di Raffaele Avico
La Teoria dell’attaccamento deriva dagli studi di John Bowlby, con il suo famoso libro “Una Base sicura”, e dal lavoro clinico della sua allieva Mary Ainsworth, con le sue ricerche sulla diade madre-bambino all’interno del contesto della “strange situation”.
In che cosa consistevano questi esperimenti?
Mary Ainsworth ebbe la geniale idea di osservare l’interazione madre-bambino in quattro momenti distinti e seguenti:
- gioco
- distacco
- ricongiungimento
- gioco (dopo il ricongiungimento)
L’idea era quella di osservare le reazioni di un certo numero di bambini sottoposti a una situazione artificiale di gioco con la madre naturale (considerata come la figura di attaccamento primaria, quella a cui si presumeva il bambino si riferisse per ottenere protezione e nutrimento), seguita da un distacco forzato e da un ricongiungimento.
L’esperimento avveniva in questo modo: dietro uno specchio unidirezionale viene posizionata una videocamera, oppure sono presenti alcuni soggetti che hanno il compito di osservare le reazioni dei bambini coinvolti nell’esperimento:
- in una fase iniziale, madre e bambino sono impegnati a giocare insieme
- in seguito, dopo un certo lasso di tempo, la madre, con un pretesto, esce dalla stanza (questo è un espediente per procurare stress al bambino ed elicitare l’attivazione del sistema di accudimento): si osserva, in questo caso, la razione del bambino alla separazione (piange? Non reagisce? Protesta?)
- la madre rientra quindi nella stanza e si riavvicina al bambino: questo momento, chiamato ricongiungimento, viene osservato in relazione al tipo di risposta data dal bambino
- madre e bambino tornano infine al loro gioco
È importante osservare che la strange situation creava un forte stress nel bambino per una ragione precisa: l’obiettivo era valutare la tenuta inerente il “ricordo” della madre nella mente del bambino (ovvero quanto l’oggetto psichico “mamma”, per usare dei concetti psicoanalitici, fosse saldamente radicato nella mente del bambino, o quanto invece questa certezza interiore, una sorta di aspettativa, fosse labile, o addirittura assente, etc).
Si osservava dunque la reazione del bambino all’uscita della madre dalla stanza, la reazione al suo ritorno e, in tutto questo, la “qualità” del suo giocare (perchè questo? Alla base di questo vi è l’assunto che un bambino che non sente di avere una base sicura, non gioca, o gioca in modo “diverso”: è solo in presenza di una base sicura rappresentata nella mente, che è possibile per lui “dedicarsi” alla realtà intorno a sé; senza una base sicura, secondo Bowlby e in generale chiunque lavori in ambito di attaccamento, non può esservi una normale esplorazione).
Come reagivano questi bambini?
La maggior parte di loro, circa l’80%, reagivano protestando all’uscita della madre, tuttavia poi dedicandosi nuovamente al gioco, e gioendo al ritorno di questa: questo faceva supporre uno stile di attaccamento “sicuro” (stile di attaccamento di tipo B)nella mente del bambino, come un’aspettativa “preconscia” (quello che chiameremmo Modello Operativo Interno) che la madre, prima o poi, sarebbe tornata senza abbandonarlo: sarebbe stato “solo questione di tempo”.
Una percentuale di essi, tuttavia, rispondeva usando pattern definiti insicuri, con uno schema diverso, in questo modo:
- i bambini classificati come EVITANTI (stile di attaccamento di tipo A), sembravano giocare senza coinvolgere la madre inizialmente, non protestare alla separazione dalla madre, né gioire al suo ritorno, come si osserva nel video sotto riportato. Questo fece ragionare i ricercatori a proposito di ciò che accadeva nella mente del bimbo in risposta a questo cambio di situazione e questo stress potenzialmente alto (teniamo conto che nei video i bambini hanno poco più di un anno di età, quindi sono totalmente dipendenti dalla figura di attaccamento): sembrava che ci fosse una sorta di assenza di aspettative positive nella mente del bimbo a proposito di un rapporto che fosse durevole e centrato su una vicinanza fisica con la madre: in risposta a questo, sembrava esserci stato un disinvestimento relazionale iniziale messo in atto in modo difensivo, anticipatorio. In questi casi si osservava inoltre la presenza di un certo stile di accudimento della madre, definito “dismissing” (respingente), con atteggiamenti distanzianti e una certa freddezza emotiva: il bambino avrebbe messo in atto questa risposta evitante proprio per non dover più investire in questo rapporto “monco”, che non gli avrebbe consentito di ottenere risposte adeguate in senso relazionale, con la figura di attaccamento primaria.
Vediamo in questo caso che il bambino ha come impegno centrale qualcosa che ha che fare col gioco e con attività pratiche, la sua attenzione non sembra essere rivolta al mantenimento del rapporto con la madre, che è disinvestito e non cercato (e questo lo si osserva molto bene nel video) - i bambini invece considerati come AMBIVALENTI (stile di attaccamento di tipo c), giocavano con la madre nel periodo iniziale, quindi, al distacco, prorompevano in un pianto inconsolabile, e anche al ricongiungimento con la madre sembravano continuare a soffrire. Perchè questo? Consideriamo come ognuno di noi si faccia, nel tempo, una rappresentazione mentale delle relazioni più importanti in senso affettivo, e costruisca delle aspettative a riguardo di come queste si sviluppino e siano più o meno, solide, più o meno durevoli: in questo specifico caso, osservato in questo gruppo di bambini, il rapporto con la madre sembrava essere caratterizzato da una sorta di ansia continua relativa al fatto di dover riconfermare, riaccendere sempre, il rapporto con una madre sperimentata e sentita come un oggetto “intermittente”, poco presente in maniera stabile, sempre da ricercare. Questo stile di attaccamento richiede una riconferma continua delle figura di attaccamento: per questo è vissuto con ansia e viene appunto chiamato ansioso/ambivalente; la figura di riferimento non è sentita come presente in modo continuativo: la realtà esterna viene disinvestita e tutta l’energia psichica viene impiegata per ricercare attivamente il contatto con la figura di riferimento. Si osservi questo video:
- una terza modalità è quella definita (ma anni dopo, a partire da studi successivi) DISORGANIZZATA (stile di attaccamento di tipo D): in questo caso si osservavano modalità comportamentali del bambino aventi caratteristiche specifiche: il bambino sembrava rifuggire e insieme ricercare la figura d’attaccamento (cosa che avviene quando il bambino cresce in una ambiente traumatico in senso relazionale, temendo e contemporaneamente dipendendo dalla figura di attaccamento); in questo caso, nel bambino esistono due spinte opposte: mi avvicino alla mia figura di attaccamento, e insieme la rifuggo, perché la temo (quindi PAURA vs BISOGNO)
Queste tipologie di attaccamento, definiti appunto “stili”, sono state osservavate su campioni molto grandi di bambini, e hanno contributo a creare il filone teorico inerente appunto l’attaccamento, chiamato “teoria dell’attaccamento”.
Come colleghiamo la teoria sul trauma alla teoria dell’attaccamento? La genesi di un trauma complesso avverrebbe proprio all’interno di un attaccamento disorganizzato. Un trauma complesso è infatti un trauma protratto, che affonda le sue radici nei tempi lontani dell’infanzia. Come ben espresso in un libro che spesso qui citiamo, Sviluppi Traumatici, la presenza di una doppia spinta nel bambino (che si difende dalla persona che dovrebbe proteggerlo), creerebbe il terreno entro il quale il trauma si esprimerebbe durante la crescita. Il risultato? Un PTSD complex, appunto, che abbiamo qui definito e sintetizzato.
La conseguenza diretta del formarsi di questi stili relazionali, è il formarsi di “aspettative” verso le relazioni future, che ricalcheranno le modalità relazionali sperimentate nei primi 3 anni, che come sappiamo, contribuiscono grandemente alla formazione della personalità degli individui, come un “imprinting” relazionale che ci portiamo dietro dall’infanzia ma del quale possiamo divenire consapevoli, per promuovere cambiamenti o sperimentarci in relazioni “correttive”.
Per un approfondimento, consigliamo anche la lettura di questo articolo su Psychiatry On Line.
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