di Luca Proietti
L’aumento progressivo della prevalenza delle demenze e la mancanza, ad oggi, di cure risolutive per queste, offre spazi in cui la pseudomedicina può svilupparsi. Noi professionisti possiamo vivere il proliferare della pseudomedicina come una sfida, documentarci e formarci al fine di instaurare un dialogo costruttivo con i nostri pazienti; oppure, arrenderci nel viverla solamente come una minaccia alla nostra professionalità.
Joanna Hellmuth, Gil Rabinovici e Bruce Miller sono ricercatori californiani di riferimento per i disturbi neurodegenerativi e le demenze. Sulla prestigiosa rivista scientifica JAMA dello scorso Febbraio hanno espresso la loro opinione nei confronti della così detta Pseudomedicina per la cura della demenza, nell’articolo: “The rise of Pseudomedicine for Dementia and Brain Health”
Gli autori chiamano in causa i fattori che hanno portato ad un aumento della Pseudomedicina negli USA:
- L’innalzarsi dell’età media della popolazione statunitense e con questa l’aumento della prevalenza della malattia di Alzheimer.
- La mancanza, ad oggi, di trattamenti risolutivi per il morbo di Alzheimer.
- La possibilità di accedere a informazioni “non controllate” sul web.
Con il termine pseudomecina si riferiscono ai trattamenti medici e alle integrazioni terapeutiche a norma di legge, che spesso sono promossi come scientificamente validati, ma che mancano in realtà di dati credibili che ne supportino l’efficacia. Di solito coloro che praticano la pseudomedicina rispondono al bisogno di trovare cure per patologie gravi per cui non sono ancora disponibili, riportano testimonianze personali come se fossero dati scientifici, propongono terapie non supportate e spesso ne traggono guadagni economici.
Per quanto riguarda le patologie neurodegenerative, il più comune esempio di pratiche di pseudomedicina è la promozione di supplementi dietetici per migliorare le performance cognitive e lo stato cerebrale. Secondo gli autori questa attività genererebbe un indotto monetario di 3.2 bilioni di dollari, anche grazie alla pubblicità tramite giornali, radio, televisione e internet. Gli autori ricordano che nessun supplemento alimentare si è dimostrato efficace nel prevenire il declino cognitivo e la possibilità di sviluppare demenza; in effetti ad oggi solo uno o pochi integratori alimentari hanno evidenze scientifiche nel rallentare la progressione della malattia, ma non esiste ancora un trattamento, farmacologico o non, in grado di prevenire la demenza.
Gli integratori alimentari inoltre non sono sottoposti a controlli della US FDA, l’organo che garantisce l’efficacia e la sicurezza dei farmaci per gli Stati Uniti, e spesso oltre ad essere costosi possono avere importanti effetti collaterali, ad esempio aumentare il rischio di emorragie cerebrali.
Secondo gli autori tali prodotti sono supportati da quella che Feynman definisce “cargo cult science”, “Scienza del culto dei cargo”, cioè da ricerche scientifiche che in apparenza seguono i precetti e la forma del mondo scientifico, ma in realtà mancano di rigore e sostanza.
Feyman in un passo citato dagli autori, afferma che uno dei fondamenti dell’integrità scientifica è l’obbligo di riportare anche dati che possano contraddire o alimentare dubbi sulla propria teoria. Fondamento su cui tante volte anche la medicina accademica inciampa, come nel caso dello scandalo della non pubblicazione di studi che dimostravano l’inefficacia dei nuovi antidepressivi (Kirsh, 2009), o la generale tendenza a pubblicare solo gli studi con esiti positivi (Leichsenring & Steinert, 2017). L’altra differenza tra la ricerca pseudoscientifica e le sperimentazioni scientifiche è che in queste ultime non vi deve essere un guadagno diretto da parte dei medici che propongono il trattamento sperimentale, vengono esplicitati gli effetti collaterali e la possibile non efficacia del trattamento.
Un’ulteriore categoria della pseudomedicina è quella dei trattamenti basati su non provate teorie delle cause di disturbi neurodegenerativi come la tossicità da metalli, l’esposizione a muffe, malattie infettive e il morbo di Lyme, per cui vengono proposti interventi di detossificazione, nutrizione, terapie chelanti e antibiotiche non rimborsate dalle assicurazioni e prive di supporti scientifici.
La pseudomedicina fa leva sulla speranza di famigliari e pazienti di trovare una cura per malattie gravi, per cui ancora non si dispone di cure, e propone trattamenti che non sono eticamente, scientificamente e finanziariamente accettabili.
Cosa deve fare quindi il professionista che ha in cura un paziente che richiede trattamenti della pseudomedicina?
- Far percepire al paziente e ai famigliari che comprende le motivazioni che li portano a richiedere un tale trattamento.
- Instaurare un dialogo aperto, senza arroccarsi su una supposta superiorità e senza prese di posizioni aprioristiche.
- Fornire un’interpretazione scientifica onesta delle evidenze a supporto e contro il trattamento, e un’analisi dei costi-benefici.
- Esprimere la volontà di continuare a collaborare con i pazienti nelle loro cure mediche anche se le opinioni sulla pseudomedicina differiscono.
BIBLIOGRAFIA
- Hellmuth et al., “The rise of Pseudomedicine for Dementia and Brain Health”, Jama 2019, 321, 6, 543-544.
- Kirsh, “The Emperor’s New Drugs- Exploding the Antidepressant Myth”, 2009, The Boadley Head, London, 2009
- Leichsenring & Steinert, “Is Cognitive Behavioral Therapy the Gold Standard for Psychotherapy? The Need for Plurality in Treatment and Research”, JAMA, 2017 318, 14, 1323-1324.