di Raffaele Avico, Gabriele Einaudi
La complessità del lavoro psicoterapeutico è ben conosciuta dagli addetti ai lavori, così come è noto l’emergere negli ultimi anni di tecniche, strumenti e talvolta veri e propri modelli che spesso rischiano di confondere pazienti e, non di rado, gli stessi operatori.
In particolare, facendo riferimento alle terapie cognitivo-comportamentali, il riferimento alla cosiddetta terza onda (per un approfondimento) riesce solo in parte a sintetizzare il corpus di conoscenze che vi afferiscono.
Se è il terapeuta ad essere al centro del lavoro clinico, il paziente si dovrà necessariamente adeguare al modello del terapeuta. Così, se si è terapeuti CBT standard, il paziente dovrà fare il paziente cognitivo, e così via per gli altri approcci.
Il modello MAP (Multiple Access Psychotherapy) tenta di organizzare in un modello il lavoro clinico con il paziente che prevede frequentemente l’alternarsi di approcci al problema differenti.
Base del modello è il concetto che è il paziente ad essere al centro e a indirizzare, attraverso i suoi bisogni, l’azione terapeutica che viene in questo modo co-costruita.
La filosofia del modello ad approcci combinati con accesso multiplo è semplice: applicarla è invece maggiormente complesso e prevede che il terapeuta sia esperto del processo di cura.
È importante, per iniziare, porsi la domanda: quale modalità usa prevalentemente il paziente per dare un senso al suo dolore? Sarà cioè opportuno usare la sua modalità per accedere con più immediatezza al “suo” modo di stare al mondo e al “suo” modo di dare senso al dolore psichico.
In seguito, sottoforma di proposta, sarà possibile esplorare insieme modalità nuove, che sono anch’esse già concettualizzate nel modello MAP.
Il modello MAP non esclude che ogni professionista abbia delle prevalenze e che preferisca e si senta maggiormente a suo agio con determinate tecniche, ma prevede che ci si possa accorgere che, magari, un pezzo del percorso terapeutico possa essere affrontato insieme ad un altro collega, magari in co-terapia.
Sul libro Il cervello che cambia è presente un capitoletto che riassume e sistematizza il modello MAP insegnato presso la scuola Torinese di specializzazione in psicoterapia Centro Clinico Crocetta e la scuola di specializzazione dell’Istituto M.in.D (queste scuole, afferenti alla SITCC, si caratterizzano per un’impostazione maggiormente cognitivo-costruttivista la prima e cognitivo-evoluzionista la seconda).
Di fatto, in questo capitolo viene riassunto e appunto sistematizzato il modello proposto da Fabio Veglia, direttore delle scuole e professore ordinario di psicologia clinica presso l’Università degli studi di Torino.
Vediamolo riassunto per punti (seguendo la traccia del capitolo, dal titolo appunto “Proposta di un modello integrato: Multiple Access Psychotherapy”):
- gli assunti su cui il modello si fonda sono:
- la vita umana in generale si muove sospinta da 3 macro-finalità: la ricerca di sicurezza e occasioni riproduttive, il bisogno di creare connessioni sociali, il bisogno di cercare senso e significato per la vita stessa
- il dolore psicologico segnala bisogni non totalmente risolti -che necessitano di essere presi in considerazione, o situazioni critiche a cui ci si dovrà dedicare
- l’impossibilità di fronteggiare una minaccia alla sicurezza produce memorie somatiche implicite che verranno in seguito triggerate da eventi di vita (aspetto questo inerente gli aspetti psicotraumatologici)
- le 3 macro finalità riguardano parti differenti del cervello, secondo la teoria del cervello tripartito di MacLean
- la sofferenza segnala aspetti di conflitto che vanno risolti: ha quindi una funzione di per sé adattiva; il problema sorge quando si cronicizza
- la complessità del funzionamento del complesso mente-cervello umano non viene quasi mai tenuta in vera considerazione quando ci si interfacci con i modelli esplicativi che tentino di spiegarne la psicopatologia: abbiamo in questo caso molteplici approcci teorici che vorrebbero esaurire la complessità in modelli esplicativi: il costruttivismo, l’approccio metacognitivo, la teoria dell’attaccamento, l’approccio psicotraumatologico, e altri. Un modello realmente in grado di affrontare la complessità di questo oggetto di studio dovrebbe tuttavia tenere insieme tutti questi approcci e favorire il paziente affinchè questi scelga il suo proprio modello (nel senso che un modello potrebbe meglio adattarsi al suo modo peculiare di contestualizzare e vivere la sua psicologia)
- esistono diversi approcci e stili psicologici che osserviamo caratterizzare la vita degli individui: come prima accennato, in conseguenza di questo troveremo pazienti che prediligono -nel contesto della psicoterapia- un approccio maggiormente dichiarativo/logico, altri maggiormente affettivo/relazionale, altri ancora opteranno per un approccio maggiormente procedurale/direttivo. Lo stesso vale per gli stili e i “filtri” del terapeuta (che però dovrà esserne consapevole); vista questa complessità, è opportuno dotarsi di un modello di psicoterapia “ad accesso molteplice” che ci consenta di usare la modalità più consona alla persona con la quale dovremo rapportarci
- per comprendere la sofferenza di una individuo quando questa ci si mostri incomprensibile, partiremo con un primo movimento inerente le sequenze critiche attuali, per poi andare (secondo movimento) in cerca di memorie non integrate di tipo traumatico (esplorando dunque le storie di vita), per poi collocare il tutto (terzo movimento) su una griglia teorica che consenta di leggere questo dolore in chiave evoluzionistica, ponendoci di fronte alla domanda: quale mandato evolutivo innato è stato interrotto o “complicato” dalla circostanze in atto per il soggetto? Parliamo qui di Sistemi Motivazionali Interpersonali, mandati evolutivi innati in grado di guidare e modellare il comportamento del soggetto a partire da poco dopo la sua nascita: Attaccamento, Accudimento, Agonismo Ritualizzato, Appartenenza, Sessualità, Cooperazione (qui un approfondimento su questi aspetti). Questi tre movimenti di conoscenza della sofferenza portata dal paziente vengono definiti in questo modello “psicodinamica evoluzionista e costruttivista fondata su conoscenza neuroscientifiche”
- A proposito degli aspetti “contestuali” alla terapia, Veglia sottolinea come il tutto debba essere svolto nella cornice di un’alleanza terapeutica solida (aspetto questo sottolineato frequentemente nei lavori di Giovanni Liotti), e “tenendo a mente il corpo”. Le evidenze neuroscientifiche (per esempio la Teoria polivagale di Porges, di cui si parla e si ragiona ancora troppo poco) ci dicono di come un terapeuta regolato in termini neurofisiologici, in grado di permanere entro la sua Finestra di tolleranza, riuscirà a “regolare” un paziente in modo più efficace attraverso il suo corpo che non per via di una spiegazione “logica” di ciò che non “va” nel suo modo di ragionare.
- É evidente la centralità, in questo modello, dell’utilizzo di tutto ciò che parte dal corpo per andare alla mente: l’approccio bottom-up. Anche l’approccio farmacologico è inserito nella cornice centrale del modello MAP riguardante gli approcci bottom-up. A volte, tuttavia, un approccio più logico e dichiarativo fondato sul ragionamento e sulla creazione di nuove conoscenze (per esempio attraverso la psicoeducazione), sarà in grado di fornire al paziente una maggiore spinta al cambiamento: si tratta in questi casi di partire dalla “corteccia” cerebrale per andare verso il corpo e l’emotività: un approccio quindi top-down.
- Per quanto riguarda gli aspetti di “senso e significato”, la posizione di Fabio Veglia è sempre stata chiara: il “luogo di generazione e fallimento” della creazione del senso e del significato, è l’interazione con gli altri, per via di una “narrativa incarnata” che tenga conto della complessità del Sè-insieme-agli-altri. A questo proposito Veglia introduce il tema del “trauma semantico”, un trauma cioè prodotto nell’impossibilità di raccordare e integrare parti di Sé (cosa in grado di generare impotenza e senso di paralisi, disorganizzazione di pensiero e disregolazione emotiva; già Giovanni Liotti osservava come stati transitori di dissociazione fossero segnali di “conflitto” tra parti di sé, conflitto all’apparenza non risolvibile –si veda questo per un approfondimento).
A proposito della necessità di avere “accessi molteplici”, Veglia sottolinea acutamente come il linguaggio già preveda approcci diversi alla memoria, attraverso parole diverse: rimembranza (ricordare partendo dal corpo), ricordo (ricordare in termini affettivi), reminiscenza (ricordare a partire da conoscenze più dichiarative e logiche).
Infine, la ricerca di un approccio integrato che metta insieme gli aspetti prima citati, va nella direzione ideale di creare un modello di psicoterapia “unico”, forse verso una “quarta onda” in ambito di psicoterapia cognitiva.
Per un approfondimento ulteriore, queste slide.
Alcune immagini esplicative del MAP:
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