di Raffaele Avico
Il volume Riscoprire Pierre Janet si pone come obiettivo principale una rassegna breve ma approfondita di ciò che è stato l’apporto di Pierre Janet sulla psicopatologia e psicoterapia moderna, per via di una serie di contributi a opera di personaggi di grande rilevanza attuale in tema “psicotraumatologia”, come Onno van der Hart, Bessel Van der Kolk, Pat Ogden, Giovanni Liotti.
Il libro è stato tradotto in italiano ed è acquistabile qui. Ci si mostra un Janet “dedito” alla causa, umile in senso “scientifico”, dovizioso nella rendicontazione degli aspetti clinici dei pazienti, altamente moderno alla luce delle recenti teoria sulla psicotraumatologia.
Alcuni punti da tenere in considerazione sono:
- la concezione di isteria promossa da Janet differiva in modo sensibile dalla concezione in seguito promossa da Freud, divenuta poi dominante. Freud concettualizzava la genesi dell’isteria come il risultato di un’opera fallimentare di rimozione a carico della struttura dell’Io, con grandi ricadute sul corpo, “teatro” dei quella stessa opera di rimozione non riuscita. Vi si metteva al centro un atto di volontà da parte del soggetto che avrebbe tentato di sospingere sul “fondo” della propria mente una serie di contenuti scabrosi o inaccettabili alla coscienza; quegli stessi contenuti sarebbero tornati alla coscienza tramite reminiscenze. Janet a proposito di questo sovvertiva la visione freudiana considerando come il problema dell’isteria non sarebbe consisitito, dal suo punto di vista, in un problema di “atto di volontà” fallimentare da parte del soggetto, quanto piuttosto in un indebolimento delle strutture più alte della mente che avrebbero dovuto in condizioni normali promuovere un atto di sintesi di quegli stessi contenuti “difficili”. Quello che accade in un disturbo isterico, secondo Janet, è un allentamento delle funzioni mentali “superiori” con una seguente impossibilità di integrare e “sintetizzare” contenuti (di natura traumatica o meno) a livello di coscienza personale. La differenza è sottile ma netta: da un lato (e questo lo sottolinea bene Liotti nel suo articolo contenuto nel volume) un movimento che oggi potremmo definire top-down (tento attivamente di sospingere contenuti “difficili” in profondità, operando un gesto di forza psicologica) teorizzato da Freud, dall’altro -nella visione di Janet- un’impossibilità da parte delle funzioni mentali superiori di “arginare” quello che dal basso “arriva”, per via di una debolezza strutturale contestuale, causata da diversi fattori: un movimento quindi bottom-up, dal basso verso l’alto. Come si legge nel libro, Freud criticò a Janet questa visione del disturbo isterico osservando come lo stesso Janet tendesse a considerare le isteriche come persone “deboli”, con poca forza mentale, “sottostimandone” le facoltà mentali e intellettive.
- questa lettura del disturbi isterico, ci racconta di una differente concettualizzazione di mente promossa da Janet. La mente teorizzata da Janet, è una mente operante secondo una logica di gerarchia, dove le parti più “alte” sono in grado di modulare e frenare, o meglio, sintetizzare in modo armonico le spinte provenienti dalle zone più “basse”. Questo modello di lettura della mente è affine alla teoria neo-jacksoniana promossa da Ey, alla teoria del cervello tripartito di MacLean; inoltre, riconsegna l’individuo alla sua natura animale, de-responsabilizzandolo rispetto alla sua stessa sofferenza.
- nel libro viene messo in risalto l’apporto di Sandor Ferenczi alla psicotraumatologia contemporanea, in grado di compiere una integrazione fruttuosa tra Freud e Janet, di fatto tenendo a mente gli aspetti inerenti l’espressione della sessualità e la questione janetiana riguardante la struttura dell’Io. Ferenczi mise in risalto il fattore “esogeno” del trauma: ovvero, il trauma sarebbe dal suo punto di vista qualcosa di relazionale, sempre dialettico, proveniente dall’esterno del soggetto. La teoria sul post-trauma di Ferenczi, inoltre, ben si presta a un paragone con la teoria delle strategie controllanti promossa da Liotti. Cos’è il wise-baby di Ferenczi, se non il bambino con un attaccamento invertito per ragioni di sopravvivenza teorizzato da Liotti e Farina in Sviluppi Traumatici?
- Il volume prosegue con un articolo uscito postumo -rivisto da Marianna Liotti-, scritto da Giovanni Liotti, a proposito del “segno” lasciato da Janet sulla psicotraumatologia contemporanea. Liotti qui riprende molte idee già sviluppate nei suoi lavori precedenti. Liotti,come si diceva in precedenza, sottolinea la differenza tra le posizioni di Freud e Janet a riguardo dello sviluppo di un disturbo isterico: in Freud, parliamo di un’attiva difesa mentale; in Janet, troviamo come concausa principale un restringimento del campo della coscienza come “effetto passivo dell’emozione veemente”. Inoltre, Liotti mette in luce la differente concezione di inconscio promossa dai due autori: in Freud, pervaso da spinte sessualmente-orientate (o eventualmente auto-distruttive); in Janet, mosso da tendenze all’azione di darwiniana memoria, strettamente naturali, osservabili nell’uomo come negli animali.
Liotti, in linea con le osservazioni cliniche fatte durante il suo lavoro di ricerca, considera, insieme a Janet, come la predisposizione allo sviluppo di disturbi dissociativi possa essere frutto di una “debolezza psicologica” intrinseca nata in seno a un attaccamento insicuro, cosa che trova conferme nelle ricerche più attuali e ben approfondito nel già citato “Sviluppi traumatici”. Porta inoltre numerose evidenze neurobiologiche a sostegno della tesi originaria di Janet tra cui, per esempio, il modello di lettura patogenetica del PTSD per via di un indebolimento delle funzioni esecutive a carico della corteccia prefrontale approfondito estesamente da Ruth Lanius). L’idea che Liotti esprime con forza -non solo qui, ma in tutta la sua produzione- è che il modello Janetiano possa costituirsi come nuovo punto di convergenza tra differenti apporti scientifici, su più livelli (Teoria dell’attaccamento, ricerca neuroscientifica, evidenza clinica). - Il libro pone un punto di chiarimento a proposito di quello che Janet chiama disaggregation. Capraro, nel suo articolo, tenta di chiarificare la concezione del termine dissociazione per come lo usò Janet. Quello che qui è importante sottolineare è che occorre distinguere il termine dissociazione dal termine disaggregation. Janet contemplava l’idea che un disturbo ampio come la disaggregation (scarsa tenuta della forza mentale, mancata sintesi da parte dell’Io) potesse contemplare al suo interno un ulteriore problema, strutturale, che chiamava appunto dissociation. Ovvero: a un primo momento di scarsa tenuta delle funzioni mentali superiori, poteva seguire un momento di vera e propria spaccatura verticale della personalità (quella che oggi chiamiamo dissociazione strutturale della personalità). Torniamo quindi a due tipologie diverse di quella che oggi chiamiamo dissociazione, ma che Janet chiamava in modo diversificato. Interessante osservare come il trauma, Capraro riporta, possa risultare in due tipologie di risposta: una di iper-arousal, l’altra dissociativa, come approfondito sempre da Ruth Lanius.
- Janet distingueva la forza psicologica, dalla tensione psicologica. Per tensione psicologica intendeva la capacità di “mantenere” la complessità, di “creare ordine e di fare sintesi”. Intendeva in questo senso il lavoro dell’Io come un lavoro di “sintesi” (l’Io è un coordinamento). Questa tensione “superficiale” (come la tensione superficiale dell’acqua) permette all’individuo di percepirsi unitario, coeso e coerente. Al di sotto di questa, Janet considerava allo stesso tempo la presenza di una forza psicologica, di origine temperamentale, per la verità poco spiegata da Janet stesso se non come un misto tra forza muscolare (corpo) e forza morale (mente)
- Il libro prosegue delineando le tre fasi, o momenti, dell’adattamento post-traumatico. Il capitolo in questione è firmato dai più noti -probabilmente- al momento psicotraumatologi a livello mondiale: Vad der Hart e Van der Kolk, insieme a Paul Brown. Quali sono le fasi dell’adattamento di un soggetto a un trauma, secondo la teoria di Janet? Gli autori ricordano che Janet teorizzava tre momenti principali di questo lavoro di adattamento:
- miscela di reazioni dissociative/isteriche, ruminazione eccessiva e agitazione generalizzata scatenata dall’evento traumatico
- ossessione e ansia generalizzata di cui spesso è difficile riconoscere l’eziologia traumatica
- declino post-traumatico (con somatizzazioni, depersonalizzazione, depressione) seguito da apatia e ritiro sociale conclusivo.
- Viene quindi illustrato in modo dettagliato il modello trifasico di approccio allo stress post-traumatico, secondo i dettami posti da Janet stesso a riguardo delle diverse modalità di intervento. Gli autori osservano come Janet abbia portato diversi contributi di valore, e originali per l’epoca, in grado ancor oggi di manifestare il loro valore in senso clinico. Un aspetto in particolare che andrebbe sottolineato, poichè poco conosciuto relativamente al corpus teorico janetiano, è il modello dell’economia mentale di Janet, che di fatto rappresenta il razionale di intervento del modello trifasico. Gli autori sottolineano come l’energia psichica dedicata alla gestione del trauma, sia in grado di “interferire con la capacità di sublimare e fantasticare, bloccando il pensiero come azione sperimentali”. Il lavoro di psicoterapia in questo senso mirerebbe a meglio utilizzare, in modo economicamente più conservativo ed eventualmente migliorativo, questa quota di “energia psicologica” sovra-utilizzata dal trauma.
- Pat Ogden chiude il volume con un’esauriente contestualizzazione della psicoterapia sensomotoria entro la cornice della teoria di Pierre Janet che, di fatto, aveva posto già al tempo il problema degli “atti di trionfo”. La Ogden, infatti, negli anni ‘80 costruì un impianto metodologico psicoterapico (la psicoterapia sensomotoria, appunto) che intendeva integrare approcci bottom-up alla classica psicoterapia usata per i traumi. La sua idea era quella di lavorare sul corpo, affinché quest’ultimo potesse dissipare le tendenze all’azione rimaste congelate al tempo del trauma. Va ricordato che la Ogden, in quanto allieva di Peter Levine, riprende l’idea che il trauma si costituisca solo in compresenza di profondo terrore e immobilità. Il corpo rimane durante il trauma immobilizzato in modo passivo, senza poter “esprimere” un’azione di contrasto, una controforza al trauma stesso. Queste forze non espresse, la Ogden sottolinea, andranno “evacuate” o dissipate attraverso il canale corporeo: la “talking cure”, da sola, potrebbe non bastare (si veda anche questo articolo su State of Mind).
In definitiva questo volume rappresenta un contributo di eccezionale rilevanza per riprendere e riscoprire, appunto Janet. Vi si evince inoltre la natura profondamente Janetiana di praticamente tutta la psicoterapia di taglio psicotraumatologico più recente -dall’approccio trifasico, agli approcci bottom-up, alla riscoperta del “corpo” come centrale nel lavoro di cura, all’abbandono delle posizioni iper-sessualizzate freudiane relative al trauma.
Vi si intravede la portata “storica” dell’impatto di Janet sullo studio della psicologia umana relativamente (ma non solo) al trauma.
Il fatto che la neurobiologia relativa al trauma avvalli la concezione gerarchica della mente già appoggiata da Janet (una mente fondamentalmente animalesca, naturale, etologicamente giustificata quando sottoposta a un evento traumatico), che in essa sappiano incastrarsi la Teoria dell’attaccamento (come evidenziato da Liotti), la Teoria Polivagale, molti aspetti della stessa psicologia dinamica, propende per una riscoperta obbligatoria e definitiva di Janet, sempre più necessaria, verso una sua liberatoria emancipazione da Freud.
Due estratti dal volume:
- Secondo Janet, i processi causali dei traumi psichici possono essere riassunti come segue. Nel caso di una costituzione psichica già indebolita, il trauma produce forti emozioni. A causa di modelli disadattivi di reazione, gli individui non sono in grado di affrontare la difficile situazione. Continuano a fare degli sforzi per affrontarla. Questi ripetuti sforzi provocano un esauri- mento dell’energia psichica (tensione o forza), a cui conseguono diversi tipi di disturbi mentali. In caso di tensione sufficiente ma forza insufficiente, le idee non diventano subcoscienti ma causano disturbi che Janet designava come “psicoastenia”. In caso di tensione insufficiente ma forza sufficiente, le idee indeboliscono la sintesi psichica e, quindi, la connessione della coscienza. Le idee diventano fisse e subconsce, il campo della coscienza limi- tato e la suggestionabilità aumentata. Janet ha etichettato i disturbi derivanti da questo processo come “isteria”
- Janet organizzava il trattamento di questo esaurimento mentale attorno a tre principi economici: aumentare le entrate psicologiche promuovendo il sonno e la dieta; ridurre le spese curando condizioni mediche coesistenti e alleviando crisi e agitazione; liquidare i debiti, risolvendo ricordi traumatici. Janet ha sostenuto due strategie per il trattamento della disorganizzazione mentale: incanalare in modo costruttivo energie che altrimenti verrebbero sprecate nelle agitazioni e stimolare il livello di energia mentale con metodi quali il far svolgere compiti progressivamente più difficili