di Raffaele Avico
CONTESTO
Le tecniche di brain imaging consentono di osservare in tempo reale le zone del cervello che vengono coinvolte durante particolari accadimenti. In questo studio del 2012 i ricercatorindagarono la gestione del contatto oculare e le conseguenza di essere sottoposti a uno sguardo “diretto” tra persone con e senza stress post traumatico (PTSD).
L’ARTICOLO
Lo stress post traumatico potrebbe essere genericamente definito come un insieme di sintomi che si presentano conseguenti a un trauma (unico e grande, o minore ma ripetuto), tra cui problemi di insonnia, flashback vividi in cui ci si trova mentalmente immersi nel ricordo o scena traumatica, e una serie di sintomi riguardanti il corpo e le ripercussioni sul corpo del rivivere le memorie traumatiche (ricordi che, per usare una terminologia informatica, divengono embedded, o incarnati).
In questo esperimento, che utilizzava un software con un avatar che volgeva uno sguardo diretto al partecipante, veniva in tempo reale osservata la risposta al contatto oculare diretto. Si osservava che i due gruppi avevano risposte diverse: nel gruppo senza PTSD veniva coinvolta una zona del cervello più recente ed evoluta, con cui rappresentiamo la mente dell’altro e ci mettiamo in connessione. Nel gruppo con i soggetti soggetti a PTSD, invece, si osservava l’intervento di zone più antiche e profonde, all’interno del tronco dell’encefalo, che si attivano solitamente in caso di pericolo di vita e minaccia.
L’attivazione di queste zone più profonde, tra l’altro, disconnette le altre parti del cervello che ci permettono di entrare in contatto con gli altri, rendendoci di fatto a-sociali nel senso più letterale del termine, ovvero “non in grado” di affiliarci e creare connessione agli altri.
Questo studio ben evidenzia come, per coloro che sopravvivono a un trauma o più traumi cumulativi, la gestione del contatto oculare può rappresentare un primo ostacolo verso la possibilità di introdursi all’interno di un gruppo di pari, di creare un legame. Quando anche solo uno sguardo diretto è in grado di allarmarci, poiché percepito come intrusivo e violento, la gestione del rapporto nel suo divenire (che dovrebbe avvenire in un contesto di sicurezza percepita e assenza di ansia), diviene problematico e difficoltoso.
Uno sguardo, per chi sopravvive a storie traumatiche, è in grado di riattivare vissuti di minaccia: viene caricato di significati che spesso non trovano giustificazione nella situazione presente, ma hanno senso se pensati come connessi a qualcosa di passato, antico e mai veramente elaborato e digerito in senso relazionale.