di Raffaele Avico
Cosa succede a un animale nel corso di un trauma? Quali sono le reazioni neurofisiologiche di un pollo, per fare un esempio, durante un evento terrorizzante o potenzialmente traumatico? Come possiamo comparare animale e uomo, e cosa ci può insegnare la reazione di un animale a un trauma? Esistono delle basi neurobiologiche che accomunano animale e uomo?
In un essere umano sano, un’esperienza traumatica ha il potere di creare uno spartiacque esperienziale in grado di creare un “prima” e un “dopo” l’esperienza traumatica stessa. Nel resoconto che un individuo post-traumatizzato farà della sua esperienza, il trauma occuperà un posto di primo piano nella scena drammatizzata del suo percorso di vita, come uno degli eventi più importanti e difficili da dimenticare. Con il tempo, l’evento traumatico assumerà, nel ricordo, colori più sbiaditi, ma non per questo i contorni del suo ricordo saranno meno acuminati o taglienti; l’impatto che avrà il suo ricordarlo, saprà sopravvivere al tempo, come se questo, appunto, non fosse mai passato. Una delle caratteristiche centrali di un evento traumatico, è la non elaborabilità in termini mnestici. La sindrome post-traumatica, per questo motivo, è stata più volte definita come una patologia della memoria.
Sembrerebbe cioè che il problema centrale del periodo post-traumatico, sia la difficoltà per il soggetto di lasciare andare questo ricordo nel passato, confinandolo a un tempo ormai trascorso. Il ricordo del trauma permane nella mente di un individuo in modo monolitico, pur tuttavia attivo nei suoi effetti: ogni volta che si presenterà alla coscienza sotto forma di ricordo, i suoi effetti non tarderanno a farsi sentire, costituendosi in una sindrome ben conosciuta e studiata nell’uomo, chiamata Disturbo da Stress Post Traumatico (e non, come a volte si legge, Disturbo Post traumatico da Stress), in inglese sintetizzato nell’acronimo PTSD. Il PTSD è stato studiato diffusamente a partire dalla Prima Guerra Mondiale: viene al giorno d’oggi osservato in relazione a qualunque evento sia in grado di impattare in modo traumatico, appunto, sulla vita di un individuo.
Per capire se un evento abbia avuto un impatto di natura traumatica, occorre prestare attenzione ai segni e sintomi che un PTSD porta con sè; centrali sono in questo la presenza di un senso di disregolazione emotiva al ricordo dell’evento traumatico (che potremo scambiare per paura panica, in realtà però meno intensa, in grado di alterare lo stato neurofisiologico di un individuo in modo intenso), la fobia degli stati mentali collegati al suo ricordo, la possibile presenza di sintomi dissociativi più o meno gravi.
L’uomo pare incistarsi nel suo lavoro di tentata elaborazione del trauma, con scarsi risultati: l’associazione istantanea ricordo+disregolazione sembra invincibile per molto tempo. Alcuni strumenti clinici usati in questi casi, come l’EMDR, tentano un approccio differente al problema, per così dire aggirando il ricordo diretto dell’evento per via di un intervento che potremmo definire bottom-up, non focalizzato direttamente cioè sulla memoria dell’evento, ma sulle sue ripercussioni somatiche.
Per quanto riguardo l’uomo, sono stati osservati traumi di diversa natura, e con un differente impatto sulla mente: generalmente, però, distinguiamo i traumi unici e potenti, dai traumi subdoli e continuativi, vissuti spesso nel contesto di un attaccamento problematico con le figure di riferimento. Un’ulteriore distinzione che viene fatta a riguardo della natura dei traumi, riguarda la questione identitaria. Abbiamo cioè traumi definiti interni all’identità, e traumi esterni all’identità. Se immaginiamo un bambino intrattenere un rapporto problematico con una figura di attaccamento violenta, per esempio, ci verrà facile immaginare quanto l’intera identità dell’individuo, verrà in seguito modellata a partire da quel difficile rapporto iniziale, durato -per ragioni di sopravvivenza del bambino stesso- molto a lungo.
I potenti strumenti di apprendimento messi a nostra disposizione dall’evoluzione, sembrano in questi casi ritorcersi contro di noi contribuendo a far sì che per lungo tempo non riusciamo a dimenticare il trauma, adattando la nostra vita all’emergere del suo ricordo. Per questo, possiamo definire il PTSD come una forma di condizionamento esasperato e disfunzionale.
Differenti autori hanno osservato come gli animali sembrino possedere strumenti differenti per far fronte a un evento traumatico, oppure al contrario riescano a gestire l’elaborazione di un ricordo traumatico per via dell’assenza di alcune strutture “ingombranti” possedute dall’uomo, grazie a un movimento di “release” o di dissipazione corporea della paura (come qui approfondito).
Nel video sopra riportato un gruppo di ricercatori dell’università di Milano si interroga sul tema “immobilità tonica” negli animali. L’immobilità tonica è uno stato di “finta morte” ottenuto per ragioni di sopravvivenza durante un attacco soverchiante da parte di un predatore.
Genericamente sappiamo che le reazioni di un animale a una minaccia rispondono alla sequenza delle 4 f. La reazione, come nella figura sopra riportata, è in funzione della distanza tra predatore e preda, e condizionata dal “grado di possibilità percepito di fuga”.
Vediamo la sequenza: immaginiamo che un animale venga attaccato da un predatore in una condizione di “paura senza sbocco”, quindi una situazione in cui non sia possibile opporsi in nessun modo alla predazione. La sequenza sarà:
- freeze: l’animale si ferma, guarda e ascolta con maggiore attenzione
- flight: l’animale scappa
- fight: l’animale attacca (quando scappare non è possibile)
- faint: l’animale precipita in una condizione di immobilità tonica
Quest’ultima tipologia di reazione viene presa in oggetto dai ricercatori del video sopra citato. Tra di essi, Carlo Alfredo Clerici, autore insieme a Laura Veneroni di questo volume specificamente dedicato allo studio dell’immobilità tonica negli animali, vera perla (tra l’altro molto corto), comprensivo di un’intervista al massimo esperto in tema, Gordon Gallup.
Vediamone alcuni aspetti:
- neurobiologia e aspetti strettamenti biologici relativi all’Immobilità Tonica, sono descritti nella prima parte del volume. É qui interessante sottolineare l’effetto analgesico dell’immobilità tonica, in grado di alterare la percezione del dolore in diverse specie animali nel corso della traumatizzazione
- molteplici studi sottolineano come negli animali il contatto oculare sia in grado di mediare la risposta di immobilità tonica negli animali. Sottoporre per esempio delle galline alla vista di un falco impagliato prima senza mostrare e poi mostrando gli occhi, conduceva a differenti risposte e diverse durate della fase di immobilità tonica
- molteplici esperimenti sono stati condotti per ragionare sulle cause dello sviluppo di un comportamento di immobilità tonica negli animali: la paura è il primo di questi (tanto che somministrando tranquillanti agli animali prima di “spaventarli”, il comportamento di immobilità tonica sembrava interrompersi); quindi, l’immobilità forzata (testata sottoponendo gli animali -spesso galline- a shock elettrici con o senza possibilità di fuga). Gli autori riportano: “Quanto detto suggerisce che sia la paura sia l’impossibilità di movimento siano elementi contemporaneamente necessari perché si manifesti la T.I..”. Questo ricorda da vicino la teoria di Peter Levine a proposito del trauma per l’uomo (secondo lui generato solo se in compresenza di immobilità e paura -in caso contrario l’individuo non viene traumatizzato)
- tra le ipotesi storiche merita una citazione quella darwiniana, formulata nel 1839, secondo cui l’immobilità tonica sarebbe una morte simulata con funzione di preservazione da predazioni soverchianti
- Facendo una comparazione approfondita tra immobilità tonica negli animali e comportamento umano, gli autori ragionano sulla possibilità che nell’uomo permangano “atavismi” comportamentali ereditati dai progenitori “iniziatici” con cui condividiamo residui paleopsicologici come l’erezione del pelo in condizioni di terrore, la stessa reazione di attacco e fuga e, appunto, una variante “umana” della reazione di immobilismo tonico nel corso di eventi estremi (gli autori citano lo stupro come esempio paradigmatico di un evento in cui convivono terrore e immobilità, in grado appunto di creare “paralisi da stupro” e impossibilità a reagire).
- vengono fatti parallelismi interessanti tra il fenomeno di immobilità tonica e alcuni comportamenti anormali nell’uomo come catalessia e catatonia; sono note alcune reazioni parossistiche di soggetti catatonici che, fuoriuscendo dallo stato di immobilità, si esprimono in reazioni estreme, violente; “Nei pazienti catatonici, alla fine di un episodio stuporoso, si rileva un aumento dei livelli plasmatici di adrenalina e dei suoi metaboliti. Ciò confermerebbe che l’insorgenza dei sintomi catatonici possa essere scatenata dall’esperienza di paura, proprio come la T.I. nell’animale”.
- viene inoltre notato che nel corso dell immobilità tonica, così come negli episodi di stupor dei soggetti catatonici, il cervello si mantiene vigile (le informazioni afferenti non vengono inibite, al contrario di quelle efferenti, creando una condizione paradossale di immobilità completa in senso fisico ma di mantenuta attività cognitiva);
- questo paradosso (il fatto che l’attenzione e i processi di memoria sembrino addirittura aumentati nel corso della fase di immobilità tonica) porta i ricercatori a creare una distinzione tra lo stato di immobilità tonica nell’animale, e la dissociazione nell’uomo (in questo caso la memoria e i processi attentivi vengono distorti). Lo stato dissociativo peritramatico, potrebbe essere tuttavia considerato il corrispettivo umano dell immobilità tonica nell’animale, ma con la variante che nell’uomo la distorsione dissociativa produrrebbe un immagazzinamento delle memorie per via implicita. Per questo l’evento traumatico non riuscirebbe a essere narrato ed “esplicitato”.
Il libro procede poi con un articolo scritto da Cesare Albasi e si chiude con un’intervista fatta a Gallup, pioniere dello studio non solo della nascita della rappresentazione del sè in vari animali e scimmie (come qui approfondito), ma anche per quanto riguarda gli studi sull’etologia animale in territorio “trauma” e immobilità tonica. Gallup inserisce in modo molto appropriato la questione della reazione di immobilità tonica in ambito forense, osservando:
“Un altro aspetto importante riguarda le implicazioni giuridiche circa la possibilità di dimostrare una resistenza da parte della vittima. Per condannare un colpevole di violenza occorre dimostrare che la persona non fosse consenziente all’atto. L’esistenza dell’immobilità tonica può spiegare alcune risposte paradossali di mancata difesa e quindi il concetto di resistenza diventa contraddittorio. Perché una vittima di stupro dovrebbe essere penalizzata dalla mancanza di risposta quando questa mancanza di risposta fisica dipende da un meccanismo automatico così importante? La mancata difesa può essere una risposta fisicamente adattativa per la vittima, ma ciò apparentemente è in contrasto con il concetto di resistenza che è così importante in ambito legale.”
Alcuni aspetti di psicotraumatologia in ambito animale sono approfonditi qui.
Qui un video con alcune slide sul tema.
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