di Raffaele Avico
PREMESSA
Questa intervista a Lorena Ferrero ha l’obiettivo di sensibilizzare rispetto a un tema circoscritto, ma importante: il futuro pensionistico e previdenziale del popolo degli psicologi italiani. É in particolare rivolta a liberi professionisti psicologi o psicoterapeuti sopra ai 30 anni di età, impegnati nella lotta per la conquista di un proprio spazio professionale, che vogliano gettare un occhio al proprio futuro in termini, appunto, di previdenza. Ne emerge un quadro fosco, in cui sembra necessario da subito puntare a differenziare, per il singolo professionista, le entrate economiche -all’insegna del metodo 1+1+1+1+1+1-, sganciati dall’idea -almeno al momento- di trovare una qualche forma di supporto attivo da parte degli enti previdenziali.
Gentile Lorena, ci dai una descrizione del tuo lavoro e di chi sei?
Sono una psicologa e psicoterapeuta piemontese, libera professionista, con un’attività lavorativa molto diversificata: oltre all’attività privata in studio sono professoressa invitata dell’Istituto Universitario Salesiano Rebaudengo di Torino; mi occupo inoltre di orientamento e politiche attive del lavoro. Psicologa scolastica e consulente tecnico di parte in perizie e CTU. Iscritta all’Albo degli esperti e dei collaboratori dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) e formatrice corsi ECM. In passato docente a contratto presso il Dipartimento di Psicologia di UNITO, esperta presso il Tribunale di Sorveglianza di Torino e consulente di un servizio pubblico sulle dipendenze. Ho collaborato con un’associazione di psicoterapia sociale, seguito la progettazione su bandi di finanziamento e ho lavorato come psicologa nei Centri di Accoglienza Straordinaria per migranti.
Gentile Lorena, come giudichi la situazione attuale italiana degli psicologi? Ci dai una fotografia sommaria dello stato di salute della categoria psicologi e psicoterapeuti?
Direi che come categoria stiamo male: c’è una richiesta del mercato del lavoro inferiore all’offerta degli psicologi, pubblica e privata, mancando un accesso programmato a livello nazionale all’Università come per le altre figure sanitarie. Siamo infatti una professione SANITARIA, più sulla carta che nella realtà. C’è BISOGNO di PSICOLOGI nel Servizio Pubblico, richiesta da parte dei cittadini, a cui spesso non si risponde perché mancano le risorse (la rete pubblica normalmente riesce a coprire mediamente solo il 25% dei bisogni psicologici previsti dai Livelli Essenziali di Assistenza anche attraverso gli specializzandi, che prestano gratuitamente la loro opera durante la formazione), quella che è bassa è la DOMANDA da parte della Sanità Pubblica, cioè vengono fatti pochi bandi e non vengono sostituiti i colleghi che vanno in pensione. Nel contempo non vengono forniti ai cittadini BONUS o attivate CONVENZIONI che consentano alle fasce deboli della popolazione di accedere al sostegno ed alle cure rivolgendosi direttamente agli psicologi liberi professionisti. Gli psicologi del lavoro e organizzazioni stanno un pochino meglio: una maggior richiesta della loro figura, però spesso le aziende preferiscono i coach anche con formazione non psicologica, questo dovrebbe farci nascere delle domande sul nostro percorso di studi forse non così professionalizzante.
Gentile Lorena, parlaci di previdenza e di pensione; recentemente hai avviato una polemica vivace sulle pensioni degli psicologi. Facendo un calcolo sommario, uno psicologo libero professionista di 30 anni, per avere una pensione di 1000€ al mese, dovrà smettere di lavorare a 70 anni avendo dichiarato ogni singolo mese più di 3000€. È così? Equivale a dire che una maggioranza dei professionisti avrà pensioni da fame.
Purtroppo la questione pensionistica degli psicologi liberi professionisti è una bomba sociale ad orologeria, che esploderà: occorre porsi il problema oggi come categoria ed interrogarsi sulle possibili soluzioni da mettere in campo a livello ENPAP, come cassa privata, e le richieste da portare a livello governativo. A 65 anni inizia l’erogazione della pensione ENPAP, se si continua l’attività privata nel contempo si versano ancora i contributi. Per arrivare ad una pensione mensile di 1.000 euro netti, occorre a 65 anni aver accumulato un montante di 250.000 euro di contributi. Attualmente le pensioni medie erogate si aggirano sui 180 euro mensili, con punte minime fino a 30 euro al mese. Previdenza&Solidarietà, la lista con cui mi candido nel CIG Nord alle prossime elezioni ENPAP, si impegna a lavorare per introdurre una pensione minima di 520 euro al mese. Si può fare, gli strumenti finanziari ci sono. Ora bisogna iniziare a lavorarci. Le pensioni basse nel sistema contributivo derivano, in gran parte, dalla bassa entità del montante nei primi 5/10 anni di attività professionale. Previdenza&Solidarietà si impegna a esplorare l’introduzione del “prestito d’onore” a valere sui montanti contributivi, a favore delle colleghe e dei colleghi più giovani. Partire con un montante di una certa consistenza garantisce nel tempo una pensione dignitosa.
Gentile Lorena, dove sono collocati, allo stato attuale, gli psicologi? Dove lavoravano, dove lavorano e dove lavoreranno?
Do alcuni dati. Siamo circa 120.000 iscritti all’Ordine in Italia, mentre solo 65.000 sono gli iscritti all’ENPAP. Quindi sembrerebbe che molti colleghi in realtà non lavorino come psicologi. Solo il solo il 20% degli psicologi, come psicoterapeuti, risulta attualmente invece operante in modo strutturato o in regime di convenzione all’interno del Sistema Sanitario Nazionale, pur essendo professione sanitaria. Quando siamo nati come professione il bacino del lavoro nel pubblico era naturale e senza ostacoli per chi non sceglieva la libera professione come interesse. Ad oggi i risultanti 80% degli iscritti all’Ordine dovrebbero distribuirsi tra liberi professionisti che spesso come la sottoscritta sono trasversali a più ambiti: clinico, forense, scolastico, lavoro e organizzazioni, migranti, sport, neuropsicologico e riabilitazione, disabilità e cronicità, anziani e RSA, ricerca e Università, e chi svolge mansioni come dipendenti che non richiedono l’iscrizione all’Albo degli psicologi, pur rimanendo iscritti per scelta personale, quali insegnanti di ruolo, precari, compresa la messa a disposizione ed educatori. Cosa ci riserva il futuro lavorativamente parlando francamente non lo so, al di là che se non viene istituito il numero nazionale programmato di accesso all’Università i più giovani saranno destinati principalmente ad una prospettiva di sottoccupazione o riconversione ad altri ambiti professionali, come parzialmente sta già accadendo, vedasi i bassi redditi dei neopsicologi.
Gentile Lorena, quali soluzioni intravedi? Distingui le soluzioni dall’alto, da quelle dal basso: cosa chiedere agli organi istituzionali, e cosa consigliare a un giovane collega? É chiaro che un professionista, a meno che non sappia differenziare o reinventarsi, impiegherà molto tempo prima di riuscire a camminare con le sue sole gambe, versando nel frattempo troppo poco.
Le soluzioni dall’alto e dal basso dovrebbero essere entrambe guidate da una logica di CATEGORIA: appartenenza, comunione di intenti, partecipazione attiva. Come tradursi nei comportamenti e azioni? Gli Organi Istituzionali, che ci rappresentano, CNOP, Ordini regionali e provinciali, ENPAP, si auspica, si muovano in sinergia. In particolare sono il CNOP a livello nazionale e gli Ordini a livello locale che dovrebbero impegnarsi per lo sviluppo professionale degli psicologi: assumendo anche posizioni ferme. Faccio un esempio: nell’emergenza Covid-19 sono stati previsti gli psicologi nelle USCA, al momento però non ci sono stati bandi al riguardo e nel contempo il Ministero della Salute aveva chiesto il contributo volontario e gratuito al numero verde di supporto psicologico, nel caso specifico il CNOP, a mio avviso avrebbe dovuto ostacolare questa iniziativa. I giovani colleghi avrebbero necessità di un orientamento all’uscita del percorso universitario rispetto alle opportunità reali e potenziali. Un’idea che mi piacerebbe implementare, lo si può fare però solo a livello di Ordine, è un progetto di mentoring tra liberi professionisti old e junior, come scambio intergenerazionale. Intanto il neopsicologo sia curioso e si informi per costruire il suo presente e futuro, si costruisca un proprio progetto professionale.
Gentile Lorena, hai indicazioni su libri o blog che ci aiutino a farci un’idea più reale dello stato delle cose?
A livello nazionale consiglio il blog del collega Rolando Ciofi una finestra sul mondo della psicologia, tendenze, sviluppi e criticità. In regione Piemonte ho cercato di creare con il gruppo Informazioni per gli Psicologi del Piemonte una comunità viva ed interattiva, che dibatte di temi locali e nazionali, opportunità lavorative e formative: operazione riuscita con la collaborazione degli oltre 3.000 membri su Facebook.