di Raffaele Avico
Il saggio breve Lutto e Melanconia di Freud rappresenta un eccezionale documento ed esempio di lucidità descrittiva intorno al tema che porta in oggetto, oltre essere una testimonianza unica del talento narrativo di Sigmund Freud.
L’autore apre facendo una breve descrizione della differenza tra il lutto e la melanconia. Freud descrive il lutto come:
“la reazione alla perdita di una persona amata o di un’astrazione che ne ha preso il posto, la patria ad esempio, o la libertà, o un ideale o così via”,
che ha come conseguenze
“un doloroso stato d’animo, la perdita d’interesse per il mondo esterno – fintantoché esso non richiama alla memoria colui che non c’è più- , la perdita della capacità di scegliere un qualsiasi nuovo oggetto d’amore (che significherebbe rimpiazzare il caro defunto), l’avversione per ogni attività che non si ponga in rapporto con la sua memoria”.
Freud spiega inoltre come per compiere il lavoro del lutto debba essere effettuato uno spostamento di investimento libidico su un altro oggetto che non siano l’oggetto perso. Strutturalmente, tuttavia, l’uomo pare essere portato a mantenere per più tempo possibile l’adesione libidica verso l’oggetto (“gli uomini non abbandonano volentieri una posizione libidica”), e quindi il lavoro del lutto richiede tempo e richiede dei passaggi (per esempio, Freud sottolinea, il sovra-investimento di tutti i ricordi e le aspettative connesse all’oggetto perduto, che devono essere uno per uno abbandonati). Solo allora, Freud scrive, “l’Io ridiventa in effetti libero e disinibito”.
Per quanto riguarda invece la melanconia, Freud sottolinea che i pazienti melanconici paiono soffrire del lutto (intenso come perdita) per un qualcosa che però rimane “enigmatico”. Ovvero, sembra che il lavoro del lutto venga svolto al di sotto del livello della coscienza. Si sa che qualcosa si è perso, ma non si capisce bene cosa. Questo avviene in altri termini quando la perdita è “inconsapevole”. Le conseguenze di questo lavoro di elaborazione del lutto a livello sub-cosciente, Freud afferma, sono un progressivo svuotamento del senso dell’Io: in questo caso non è tanto il mondo a essersi svuotato di qualcosa (come nel lutto), quanto il senso dell’Io.
Freud afferma:
“ll quadro di questo delirio d’inferiorità (prevalentemente morale) è completato da insonnia, rifiuto del nutrimento e da un tratto notevolissimo sotto il profilo psicologico, ossia dal superamento di quella pulsione che costringe ogni essere vivente a restare fortemente attaccato alla vita“.
Freud prosegue notando come nel paziente melanconico esista una grande lucidità nel descrivere il suo stato interiore, come una limpidezza acquisita che gli consente ora di osservare dentro di sé la natura più psicologica e morale del suo essere. In questo caso, Freud dice, avviene una divisione verticale dell’Io, che si configura ora come scisso, e con una parte che critica l’altra: la coscienza (che rappresenta una delle parti dell’Io diviso) interviene a giudicare l’Io stesso da un punto di vista morale:
“Nel quadro morboso della melanconia emerge in primo piano, rispetto alle altre rimostranze, la riprovazione morale nei confronti del proprio Io; la valutazione di sé si basa assai più raramente su imperfezioni fisiche, bruttezza, debolezza, inferiorità sociale; solo l’impoverimento assume una posizione di rilievo fra i timori o le dichiarazioni del malato“
Inoltre, Freud sostiene, questo meccanismo di auto-accusa proverrebbe, a sua volta, da un atteggiamento di “rivolta” verso qualcosa di esterno, messo in piedi dal soggetto, solo in seguito rivolto a sé. A ben guardare la sintomatologia del paziente melanconico, Freud sottolinea, si nota che il soggetto melanconico rivolge a sé delle accuse che in realtà vorrebbe indirizzare all’esterno di sé:
“tutto ciò è possibile soltanto perché il loro modo di reagire continua a derivare da una costellazione psichica di rivolta, la quale poi, in virtù di un determinato processo, è evoluta fino a trasformarsi in contrizione melanconica“
Il processo citato in questo passaggio, Freud lo descrive come un passaggio anomalo dell’investimento libidico del paziente: trovandosi a dover abbandonare l’oggetto d’amore iniziale, e non riuscendo a investire in tempo breve su un altro oggetto, il soggetto melanconico sarebbe stato obbligato a far ricadere su di sé l’investimento libidico (lasciato “libero di fluttuare”), con però la conseguenza dell’instaurarsi di una “identificazione” con l’oggetto perduto (da qui la famosa espressione “l’ombra dell’oggetto [abbandonato] cade così sull’Io”).
A questo punto, si instaura secondo Freud un conflitto tra la parte critica dell’Io e l’Io stravolto dall’identificazione con l’oggetto abbandonato. In questo senso la melanconia si rivela essere il risultato di un investimento sull’Io di tipo narcisistico (che aiuta in qualche modo a preservare il legame con l’oggetto perduto, portando tutto “in casa dell’Io”)
Freud scrive:
“Quando l’amore per un oggetto si è rifugiato nell’identificazione narcisistica –ma si tratta di un amore a cui non si può rinunciare nonostante si sia rinunciato all’oggetto stesso – accade che l’odio si metta all’opera contro questo oggetto sostitutivo oltraggiandolo, denigrandolo, facendolo soffrire e derivando da questa sofferenza un sadico soddisfacimento”.
Freud dunque vede la melanconia come una distorsione del lutto, la quale prevede un ritiro narcisistico dell’energia libidica, energia poi riflessa sull’Io e che lo conduce, quando troppo potente, a comportamenti anche apertamente anti-conservativi come il suicidio (l’odio verso l’oggetto perduto viene riflesso sull’Io): in questo senso paragona la malattia melanconica ad una ferita aperta che attira su di sé “da tutte le parti energie di investimento e svuota l’Io fino all’impoverimento totale”.
A proposito invece dei sintomi della malattia melanconica, Freud cita l’insonnia (prodotta da un eccesso di investimento energetico rivolto su di sé) e il curioso fenomeno di riduzione della portata dei sintomi nelle ore serali. In conseguenza di questo, passa poi a descrivere lo stato contrapposto alla melanconia, ovvero la mania, che avviene in questo modo:
“in questi casi avviene qualcosa che fa sì che un grande spiegamento di energia psichica, sostenuto a lungo o trasformatosi in abitudine, a un certo momento diventi superfluo, talché questa energia è resa disponibile per molteplici impieghi e possibilità di scarica. Ciò si verifica ad esempio quando un povero diavolo è sollevato improvvisamente –perché gli piove addosso una grande quantità di denaro –dalla cronica preoccupazione per il pane quotidiano; o quando una lotta lunga e difficile è coronata infine dal successo; o quando,d’un tratto, riusciamo a liberarci da una pesante costrizione o da una posizione falsa in cui avevamo indugiato a lungo; e così di seguito. Tutte queste situazioni sono caratterizzate da un umore allegro, dai segni di scarica dati da un affetto gioioso e da un’accresciuta disponibilità a compiere ogni sorta di atti proprio come nella mania, e in assoluto contrasto con la depressione e l’inibizione tipiche della melanconia. Possiamo azzardarci a dire che la mania non è altro che un trionfo di questo genere, solo che anche questa volta l’Io ignora quali prove ha superato e perché sta cantando vittoria”
Come si nota, la mania rappresenta una cambio di posizione psichica in termini economici: le risorse vengono spese, reindirizzate, altrove, spostandosi dall’Io verso l’esterno, e producendo un senso di trionfo e di alleggerimento. Freud, tuttavia, conclude il breve saggio rimandando ad ulteriori approfondimenti che possano chiarire perché alla melanconia segua spesso una fase di mania, e non così, invece, nella fase di risoluzione del semplice lutto.
Per una lettura integrale: http://www.idipsi.it/it/wp-content/uploads/2014/09/lutto-e-malinconia.-S-Freud.pdf
NOTA BENE: se ti interessano la psicotraumatologia, la clinica del trauma e le avanguardie di ricerca, abbiamo attivato un Patreon per fornire contenuti mensili su queste tematiche. Trovi qui i nostri reward!