di Luca Proietti
E’ stata recentemente pubblicata una revisione della letteratura che dà dignità scientifica all’influenza che il contesto, la componente relazionale e la comunicazione esercitano sugli effetti dei trattamenti. Gli autori ci raccontano come questi aspetti producano il rilascio di neurotrasmettitori con attivazione di aree cerebrali, proprio come avviene con l’assunzione di farmaci attivi. La comunicazione e la relazione non sono quindi solo aspetti da demandare all’umanità e alla personalità del terapeuta, ma veri e propri strumenti in grado di indurre effetti terapeutici.
Recentemente la rivista Neuroscience ha proposto una review di Carlino e Benedetti, dal titolo “Different Contexts, Different Pains, Different Experiences”. Elisa Carlino è una psicologa ricercatrice del dipartimento di neuroscienze dell’Università di Torino che da alcuni anni lavora con il Prof. Fabrizio Benedetti, uno dei maggiori esperti mondiali nel campo della ricerca sull’effetto placebo. Benedetti, già docente presso l’università di Torino, svolge anche ricerca presso i laboratori di Plateau Rosa a Cervinia. A seguire un breve report su quanto sostenuto dagli Autori nell’articolo. Link alla pagina pubmed: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=different+contexts+different+pain+different+experiences+benedetti.
REPORT
Il dolore è una sensazione soggettiva che non può essere attribuita solo all’input di informazioni nocicettive percepite dalle terminazioni nervose: fattori cognitivi, emozionali e altri input sensoriali ne modulano la sua percezione. Ad esempio, essere concentrati su uno stimolo distraente fa provare meno dolore, mentre emozioni negative o odori spiacevoli ne fanno provare di più.
I fattori che possono influenzare la percezione dolorosa derivano dal contesto, pertanto l’ambiente offre opportunità per la gestione del dolore, e in generale per aumentare l’efficacia dei trattamenti. L’effetto Placebo e Nocebo permettono di studiare l’influenza che un ambiente positivo e negativo ha su un trattamento, e i meccanismi neurobiologici coinvolti. Di seguito riportiamo alcuni dei fattori del contesto terapeutico:
Fattori del contesto terapeutico
Esterni | Interni |
Proprietà fisiche del medicinale | Credenze personali |
Aspetto della stanza | Speranze e aspettativa nei confronti della terapia |
Il personale sanitario presente | Il ricordo dei trattamenti passati |
L’attrezzatura medica presente | Tratti psicologici |
La relazione medico-paziente | Variabili genetiche |
Gli autori spiegano come l’effetto placebo si possa instaurare tramite due meccanismi: uno conscio e uno inconscio. Il primo coinvolge l’aspettativa positiva: fattori che “dicono” al paziente che sta ricevendo un intervento potenzialmente benefico (un setting di aspetto piacevole, la presenza di attrezzatura medica e una buona relazione con il medico possono aumentare l’efficacia terapeutica, riducendo lo stato d’ansia e attivando i circuiti della ricompensa)
Il secondo meccanismo è una forma di condizionamento classico, per cui assumendo ripetutamente un dato farmaco creiamo un’associazione tra gli effetti del principio attivo e le caratteristiche fisiche del preparato: in questo modo in futuro mi basterà assumere una pillola inerte, fisicamente uguale a quella attiva, per sperimentarne gli effetti farmacologici.
I sistemi neurobiologici coinvolti nell’algesia placebo sono l’oppioide (quello su cui agiscono morfina ed eroina) e l’endocannabinoide (quello su cui agisce la cannabis THC e CBD): l’attivazione di uno piuttosto che dell’altro dipende dal farmaco a cui il paziente è stato pre-esposto e dall’assetto neurobiologico e recettoriale del paziente. Anche il sistema dopaminergico ha un ruolo nell’effetto placebo con l’attivazione del Nucleo Accumbens e l’intervento del meccanismo della ricompensa. L’Ossitocina e la Vasopressina, altri due neuro-ormoni, sono anch’esse coinvolte nelle risposte placebo stimolate da fattori sociali.
Un tipo particolare di analgesia-placebo non procurata da farmaci è la Reward Analgesia. Essa è alla base del meccanismo per cui il significato che attribuiamo a un dolore ne cambia la percezione: quello da cancro è percepito come più spiacevole di quello post-operatorio e il dolore indotto sperimentalmente è tollerato maggiormente se associato alla credenza di un beneficio. In quest’ottica il sollievo dal dolore può essere visto come una forma di ricompensa, questo tipo di effetto analgesico è anch’esso mediato dal sistema oppioide e dal sistema cannabinoide che si attivano in maniera complementare con percentuale diversa da soggetto a soggetto. L’imaging mette in luce ridotta attività di alcune aree cerebrali (dell’insula, della c. cingolata) e aumentata attività del sistema di reward (n. accumbens, c. orbitofrontale mediale e c. prefrontale ventromediale).
L’effetto nocebo può essere prodotto sperimentalmente tramite suggestioni verbali negative e osservato nella vita di tutti i giorni. La cefalea causata da false credenze sull’uso del cellulare e malattie di massa psico-indotte sono esempi di suggestioni negative, indotte in questo caso dai report sulla salute o dai mass-media. L’effetto nocebo è alla base anche dell’infezione sociale, processo per cui suggestionando una persona riguardo la possibilità di sviluppare di un dato sintomo per una condizione presente (per esempio l’ipossia indotta dall’altitudine), le persone che hanno avuto contatti con quella persona sviluppano quel sintomo con più facilità. Altri esempi sono l’inversione dell’effetto di pomate analgesiche tramite suggestioni verbali negative; l’aumento della percezione dolorifica dopo aver ricevuto una diagnosi di cancro e la comparsa nei “gruppi placebo” i sintomi collaterali uguali a quelli dei gruppi trattati col farmaco.
Nella pratica clinica una cattiva relazione medico-paziente induce il verificarsi di un effetto nocebo, che riduce così la risposta alle terapie.
Anche l’effetto nocebo è indotto dai meccanismi di condizionamento e aspettativa, in questo caso rispetto all’effetto placebo, l’aspettativa negativa sembra più importante. Ciò implica una grande importanza del contesto negativo nell’inficiare l’outcome terapeutico.
Un’ultima possibilità per studiare l’influenza del contesto è quella di eliminarlo somministrando un farmaco senza avvertire il paziente (somministrazione nascosta). Analgesici (morfina, ketorolac, buprenorfina, tramadolo e metamizolo) somministrati in questo modo mostrano notevole riduzione della loro efficacia. Il Remifentanil (analgesico oppioide),se somministrato avvisando il paziente, mostra un maggiore effetto analgesico e una maggiore attività nella c. dorsolaterale prefrontale e cingolata anteriore pregenicolare rispetto alla sua somministrazione nascosta. Analogamente si può interrompere la somministrazione di un trattamento (sospensione nascosta), senza che il paziente ne sia consapevole. In questo caso alla sospensione farmacologica si assiste a un minore effetto rebound rispetto a quello che si verifica con la sospensione consapevole.
PROSPETTIVE
Per concludere abbiamo visto quanto il contesto che circonda la terapia possa influenzare l’efficacia del trattamento sia in maniera positiva che negativa o indurre la comparsa di effetti collaterali, e ciò avviene sia che i terapeuti ne siamo coscienti o no. I clinici pertanto dovrebbero studiare sempre più in maniera sistematica i fattori del contesto, primo tra tutti la comunicazione, per potenziare l’effetto dei trattamenti e prevenire il possibile effetto nocebo.