di Raffaele Avico
La prospettiva cognitivo/costruttivista/evoluzionistica (comunque si voglia chiamare lo spettro teorico in ambito di psicoterapia che va da Liotti a Guidano, da Stephen Porges a Daniel Siegel, insomma tutta la “terza onda cognitiva” con i diversi precursori) tende a tralasciare i contenuti di pensiero, per focalizzarsi sui processi.
Che significa? Alcune cose più di altre:
- non è tanto importante che il paziente pensi qualcosa di giusto in senso etico, che insomma pensi “pensieri corretti” o ripuliti, non perversi, etc; l’importante è che, nel farlo, il suo stato di benessere si mantenga elevato o preservato. In quest’ottica, interpretare i sogni è una bestialità: ciò che andrà indagato, qualora si volesse approcciare un sogno in ambito di psicoterapia, sarà la qualità delle emozioni tramite esso sperimentate. Sognare di rubare porterà con sé un senso di timore persecutorio (per dire) che andrà esplorato, ma non ci renderà ladri o potenziali ladri, neanche per un secondo, alla mente del terapeuta. Non andrà cioè intepretato il fatto che in sogno sia apparso il tema “furto”, men che meno come un possibile desiderio rimosso di rubare, o un qualcosa che abbia a che fare con una pulsione soggettiva inerente il furto: la mente procede per salti e si posa su contenuti che spesso sono da interpretare come “errori” o “contenuti superflui o dannosi” – come sanno gli individui colpiti da disturbo ossessivo perseguitati da immagini di sé nell’atto di uccidere o violentare, per esempio, senza essersi mai neanche lontanamente sognati di desiderare una cosa del genere. Sognare di uccidere qualcuno, in quest’ottica, non avrà rilevanza se non quello di offrire “materiale” di lavoro in termini di emozioni sperimentate in concomitanza con l’attività onirica stessa (aggressività, rabbia, furia, per esempio).
- La lettura del “funzionamento” del paziente a partire dal concetto della finestra di tolleranza di Daniel Siegel, come qui approfondito, dà vita a un modello di intervento clinico che si incentra sul concetto di “equilibrio” e di “omeostasi”: è importante cioè che il paziente preservi un senso di regolazioni emotiva, al di là di ciò che pensa. In psicoterapia non contraddiremo un terrapiattista o un paziente delirante, per fare un caso estremo: l’importante è che nel suo sistema di funzionamento queste convinzioni rappresentino per lui/lei un punto di equilibrio o una garanzia di stabilità
- un terapeuta proveniente da questo orientamento teorico darà meno spazio agli aspetti relazionali, concentrandosi maggiormente sui processi di pensiero soggettivi del paziente che ha davanti. Non avrà dunque la funzione di correggere in senso relazionale il paziente, ma di aiutarlo a promuovere uno sviluppo individuale che origini da un senso di maggiore consapevolezza dei propri meccanismi. In questo senso uno dei riferimenti assoluti in Italia (per quanto concerne il lavoro sulla meta-cognizione) è Antonio Semerari, con il suo libro “I disturbi di personalità. Modelli e trattamento. Stati mentali, metarappresentazione, cicli interpersonali”
- Il concetto di “inconscio” è qui rivisitato in termini di “funzionamento sottocorticale”, il che origina da due impulsi teorici che convivono: la teoria del cervello trino o tripartito di MacLean (qui approfondita) e il principio gerarchico sull’organizzazione delle funzioni cerebrali e della mente di Hughlings-Jackson (approfondito qui), secondo cui la mente e il cervello sono formati da aree più o meno recenti che organizzano l’elaborazione delle informazioni e di conseguenza le risposte comportamentali secondo un principio di gerarchia in cui le aree più recenti frenano quelle più profonde e antiche.
Questo modello di lettura della mente nasce da una considerazione “evoluzionistica” della mente, rappresentata come uno strumento in dotazione all’essere umano che lo/la guida verso ciò che in teoria è per lui/lei il bene, inducendolo a ripetere e ricercare attivamente esperienze piacevoli, e a rifuggire quelle spiacevoli (quando tutto va bene: crescere in un contesto traumatico, come sappiamo, confonde questo meccanismo). In questo senso ciò che classicamente veniva chiamato inconscio, viene qui letto come “ciò che sta al di sotto del livello della neocorteccia e spinge l’uomo in una certa direzione senza che lui/lei ne sia pienamente cosciente”. Non è dunque, l’inconscio, un contenitore pieno di cose rimosse e di rappresentazioni proibite o perverse, ma un luogo profondo di ricordo entro il quale si celano le più antiche memorie relazionali, che guideranno l’individuo verso la ricerca future di altre relazioni, di altri contesti, esperienze surrogate di quelle vissute nel contesto di quei primi, importanti anni di vita (in questo sta un punto in comune con le teorie di taglio psicodinamico). Ciò che è importante sottolineare è che una concezione di questo tipo di “inconscio”, ripulisce quest’ultimo dai fantasmi di paranoia che la sua concezione classica (dietrologica, criptica e potenzialmente connotata da perversione) portava con sé.
Esiste un articolo scritto a quattro mani da Antonio Onofri e Giovanni Liotti che esprime questa visione, gerarchica, del funzionamento del cervello e del concetto di inconscio; è stata scritta come introduzione a un volume scritto da Antonio Onofri: lo mettiamo in free download qui: teorie bottom up psicotraumatologia. In questo articolo, molto chiaro, viene formulato un distinguo tra le due tipologie di inconscio (secondo la prospettiva di Freud e secondo la prospettiva di Jackson/Janet); viene inoltre sottolineato come la ricerca più recente sembri avvalorare maggiormente il modello di Janet, che si articola intorno al principio gerarchico prima citato:
“Riassumendo al massimo, potremmo dire che secondo il sistema gerarchico delle funzioni di coscienza proposto da Janet, la funzione di realtà e la presentificazione costituiscano i livelli superiori, la sintesi personale un livello intermedio, e gli automatismi sub-coscienti i livelli inferiori. L’eccesso di tensione psicologica nei livelli inferiori della gerarchia (di cui l’esempio prototipico sono le emozioni veementi attivate dalle memorie traumatiche) porterebbe così all’esaurimento della tensione anche nei livelli superiori, e quindi all’emergere degli automatismi in uno stato soggettivo di coscienza alterata. Ecco emergere chiaramente, da questa sintesi, l’importanza che Janet attribuiva ai processi bottom-up nella genesi della sintomatologia posttraumatica. Freud, invece, sottolineava come fossero le funzioni dell’Io a generare le influenze patogene, attraverso l’esclusione difensiva dalla coscienza di impulsi ed emozioni e la formazione dell’Inconscio proprio come conseguenza della rimozione, privilegiando così i processi top-down nello spiegare l’origine dei sintomi (sia quelli legati a memorie di eventi traumatici sia quelli più generali legati a conflitti interiori fra le esigenze dell’Es e quelle del Super-Io).”
In ultima analisi, ciò a cui stiamo assistendo, è una lenta metamorfosi della psicoterapia, in atto da anni, con una maggiore tendenza normalizzante, che contempla la possibilità che l’uomo pensi qualsiasi cosa senza che questo significhi in modo determinato alcunchè, e finalmente laica, ripulita dei suoi aspetti occultamente moralistici.