di Raffaele Avico
Il lavoro di Lidia Dutto, traduttrice, linguista, etnografa impegnata da anni nella stesura di lavori incentrati sulla cultura della Valle Pesio (CN), al momento consta di una Collana di libri autoprodotti tuttora in fase di scrittura con diverse tematiche inerenti le tradizioni e il folklore delle genti della suddetta area circoscritta della provincia di Cuneo. I volumi della Collana possono essere qui visionati.
Come si osserva, i lavori hanno ognuno un contenuto specifico. Il lavoro di approfondimento etnografico è il risultato, per ognuno di questi temi, di un lavoro di interviste fatte con un numero elevato di testimoni locali, nell’arco di un periodo superiore ai 20 anni.
Uno di questi volumi, “Nelle corna del bue lunare”, affronta il tema della etnoiatria, o della medicina popolare (compresa la psichiatria, per così dire, popolare), indagata nella Valle Pesio a partire da testimonianze di anziani locali, quindi in grado di raccontare fedelmente i costumi di un tempo che, come si evince dalla lettura, allunga le sue “ombre” ancora sul tempo d’oggi, con il sopravvivere di metodologie “alternative” di cura. Nel testo, si parla di “segnature” di vermi, uso di erbe medicamentose, fiori, ricorso alla grazia di Santi venerati ognuno per uno specifico male, il tutto integrato alle pratiche più riconosciute dalla medicina intesa in senso scientifico.
La medicina di retaggio folkloristico e popolare, pre-scientifica, creatasi nel susseguirsi dei secoli molto indietro nella storia, sembra essersi storicamente posta in modo alternativo alla medicina “ufficiale”, a causa di alcune questioni peculiari:
- scarsa possibilità di accesso alla figura del medico nei territori di alta montagna, soprattutto d’inverno
- scarsa fiducia nei metodi ufficiali e diffidenza dalla categoria medica
- retaggio culturale di provenienza pagana, pre-scientifico; presenza di pensiero magico
- difficile accesso economico alla categoria medica
Da un lato, il libro ci racconta di una serie di usanze popolari che potremmo ascrivere alla categoria generale di “medicina popolare” considerando come il contatto con la natura, in passato, procurasse tutto il necessario affinché certe malattie venissero trattate con piante, fiori e altri materiali disponibili. Dall’altro, vengono messe in luce pesanti incursioni di pensiero “magico”, approcci astrologici e credenze connesse alla religione cristiana.
Per esempio, viene osservato come la medicina popolare trovasse un suo razionale di intervento nelle fasi lunari (la Dutto su questo ha scritto un libro focalizzato sul tema dell’Epatta). Oppure, alcune forme di terapia sembravano essere connesse all’utilizzo di particolari colori (nel capitolo “colori per lenire”), all’utilizzo del latte materno, o dell’urina. O ancora, il ricorso a Santi e guaritori in grado, per intercessione, di agire su malattie non approcciabili in senso medico.
A proposito di guaritori, la Dutto raccoglie importanti testimonianze su pratiche di guarigione mediate da:
- “segnatori” di vermi
- donne in grado di sciogliere un “malocchio” o un influsso malefico a opera di spiriti o entità malefiche locali (nel capitolo “il potere del male, gli intermediari del bene”)
- “settimini” in grado di estirpare porri o verruche
- persone in grado di “mettere a posto” il corpo attraverso la sua manipolazione
Infine, va fatto un accenno alla parte quarta del volume, incentrato sul disagio psicologico nella cultura popolare. In questo senso, questo volume rappresenta una delle poche testimonianze relative alla realtà Piemontese che si addentrino all’interno del disagio psichico letto attraverso la lente della cultura popolare. Vengono citate diverse problematiche, dalla “picundria” (mal d’amore), alla follia intesa in senso di “scompenso psicotico”, allo spavento (che potremmo rileggere oggi come “trauma” o evento traumatico).
A proposito dello spavento (“sboi” in piemontese), viene osservato dalla Dutto che, nelle parole dei testimoni, allo spavento vengono attribuite pesanti conseguenze a livello di salute sia psichica che fisica dell’individuo, sia negli adulti che nei bambini. Allo sboi consegue un “ribollimento del sangue” e una successiva sopraggiunta “fragilità” dell’individuo, “soggetto a disordini fisici e mentali”. Qui la Dutto cita un altro testo curato da Tullio Seppilli del 1989 (“Le tradizioni popolari in Italia. Medicina e Magie”), in cui I.Signorini scrive, a proposito dello spavento:
“ il primo immediato effetto è quello che può essere definito una “desunstanziazione” dell’elemento dinamico fondamentale della vitalità, il sangue, che secondo la teoria popolare subisce un arresto al momento dell’incidente e che poi, alla ripresa del movimento, ha un flusso più lento, mentre la sua tinta sbiadisce e la sua sostanza si fa più acquosa. A questi sintomi “interni” del decadimento della capacità vitale che il colpito sperimenta, corrispondono quelli della stanchezza, mancanza di appetito, insonnia, abulia, perdita dell’incarnato, squilibrio nervoso, arresto della crescita nei bambini, cessazione delle mestruazioni”
Gli stessi testimoni intervistati dalla Dutto, sottolineano come lo spavento sia in grado di prostrare l‘individuo conducendolo a una condizione simil-depressiva “da esaurimento”:
“un forte spavento può sfasare la persona, può arrecare danno nel senso che la persona arriva a farsi delle fissazioni e a continuare a vedere ciò che l’ha spaventata. Può essere un animale selvatico o altro, che ti rimane impresso nella mente e prima di guarire ci vuole tanto tempo. La persona resta ossessionata, ha paura di vederlo vicino a sè..insomma devasta un po’ la persona”.
Il che ricorda molto da vicino il problema dello stress post traumatico inteso come disturbo inerente la memorizzazione di un certo evento, in grado di condurre chi ne è colpito a una condizione appunto di sfinimento o di estrema “stanchezza psichica”.
Lidia Dutto tiene una rubrica di etnografia alpina su Psychiatry On Line.