di Raffaele Avico
In questo articolo sono stati effettuati degli esperimenti in vivo su pazienti affetti da Post Traumatic Stress Disorder (PTSD) a cui veniva praticato l’EMDR, utilizzando l’elettroencefalografia (EEG) com strumento di monitoraggio funzionale. Qui abbiamo spiegato cos’è e quali sono le evidenze al momento più accreditate a riguardo dell’EMDR. Questo esperimento ha visto sottoporre a EEG 10 pazienti con PTSD (valutati con EEG sia nella prima che nell’ultima seduta EMDR), ponendoli a confronto con un gruppo di controllo di 10 soggetti sani (esposti in precedenza a eventi traumatici ma non attualmente sintomatici). La registrazione EEG è stata eseguita in modo continuativo durante il riposo, l’ascolto passivo di un testo che descriveva l’evento traumatico, e la seduta EMDR.
Lo studio ha permesso di monitorare, inoltre, in che modo variassero, ed in quali circostanze, le reti di neuroni attivate nel corso della somministrazione dell’EMDR.
Come altrove abbiamo discusso, l’ipotesi a riguardo del funzionamento dell’EMDR sono varie e poco certe: inizialmente si pensava che, praticando la stimolazione bilaterale a un paziente affetto da PTSD, l’attivazione di aree cerebrali deputate a elaborare la memoria del trauma, si trasferisse da un emisfero all’altro, come conseguenza del movimento orizzontale e laterale degli occhi. Altri autori hanno proposto la forse più plausibile ipotesi del doppio-distrattore: “distrarre” la memoria somatica nel corso della rievocazione del trauma, per mezzo della stimolazione bilaterale, avrebbe concesso all’individuo la libertà sufficiente per accedere alla memoria episodica del trauma stesso.
Le ipotesi sono ancora controverse e contraddittorie. Questo studio ha per primo esplorato quali fossero le singole aree attivate nel corso di un protocollo di EMDR somministrato, arrivando a risultati interessanti:
- il principale risultato, osservato sia durante l’ascolto del ricordo traumatico che durante la terapia EMDR, mostra come nella prima seduta si verifichi un’attivazione di aree prefrontali e limbiche, durante l’ultima si osservi invece un’attivazione di aree visive.
- la maggiore attivazione prefrontale nella prima seduta potrebbe collegarsi al ruolo chiave di quest’area nei processi di “auto-valutazione” dei contenuti mnesici generati dall’individuo, come anche alla sua attivazione come correlato della “soppressione” di ricordi/pensieri indesiderati
- la maggiore attivazione di aree sensoriali ed associative, temporali ed occipitali (giro fusiforme e corteccia visiva), dopo il ciclo di terapia EMDR suggerisce invece uno shift, mediato dalla terapia EMDR, verso un’elaborazione della memoria traumatica più efficace e anatomicamente ristretta, in maniera simile a ciò che avviene per ogni comune dato sensoriale.
L’ipotesi che gli autori fanno in questo studio, è che in effetti l’EMDR produca uno spostamento in senso neuroanatomico del luogo di elaborazione del trauma, da zone più frontali del cervello, a zone posteriori, e da livelli più profondi e impliciti, a zone più corticali ed esplicite.
Quest’ipotesi non contraddice tra l’altro l’ipotesi del doppio distrattore: la somministrazione bilaterale effettuata entro il protocollo EMDR, consentirebbe di “aggirare” provvisoriamente l’accensione spropositata della corteccia pre-frontale (in seguito al ricordo traumatico) per spostare la memoria del trauma in zone più “sicure” in senso cerebrale, e più agevoli all’elaborazione del ricordo.
Questa ipotesi, come è evidente, si poggia sull’idea che un ricordo traumatico abbia un suo “luogo” di elaborazione, e che la memoria, in qualche modo, sia “incarnata” in senso neuronale (cioè che il lavoro della memoria sia effettuato dal cervello in determinate reti neuronali, che possono variare, ognuna con caratteristiche diverse).
A proposito dell’ipotesi del “doppio distrattore”, questo articolo ha avuto l’obiettivo di indagare se creare un’interferenza al momento dell’accesso da parte di un soggetto al “taccuino visuo-spaziale” (un registro della memoria), potesse diminuire la vividezza delle stesse immagini rievocate, rendendole più innocue e meno attivanti. Lo studio ha fornito risultati incoraggianti per chi soffre di PTSD, soggetto a pesanti flashback e intrusioni di immagini molto violente, vivide e non modificate dal tempo.
Questo aspetto inerente l’elaborazione delle immagini, la presenza di un distrattore che interferisce e stoppa una risposta dolorosa, ricorda da vicino la teoria “del cancello” di ambiente neurologico, ben spiegata qui. La trasmissione degli impulsi dolorosi nelle fibre nervose, può essere manipolata attivamente in modo da depotenziare una sensazione di dolore (per esempio se si sfrega un ginocchio dolorante, il convergere di due stimolazioni contemporanee con natura diversa, ne mitiga una, procurando un senso di sollievo dal dolore stesso).