di Matteo Respino
In questo breve pezzo riassumiamo i contributi di O. Kernberg alla concettualizzazione del lutto, per come descritti nell’articolo “Some Observations on the Process of Mourning”, pubblicato dallo stesso Autore sull’International Journal of Psychoanalysis nel 2010. La tesi principale è che l’elaborazione del lutto, piuttosto che una fase transitoria, sia un processo di modificazione stabile, permanente della struttura di personalità dell’individuo. Link all’articolo.
Il lutto è stato spesso studiato nel contesto di quadri patologici, come ad esempio la depressione maggiore. In medicina, tuttavia, per studiare in maniera appropriata la meccanica di un “processo” è sempre bene focalizzarsi, quantomeno inizialmente, sulla fisiologia piuttosto che sulla patologia, ovvero sulla natura di un fenomeno in condizioni di “normalità”. In questo articolo Kernberg ha approfondito il concetto di lutto nel suo sviluppo più fisiologico, sulla base di numerosi casi clinici da lui osservati. Inoltre, mentre molta letteratura sull’argomento si è focalizzata in passato su altri tipi di lutto (il lutto, ad esempio, del genitore per un bambino o viceversa), in questo caso Kernberg ha investigato le dinamiche del lutto “di coppia”. Il protagonista di questo articolo è pertanto il lutto “normale”, sperimentato da una persona sufficientemente sana, che ha perso il proprio/la propria compagna di vita.
Lasciamo il lutto patologico ad un futuro approfondimento.
In primo luogo Kernberg descrive alcuni casi clinici di persone sufficientemente sane andate incontro alla perdita della persona amata, evidenziando alcune caratteristiche fenomenologiche comuni:
- la persistenza, a distanza anche di molti anni dalla perdita del compagno, di una relazione fantasmatica con esso; per citare l’Autore: “one man said that, 30 years after her death, he still consulted with his wife whenever it came to important decisions..” oppure “one man felt that […] there was a split between one part of himself that felt alive and one that felt as if he had crossed over into a different world to be with his lost wife”
- la persistenza, a distanza anche di molti anni dalla perdita del compagno, di vivi sentimenti di dolore che possono emergere improvvisamente, scatenati da stimoli imprevisti, sul fondo di una tristezza “low-tone”, ovvero di lieve intensità, ma cronica e stabile
- la convinzione che il compagno esista ancora, in qualche realtà altra, un pensiero non necessariamente legato a credenze religiose
- nella fase acuta del lutto, fenomeni allucinatori o pseudoallucinatori sono molto comuni. Sebbene questi tendano a recedere dopo la fase acuta del lutto, la “conversazione” o “dialogo interiore” con la persona scomparsa persiste nel tempo anche a distanza di molti anni
- l’identificazione con le componenti dell’altro che ammiriamo e/o ci mancano di più, le quali avranno un grande ruolo nella trasformazione caratterologica che il lutto normale porta con sé, e che spesso aiutano la persona a superare le fasi più critiche/dolorose del lutto stesso.
Sul lutto è stato scritto molto e qui l’Autore fa soprattutto riferimento, in ambito psicoanalitico, al lavoro di Freud in Lutto e Malinconia e a Melanie Klein con la sua descrizione di come il lutto riattivi, nel soggetto in grado di tollerarla senza regredire, la posizione depressiva.
Circa il lavoro di Freud, Kernberg ci dice che sì, è vero, avviene un processo di identificazione dell’oggetto perduto, ovvero di “modificazione della rappresentazione del Sé sotto l’influenza della rappresentazione dell’altro”. L’Autore fa però un passo in avanti, sostenendo che tale processo di identificazione è solo l’inizio di una relazione oggettuale interiore tra le due rappresentazioni del Sé che si manterranno in dialogo costante. Non solo. La natura “dolorosa” di questo processo deriverebbe proprio dalla compresenza di un’assenza reale e di una relazione oggettuale sentita come assolutamente viva.
Per quanto riguarda il lavoro della Klein, Kernberg in questo articolo enfatizza soprattutto, a partire dal concetto di posizione depressiva riattivata, il ruolo del rimorso e della conseguente riparazione. Secondo l’Autore, nel corso del lutto normale si crea un potente spinta riparativa a partire da sentimenti “sani” di colpa, come l’idea/la sensazione di non aver fatto abbastanza o di aver perso delle opportunità di condivisione. Tale sentimenti (di nuovo, in condizione di normalità) producono una potente riparazione nella forma dell’interiorizzazione di nuovi valori: avviene quindi un cambiamento strutturale del super-io.
L’Autore sostiene: “there is a growth of the motivation and capacity to relate daily life with ethical aspiration and meanings” ovvero “c’è una crescita della motivazione e della capacità di mettere in relazione la vita quotidiana a significati e aspirazioni etiche”.
In conclusione, l’Autore sostiene che il lutto normale non si limita ad essere una fase transitoria di elaborazione, della durata “classica” di 6 mesi-1 anno, ma produce piuttosto una modificazione permanente delle strutture caratterologiche dell’individuo attraverso il mantenimento di una relazione interiore con l’oggetto, l’interiorizzazione dei suoi sogni/aspettative, nonché di componenti etiche derivate dalla sua scala di valori. Nel complesso, sostiene Kernberg, un lutto normale esita in un rafforzamento della ricerca spirituale e della capacità individuale di amare.