di Raffaele Avico
Vivere un trauma significa essere stati esposti a un evento che mette a rischio l’incolumità fisica o mentale di un individuo. Pensiamo per esempio a incidenti d’auto, episodi a forte impatto come una guerra civile, o ancora terremoti e rapine. Dobbiamo pensare quindi a un evento che irrompe nella vita del soggetto, creando uno spartiacque tra le esperienze della sua vita. A seguito di un trauma esisterà sempre un prima e un dopo, con la vita divisa in due parti, un libro diviso in due grandi capitoli, separati dal trauma.
A volte, poi, è sufficiente osservare le esperienze di qualcun altro perché in noi si produca una risposta post-traumatica.
L’elemento centrale, e più importante da tenere in mente, è che il trauma mette in crisi il senso di stabilità e sicurezza di un individuo, rendendolo meno saldo sui suoi piedi, per così dire, e creandogli uno stato di mancanza di sicurezza percepita in pratica costante, apparentemente invincibile. Il senso di non avere più luoghi protetti o sicuri dove poter riposare la mente e trovare ristoro, diventa in poco tempo talmente impegnativo da sopportare, da creare nel soggetto uno stato di esaurimento psichico spesso confuso con depressione.
Il PTSD è stato studiato in particolare su soggetti provenienti da contesti di guerra: pensiamo per esempio al film American Sniper, dove il protagonista al ritorno da condizioni di guerriglia civile e costretto in quell’ambito a eseguire molteplici omicidi per ragioni militari, precipita in una sorta di incubo a occhi aperti che lo porta lentamente a svuotare di significato le sue relazioni attuali e in pratica a una sorta di suicidio sociale. Lo possiamo però trovare in molteplici altri contesti: l’impatto di un trauma dipende da fattori soggettivi, e lo stesso evento potrà avere ripercussioni molto diverse. È molto difficile prevedere che tipo di risposta potrà avere un individuo a seguito di una vicenda traumatica e potenzialmente letale per la propria vita: uno dei più conosciuti studiosi in questo ambito, Peter Levine, descrive nel suo libro Somatic Exeriencing di essere scampato al PTSD conseguente a un incidente automobilistico potenzialmente per lui letale grazie a una grande capacità di osservare il suo stesso corpo e a una figura rassicurante accorsa sul luogo dell’incidente subito in seguito allo stesso.
Il PTSD è stato definito anche una patologia della memorizzazione. Perché? A seguito di un trauma, il meccanismo di elaborazione e di immagazzinamento dei ricordi si altera, ed è come se nel flusso dei ricordi della vittima si impiantassero ricordi vividi, che tenderanno a rimanere inalterati dal tempo e a ripresentarsi alla coscienza della persona senza perdere il proprio potere allarmante e attivante sul piano fisico. Per questo infatti si dice che il trauma non viene ricordato, ma rivissuto. Il concetto centrale, che permette tra l’altro di fare una sorta di diagnosi semplificata di PTSD, è che il ricordo traumatico mantiene la sua vividezza per molto tempo a seguito del trauma e che l’accedere a questi ricordi procura una forte attivazione a livello fisico attraverso palpitazioni, tachicardia, senso di panico, oppure senso di distacco e alterazione dello stato della coscienza, e in questo caso parliamo di tipologia di PTSD con sintomi dissociativi.
3 AREE
Un aspetto che andrebbe approfondito, è che il PTSD ha delle ripercussioni su tre aree del funzionamento della persona, principalmente.
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La prima area è quella, come dicevamo prima, della memoria. In altre parole, alcuni ricordi rimangono come incagliati nel flusso di ricordi e pensieri, divenendo disturbanti e attivanti, non diventando mai cose passate, ma permanendo con il loro carico ingombrante nel presente dell’individuo, in questo modo eclissandone, per così dire, anche l’idea di futuro.
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La seconda area, è quella della coscienza, intesa come capacità di vigilanza e orientamento, non sempre garantiti dal PTSD soprattutto se in presenza di sintomi, come dicevamo dissociativi. I Sintomi dissociativi sono il risultato di un’alterazione a scopo difensivo della coscienza che si restringe per evitare di consentire l’accedere delle memorie traumatiche, si deforma perché l’attenzione diviene un’attenzione selettivamente evitante di tutto ciò che potrebbe anche lontanamente ricondurre all’esperienza traumatica, e spesso in qualche modo si intorbidisce a seguito di un processo di detachement, ovvero di dissociazione leggera sempre a scopo di difesa dai percetti mnestici a contenuto traumatico. Mentalmente, a seguito di un trauma, diventiamo evitanti perfetti di tutto ciò che potrebbe triggerare il ricordo traumatico: non sarà quindi un evitamento di fotografie, strade, luoghi, persone, per fare esempi banali, ma saranno anche ricordi e luoghi della memoria a diventare per noi oggetto di evitamento, rendendoci di fatto discontinui e spesso deficitari (in apparenza) a livello cognitivo.
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Terzo ambito, e più importante, l’area del corpo. Il trauma si incarna e diviene corpo a causa delle ripercussioni neurofisiologiche dello stesso evento traumatico sul corpo. Sempre Levine sostiene che per esserci trauma, dovranno esserci insieme paura e immobilità. Questo significa che per essere veramente traumatico, un evento dovrà, oltre che terrorizzarci, impedirci una fuga reale o simbolica, obbligandoci di fatto a tenere “tutto dentro” di noi. Questo però vorrà dire vivere le ripercussioni del trauma in modo corporeo per molto tempo dopo l’evento. Non saremo cioè in grado di dissipare il trauma, come fanno gli animali più velocemente di noi, attraverso il corpo: anzi, il corpo “accuserà il colpo” riattivandosi in senso di allarme ogni volta che ripenseremo al trauma, alterandosi con più o meno violenza, in modo soggettivo. Spesso noteremo inoltre che il ricordo del trauma produrrà un’alterazione neurofisiologica a “dente di sega” (come nell’immagine sotto riportata seguendo la linea “sistema nervoso disregolato”), ovvero, fino a una certa soglia riusciremo a gestire un certo attivarsi del corpo impegnato nella gestione degli effetti allarmanti del tricordo del trauma: dopo una certa soglia, sarà possibile poi osservare una sorta di crollo e il precipitare del nostro stato di coscienza entro una sorta di zona grigia di numbing, di distacco dissociativo utile a proteggerci, ma in grado di alterare pesantemente il nostro stile di vita.
Ricapitolando, Il PTSD è un disturbo che ci può cogliere di sorpresa, e interferire con le nostre abilità di memoria, con il nostro stato di coscienza e con l’integrità delle nostre funzioni corporee. Che fare in questi casi? Nel caso in cui si osservino questi sintomi a seguito di un evento traumatico, occorrerà rivolgersi a uno psicoterapeuta con una formazione specifica in questo ambito, con cui poter impostare un lavoro di psicoterapia fondato su un legame solito di alleanza terapeutica.