di Raffaele Avico
Diamo una breve definizione, per punti, di Maladaptive Daydreaming (MD).
- il maladaptive daydreaming consiste in un eccessivo fantasticare a occhi aperti, con notevole intensità e per molto tempo; viene descritto come un problema compulsivo, al di là cioè della normale volontà dell’individuo, e in grado di creare dipendenza
- viene considerato una variante di disturbo dissociativo: un disturbo dissociativo, come qui abbiamo approfondito, è un problema che riguarda lo stato della coscienza: il bisogno o il desiderio di ottenere uno stato di “scollamento” dalla realtà circostante, per ragioni di salvaguardia della tenuta mentale. I sintomi dissociativi arrivano spesso in conseguenza di un’iniziale fase di attivazione sofferta; questo è chiarito molto bene dal modello a cascata. Il modello a cascata ci racconta di come spesso un’eccessiva attivazione ansiosa, produca, come conseguenza secondaria, uno stato di collasso dissociativo. Come il dente di una sega, vi è un’attivazione verso l’alto dell’individuo, poi culminante in un collasso dissociativo con funzione di “scarico”.
- in questo articolo (scaricabile in PDF) 21 persone furono intervistate a proposito del MD; l’articolo in questione si propose di effettuare un’analisi del tema in chiave fenomenologica, senza cioè cercare ricorrenze o correlazioni statistiche, ma approfondendo la singola esperienza dei diversi soggetti per capire meglio il loro “vissuto” e cosa sia, in effetti, il maladaptive daydreaming.
I punti chiave emersi dalle interviste furono raggruppati in 3 cluster: 1) condizioni necessarie al MD 2) contenuti del MD e 3) caratteristiche dell’esperienza del MD.
Vediamoli qui di seguito:- per quanto riguarda le condizioni necessarie, il maladaptive daydreaming, per essere veramente tale, necessita di 1) essere vissuto con disagio, 2) come prima accennato, essere vissuto come compulsivo e 3) essere caratterizzato da fantasie vivide e prolungate nel tempo; un aspetto notato sembrava essere, negli intervistati, la presenza di “condizioni scatenanti” in grado di favorire l’accesso al daydreaming: solitudine, musica o movimento ripetuto. Viene inoltre sottolineato dagli intervistatori il carattere compulsivo dello stato di maladaptive daydreaming, proprio quando se ne cerchi una fuoriuscita tramite esercizi di grounding
- per quanto riguarda i contenuti, emerge una grande varietà tematica, con due macro-temi più presenti di altri: 1) vita familiare e sociale immaginata 2) fantasie di status e rivalsa sociale, con episodi di successo personale fantasticato e grande riconoscimento da parte della collettività
- a riguardo degli aspetti esperienziali del maladaptive daydreaming, nell’articolo vengono citati: 1) vividezza della fantasia prodotta, 2) grande impatto emotivo anche in senso positivo, o in modo variegato (qui notiamo un punto utile per fare una diagnosi differenziale rispetto al PTSD classico, o agli aspetti perturbanti di un disturbo psicotico produttivo) 3) grande creatività nel generare scenari mentali entro cui immergersi
Parliamo dunque di un problema che riguarda l’eccessivo assorbimento del soggetto in fantasie lunghe e vivide.
Che differenza c’è tra il MD e il normale detachment?
Potremmo considerare il MD come una variante del detachment, caratterizzata da una maggiore produttività e creatività di pensiero.
Il detachment classico, se osservato in un soggetto, dà l’idea che l’individuo diffonda, “sgrani” o frammenti lo stato di coscienza, disperdendo l’attenzione in una sorta di vuoto mentale senza nessun pensiero particolare; è una frammentazione.
Il MD, al contrario, convoglia l’attenzione del soggetto entro uno scenario ricreato, che tuttavia potrebbe svolgere la stessa funzione del detachment, ricordando cioè uno stato mentale alternativo, una scappatoia dal momento presente.
La differenza è sottile ma chiara; parliamo, in ogni caso, di disturbi simil- dissociativi.
Vediamo un contributo video:
Marco Crepaldi sta facendo un grande lavoro di divulgazione sul fenomeno hikikomori, e sui temi inerenti quello che chiama “femminismo tossico” (radicalizzato).
In questo video intervista Valeria Franco, la responsabile dell’associazione Maladaptive daydreaming Italia:
Come si osserva, viene qui data una definizione generale del problema, toccando alcuni punti:
- la fantasie sono varie e soggettive, diverse per ognuno
- esistono comunità su Facebook con finalità di auto-mutuo aiuto (per esempio questo gruppo)
- è possibile che la fantasia assolva a due funzioni: a) scarico pulsionale, o b) ricostruzione compensatoria; come ascoltiamo dal video, è possibile che la fantasia rappresenti un eccesso di energia psichica che, non trovando altri oggetti di “aggancio”, produca questo tipo di contenuti così da poter essere sublimata/evacuata -attraverso questo tipo di creazione fantastica; oppure, potremmo interpretare la fantasia come un sintomo dissociativo in presenza di sindromi post-traumatiche di varia natura;
- giustamente viene sottolineato dalla Franco la possibile comorbilità con disturbi dissociativi o Asperger; viene evidenziato come il fantasticare in modo compulsivo andrebbe letto come sintomo, “spia” di qualcosa che non funziona in altre aree della vita. In questo senso parla della necessità di “guarire la vita” come prima cosa, senza necessariamente concentrarsi sulla fantasia in sè.
Come osserviamo, il Maladaptive Daydreaming può essere letto usando differenti griglie teoriche. Essendo una costrutto diagnostico nato di recente (il costrutto per primo è stato formulato da Eli Somer, Israele) non è ancora possibile inquadrarlo in modo definitivo. É tuttavia facilmente intuibile come possa ben accostarsi allo spettro dei disturbi dissociativi.
Qui per approfondire. Si veda anche questa intervista ad Eli Somer.
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