Contributo di grande importanza per comprendere la visione “psicotraumatologica” della realtà clinica, è stato quello negli ultimi anni fornito dal Prof. Stephen Porges, neurofisiologo statunitense che ha teorizzato le basi neurofisiologiche di alcune delle risposte post-traumatiche.
Il modello proposto da Porges rappresenta una prospettiva nuova di lettura delle problematiche psichiche a partire da alcuni assunti che potrebbero essere così sintetizzati:
- Ogni volta che reagiamo a uno stimolo, attiviamo una risposta neurofisiologica di diversa intensità che dipende da come valutiamo lo stimolo stesso (se più o meno preoccupante, più o meno pericoloso): questo processo avviene in modo pre-cognitivo, al di sotto del livello della coscienza (oppure, per essere più specifici, tanto rapidamente da essere al di fuori delle tempistiche di realizzazione cosciente della reazione stessa).
- Il processo di valutazione dello stimolo è chiamato neurocezione; è plausibile che la soglia di attivazione dell’allarme si sposti in alto o in basso a partire da fattori soggettivi (storia personale di attaccamento -come studiato da Giovanni Liotti-, fattori temperamentali)
- La risposta neurofisiologica del corpo rappresenta quanto un certo stimolo ci attiva: quanto ci allarma o quanto al contrario ci comunica un senso di stabilità e tranquillità. Esistono degli indizi di pericolo che il cervello intuitivamente e pre-cognitivamente riconosce, che dipendono da elementi non verbali (prosodia della voce di chi ci parla, lettura della parte superiore del volto degli esseri umani o degli animali, postura, frequenza dei suoni percepiti – siamo più portati a interpretare le frequenze basse come pericolose : tutti indizi che ci portano a valutare un certo stimolo come più o meno pericoloso).
A seguito del processo di neurocezione, esistono tre possibili risposte, che usano tre canali differenti, come sintetizzato in figura e in seguito approfondito:
La teoria polivagale contempla la messa in attività di tre “canali” neurali differenti, a seconda del tipo di risposta:
- IL NERVO VAGO VENTRALE – innerva la maggior parte degli organi sovra-diaframmatici (evolutivamente è più recente)
- Il SISTEMA NERVOSO SIMPATICO
- IL NERVO VAGO DORSALE – innerva gli organi sotto-diaframmatici (evolutivamente più antico)
Per capire i diversi tipi di risposta, Porges suggerisce di usare l’immagine del semaforo, dove a ogni colore corrisponde un diverso assetto di attivazione neurofisiologica, e un comportamento finale differente:
RISPOSTA VERDE: lo stimolo è interpretato come non pericoloso o moderatamente attivante: viene coinvolto il nervo vago ventrale, che innerva i muscoli del volto (in particolare è coinvolta la parte superiore del viso, maggiormente espressiva) e gli organi sovra-diaframmatici (qui più dettagli in senso anatomico), e ha la funzione di modulare la risposta del sistema nervoso simpatico frenandone l’attivazione (il “freno del vago”). Questo circuito viene definito Social Engagement System (SES), e rappresenta la risposta sociale del sistema nervoso autonomo. Attraverso il SES, noi cerchiamo il contatto oculare e somatico con l’altro, cosa che ci permette di modulare il nostro stato neurofisiologico a partire dal contatto con lo stimolo stesso (che sia un uomo, una donna, un animale, etc.). In questo stato, cerchiamo idealmente una risposta di immobilità senza paura, cioè uno stato di tranquillità in presenza dell’altro. Questo tipo di risposta rappresenta una risposta socialmente adeguata, in presenza di qualsivoglia stimolo, nel corso della nostra quotidianità. Il problema si presenta quando lo stimolo viene percepito come pericoloso: in questo caso vi è una risposta di mobilizzazione (risposta gialla).
RISPOSTA GIALLA: pre-cognitivamente, attraverso la neurocezione, interpretiamo lo stimolo come molto pericoloso. Interviene il sistema nervoso autonomo simpatico che ci porta ad attivarci in due modi: in un primo momento cerchiamo la fuga; poi, quando questa non è possibile, produciamo un attacco allo stimolo/”predatore”. Questa risposta è primitiva ed è definita di attacco/fuga (in inglese è flight/fight, che rappresenta anche la sequenza esatta dei comportamenti, con la fuga come prima risposta, l’attacco come ultima risorsa). L’attivazione del sistema nervoso simpatico avviene perché i precedenti -gerarchicamente- sistemi di modulazione della risposta fisiologica (il Social Engagement System) non hanno funzionato; essendo bypassato il SES, la risposta attacco e fuga non tiene conto dell’altro: è una risposta non sociale (anti-sociale). Questa riposta conduce idealmente a una mobilizzazione, ad un movimento.
RISPOSTA ROSSA: quando lo stimolo è soverchiante, e il rischio di vita è reale, il Sistema Nervoso Autonomo mette in atto una risposta molto antica, attivando la via del nervo vago-dorsale (risposta dorso-vagale), che conduce al collasso dei sistemi di risposta sia in termini di mobilizzazione (attacco e fuga) che in senso pro-sociale, e produce il comportamento di feigned death (finta morte): la persona sviene (sincope dorso-vagale) oppure vengono prodotti sintomi di natura dissociativa in cui la mente si distrae da sé stessa, annullandosi. Vengono immobilizzati tutti gli organi sotto-diaframmatici, essendo innervati dal nervo dorso-vagale. Evoluzionisticamente la finta morte ha avuto una funzione di difesa estrema in caso di predazioni eccessive e soverchianti.
Aspetti clinici della teoria polivagale di Porges
Considerando gli aspetti più clinici, queste tre differenti risposte, mediate da circuiti nervosi distinti, possono essere messe in atto in situazioni di trauma percepito differenti (per definizione il trauma è una situazione di pericolo percepito, con diversi gradienti di intensità, unico o ripetuto/cumulativo). Ricordiamo che la riposta psicofisiologica avviene pre-cognitivamente, prima e al di sotto del livello della coscienza. La risposta al trauma dipende dalla rappresentazione “neurocettiva” che la persona fa del trauma stesso nel mentre che lo stesso accade.
La rappresentazione dello stimolo è genealogicamente connessa alla storia di vita del paziente, ed è figlia delle memorie relazionali conservate dalla persona, nel senso che è sempre soggettiva e collegata a quello che la persona ha già vissuto in passato.
Osservare la risposta neuro-fisiologica di un paziente può darci delle informazioni sul suo stile prevalente di modulazione della risposta agli stressor: osservare se sia preservato l’uso del SES, o se invece il paziente risponda prevalentemente in senso di flight/fight, o se ancora presenti cronicamente stati di “collasso” indotti da una risposta più antica (dorsovagale), ci può dare indicazioni diagnostiche e portarci a intuire con più precisione la storia della “sua” risposta ai traumi subìti e attuali.
È interessante osservare che la sindrome polivagale (per come è stata definita dallo stesso Porges) possa coniugarsi per la persona in uno stile ricorrente di risposta agli stimoli. La possibilità di rispondere seguendo tutte e tre le vie (SES, flight/fight, all’occorrenza una risposta dorsovagale) in modo adeguato e proporzionato al contesto, rappresenta un giusto modo di affrontare le difficoltà nel quotidiano ed è indicativo di un buon equilibrio nelle risposte. Uno stile di modulazione troppo incentrato su una singola modalità, risulterebbe disadattativo.
In linea con le considerazione espresse precedentemente e riprese da Giovanni Liotti, la teoria polivagale conduce a una ri-lettura possibile di alcune diagnosi: per esempio, una depressione potrebbe essere riletta e ripensata come una risposta dorso-vagale “cronicizzata” messa in atto nel contesto di uno stress post-traumatico complesso. Seguendo questa linea di lettura (e questo Liotti l’ha descritto molto bene nel suo Sviluppi traumatici) possono essere messi in discussione alcuni “stili” relazionali, o di attaccamento. Uno stile evitante (A) potrebbe essersi costruito nel tentativo di adattamento a uno stress post-traumatico a sua volta generatosi in un ambiente disorganizzato/disorganizzante e potentemente traumatico (per esempio un ambiente da attaccamento D). Quindi uno stile A potrebbe essere visto come secondario e originato da uno stile D in qualche modo “compensato” o “gestito”.
Questi fenomeni clinici sono stati definiti strategie di controllo (ne abbiamo scritto qui). Le strategie di controllo permettono di evitare e controllare l’accesso alla coscienza del trauma grazie a una serie di comportamenti messi in atto in senso relazionale (per esempio, rendere l’altro dipendente da sè, quando non si sia in grado di affidarcisi, poiché l’affidarsi “accenderebbe” il primevo stile D, potentemente traumatico; oppure evitare l’intimità con l’altro, raffreddando il rapporto, etc.).
Per un approfondimento, qui.
Ecco un’immagine esplicativa. Come si nota, esistono fasi diverse che vengono tentate e progressivamente bypassate quando non funzionali, fino al sovraggiungere della sindrome dorsovagale: