di Matteo Respino
In questo breve report facciamo il punto su alcuni concetti chiave riguardanti la dimensione non solo umana, ma anche clinica, della solitudine. Ci baseremo preminentemente sul lavoro e le pubblicazioni del Center for Cognitive and Social Neuroscience di Chicago, diretto fino a poco tempo fa da JT Cacioppo, eminente scienziato recentemente mancato, che con il suo lavoro ha contribuito ad enormi passi avanti nel campo delle neuroscienze sociali.
Prima di tutto occorre sottolineare come la solitudine sia un argomento, al confine tra scienze sociali, umane e neuroscienze, dalle grandissime potenzialità. Non solo si tratta di una condizione esistenziale che tutti attraversiamo, ma dal punto di visto scientifico il suo studio richiede tanto l’immergersi in aspetto evoluzionistici, biologici, quanto l’approfondimento di dimensioni sociologiche, culturali, etniche, linguistiche. La sua rilevanza ed il suo impatto sono ben descritti dallo stesso Cacioppo nella prima parte di uno dei suoi ultimissimi lavori, The growing problem of loneliness, pubblicato su The Lancet a inizio 2018 (link pubmed all’articolo: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29407030 ).
“Immaginate una condizione che rende una persona depressa, irritabile e concentrata su di sé, e che allo stesso tempo si associa ad un incremento del rischio di morte prematura del 26%. Immaginate poi che nei paesi industrializzati circa un terzo della popolazione soffre di questa condizione, una persona su 12 che ne soffre in forma severa, e che questi tassi sono in aumento. Reddito, educazione, sesso ed etnia non sono fattori di protezione. Questa condizione è contagiosa e non riguarda un particolare gruppo di individui vulnerabili, quanto piuttosto si manifesta in persone e situazioni ordinarie. Questa condizione esiste: la solitudine”.
Vi sarebbe molto da scrivere in merito, e qui di seguito offriamo solo alcuni spunti orientativi.
Per approfondimenti, oltre all’articolo sopra citato, suggeriamo la revisione della letteratura “Toward a Neurology of Loneliness” (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=toward+a+neurology+of+loneliness ) e soprattutto il magnifico Ted Talk, da non perdere assolutamente, dello stesso Cacioppo :
- La solitudine è una condizione in crescita. Lo U.S. Census Bureau dice che al 2010 gli americani che vivono da soli erano 30 milioni. Nel 2050 saranno tra i 43 e i 57 milioni. Sempre più individui, nel mondo occidentale, ne soffrono, ma non ne parlano. Perché?
- La solitudine è fortemente stigmatizzata. Come spiegato da Cacioppo nel suo Ted Talk, “sentirsi soli” è ancora oggi considerato il corrispettivo psicologico dell’essere dei “falliti” dal punto di vista sociale.
- La solitudine non corrisponde all’introversione del carattere, alla depressione come forma clinica o all’isolamento sociale oggettivo. Si tratta di figure cliniche differenti.
- La solitudine si avvicina invece di più all’isolamento sociale “percepito”. Insomma, non importa che tu sia realmente circondato da persone o viceversa isolato: ciò che induce questo stato soggettivo è sempre la percezione di alienazione dal contesto sociale, indipendentemente da quante persone si ha attorno. Non solo l’isolamento reale è in crescita, ma anche quello percepito: il 40% degli anziani negli USA si percepisce socialmente isolato (Perissinotto, 2012).
- La solitudine uccide. L’aumento di mortalità per solitudine è circa 2 volte maggiore quello indotto dall’obesità e 4 volte maggiore quello indotto dall’inquinamento dell’aria (Holt-Lunstad, 2010) (N.B.: questi sono dati che, come medico, credo siano veramente impressionanti).
- Come uccide, la solitudine? Una prima, storica ipotesi è stata quella del “controllo sociale” (social control hypothesis). Secondo tale teoria il contesto sociale spingerebbe l’individuo, attraverso influenze esplicite e/o obblighi interiorizzati, a pratiche quotidiane maggiormente salutari, favorendone indirettamente una più lunga sopravvivenza. Un esempio tipico di questo meccanismo è, ad esempio, l’osservazione che l’essere sposati si associa ad una maggiore probabilità di praticare esercizio fisico (Pettee, 2006). Il focus su questa ipotesi ha portato però, per un certo tempo, a dare troppo peso alle relazioni sociali effettive e a scotomizzare gli elementi/modelli neurobiologici della solitudine. Molta letteratura ha ormai infatti mostrato come la teoria del controllo sociale sia solo parzialmente in grado di spiegare gli effetti nefasti della solitudine sulla salute (aumento di mortalità), i quali sembrano legati all’isolamento sociale percepito, un effetto che va al di là dell’isolamento sociale oggettivo.
- Anche se, in merito a come l’isolamento sociale percepito modifichi la biologia del nostro cervello ed aumenti la mortalità, una risposta certa/un modello descrittivo completo ancora non esista, esistono molte evidenze di come la solitudine produca effetti biologicamente rilevanti, come aumento dell’aggressività, declino cognitivo, aumento del picco cortisolemico mattutino, un’anomala frammentazione del sonno (Cacioppo, 2016), un’alterazione del funzionamento delle reti neurali cerebrali (Wong, 2016).
- Nel complesso il modello attuale sembra quindi sostenere che la condizione di isolamento sociale percepito induca uno “stato cerebrale” caratterizzato da una maggiore attivazione di quei sistemi di valenza negativa, di risposta allo stress, di attesa ipervigile a possibili minacce, che condizionerebbe in maniera incredibilmente negativa gli outcome di salute reale degli individui.
Mi piace concludere questo breve report citando di nuovo il grande Cacioppo, uno scienziato che mancherà immensamente alla nostra comunità.
“Concludendo, sia in termini ontogenici che filogenici, i membri di questa specie hanno bisogno dell’aiuto e della compagnia di altri per sopravvivere e per prosperare […]”
BIBLIOGRAFIA
Cacippo et al. The growing problem of loneliness. Lancet. 2018 Feb 3;391(10119):426
Cacioppo et al. Toward a neurology of loneliness. Psychol Bull. 2014 Nov;140(6):1464-504
Holt-Lunstad et al. Social Relationships and Mortality Risk: A Meta-analytic Review PLoS Med. 2010 Jul; 7(7): e1000316
Perissinotto et al. Loneliness in older persons: a predictor of functional decline and death. Arch Intern Med. 2012 Jul 23;172(14):1078-83
Pettee et al. Influence of marital status on physical activity levels among older adults. Med Sci Sports Exerc. 2006 Mar;38(3):541-6.
Wong et al. Loneliness in late-life depression: structural and functional connectivity during affective processing. Psychol Med. 2016 Sep;46(12):2485-99.