che l’essere umano ha bisogno di sperimentare questo processo per sentirsi realizzato. Se una persona viene privata della possibilità di fissare mete significative e di lottare per esse, subirà gravi conseguenze psicologiche: “la mancata realizzazione di scopi importanti provoca frustrazione… Il fallimento costante nel raggiungere obiettivi porta a sconforto, bassa autostima o depressione. Dunque, per evitare seri problemi psicologici, un essere umano ha bisogno di obiettivi il cui raggiungimento richieda impegno, e deve avere un ragionevole tasso di successo nel conseguirli (thetedkarchive.com). In altre parole, non è il potere in sé ad essere necessario, ma l’esperienza di un percorso di autodeterminazione. Senza questo, l’individuo cade in apatia, sente di non avere controllo sulla propria vita e sviluppa patologie come senso di inferiorità e depressione.
Kaczynski argomenta che la società moderna ha interrotto il processo del potere per la maggior parte degli individui. Nelle condizioni preindustriali, raggiungere i propri mezzi di sussistenza (cibo, riparo, sicurezza) richiedeva sforzo, ingegno e autonomia, fornendo così soddisfazione psicologica una volta ottenuti risultati. Nel mondo industriale avanzato, al contrario, “uno sforzo minimo è necessario per soddisfare i propri bisogni fisici”: basta acquisire qualche competenza tecnica, trovare un impiego e “soprattutto [mostrare] semplice obbedienza” per essere mantenuti “dalla culla alla tomba” dal sistema (web.cs.ucdavis.edu). Il benessere materiale “automatico” erogato dalla società tecnologica, se da un lato elimina molte fatiche pratiche, dall’altro svuota l’esistenza di sfide personali autentiche. Gli uomini e le donne comuni non devono più lottare quotidianamente per la sopravvivenza o prendere grandi decisioni autonome: istruiti a svolgere un ruolo specialistico, inseriti in organizzazioni gerarchiche, funzionano come parti di un ingranaggio più grande. In questa condizione di eterodirezione, il naturale bisogno umano di impiegare energie verso mete significative non scompare, ma viene reindirizzato verso scopi artificiali. Kaczynski chiama questi surrogati di scopi “attività surrogate” (surrogate activities).
Le attività surrogate sono definite come quei progetti o occupazioni che “sono rivolti a un fine artificiale che le persone si prefiggono al solo scopo di avere qualche obiettivo da perseguire, o, per così dire, unicamente per il ‘soddisfacimento’ che deriva dal perseguimento dell’obiettivo” (thetedkarchive.com). In pratica, si tratta di obiettivi auto-imposti che non rispondono a bisogni biologici o necessità reali, ma che servono a compensare la mancanza di sfide significative. Kaczynski porta alcuni esempi storici e contemporanei: gli aristocratici annoiati dell’antica Roma si dedicavano ossessivamente alla retorica o alla caccia sportiva pur non avendone bisogno alimentare (web.cs.ucdavis.eduweb.cs.ucdavis.edu); l’imperatore giapponese Hirohito divenne un rinomato esperto di biologia marina – “un’attività surrogata, poiché se avesse dovuto spendere il suo tempo a procurarsi il necessario per vivere con attività pratiche varie e interessanti, non avrebbe sentito la mancanza di conoscere tutto sull’anatomia degli animali marini” (web.cs.ucdavis.eduweb.cs.ucdavis.edu). Nella società moderna, afferma Kaczynski, le attività surrogate abbondano: “la società moderna è piena di attività surrogate. Queste includono il lavoro scientifico, il raggiungimento atletico, l’impegno umanitario, la creazione artistica e letteraria, la scalata della gerarchia aziendale, l’acquisizione di denaro e beni oltre il punto in cui aggiungono soddisfazione fisica, e l’attivismo sociale su questioni marginali”(web.cs.ucdavis.eduweb.cs.ucdavis.edu). Molte di queste occupazioni – ricerca scientifica, sport, volontariato, collezionismo, perfino alcuni tipi di militanza politica – fungono da valvole di sfogo: canalizzano l’energia e l’ansia dell’individuo dandogli qualcosa da fare, un obiettivo arbitrario su cui concentrarsi, in assenza di scopi più fondamentali.
Secondo Kaczynski, le attività surrogate hanno una duplice natura. Da un lato, possono offrire un certo grado di soddisfazione: spesso chi vi si dedica trae più appagamento emotivo da esse che non dalle attività “banali” con cui soddisfa i propri bisogni primari (web.cs.ucdavis.edu). Ciò accade perché, a differenza del lavoro necessario imposto dalle esigenze del sistema, i progetti surrogati sono scelti volontariamente e permettono all’individuo di esercitare creatività e decisione. Kaczynski nota infatti che nelle attività surrogate “le persone generalmente hanno un ampio margine di autonomia nel perseguirle”, mentre “nella nostra società [le persone] non soddisfano i bisogni biologici in modo autonomo, ma funzionando come parti di un’immensa macchina sociale”(web.cs.ucdavis.edu). Questa autonomia relativa spiega il senso di realizzazione che, ad esempio, uno scienziato può provare nel portare avanti le proprie ricerche o un collezionista nel completare la propria collezione, anche se tali obiettivi non hanno un’utilità pratica diretta. D’altro canto, Kaczynski sottolinea che le mete surrogate rimangono, in ultima analisi, meno appaganti di quelle reali legate al processo del potere. Esse raramente conferiscono un senso di completo appagamento interiore: “per molti, se non per la maggior parte delle persone, le attività surrogate sono meno soddisfacenti della ricerca di obiettivi reali (cioè obiettivi che si vorrebbero raggiungere anche se il proprio bisogno del processo del potere fosse già soddisfatto). Un segno di ciò è il fatto che, in molti casi, le persone profondamente coinvolte in attività surrogate non sono mai soddisfatte, mai in quiete”(web.cs.ucdavis.eduweb.cs.ucdavis.edu). Infatti chi si dedica a un’attività surrogata tende a non accontentarsi mai del risultato raggiunto: “il cercatore di denaro cerca costantemente sempre più ricchezza. Lo scienziato, appena risolve un problema, passa al successivo. Il corridore di maratone si sforza di correre sempre più lontano e più veloce”(web.cs.ucdavis.edu). Questa corsa senza fine indica che i surrogati non colmano veramente il vuoto di significato lasciato dalla mancanza di un vero processo autodeterminato. Molti ammettono di dedicarsi con più entusiasmo ai loro hobby o carriere che non alla “noiosa” routine di mantenimento della vita, “ma ciò avviene perché nella nostra società lo sforzo necessario a soddisfare i bisogni biologici è stato ridotto alla banalità”. In definitiva, argomenta Kaczynski, le attività surrogate sono palliativi: alleviano in parte la tensione psicologica provocata dall’assenza di sfide significative, ma non possono eliminarla. Per molte persone “queste forme artificiali di processo del potere sono insufficienti”(web.cs.ucdavis.edu), il che le lascia in uno stato di perenne inquietudine. L’uomo moderno cerca disperatamente scopi da perseguire, ma finché resta all’interno del sistema tecnologico, sostiene Kaczynski, non potrà trovare una realizzazione autentica, poiché gli mancano sia la necessità sia la libertà di condurre una vita pienamente autodeterminata.”
PERDITA DI AUTONOMIA
Strettamente legata al tema precedente è la denuncia della perdita di autonomia dell’individuo nella società tecnologica. Per Kaczynski, l’avanzare del sistema industriale ha progressivamente eroso la capacità degli individui di dirigere la propria vita. Le decisioni un tempo prese a livello personale o comunitario vengono inglobate in meccanismi più vasti, e il comportamento umano è sempre più eterodiretto da esigenze tecniche. Nel manifesto si legge che “il sistema deve regolare da vicino il comportamento umano per poter funzionare” (thetedkarchive.com). Questa frase coglie la logica interna di una società iper-organizzata: per far sì che milioni di persone cooperino all’interno di strutture complesse (fabbriche, burocrazie, eserciti, reti globali), il sistema impone regole, routine e norme che lasciano poco spazio all’iniziativa individuale. Kaczynski fa notare come persino le scelte educative e i valori siano plasmati in funzione della macchina sociale: “se il sistema ha bisogno di scienziati e matematici, viene organizzata una campagna per spingere i giovani a studiare queste materie” (thetedkarchive.com). In questo modo, il rapporto mezzi-fini si inverte: invece che la tecnologia servire ai bisogni umani, sono gli esseri umani ad essere formati e indirizzati per servire le necessità del sistema tecnologico. L’uso di termini come “il sistema ha bisogno di…” (quasi fosse un soggetto vivo) evidenzia, come nota anche Michel Foucault, una capovolgimento dell’agency: il potere e l’iniziativa risiedono nel sistema, mentre le persone diventano semplici esecutori (thetedkarchive.com).
Kaczynski insiste sul fatto che la dipendenza degli individui dal sistema è ormai totale: l’uomo moderno non saprebbe sopravvivere al di fuori delle strutture fornite dalla società industriale, e per usufruirne deve conformarsi. Egli “non soddisfa i propri bisogni biologici autonomamente, ma funzionando come parte di un’immensa macchina sociale” (web.cs.ucdavis.edu). Ciò rappresenta una perdita di libertà sostanziale, anche se mascherata dall’apparente comodità. L’autonomia, intesa come capacità di auto-determinazione, viene sacrificata in nome dell’efficienza e della sicurezza materiale offerte dal sistema. Kaczynski afferma esplicitamente che “non c’è modo di riformare o modificare il sistema in modo da impedirgli di privare le persone della dignità e dell’autonomia” (web.cs.ucdavis.edu). In una società tecnologica avanzata, infatti, la maggior parte delle decisioni importanti (cosa produrre, come distribuirlo, quali rischi accettare, quali comportamenti sono consentiti) viene presa da apparati tecnici o burocratici che operano su scala di massa, mentre all’individuo resta solo la scelta tra opzioni preconfezionate (libertà formale ma non sostanziale). Kaczynski teme che col tempo la situazione peggiori: più il sistema diventa complesso, più stringenti saranno i vincoli sul comportamento dei singoli, fino a potenziali estremi di controllo bio-tecnologico dell’essere umano (un’ipotesi che anticipa le odierne discussioni su sorveglianza digitale, ingegneria genetica, ecc.). In sintesi, l’individuo viene addomesticato dal sistema. Questa idea di Kaczynski richiama la descrizione foucaultiana della modernità come fabbrica di “corpi docili”, ovvero individui resi docili e utili tramite disciplina e addestramento. Foucault nota che “la disciplina crea ‘corpi docili’, ideali per le esigenze dell’economia, della politica e della guerra nell’era industriale – corpi che funzionano in fabbrica, in reggimenti militari, in aule scolastiche”(en.wikipedia.org). Similmente, Kaczynski vede l’uomo tecnologico come un ingranaggio obbediente, formato per occupare efficacemente la propria casella (di produttore, consumatore, impiegato, ecc.) ma privo di autentica indipendenza.
Un altro aspetto della perdita di autonomia, secondo Kaczynski, è la progressiva scomparsa delle decisioni su piccola scala. Nel passato, molte questioni venivano risolte a livello individuale o nelle comunità locali (come costruire una casa, procurarsi il cibo, risolvere dispute); oggi, invece, si dipende da sistemi centralizzati e si è vincolati da leggi e procedure impersonali. Anche quando si crede di agire per scelta propria, spesso si sta solo seguendo un percorso prefabbricato. Kaczynski fa l’esempio dei lavori moderni: il lavoratore contemporaneo, pur impegnandosi intensamente per “guadagnarsi da vivere”, in realtà dedica la sua vita a eseguire compiti decisi da altri, perseguendo obiettivi aziendali o burocratici che non ha scelto. Egli “svolge i propri sforzi come parte di un’organizzazione enorme, sotto ordini rigidi, senza margine per decisioni o iniziative autonome”(web.cs.ucdavis.edu). Questo equivale a delegare la propria volontà al sistema. Alcuni individui, ammette Kaczynski, sembrano adattarsi a questa condizione: c’è chi ha uno scarso bisogno di autonomia personale e magari trova soddisfazione identificandosi con un’organizzazione potente (lo “sbirro buono” o il soldato modello che trae senso di potere dall’obbedire e appartenere a un corpo armato) (web.cs.ucdavis.edu). Ma per la maggioranza delle persone, egli sostiene, vivere senza sufficiente autonomia nel fissare e perseguire scopi porta a profonde sofferenze interiori. In definitiva, Kaczynski vede nella modernità una contraddizione insanabile: da un lato l’uomo necessita di autonomia per essere psicologicamente sano, dall’altro la mega-società tecnologica richiede obbedienza e conformità. La sua risposta, per quanto estrema, è risolvere la contraddizione eliminando il secondo termine: distruggere il sistema e tornare a condizioni in cui i singoli (o piccole comunità) possano riprendere in mano il controllo della propria esistenza.
Va notato che questa enfasi di Kaczynski sulla perdita di autonomia riprende motivi presenti in altre critiche della società industriale. Ad esempio, l’attivista e pensatore Ivan Illich negli anni ’70 analizzò come le istituzioni moderne (scuola, medicina, trasporti, ecc.) espropriano gli individui delle loro capacità, rendendoli dipendenti da esperti e macchine. Nel suo La convivialità (1973), Illich proponeva di limitare la scala della tecnologia e creare una “società conviviale” in cui “la libertà individuale [sia] realizzata nella reciprocità personale ed elevata a valore etico intrinseco”(cbhd.org). Egli denunciava il fatto che l’industrialismo ha “esternalizzato” bisogni e abilità umane in apparati tecnici, così che “le macchine sono divenute la fonte primaria di sussistenza nella nostra società, e l’uomo si limita ad operarle”(cbhd.org). Questo riecheggia la visione di Kaczynski dell’uomo moderno ridotto a operatore passivo di un sistema che lo nutre e lo controlla al contempo. La differenza è che Illich auspicava un cambiamento volontario e morale verso tecnologie adatte all’uomo (conviviali), mentre Kaczynski vede l’unica via in una rivoluzione contro l’intero apparato tecnologico.
SOVRASOCIALIZZAZIONE
Un altro concetto chiave nell’analisi psicologica di Kaczynski è quello di sovrasocializzazione (oversocialization), introdotto nel paragrafo 9 del suo manifesto. Per Kaczynski, la sovrasocializzazione è un processo attraverso il quale gli individui interiorizzano in modo eccessivo le norme e i valori imposti dalla società, fino al punto da soffocare l’autonomia, la spontaneità e la vitalità psichica. Egli scrive:
“Molti dei mali di cui soffre la nostra società moderna sono dovuti al fatto che essa forza la gente a comportarsi in modo eccessivamente socializzato.”
Per Kaczynski, essere socializzati è, in parte, inevitabile e necessario: ogni società insegna ai suoi membri a rispettare certe regole e comportamenti. Ma nella società industriale, questo processo si è iper-amplificato al punto da rendere molte persone psicologicamente ingabbiate.
La sovrasocializzazione crea soggetti iper-conformi, che reprimono i propri bisogni profondi per aderire al modello “giusto” definito dalla società moderna: produttivi, gentili, pacifici, cooperativi, “socialmente responsabili” – ma psicologicamente impoveriti.
Kaczynski osserva che la sovrasocializzazione è un potente strumento di controllo: se le persone si auto-puniscono per pensieri “sbagliati”, non c’è nemmeno bisogno della polizia o della censura. L’individuo interiorizza il sorvegliante.
In questo senso, il suo pensiero si avvicina a quello di Foucault, soprattutto all’idea di “governamentalità” e “potere pastorale”, per cui le società moderne esercitano il potere non solo attraverso la repressione esterna, ma attraverso l’introiezione del controllo.
Kaczynski, però, spinge la critica ancora oltre, affermando che la sovrasocializzazione non è solo un problema politico o etico, ma psicologico ed esistenziale: essa distrugge la possibilità dell’essere umano di svilupparsi in modo pieno, autonomo e vitale.
Un punto interessante che Kaczynski sviluppa è che molti attivisti progressisti, pur essendo critici verso aspetti della società, sono essi stessi sovrasocializzati. Per esempio, alcuni movimenti femministi, antirazzisti o ecologisti agiscono, secondo lui, più per senso di colpa e di dovere morale che per una spinta genuina di libertà. Scrive che questi attivisti:
“si sforzano di pensare e agire correttamente secondo gli standard della società, il che significa interiorizzare un gran numero di regole di comportamento e sentirsi in colpa per ogni pensiero o impulso che va contro queste regole”.
In questo, Kaczynski anticipa alcune critiche contemporanee al moralismo normativo e all’eccesso di “virtù pubblica” come forma di controllo.
Per chi volesse approfondire in modo integrale il pensiero di Unabomber, qui è possibile acquistare il suo manifesto. In alternativa, qui il libro in PDF (in inglese). Esistono in rete molti luoghi di approfondimento del suo affascinante e controverso modo di vedere il mondo: in particolare questo archivio, che raccoglie molto del materiale da lui pubblicato. Anche questo articolo. Progetto Razzia ha inoltre pubblicato qualche anno fa un video molto ben fatto, che richiede un ascolto attento. Meno di valore ma ugualmente interessante, le piattaforme hanno qualche anno fa divulgato la sua storia tramite una serie, Manhunt.
NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)