di Raffaele Avico
CONTESTO
E’ di pochi mesi fa la notizia di un importante documento rilasciato dalla comunità psichiatrica statunitense a riguardo dell’utilizzo della ketamina in psichiatria, in merito alla lotta ai disturbi dell’umore (depressioni gravi, disturbo bipolare, alterazioni forti del tono dell’umore non controllabili dall’individuo).
L’ARTICOLO
Il consensus statement è stato rilasciato, come si osserva a questo link (https://jamanetwork.com/journals/jamapsychiatry/article-abstract/2605202), su Jama Psychiatry, una rivista americana con fattore d’impatto scientifico alto, cosa che conferisce alla notizia rilevanza e dà un’idea di quello che potrà succedere nel prossimo futuro in ambito di “avanguardia” psichiatrica.
Il consensus statement consiste in una review completa e approfondita di ciò che la ketamina ha rappresentato in termini scientifici negli ultimi anni, nel contesto della lotta alle depressioni gravi e ad altri disturbi dell’umore a base organica, e potrebbe essere schematizzato per punti come segue:
- è necessario fare un attento assessment e una selezione approfondita dei pazienti, per isolare i casi su cui un trattamento di questo tipo sia indicato (per questo è previsto che ogni paziente sia sottoposto a un pre-trattamento introduttivo e di preparazione)
- la dose di ketamina da somministrare, secondo i dati raccolti fin’ora, è di 0,5 mg/Kg (calcolando i Kg però a a partire dal BMI, cioè l’Indice di Massa Corporea), con un’infusione endovenosa della durata di 40 minuti.
Essendo la ketamina foriera di possibili complicazioni cardiovascolari e respiratorie, è raccomandato che la somministrazione del farmaco avvenga sotto stretto controllo medico; nel consensus statement è inoltre chiarito che ci si debba preparare alla comparsa di sintomi transitori (della durata all’incirca di un’ora) di natura psicotico-mimetica o dissociativi (la ketamina è una sostanza che riproduce in modo fedele uno stato mentale “psicotico”, con sensazione di avere mente e corpo scissi, oppure di essere all’infuori del proprio corpo, etc.).
- per quanto riguarda la frequenza del trattamento, 2 volte a settimana per un periodo fino a 4 settimane pare essere la soluzione migliore in termini di miglioramenti clinici osservati su pazienti categorizzati “gravemente depressi”, con una percentuale di risposta fino al 69%
- la somministrazione prevede uno stretto monitoraggio di tutti i parametri vitali, prima, durante e successivamente all’infusione; è previsto che il paziente torni a uno stato di “normalità” dopo un certo tempo successivo al trattamento, e che venga accompagnato da una figura adulta di supporto nel caso debba allontanarsi dal luogo dell’intervento
- la letteratura non contiene riferimenti a studi effettuati su un periodo superiore alle 3/4 settimane: nel consensus statement si raccomanda quindi di limitare al minimo l’uso di questo tipo di intervento visti anche i rischi in termini di possibili deterioramenti alle capacità cognitive (che andranno monitorate con il paziente nel corso del periodo di trattamento)
Nella parte finale dell’articolo, si richiede prudenza nell’allungare a più di 4 settimane il ciclo di trattamenti: allo stato attuale delle conoscenze, non si è in grado di prevedere quali potrebbero essere gli effetti sulla psiche del paziente in cura.
PROSPETTIVE
Le linee future, andranno quindi in direzione di un maggior numero di studi che indaghino gli effetti a lungo termine di questo tipo di intervento, andando oltre quindi l’entusiasmo per gli effetti positivi -definiti “robusti”- osservati a breve termine su pazienti che non rispondono a nessun altro tipo di trattamento (depressioni gravi). Sarebbe anche auspicabile, l’articolo conclude, la creazione di un registro da usare per raccogliere dati a proposito di questo nuovo ma promettente approccio.