di Raffaele Avico
All’interno del bellissimo libro La guida alla Teoria Polivagale, vengono raccolte una serie di interviste fatte a Stephen Porges che vogliono fare chiarezza sulla Teoria Polivagale; nel libro viene infatti esplicitato come all’autore fosse stato richiesto, a seguito del suo La teoria polivagale, un testo di chiarimento di alcuni aspetti considerati oscuri del libro precedente, o troppo tecnici. Attraverso le domande, alcuni punti vengono messi in evidenza in modo molto specifico e aiutano a fare chiarezza sulle potenzialità cliniche della teoria.
Le tematiche centrali del libro sono:
- La Teoria Polivagale, il lavoro con i disturbi dello spettro autistico attraverso il Safe and Sound Protocol
- il passaggio da una logica dualistica a riguardo del sistema nervoso autonomo (simpatico VS parasimpatico), a una teoria poli-vagale che contempla più parti del sistema nervoso autonomo
- la centralità del tema “sicurezza” come prerequisito necessario a tutte le forme di interazione umana, compresa la psicoterapia (Porges definisce “preambolo all’attaccamento” la ricerca di sicurezza: intende dire con questo che l’attaccamento sicuro può svilupparsi solo in presenza di un senso di sicurezza percepita)
- elementi di neuro-architettura: come costruire luoghi di cura e ospedali incentrati sulla promozione del senso di sicurezza?
..e molti altri.
Il libro si apre con un definizione di Neurocezione, termine coniato da Porges stesso, che contrappone a Interocezione.
- L’Interocezione è una valutazione istantanea delle informazioni somatosensoriali che arrivano dall’interno del corpo. É una valutazione generale, “totale” di ciò che arriva dall’interno del nostro corpo, fatta in modo pre-cosciente. É costituita da intuizioni che facciamo sullo stato interno del nostro corpo, che in seguito razionalizziamo e “dispieghiamo” in termini narrativi (“ho fame”, “mi sento irritabile”, “qualcosa non va”). Rappresenta come si può immaginare una funzione fondamentale per il buon funzionamento del nostro organismo. In questo video (a cura di Tiziana Naimo, attivista autistica) viene ben spiegata:
- La Neurocezione invece si colloca, sulla linea del tempo, precedentemente all’interocezione. Rappresenta una valutazione -fatta al di fuori della coscienza– a riguardo della pericolosità e del livello di minaccia di un determinato ambiente o stimolo, che facciamo per ragioni di migliore sopravvivenza. Porges, nel libro prima citato, ben chiarisce come la neurocezione permetta un rapido screening del livello di minaccia di un determinato stimolo, così da attivare differenti forme di risposta neurofisiologica in risposta allo stimolo stesso. La neurocezione ci permette di valutare in modo istantaneo se un individuo che ci avvicina per strada, per esempio, sia o meno pericoloso, o il grado reale di aggressività nella prosodia vocale di un genitore che ci riprende. O il “senso di sicurezza” emanato da uno studio medico, quando ci entriamo. Risponde a un mandato evolutivo antico, primario, che potremmo riassumere in “cerca luoghi sicuri”.
Porges riflette sul fatto che il bisogno di sicurezza potrebbe evoluzionisticamente porsi in modo addirittura precedente, o prioritario, rispetto al bisogno di attaccamento. La valutazione sulla sicurezza, potrebbe essere il primo, centrale atto di auto-conservazione: il “nullaosta” neurocettivo potrebbe far sì, in un secondo momento, che l’individuo getti le basi per uno scambio comunicativo, per una vita “normale” in senso relazionale. Per questo, chiama questi aspetti “preambolo dell’attaccamento”, a chiarificare come il senso di sicurezza percepita preceda e sia propedeutico alla possibilità di interagire con un altro essere umano.
Nel libro La guida alla Teoria Polivagale, vengono suggerite alcune buone prassi per progettare e favorire il “nullaosta” neurocettivo così da consentire, a cascata, migliori interazioni e la creazione di migliori atmosfere.
Per esempio, l’attenzione agli aspetti architetturali di un luogo di cura, all’interior design, agli aspetti sonori di un determinato ambiente (per esempio lo studio di uno psicoterapeuta), la posizione delle vie di fuga, sono elementi che dovrebbero costituire il primo movente da parte del clinico, visto che, senza senso di sicurezza percepita, non potrebbe neppure accendere un buon legame terapeutico con il suo cliente/paziente.
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