di Luca Proietti
La Psicoterapia Cognitivo Comportamentale (CBT) è indubitabilmente quella su cui si sono concentrati i maggiori sforzi per una validazione scientifica. Se da un lato l’impegno posto negli anni per validarla scientificamente abbia portato “buoni frutti” e sia da prendere come riferimento, d’altra parte assumere assolutisticamente che la CBT sia il trattamento Gold Standard in psicoterapia risulta pericoloso, o quantomeno prematuro. Due ricercatori tedeschi mostrano come molti degli studi che supportano l’efficacia della CBT siano in realtà viziati da errori che ne minano la validità. Pertanto, oggi più che mai, memori dell’era psicoanalitica, appare importante lavorare per una pluralità in psicoterapia. Questa è l’unica strada per giungere, tramite un confronto continuo e arricchente, ad un miglioramento della qualità e dell’efficacia dei trattamenti. Il mondo scientifico deve evitare il rischio di re-instaurare una dittatura monopolistica della validità in psicoterapia, ciò infatti andrebbe solo a scapito del progresso e della cura.
CONTESTO
La psicoterapia è uno dei trattamenti più dibattuti in ambito scientifico e non solo. La necessità di conformarsi ai criteri di validazione della medicina moderna, basati sulla evidence-based medicine, è sicuramente una garanzia nella valutazione dell’effettiva efficacia di trattamenti che, in passato, si fondava solamente sulla descrizione di serie di casi clinici, riportati da terapeuti di differenti approcci. Ad oggi la CBT è la psicoterapia che più facilmente, anche per le sue prerogative, si è interfacciata con il mondo evidence-based e degli studi scientifici. Questo, unito alle dimostrazioni di efficacia ottenute, ha fatto sì che la CBT sia stata eletta (quantomeno al contesto accademico della medicina) come il trattamento psicoterapeutico “Gold Standard”. Ma Gold Standard per chi, per cosa, e perché? Il rischio è quello di un “ritorno dell’uguale”, ovvero di rivivere predomini ideologici già vissuti e superati. Infatti, un tempo, quando si parlava di psicoterapia si pensava solo alla psicoanalisi. Oggi, viceversa, la tentazione è che guardando alla CBT si scotomizzino le altre forme di psicoterapia presenti.
Recentemente la rivista JAMA Psychiatry ha pubblicato una breve articolo di F. Leichsenring e C. Steinert, due ricercatori dell’università di Giessen in Germania, dal titolo “Is Cognitive Behavioral Therapy the Gold Standard for Psychotherapy? The Need for Plurality in Treatment and Research”.
A seguire un breve report su quanto sostenuto dagli Autori nell’articolo.
Link alla pagina pubmed https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28975264.
REPORT
Gli autori esordiscono sottolineando come circa il 75% dei pazienti preferisca la psicoterapia al trattamento farmacologico. Vi sono molti approcci di psicoterapia, ad esempio la terapia cognitivo comportamentale (CBT), la psicoterapia interpersonale o la psicoterapia psicodinamica. La CBT è generalmente considerata come il gold standard, la psicoterapia più efficace per il trattamento della maggior parte dei disturbi psichici. La divisione 12 della task force dell’American Psychological Association ha indicato la CBT come l’unica psicoterapia fortemente supportata da evidenze scientifiche, e lo sarebbe in almeno l’80% dei disturbi psichici.
Tuttavia gli autori evidenziano alcune criticità degli studi scientifici che supportano l’efficacia della CBT, in particolare: 1) la limitata qualità degli studi; 2) la debolezza dei test di confronto per il controllo dell’efficacia; 3) il fenomeno della devozione dei ricercatori (Researcher Allegiance); 4) I meccanismi che sono ipotizzati essere alla base del cambiamento non sono corroborati e infine 5) La CBT non è risultata efficace su tutti i disturbi. Vediamoli uno ad uno.
- Limitata qualità degli studi.
Una meta-analisi recente, basata sui criteri della Cochrane, sottolinea come solo il 17% degli studi di efficacia (trial clinici randomizzati o RCT) sulla CBT nei disturbi d’ansia e depressivi siano di alta qualità (Cuijpers et al., 2016). - Debolezza dei test di confronto per il controllo dell’efficacia.
Per testare l’efficacia di un intervento lo si confronta con diversi comparatori, in ordine decrescente di validità scientifica (sono un trattamento definito, il trattamento abituale, un placebo o l’inserimento in lista d’attesa). La CBT è stata confrontata con liste d’attesa in più del 80% dei 121 studi sui disturbi d’ansia e nel 44% di quelli sulla depressione maggiore. Ciò potrebbe aver portato ad una sovrastima della validità del trattamento, soprattutto se si considera che l’inserimento in lista d’attesa può anche rappresentare una condizione di tipo nocebo. - Devozione dei ricercatori.
La Researcher Allegiance (letteralmente devozione del ricercatore) è la credenza da parte del ricercatore nella superiorità di un dato trattamento. La devozione dei ricercatori, se non adeguatamente considerata, può influenzare i risultati dei trial clinici tramite scelte non pienamente consapevoli. In particolare i clinical trial sui traumi o sulla fobia sociale presentavano condizioni vantaggiose per la CBT, ma sfavorevoli per gli altri approcci (Wampold & Imel, 2015). - I meccanismi fondamentali ipotizzati alla base del cambiamento non sono corroborati.
Le psicoterapie a impronta cognitivista assumono che il miglioramento della sintomatologia si ottenga attraverso cambiamenti dei processi chiave di cognizione (come la triade negativa della depressione: visione negativa del sé, degli altri e del futuro). Una revisione della letteratura conclude che sebbene della CBT si sia dimostrata l’efficacia, l’assunto sul suo “meccanismo” di funzionamento sia ancora da corroborare. In altre parole, la psicoterapia è efficace ma non sappiamo completamente il perché (Kazdin et al., 2007). - La CBT non è una panacea per tutti i mali.
Diverse revisioni riscontrano una limitata efficacia della CBT. Ad esempio, studi di alta qualità sui disturbi d’ansia e depressivi dimostrano un’efficacia della CBT inferiore a quelli di bassa qualità (Cuijpers et al.,2016). Inoltre, negli studi di alta qualità la CBT ha mostrato una limitata differenza di efficacia rispetto al trattamento abituale (Cuijpers et al.,2016; Wampold & Imel, 2015). Infine, i tassi di risposta e remissione sono risultati moderati: quello di risposta nei disturbi depressivo-ansiosi è intorno al 50%, e quelli di remissione sono ancora minori.
Gli autori affermano come dopo la fase storica di prevalenza di un modello psicoanalitico in psicoterapia sia iniziata l’era CBT-centrica. La CBT è sicuramente di beneficio per molti pazienti ma non risulta “nettamente più efficace” degli altri approcci nel trattamento dei disturbi depressivo-ansiosi, di personalità o alimentari. E’ pertanto improprio, o quantomeno azzardato, considerarla “il” gold standard in psicoterapia.
Molti dei risultati riportati dagli Autori in questa disamina sono stati ottenuti da ricercatori CBT o indipendenti, per cui non dovrebbero risultare viziati da pregiudizi ideologici, inoltre non derivano da studi individuali ma da meta-analisi e revisioni sistematiche, aspetto che ne incrementa la validità. Dichiarare la CBT sia “il” gold standard in psicoterapia risulta dannoso non solo per le possibili implicazioni cliniche ma anche per il progresso scientifico, poiché i ricercatori di altri approcci potrebbero non avere opportunità uguali di finanziamento.
Ad oggi nessuna psicoterapia può essere dichiarata il gold standard e ciò sottolinea l’importanza della pluralità nei trattamenti e nella ricerca. Ogni psicoterapia basata sull’evidenza ha propri punti di forza, sia essa focalizzata su processi cognitivi, emozionali, interpersonali o inconsci. Un approccio plurale nella ricerca e nel trattamento è quello che permetterà di superare i limiti propri di ciascun modello, stimolando l’apprendimento reciproco in una dinamica di confronto volta a migliorare quello che è il fine ultimo di ogni trattamento: la cura del paziente.
BIBLIOGRAFIA
Cuijpers et al., How effective are cognitive behavior therapies for major depression and anxiety disorders? ameta-analytic update of the evidence. World Psychiatry. 2016;15(3):245-258.
Wampold & Imel. The Great Psychotherapy Debate: The Evidence for What Make Psychotherapy Work. 2nd ed. New York, NY: Routledge; 2015.
Kazdin. Mediators and mechanisms of change in psychotherapy research. Annu Rev Clin Psychol. 2007;3:1-27.