di Redazione
PREMESSA
La lettura di un libro come L’uomo senza inconscio è, per forza di cose, una lettura lenta. Richiede un lavoro parallelo di approfondimento sui concetti che non si percepiscono come chiari. Non è possibile applicare scorciatoie.
Massimo Recalcati esegue nel suo L’uomo senza inconscio (2010) un lungo approfondimento sul “disagio della civiltà ipermoderna”. L’uomo senza inconscio si presenta come un trattato che articola e intreccia riflessioni sul soggetto come soggetto di analisi, ad alcune osservazioni di carattere antropologico e sociale che rimandano a una dimensione più ampia. Lo psicoanalista, per Recalcati, è uno psicoanalista engagée, immerso nella società in cui vive. Per questo, il suo lavoro non può prescindere dal suo “scendere in campo” in senso istituzionale (da questo -Recalcati fa notare nel libro- nacque la rete Jonas – Centri di clinica psicoanalitica per i nuovi sintomi).
Abbiamo rivolto a Nicolò Terminio (autore di questo libro di introduzione al lavoro di Massimo Recalcati, attento conoscitore della sua opera e coordinatore di un gruppo di studio proprio sull’Uomo senza inconscio attivato in epoca pre-pandemia a Torino -vedi immagine sopra) qualche domanda sul libro L’uomo senza inconscio.
Eccole:
- perché Recalcati parla di nuovo sintomo come di sintomo psicotico?
Recalcati compie una diagnosi strutturale sui fenomeni psicopatologici della contemporaneità. I nuovi sintomi sono più vicini alla struttura della psicosi perché mostrano un ritorno del reale pulsionale che segue il meccanismo della forclusione anziché quello della rimozione che è tipico della clinica delle nevrosi. Ma il lavoro teorico-clinico di Recalcati va oltre l’opposizione tra nevrosi e psicosi perché contempla anche la struttura della perversione e apre delle piste di ricerca interessantissime sulla clinica borderline. - perché Recalcati, con Lacan, oppone l’ambivalenza alla paranoia?
L’ambivalenza è riconducibile alla clinica della nevrosi e mostra la divisione soggettiva tra la volontà cosciente e il desiderio inconscio. L’ambivalenza è accompagnata spesso dal dubbio e da tanti altri tentennamenti che scandiscono l’esitazione del nevrotico nella scelta del desiderio. La paranoia è invece una declinazione della struttura psicotica dove l’Io satura l’identità del soggetto e la certezza che lo contraddistingue si fonda sul rigetto (forclusione) dell’esperienza dell’inconscio. - Perché la melanconia è un anti-lutto, o il suo contrario?
La differenza tra nevrosi e psicosi paranoica mette in luce l’opposizione tra ambivalenza e certezza, mentre la differenza tra nevrosi e psicosi melanconica ci fa vedere il rigetto melanconico del lavoro del lutto. Il lutto consiste essenzialmente nell’assunzione della perdita dell’oggetto e implica un lavoro simbolico su questa perdita reale. Nella psicosi non si è iscritta quella funzione simbolica che introduce la perdita e che consentirebbe al soggetto di simbolizzarla: senza questo lavoro di simbolizzazione il soggetto rimane incollato all’oggetto, che non è mai perduto. È a questo proposito, come ricorda Recalcati, che Freud diceva che l’ombra dell’oggetto cade sul soggetto. - Recalcati è un grande esperto di disturbo alimentare: brevemente, quali sono i capisaldi della sua trattazione teorica su questa classe di disturbi?
Potremmo rintracciare nella differenza tra vuoto e mancanza il filo conduttore che attraversa il lavoro teorico-clinico di Recalcati sui disturbi dell’alimentazione dai tempi dell’Ultima cena fino al più recente Le nuove melanconie. In ogni tappa della sua elaborazione Recalcati esplora la possibilità di trasformare il vuoto in mancanza. Il vuoto indica chiusura e disregolazione emotiva, la mancanza invece implica la possibilità, mai garantita del tutto, di annodare l’apertura relazionale del desiderio con l’eccesso e l’erranza che caratterizzano il desiderio stesso. - Cosa intende Recalcati quando parla di identificazioni solide e personalità normotica?
Le identificazioni solide esprimono una declinazione della clinica del vuoto, in particolare la clinica dell’Io senza Es. Si tratta quindi di una posizione soggettiva, non sempre riconducibile alla psicosi, che manifesta un rigetto e una negazione dell’inconscio. L’esperienza dell’inconscio aprirebbe infatti una crepa nell’Io mostrando quel mistero che ci abita e che ci disidentifica dalle postazioni immaginarie e simboliche con cui tentiamo di rivestire il nostro Dasein. - Qual è il nuovo ruolo dello psicoanalista? Perché Recalcati, chiudendo il suo libro, fa cenno al concetto di “holding” introdotto da Winnicott?
Nel trattamento dei nuovi sintomi la posizione dello psicoanalista deve consentire innanzitutto di trasformare il vuoto in mancanza e per sostenere questo passaggio terapeutico bisogna prima rettificare l’Altro, va custodita cioè la possibilità di istituire un campo relazionale dove la parola e il desiderio possano far schiudere l’alterità ingabbiata nel sintomo. La nascita dei Centri Jonas e poi dei Centri Telemaco scaturisce da questa visione recalcatiana e intende dare spazio a questo campo relazionale che trova nella forza della parola il suo centro di gravità.
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