Da una visione categoriale dei disturbi, a una visione dimensionale della psicopatologia. Che significa? Questo articolo, breve ma importante, pubblicato su World Psychiatry esorta all’assunzione di un nuovo paradigma di tassonomia psicopatologica, più complesso e nuovo. Molti scienziati vedono nell’attuale DSM-5 un sistema chiuso e di fatto “già vecchio” per classificare i disturbi psichici.
Seguendo una classificazione da DSM-5, due pazienti che presentino, entrambi, disturbi gravi del sonno, abulia, apatia, scarsa motivazione e difficoltà a concentrarsi, verranno diagnosticati come depressi entrambi, e presi in carico come tali, al di là del fatto che la natura della sofferenza soggettiva sia molto diversa (per esempio, uno potrebbe soffrire di un PTSD cronicizzato e l’altro uscire da un lutto di difficile elaborazione).
Abbiamo già parlato in un precedente articolo degli studi di Borsboom et al. a proposito dei sintomi psichiatrici concettualizzati come nodi un sistema complesso, in cui ogni variabile influenza le parti: seguendo un simile principio epistemologico questo altro studio, che vede circa 70 autori raccolti in consorzio (questa la pagina del progetto) propone una ridefinizione e un nuovo modo, “gerarchico,” di considerare i disturbi, come si osserva in questa immagine:
Questo schema rappresenta un tentativo di concettualizzare i sintomi psicopatologici usando dimensioni più varie ed inserendoli in una griglia che si fonda su una grossa distinzione iniziale, ovvero quella tra disturbi da ESTERNALIZZAZIONE, quelli da INTERNALIZZAZIONE, più alcuni “spettri” di disturbo a sé (dissociazione, disturbi del pensiero, disturbi somatoformi), per un totale di 6 spettri maggiori.
Come si legge lo schema? Prendiamo per esempio il DOC: in questo contesto va letto come un disturbo afferente allo spettro da internalizzazione, il cui sottofattore specifico è la paura, declinato poi in modo soggettivo da paziente a paziente. Oppure: il disturbo bipolare, come si osserva, va qui inteso come un disturbo a cavallo tra lo spettro da internalizzazione e quello definito “disturbo del pensiero”, avente come sottofattore specifico l’elemento “mania”. Il PTSD, in questa lettura, viene visto come un disturbo da internalizzazione avente come sottofattore specifico lo stress (nota bene: il fatto che il disturbo depressivo maggiore venga assimilato al PTSD la dice lunga su quanto il leggere alcune forme di depressione come tentativi “esausti” di fronteggiare una situazione di distress, come faceva Giovanni Liotti, fosse in anticipo sui tempi).
Questo modo di pensare ai disturbi psichiatrici si svincola dalle categorie del DSM, osservando dal “basso” le manifestazioni dei disturbi stessi così da raggrupparli e assimilarli in modo più “naturale”.
Il criterio di aggregazione e organizzazione dei sintomi, che ha “creato” lo schema riportato, è stato un criterio di COVARIAZIONE e COMORBILITA’ (cioè: quanto i sintomi variavano insieme/parallelamente? Quanto si manifestavano sempre accoppiati?).
Vedere l’insieme dei sintomi come un sistema complesso in cui ogni variabile può influenzarne un’altra ha consentito a questi ricercatori di sviluppare una nuova visione d’insieme, e di conseguenza una nuova tassonomia dei disturbi stessi, come sintetizzato in figura.
Già in precedenza alcuni studiosi avevano tentato di creare delle ultra-categorie di disturbi, svincolandosi dalle categorie classiche del DSM per produrne di nuove, basate su criteri di classificazione diversi.
In questo articolo viene esortata l’assunzione di questo modo di intendere l’insieme dei disturbi mentali poiché:
- paragonata alla classificazione standard, una concettualizzazione dimensionale dei disturbi appare più informativa, “naturale” e affidabile
- la dimensionalità dei concetti legati alla psicopatologia è più utile in ambito di ricerca
Inoltre, questo tipo di tassonomia dei disturbi sembra contemplare in misura maggiore l‘impatto di alcuni elementi sotto-stimati nelle precedenti modalità di categorizzazione dei disturbi, come lo sviluppo infantile “traumatico”; inoltre, appare meglio allineato con la questione “debolezza” genetica (riferita alla predisposizione allo sviluppo di un disturbo psichiatrico).
Questa tassonomia, come già accadeva sul DSM, non include l’eziologia dei disturbi, limitandosi a una descrizione dei “fenomeni” strettamente fenotipica, basata sul loro “manifestarsi”.