di Raffaele Avico
Questo testo musicato dai CSI (voce di Giovanni Lindo Ferretti, basso di Gianni Maroccolo), è tratto da un racconto di Beppe Fenoglio, e ha titolo “Il gorgo”. Come sappiamo, Beppe Fenoglio, oltre a scrivere di guerra e resistenza, descrisse con drammaticità le condizioni di vita dei contadini piemontesi, e in particolare dei piemontesi langaroli, a ridosso della seconda guerra mondiale. Per esempio, ne La Malora, come qui approfondito, in pieno stile neorealistico Fenoglio ci descrive in modo crudo, impietoso, la saga di una famiglia contadina costretta a mandare i figli a lavorare altrove già dalla tenera età, per sfuggire, o sopravvivere appunto, alla “malora”, cioè a uno stato di miseria catastrofica.
Ne Il Gorgo, racconto ambientato nelle Langhe nel 1935/36 (dal racconto si evince che il più grande dei figli è in Abissinia a combattere contro i “mori”), viene descritto il salvataggio, da parte di un bambino, di suo padre (“decisosi per il gorgo”, ovvero decisosi al suicidio per annegamento). Il testo, pur breve, è di incredibile valore per la raffinatezza con cui Fenoglio ci racconta delle sfumature emotive, psicologiche, della vicenda, di cui riportiamo due aspetti in particolare:
- La solitudine di un rapporto di accudimento invertito. I bambini cresciuti a fianco di genitori fragili in senso psichiatrico, o che attraversano momenti di grande sofferenza psicologica, vengono costretti a una “progressione traumatica” (usando una terminologia usata da Sandor Ferenczi) in seguito a una “inversione di attaccamento”, che li costringe a prendersi cura del genitore sofferente, come se ne fossero il genitore o lo psichiatra. Nei tristi casi in cui questo accade, ci troviamo in presenza di bambini iper-maturi, altamente controllanti, “genitorializzati”, simili a piccoli adulti, spesso prostrati e impegnati in tumultuosi rapporti con genitori in difficoltà, rapporti da un lato forieri di crescita (sempre Ferenczi li chiamava “wise babies”, bambini saggi), dall’altro disturbanti poiché traumatici (il bambino viene esposto con brutalità a difficoltà non confacenti alla sua età e, ciò che è più importante, viene sottratto alla condizione di normale protezione -fisica- da parte del genitore).
Ne “Il gorgo”, intuiamo questa inversione dal racconto:“in tutta la nostra grossa famiglia soltanto io lo capii, che avevo nove anni ed ero l’ultimo. […] Non so come, ma io capii a volo che andava a finirsi nell’acqua, e mi atterrì, guardando in giro, vedere che nessun altro aveva avuto la mia ispirazione: nemmeno nostra madre fece il più piccolo gesto, seguitò a pulire il paiolo, e sì che conosceva il suo uomo come se fosse il primo dei suoi figli.
Eppure non diedi l’allarme, come se sapessi che lo avrei salvato solo se facessi tutto da me. […] Ma adesso ero più sicuro che ce l’avrei fatta ad impedirglielo, e mi venne da urlare verso casa, ma ne eravamo già troppo lontani. Avessi visto un uomo lì intorno, mi sarei lasciato andare a pregarlo: «Voi, per carità, parlate a mio padre. Ditegli qualcosa», ma non vedevo una testa d’uomo, in tutta la conca.” - Telepatia. Fenoglio descrive la vicenda sottolineando più volte come tra tutti i componenti della famiglia, il più piccolo dei fratelli sembri l’unico ad aver sufficientemente lungimiranza da intuire che il padre, dicendo di “voler scendere al Belbo” per “voltare delle fascine”, in realtà intende andare a “finirsi nell’acqua”. Parte da questa intuizione, come leggiamo, l’inseguimento del padre, verso il gorgo, nella speranza di poterlo fermare.
Alcuni aspetti del comportamento e dello stato mentale del padre sono da mettere in luce: nel suo proposito suicida, il padre sembra assorbito in uno stato mentale che oggi potremmo definire, se provassimo a leggere la vicenda usando una prospettiva psicotraumatologica, dissociato, e questo lo si evince da alcuni riferimenti che Fenoglio, tramite lo sguardo del bambino, fa al suo comportamento –dapprima rabbioso, poi assorbito, infine risolto (sul finale): “A questo punto lui si voltò, si scese il forcone dalla spalle e cominciò a mostrarmelo come si fa con le bestie feroci. Non posso dire che faccia avesse, perché guardavo solo i denti del forcone che mi ballavano a tre dita dal petto, e sopratutto perché non mi sentivo di alzargli gli occhi in faccia, per la vergogna di vederlo come nudo.
Mio padre, la sua testa era protesa, i suoi occhi puntati al gorgo ed allora allargai il petto per urlare. In quell’attimo lui ficcò il forcone nella prima fascina, e le voltò tutte, ma con una lentezza infinita, come se sognasse. E quando l’ebbe voltate tutte tirò un sospiro tale che si allungò d’un palmo. Poi si girò. Stavolta lo guardai, e gli vidi la faccia che aveva tutte le volte che rincasava da una festa con una sbronza fina.”
Fenoglio usa lo sguardo del bambino per raccontarci di un climax interiore del padre -che procede dall’avvento del proposito suicida, fino al suo discioglimento-, climax che possiamo solo intuire, tuttavia indicativo della profonda connessione, telepatica, tra le menti del figlio/genitore e del genitore reale. Una connessione quasi-telepatica tra figlio e genitore (con il bambino altamente competente nel prevedere, intuire e leggere gli stati mentali del genitore, così da poterlo meglio “guarire” o gestire -con il fine ultimo, tuttavia, di garantirsi uno stato di sicurezza), è tipico dei casi di attaccamento invertito, come largamento approfondito nel lavoro di ricerca e divulgazione di Giovanni Liotti.
Il racconto si conclude con il ritorno a un ordine più naturale delle cose:
“Tornammo su, con lui che si sforzava di salire adagio, per non perdermi d’un passo, e mi teneva sulla spalla la mano libera dal forcone ed ogni tanto mi grattava col pollice, ma leggero come una formica, tra i due nervi che abbiamo dietro il collo”
Alcuni autori, come qui leggiamo, hanno ipotizzato una lettura metaforica de Il Gorgo, con il bambino a rappresentare la spropositata assuzione di responsabilità e nascente impulso di rivolta di chi, al tempo, osservò la classe dirigente (la classe dei padri) cedere sotto il peso insostenibile del regime fascista, con la conseguente nascita del movimento di Resistenza.
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