di Raffaele Avico
PREMESSA: questo articolo è un estratto dai contenuti esclusivi a tema trauma inviati mensilmente tramite il nostro progetto Patreon
Questo articolo scritto da Lanius e collaboratori circa un anno fa, rappresenta una fonte di eccezionale qualità a riguardo della neurobiologia del trauma e presenta un modello a “cascata” che sintetizza brevemente le reazioni di un individuo a un trauma subìto.
Ruth Lanius è una delle ricercatrici più interessanti, al momento, a riguardo della neurobiologia del trauma e del PTSD.
Vediamo alcuni punti di interesse:
- il fenotipo dissociativo del PTSD è presente dal 15% al 30% dei casi totali di PTSD (esistono due tipologie di PTSD, con e senza sintomi dissociativi, come qui descritto)
- le risposte al trauma, possono essere di due tipi: attive (risposta simpatica) con attacco/fuga, e passive (risposta parasimpatica) con immobilità tonica, sintomi dissociativi e spegnimento (qui troviamo un punto di coerenza con la Teoria Polivagale qui sintetizzata); il “luogo” anatomico in grado di regolare le une o le altre risposte, gli autori ipotizano essere la sostanza grigia periacqueduttale. Questo centro anatomico parte del cervello medio, gli autori sostengono, dovrebbe essere incluso negli studi a riguardo del trauma, in quanto potenzialmente importante nello sviluppo di PTSD nelle sue varianti.
- Viene sottolineato come a tipologia di evento traumatico (singolo, oppure ripetuto) corrispondano con maggiore frequenza le due tipologie di risposta: da iperarousal per l’evento singolo, da spegnimento per il trauma multiplo. La reazione di spegnimento sembrerebbe quindi un indicatore forte per la variante dissociativa del PTSD.
MODELLO A CASCATA
Gli autori presentano quindi il “modello a cascata” per quanto riguarda le risposte di difesa all’evento traumatico. Sono coinvolti, in questo, tre attori, coordinati come prima si accennava entro l’area della sostanza grigia periacqueduttale:
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- gli organi coinvolti “effettori”
- il sistema nervoso autonomo
- i circuiti neuronali che regolano la sensazione di dolore
Il modello a cascata presenta diversi stadi di risposta. A seguito dell’evento traumatico, avremo molteplici livelli di risposta, progressivi, nel tempo. In particolare, come si osserva in figura, le tappe del comportamento peri-traumatico, sono:
- una risposta di orientamento (preceduta da quella che qui avevamo definito neurocezione, ovvero una risposta non cosciente e istantanea a riguardo del livello di minaccia del contesto), che nel linguaggio comune chiameremmo “congelamento” o “sospensione”; lo stato di valutazione istantanea di una minaccia, con immobilità, stabilizzazione della postura e abbassamento del ritmo cardiaco (“During the orienting response, muscles have increased tone, body posture is stabilized, and respiration and heart rate are reduced slightly and then increase gradually as the monitoring continues”).
- la risposta di flight/fight, mediata, gli autori ipotizzano, da un’anomala concentrazione di endocannabinoidi. Questa ipotesi (il fatto che una concentrazione di endocannabinoidi anomala sia responsabile del mantenimento di una condizione di accensione protratta), viene chiamata “endocannabinoid deficiency hypothesis”, ed è qui riassunta.
- la risposta di immobilità tonica. In questo caso, quando la risposta di flight/fight fallisce, interviene una condizione di immobilità tonica. Ne abbiamo già scritto qui a proposito degli animali (galline, conigli). In questa condizione anomala, il corpo si irrigidisce e si paralizza. Gli autori sottolineano come sembri esserci un simultaneo utilizzo di due branche del sistema nervoso autonomo opposto: il sistema nervoso simpatico, e quello parasimpatico, sotto quello che viene chiamato “coordinamento” da parte della sostanza grigia periacqueduttale (“Here, the “braking” mechanism is thought to be coordinated by activation of the ventro‐lateral subunit of the periaqueductal gray in humans and animals alike”). Viene quindi sottolineato come un effetto analgesico e di numbing, in conseguenza del rilascio di oppioidi endogeni e di altri meccanismi neurobiologici (qui approfonditi), promuova una sostanziale alterazione della coscienza, che gli autori associano alla dissociazione (intesa come detachment, non come dissociazione strutturale della personalità). Si parlerebbe quindi di dissociazione peritraumatica (in concomitanza dell’evento traumatico e del vissuto di immobilità tonica). Questa fase è da considerarsi collegata alla quarta fase: lo shut-down emozionale.
- shut-down emozionale: ovvero, “spegnimento”. Parliamo qui dell’ultimo stadio della risposta peri-traumatica, ovvero del collasso, della “finta morte”, con una serie di sconvolgimenti a livello corporeo, di percezione del dolore modificata dal rilascio di neurotrasmettitori specifici, e di sensazioni di coscienza alterata mediata sempre dall’uso di oppioidi endogeni, con le conseguenze soggettive di uno stato di “dissociazione”, o di generale alterazione della coscienza.
Quindi, gli autori passano a una rassegna a riguardo del tema “neuroimaging” del PTSD.
In primo luogo osservano come il “resting state” possa essere difficilmente accessibile a soggetti colpiti da PTSD; quindi ragionano su un modello che, sulla base di molteplici evidenze legate a neuroimaging, potrebbe essere sintetizzato tramite la differenziazione tra PTSD bottom-up e PTSD top-down. Questo modello è stato formulato da Mobbs, in questo articolo apparso su Science. Mobbs propone un modello incentrato sulla distanza rappresentata dal soggetto, nei confronti dello stimolo minaccioso. Quando l’individuo rappresenta lo stimolo come distante, il processo neurobiologico seguirebbe logiche top-down; all’avvicinarsi dello stimolo (anche solo immaginato), il processo assumerebbe “forme” bottom-up (meno mediate, più istintive e difficilmente gestibili in modo “razionale” dell’individuo).
Sebbene questo modello rappresenti un importante punto di svolta nella comprensione del funzionamento neurobiologico dello stress post traumatico, gli autori sottolineano come debba essere integrato con tutto ciò che concerne la risposta da “spegnimento” peritraumatica, che tornerebbe a essere di nuovo un atto cerebrale di tipo top down, secondo uno schema del tipo:
- stimolo distante: PROCESSO TOP DOWN
- stimolo vicino: PROCESSO BOTTOM UP
- stimolo soverchiante/paura senza sbocco: PROCESSO TOP DOWN (nuovamente)
Ne abbiamo già scritto qui a proposito della doppia natura del PTSD.
Gli autori sollecitano quindi lo sviluppo di filoni di ricerca che integrino il cervello “medio” e la sostanza grigia periacqueduttale (dimostratasi centrale come ente di coordinamento nelle risposte al trauma) nella letteratura sul PTSD, al fine di oltrepassare il modello “corteccia-centrico” del PSTD (che trovava nella funzione modulatrice della corteccia mediale prefrontale il nucleo concettuale dello sviluppo di uno stress post traumatico).
Infine, lanciano alcune questioni cliniche, a riguardo di:
- uso di THC sintetico nel trattamento del PTSD
- uso di antagonisti degli oppioidi (come il naloxone) per contrastare gli effetti dissociativi mediati dal rilascio di oppioidi endogeni (come prima approfondito)
- uso di terapie basate sul respiro
- uso di terapia incentrate sull’uso del corpo come strumento di regolazione neurofisiologica
Quali conclusioni trarre da questo articolo, molto ricco?
Quello che è importante sottolineare è che la reazione a un trauma, può prendere vie differenti, assumendo forme cliniche molto diverse. Per una diagnosi differenziale, tuttavia, occorre che venga fatta una distinzione iniziale tra una reazione al trauma da iperarousal (accensione protratta), e una reazione invece da spegnimento/collasso. Due facce quindi della stessa medaglia, con tuttavia vissuti soggettivi differenti, e modelli di presa in carico specifici.
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