di Raffaele Avico
Vediamo brevemente in cosa consiste soffrire di sintomi dissociativi, e in quali modi questi si manifestino.
Sappiamo che, genericamente, distinguiamo due forme di dissociazione: dissociazione strutturale della personalità e dissociazione di “stato”.
Il problema è che non esiste al momento un consenso finale sul modo con cui si possa manifestare la dissociazione, e una definizione unica che sappia racchiudere in sè tutte le sue forme.
Alcuni autori parlano per questo di uno spettro dissociativo, di una dimensione dissociativa che potenzialmente potrebbe essere osservata in molteplici altri disturbi (pensiamo per esempio ai disturbi gravi di personalità come il disturbo borderline o ai disturbi da dipendenza).
Partiamo dalle forme più comuni di sintomo dissociativo:
- depersonalizzazione: il vedersi dal di fuori, uscendo da sé e osservandosi vivere (anche detta autoscopia)
- derealizzazione: sentire che quello che sto vivendo non è reale, è artefatto o lontano in senso affettivo
- amnesie e fughe dissociative (fette di esperienza, sembrano scomparire; per capirci, l’amnesia dissociativa sembrò essere implicata -divenendo un’attenuante- nell’uccisione del bambino a opera della madre nel delitto di Cogne)
- detachment/scollamento e restringimento cognitivo: queste forme di disturbo dissociativo le osserviamo quando l’individuo pare interrotto, bloccato in una sorta di trance, con occhi sgranati, volto immobile e a-mimico (si veda questo video, di cui abbiamo scritto negli scorsi mesi, per un esempio)
- disturbi inerenti la propriocezione e l’equilibrio: questi sintomi dall’apparente causa neurologica o riguardante il sistema vestibolare, non hanno in realtà causa medica in senso comune, cosa che li declassa automaticamente a disturbi psicosomatici; non è infrequente che un individuo, a seguito di un trauma, sperimenti giramenti di testa e senso di mancato radicamento alla terra; ne parla a fondo Stephen Porges con la sua Teoria Polivagale. Sull’impatto del trauma sul sistema vestibolare (equilibrio) si veda questo articolo (dal gruppo di lavoro di Ruth Lanius), o questo.
Andiamo a vedere ora le forme della dissociazione più controverse o di difficile lettura:
- voci: sappiamo che i sintomi dissociativi possono assumere forma di voci simil-allucinatorie. Alcuni autori hanno notato questa somiglianza. Ne abbiamo parlato in questo articolo
- deja vù
- sintomi conversivi, con parti del corpo anestetizzate senza apparenti motivi medici, sintomi psicosomatici controversi e di difficile lettura (si veda anche questa recensione)
- evidenti interruzioni e incoerenze nel costrutto autobiografico del soggetto, con un senso di “capitoli incollati insieme ma poco coerenti” nel “libro” della propria vita. Questo riguarda in particolare la dissociazione strutturale della personalità di Onno Van der Hart.
- senso di distorsione del senso del tempo; in contesti traumatici o post-traumatici, quando per esempio l’individuo sia immerso in un flashback vivido, è possibile che il senso percepito soggettivamente del tempo si deformi: si veda qui per un approfondimento.
Ricordiamoci che per comprendere come funziona la dissociazione nella sua forma “attuale” -che non riguarda tutta la personalità ma solo il suo funzionamento nel momento peri e post traumatico-, dobbiamo rifarci al modello a cascata.
Nel corso di un evento traumatico, la mente riesce a elaborare le informazioni provenienti dal contesto, fino a una certa soglia di minaccia percepita. Come ci illustra in modo ottimo la già citata Teoria polivagale di Porges, raggiunta una certa soglia osserviamo un collasso delle funzioni cognitive, entro un andamento “a dente di sega”.
In concomitanza di questo momento di collasso, compaiono sintomi dissociativi.
I sintomi dissociativi sono dunque da intendersi come degli abbassamenti di tensione, momenti di scarico o implosione delle normali funzioni cognitive che ci permettono di adattarci alla realtà che ci circonda.
La mente, prima della loro comparsa, viene perturbata da ricordi o contenuti affettivamente attivanti, auto-generando poi uno stato di coscienza alterato a fini di protezione del sistema nella sua interezza.
Una lettura molto interessante l’ha data Liotti a proposito del fenomeno dello scollamento (detachment).
Liotti sostenne, come qui approfondito, che il detachment fosse da interpretare come il segno di uno shift da uno stato mentale a un altro: un momento dunque di passaggio, di transizione, indicativo del tentativo da parte della nostra mente di transitare da uno stato mentale a un altro, segno di uno stato di “frammentazione” interna.
Al di là delle finezze diagnostiche, la dissociazione è sempre più un costrutto teorico ampio che rischia, come per altre problematiche, di divenire un contenitore diagnostico “cestino”, in grado di contenere tutto ciò che non può essere spiegato in altro modo.
In realtà, sappiamo che chi ne soffre si rende molto bene conto di cosa significhi sperimentare inquietanti alterazioni della stato della coscienza senza apparenti spiegazioni.
Chiudiamo questa breve disamina con le parole di Benedetto Farina, e una sua intervista video:
“Recentemente un gruppo di studiosi provenienti dalle università di Londra, Cambridge, Manchester e Sheffield ha proposto una classificazione dei fenomeni dissociativi diversa ma per molti aspetti sovrapponibile a quella di Jackson e Janet (Brown 2006; Holmes et al. 2005). I ricercatori britannici ipotizzano che la dissociazione si possa esprimere con due forme differenti: i fenomeni da detachment (letteralmente distacco) e quelli di compartmentalization (letteral- mente compartimentazione). I primi corrispondono alle esperienze di distacco da sé e dalla realtà e consistono nei sintomi come la depersonalizzazione, la derealizzazione, l’anestesia emotiva transitoria (emotional numbing nella letteratura anglosassone), déjà vu, esperienze di autoscopia (out of body experiences). Queste esperienze sono tipicamente attivate da emozioni dirompenti provocate da esperienze minacciose ed estreme (Lanius et al. 2010a). I secondi emergono invece dalla compartimentazione di funzioni normalmente integrate come la memoria, l’identità, lo schema e limmagine corporea, il controllo delle emozioni e dei movimenti volontari e corrispondono a sintomi come le amnesie dissociative, l’emersione delle memorie traumatiche, la dissociazione somatoforme (sintomi da conversione, sindromi pseudoneurologici, dolori psicogeni acuti, dismorfofobie), l’alterazione del controllo delle emozioni e dell’unità dell’identità (personalità multiple alternanti). I sintomi da compartimentazione (diversamente da quelli di distacco che possono essere esperiti da chiunque in situazioni estreme) sono tipicamente conseguenze dello sviluppo traumatico e sembrano alterare la struttura stessa della personalità dell’individuo (Chu 2010; Classen et al. 2006; Lanius et al. 2010a; Liotti e Farina 2011). Per questo motivo alcuni Autori hanno proposto di riunire i fenomeni da compartimentazione con l’espressione dissociazione strutturale della personalità (van der Hart et al. 2006).”