di Raffaele Avico
PREMESSA: questo articolo è stato scritto sotto la supervisione di Andrea Vallarino
PREMESSA 2: Questo articolo prosegue un filone di articoli inerenti il controllo qui reperibili: IL CONTROLLO CHE FA PERDERE IL CONTROLLO e Psicoterapia breve strategica del Disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Intervista ad Andrea Vallarino e Luca Proietti
Abbiamo già su questo blog scritto a proposito del tema “controllo”, che dovremmo meglio declinare qui in “auto-controllo”, dato che riguarda il controllo da parte dell’individuo delle sue stesse manifestazioni (siano queste un pensiero o un comportamenti).
Il problema del controllo si presenta in modalità differenti, ma costituisce una tematica a sé stante, declinato in differenti forme. Potremmo definire il paradosso del controllo come un problema generato dal tentativo fallimentare da parte del soggetto di controllare il suo comportamento, i suoi pensieri, le sue percezioni o i sintomi. Un controllo quindi auto-diretto, rivolto a sè, al proprio mondo interno o ai propri comportamenti.
Questa dinamica può presentarsi in molteplici disturbi, per esempio:
- il disturbo di panico (per cui l’individuo tenta di controllare le sue stesse reazioni neurofisiologiche, l’andamento del suo respiro, la tenuta del suo corpo, fino a creare un cortocircuito impossibile da gestire), come abbiamo qui approfondito con Andrea Vallarino (a proposito del tema del “controllo che fa perdere il controllo”)
- il disturbo ossessivo puro (per cui l’individuo tenta di controllare la forma del suo stesso pensiero, perdendo anche in questo caso il controllo sullo stesso fino ad arrivare a soffrirne; immaginiamo per esempio un individuo che si imponga di non pensare di voler uccidere suo padre). In questo caso il controllo che fa perdere il controllo si sviluppa sui pensieri.
- i disturbi sessuali (per cui il paziente -per esempio maschio- si autoimpone di mantenere certi livelli di performance durante l’atto sessuale, entrando a gamba tesa con il pensiero sulla parte più “istintuale” dell’atto sessuale in sé, boicottandolo di fatto -ma la stessa cosa potrebbe essere immaginata per la donna a riguardo del piacere/orgasmo).
- l’insonnia (per cui l’individuo impegnato nel controllare l’orario del suo addormentamento, si attiva in senso ansioso, non riuscendo a scivolare nel sonno)
- la tosse psicogena e altri sintomi somatici (quindi non conseguenti a patologie organiche), che verranno approfonditi in un prossimo articolo.
Come osserviamo, la problematica dell’autocontrollo si presenta laddove per l’individuo sia fondamentale tenere a bada qualche esternazione/manifestazione del corpo e della mente, verso la quale occorre dal suo punto di vista esercitare un’azione contenitiva/controllante.
Abbiamo già su questo blog osservato come il tentativo di controllare aspetti del proprio pensiero o di tutto ciò che è spontaneo nel corpo (il tentativo di controllare qualcosa che spontaneamente funziona in maniera involontaria lo blocca o ne altera il funzionamento), produca effetti paradossali e fallimentari.
L’aspetto centrale è il tentativo di imporre un controllo razionale su un aspetto del corpo o del pensiero per sua natura spontaneo (per esempio il riflesso appunto della tosse, l’andamento del respiro -per cui alcuni individui sembrano “fissarsi” sul volerlo regolarizzare, di fatto autoinnescandosi reazioni ansiose e controproducenti-, il battito cardiaco, l’ansia stessa, il pensiero stesso), come esemplificato nella breve storia del millepiedi.
Prendendo come cornice teorica la psicoterapia strategica (di cui abbiamo già scritto su questo blog), sappiamo che questi tentativi di controllo rappresentano una “tentata soluzione” messa in atto per risolvere un problema percepito da un individuo, che in realtà crea un circolo vizioso che tiene in vita il problema stesso, che può nel tempo assumere varie forme psicopatologiche (per esempio un senso di isolamento o di alienazione generato dal sentire di non essere mai compresi a fondo, scollegati dal resto del mondo, in preda a pensieri circolari, chiusi, non risolutivi).
Oltre a questi aspetti riguardanti aspetti del proprio corpo o pensieri in qualche modo spontanei (che però l’individuo tenta di controllare), parlando di controllo sul proprio comportamento va fatto un ulteriore appunto riguardante il tema “paranoia”.
Se infatti l’autocontrollo riguarda aspetti che abbiamo detto spontanei, l’intero comportamento di un individuo può divenire oggetto di autocontrollo nel momento in cui un soggetto si percepisca oggetto di osservazione da parte di un pubblico -più o meno reale, anche solo immaginato o “ricordato”. Può accadere quindi che in questo caso un individuo si percepisca oggetto di attenzioni da parte di un “pubblico” vissuto come focalizzato su di lui/lei (per esempio durante una tratta in bus trascorsa in piedi), e che quest’ultimo gli/le induca il tentativo di controllare il suo stesso comportamento, per riuscire al meglio nella “piece” teatrale che lui/lei senta di essere impegnato a recitare. Il risultato di questi tentativi di autocontrollo su movenze/pose/atteggiamenti sociali che in teoria dovrebbero essere spontanei, è spesso un aumento della goffaggine fino alla paralisi, con pesanti sentimenti di vergogna percepita e senso di straniamento che potrebbe essere confuso con un sintomo di natura dissociativa. In realtà è più probabile che in questi frangenti l’individuo sia coinvolto così a fondo nel tentativo di autocontrollare ciò che sta facendo, auto-osservandosi, da apparire assente o “lontano” dal momento presente.
Il senso di spontaneità sociale, tornerà quando questi riesca a “dimenticare” il pubblico di fronte al quale sembri star recitando, o praticando esercizi di grounding così da “planare” sul presente, “rientrando” in ciò che stava facendo prima dell’accesso controllante.
Un esempio di “esercizio” cognitivo di aiuto in questi casi, insegnato nei corsi di public speaking, consta -di nuovo- in un esercizio di grounding, di radicamento, ovvero lo spostare l’attenzione da sè all’altro, al proprio pubblico, tentando di convogliare energia psichica nel diffondere il proprio messaggio in modo più semplice possibile, “servendo l’ascoltatore” al di fuori di logiche di “ego” o immagine, in modo tale da “ri-atterrare” nel presente, abbandonando l’autocontrollo.
ASPETTI CLINICI
Per quanto concerne gli aspetti clinici, riguardanti il lavoro su questo tipo di problematica, abbiamo chiesto un confronto e un chiarimento ad Andrea Vallarino. Il video della conversazione con lui è qui disponibile:
Alcuni aspetti emersi degni di nota sono:
- il problema del controllo e dell’autocontrollo è trasversale e presente in molteplici ambiti psicopatologici, come si diceva, dal disturbo ossessivo puro, al panico, ai disturbi alimentari (dove viene mantenuto in quanto efficace: in questo caso è un controllo talmente efficace da divenire necessario, esercitato attraverso l’amministrazione del cibo)
- il lavoro psicoterapico con il controllo, passa per il concetto di “flessibilità”: occorre cioè lavorare affinché il soggetto divenga un “professionista del controllo”, di fatto in grado di esercitarlo su di sé (e sull’ambiente esterno) quando ve ne sia necessità, e di lasciarlo andare (delegando o evitando) quando la situazione lo richieda
- è necessario ristabilire un approccio “bottom up” alla risoluzione dei problemi e alla realtà “interiore” del soggetto: è importante cioè che il soggetto moduli il suo comportamento a partire da ciò che sente ed esperisce, non a partire da ciò che il suo cervello (la sua corteccia cerebrale) gli o le impone di pensare/fare/sentire. Un approccio “dal basso” rappresenta, in questi casi, un ritorno alla normalità, avendo “rimesso la corteccia al suo posto”
- la stratagemma del doppio compito rappresenta un aspetto importante, clinicamente centrale. Occorre in alcuni casi far sì che il paziente “solchi il mare all’insaputa del cielo”, agendo cioè all’insaputa del suo stesso meccanismo controllante. Lo stratagemma del doppio compito ha come assunto il principio del filtro di Bradbent, per cui non è possibile sviluppare ansia o senso di minaccia per più “oggetti psicologici” in contemporanea, ma solo per un oggetto alla volta. Già una delle ipotesi sul funzionamento dell’EMDR si basa sull’idea del doppio compito. Nei casi di ipercontrollo, occorre che il soggetto dirotti l’attenzione su un altro oggetto/task (per esempio concentrando l’attenzione sul tono e sulla velocità della sua stessa voce partendo dall’ossessione per cosa si dice nei casi di fobia sociale nel public speaking); anche attraverso il grounding si tenta di dirottare l’attenzione così da prevenire risposte di allarme o ansia. Quando la persona riuscirà a solcare il mare all’insaputa del cielo, questo sarà un primo passo verso l’esposizione allo stimolo temuto (pensiamo per esempio ai casi di panico, per cui il soggetto vive realtà sempre più piccole, sempre più accartocciate)
- il problema del controllo sembra essere si pertinenza del mondo occidentale, così come i disturbi del comportamento alimentare nel loro complesso; questo ci dovrebbe far riflettere su quanto la cultura in generale impatti sulla produzione di distorsioni di pensiero e psicopatologia
- La prescrizione del sintomo permane come strumento clinico. Questa grande intuizione clinica, maturata nel contesto teorico della Scuola di Palo Alto, rappresenta la punta di diamante del portato teorico di Paul Watzlawick. Il principio che guida l’utilizzo di questo strumento, è che un individuo che tenti di controllare qualcosa per sua natura spontaneo, si avviterà in pensieri circolari e forieri di psicopatologia su più livelli. Come sappiamo dalla lettura di Change (qui recensito), per cambiare un processo occorre saperne per prima cosa uscire: vedere il paradosso del voler controllare qualcosa per sua natura spontaneo (come l’andamento del respiro, che può divenire, anch’esso, oggetto di ossessione), cosa che crea ansia e pensiero ossessivo, è il motivo per il quale imponendoci di vivere il sintomo, ne forzeremo la sua comparsa spontanea, togliendo ad esso il “controllo”. Ovvero, occorre in questi casi transitare da una logica di conflitto, a una logica di scelta/controllo. Osserviamo ancora, qui, come in salute mentale il tema del controllo/mastery sia assolutamente centrale: con i sintomi, gli individui ingaggiano rapporti di forza e conflitto, e dalla risoluzione di questi conflitti dipenderà il loro benessere psichico: è assolutamente importante in altre parole che l’individuo senta di essere “padrone in casa propria”. Su questo si veda anche questo video di Luca Proietti.
NB
Questo articolo prosegue un filone di articoli inerenti il controllo e fatti in collaborazione e sotto la supervisione di Andrea Vallarino, qui reperibili:
- IL CONTROLLO CHE FA PERDERE IL CONTROLLO
- Psicoterapia breve strategica del Disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Intervista ad Andrea Vallarino e Luca Proietti
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