di Giovanna Jannuzzi (Bruxelles, 20/05/2020)
PREMESSA: abbiamo qualche settimana fa intervistato Giovanna Jannuzzi (psichiatra e psicoterapeuta residente in Belgio) sul modello di presa in carico psichiatrico belga, relativamente in particolare all’area di Bruxelles. Trovate l’intervista qui. Il nostro podcast ha l’obiettivo di creare un confronto tra paesi diversi sui modelli di presa in carico territoriale. Stiamo lavorando al momento alla raccolta di materiale per costruire un articolo sul modello triestino, di particolare interesse per ciò che concerne il vero elemento di differenza tra modelli, qualcosa che non si trova nelle linee guida: il territorio e la tenuta in carico dei pazienti al di fuori degli ospedali. L’articolo lo faremo insieme ai colleghi di Psicologia fenomenologica. (R.A.)
Lettera aperta
La pandemia di Covid-19 ha portato la maggior parte dei paesi europei a mettere in atto severe misure di prevenzione che hanno limitato la libertà personale dell’intera popolazione, considerata a rischio di infezione e allo stesso tempo un agente potenzialmente pericoloso di diffusione della malattia. I governi hanno dato ai medici importanti responsabilità per la gestione di strumenti di controllo sociale e di ordine pubblico.
Questa situazione suscita in me, psichiatra italiana che vive e lavora a Bruxelles da undici anni, molti pensieri preoccupati sulla mia professione.
Queste riflessioni partono dal Giuramento di Ippocrate che ho fatto, come tutti i medici, dopo la laurea, e passano attraverso la messa in discussione della malattia mentale e della sua cura che nel mio Paese d’origine è stata fatta con la legge 180 del 1978, intitolata “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” meglio conosciuta come “legge Basaglia”.
Gli anni Sessanta e Settanta in Italia e nel mondo sono stati un periodo storico caratterizzato a livello politico-sociale da forti tensioni e talvolta anche da conflitti violenti, che spesso hanno portato alla nascita di nuove idee e soluzioni radicali. In campo psichiatrico, la legge 180 ha ribaltato una struttura che era ancora governata da una normativa di inizio secolo fortemente influenzata dall’ideologia del controllo sociale, la legge 36 del 14 febbraio 1904 intitolata “Disposizioni sui manicomi e sugli alienati“, che prevedeva il ricovero coatto per “le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé o agli altri e riescano di pubblico scandalo e non siano e non possano essere convenientemente custodite e curate fuorché nei manicomi“; l’ammissione degli alienati nei manicomi poteva essere richiesta da chiunque, “nell’interesse dei malati e della società“.
Da un lato, la situazione della psichiatria italiana prima di Basaglia, in particolare il suo ruolo di garante della sicurezza sociale e di guardiana del paziente, ricorda molto alcuni degli obblighi imposti dalle misure adottate sia in Belgio che in Italia per affrontare il fenomeno Covid; dall’altro, non è priva di punti di contatto con l’attuale legislazione belga sulla salute mentale: la “legge sulla protezione della persona di malati di mente del 26 giugno 1990” prevede la possibilità di adottare misure di protezione nei confronti di un malato di mente qualora “metta gravemente in pericolo la sua salute e la sua sicurezza” oppure “costituisca una grave minaccia per la vita o l’integrità altrui“; queste misure di protezione spesso significano un lungo periodo di ricovero forzato durante il quale “il paziente viene sorvegliato e curato“.
In Italia, con la legge 180, Franco Basaglia, la moglie Franca Ongaro, Franco Rotelli e altri collaboratori hanno rivoluzionato radicalmente la situazione determinata dalla legge del 1904, eliminando ogni riferimento al concetto di scandalo e di pericolosità.
Da allora, fino all’arrivo del Covid, un trattamento sanitario obbligatorio poteva aver luogo in Italia solo nell’esclusivo interesse della salute del paziente, senza alcuna considerazione per motivi legati al concetto di scandalo o alla pericolosità del paziente per sé e per gli altri. In particolare, il ricovero forzato di un malato mentale può avvenire solo “se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall’infermo”, il suo ricovero forzato deve essere molto breve e può avvenire solo negli ospedali generali, dato che come tutti sappiamo la legge 180 ha ordinato la chiusura dei manicomi in tutto il territorio nazionale.
Di conseguenza, il medico è stato esonerato dall’esecuzione di compiti legati al controllo sociale e ha potuto dedicarsi esclusivamente all’arte della guarigione. Basaglia non ha “solo” chiuso i manicomi. Oltre alla chiusura degli istituti psichiatrici, c’è qualcos’altro. Grazie alla riforma del 1978, non solo i manicomi sono illegali in tutta Italia, ma la legge decreta una chiara distinzione tra la funzione medica (trattamento e cura) e la funzione di controllo sociale della pericolosità, che diventa di esclusiva competenza delle forze dell’ordine.
La psichiatria democratica basagliana è stata certamente un movimento che ha messo radicalmente in discussione le istituzioni e l’armamentario concettuale della psichiatria istituzionale, ma proprio per questo ha permesso allo psichiatra di tornare alle radici della medicina, all’idea stessa di cura e di guarigione della persona. Gli psichiatri non hanno più a che fare con il rispetto dell’ordine pubblico (la pericolosità sociale non è più una responsabilità medica) e hanno avuto l’opportunità di tornare ai valori che Ippocrate ci ha insegnato 2500 anni fa.
Ma oggi il Covid ha cambiato il concetto stesso di terapia e di guarigione. Il medico è tenuto a verificare la pericolosità del suo paziente in quanto possibile agente di contagio e deve, se necessario, prendere misure anche coattive per isolarlo.
Informazioni confuse e spesso inaffidabili hanno suscitato paura e terrore tra la popolazione, portando a reazioni irrazionali a livello personale e sociale. Il terrore, la paura tende ad escludere l’altro – e la psichiatria è purtroppo una disciplina medica che può dare una drammatica testimonianza di questo fenomeno; la persona sospettata di essere infetta è pericolosa per gli altri, per la salute pubblica, per la società, e deve quindi essere rinchiusa.
Per questo ho pensato a Basaglia. Dare a un medico compiti e poteri di controllo sociale significa una cosa, anzi due cose, molto gravi: una minaccia ai diritti dei suoi pazienti e una minaccia ai diritti del medico stesso, il cui potere di decidere liberamente come esercitare la propria arte viene limitato.
Voilà! A quarantadue anni dalla riforma Basaglia, i miei pazienti, ed io con loro, siamo stati considerati “pericolosi per gli altri” in quanto persone potenzialmente colpite dal Covid, e costretti a rimanere rinchiusi in casa.
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