di Raffaele Avico
Pietro Minto è il curatore di una newsletter molto interessante, dal titolo Link molto belli.
Tramite questa newsletter, Minto esplora e consiglia ai lettori angoli curiosi del web, pagine sconosciute, meme. Una sorta di wunderkammer erogata ogni sabato mattina, frutto della tendenza esplorativa dell’autore.
Nel 2021, a seguito di un anno pandemico, Minto esce con un libro di facile lettura, Come annoiarsi meglio, una riflessione sul potere e l’importanza della noia come momento di “pensiero”, in cui riflette sul cambio di paradigma culturale in atto, accelerato dalla pandemia in corso, nell’idea di una possibile riscoperta della noia come momento di creatività e auto-riflessione.
Il lavoro si accoda ad altri libri che ci aiutano a riflettere sul tempo in atto, sul presente che stiamo vivendo senza capirlo, ponendosi in osservazione da un vertice che potremmo definire contro-culturale nel senso più ampio del termine, semplicemente cioè aiutandoci a riflettere sul presente in modo critico.
Minto, in questo libro come nella sua newsletter, dimostra di padroneggiare l’impulso alla distrazione, guidandoci in un ragionamento lineare e pieno di spunti. Per esempio:
- a partire dall’avvento dei telefoni Blackberry con la mail integrata -attraverso cui i businessman dell’epoca (stiamo parlando del 2009) poterono per la prima volta portarsi il lavoro con sè-, il mondo si è interconnesso in modo totale, dando vita alla rivoluzione digitale di cui facciamo parte: Alessandro Baricco la chiama The Game e la paragona come portata a un cambio di epoca, come poté esserlo l’illuminismo, o il medioevo: un cambio cioè di paradigma, di portata “totale”
- Minto, nella prima parte di questo libro, ragiona sul concetto di noia, spingendosi in una spiegazione in un certo senso “genealogica”, partendo da quello che fu “l’inizio” del concetto stesso: accadde storicamente, in concomitanza con l’avvento della rivoluzione culturale cristiana, che l’idea di tempo passasse dall’avere forma di “cerchio” a forma di “linea” (individualmente, per ognuno, dalla nascita verso un fine vita e un oltre vita); la presenza di un tempo lineare fornì il terreno adatto al germogliare di altre modalità di rappresentare il tempo, ovvero il tempo “sprecato”, il tempo “ben impegnato”, e di conseguenza i concetti di noia e impegno in senso allargato.
- molto spazio viene dato nel libro ad alcuni aspetti neuroscientifici relativi al concetto di noia (che in senso appunto “neuro” potremmo chiamare Default Mode, come qui approfondito): centrale la questione della dopamina e del reward; le piattaforme, ed è sempre più evidente anche ai “non addetti”, prevedono per come sono progettate dei meccanismi di ingaggio neurobiologico potenti, come appunto la creazione di reward NON garantiti (la garanzia di notifica toglierebbe salienza e significato alla notifica stessa), l’uso di notizie dal contenuto affettivo negativo con fini commerciali -perfette per alimentare il cosidetto doomscrolling, social media “senza fondo” come Instagram (la presenza del numero di pagina crea un effetto “filtro” e aiuta dell’automonitoraggio del tempo speso sul social: per questo il layout della pagina viene immaginato come “senza fondo”, infinito). Si crea così un meccanismo di ingaggio simile a quello del gioco d’azzardo.
- proseguendo la lettura, Minto ci aiuta a porre attenzione su altri “mostri” creati dalla rete, in grado di portare l’utente ad annullare ogni momento di noia e vuoto possibile: oltre al conosciuto FOMO (fear of missing out), l’autore cita la FOBO (fear of better options) e la NOMO, di sua creazione, ovvero “noncuranza of missing out”, una pratica di rinuncia riluttante all’incessantismo della rete. Da notare che la FOMO fu in grado, qualche anno fa, di produrre un epic-fail di portata mondiale come il Fyre Fest
- spostandosi in ambito professionale, il libro ci pone alcune riflessioni sulla natura del lavoro stesso; con l’avvento della rivoluzione digitale, sono cambiati in un solo colpo in concetti di lavoro e di spazio personale, essendosi allargato a dismisura il tempo potenzialmente speso nell’idea di “produrre” lavoro, con diversi rischi (il primo dei quali, ravvisa l’autore, è stato il perdere la possibilità -come già osservato- di fluttuare con la mente nel vuoto, di fare cioè daydreaming). Il problema sembra tuttavia più profondo: come già avevamo notato recensendo il libercolo Cronofagia (link), la pulsione alla produttività sembra aver colonizzato le istanze superegoiche del soggetto a tal punto da creare nella cittadinanza una sorta di spinta all’auto-sfruttamento, in ragione di un asservimento totale ai numeri, alle statistiche, ai dati di internet. Il concetto di gamification è qui centrale: se la vita diviene gioco, accumulo di crediti/soldi/visualizzazioni e di skills, e i feedback ottenuti da internet necessari puntelli all’autostima e al senso di efficacia, è lo stesso utente a indursi al lavoro, ad auto-sfruttarsi. Come diversi psicoanalisti hanno notato, il “padrone” è stato introiettato, come in una sorta di beffarda sindrome di Stoccolma sviluppata dai tempi in cui il “padrone” lo si contestava in piazza. Questo in parole povere significa: impossibilità di legittimarsi al vuoto, alla noia, una reperibilità continua in senso lavorativo, e una devastante tensione all’auto-imprenditoria, che ogni giorno notiamo ovunque. Su questi aspetti (inerenti la vita lavorativa), si veda anche questo.
Che fare, dunque?
Minto ci regala alla fine di ogni capitolo del libro, alcune pratiche di noia (come il flaneurism, la wikirace, la compilazione di un’agenda ipotetica del nostro tempo libero una volta erogato a tutti -in futuro- il reddito universale, e altri esercizi pratici), e spunti di riflessione anch’essi utili a produrre ulteriore tempo da dedicare a un ozio creativo; in questo senso, ci ricorda l’autore, è importante che tutti noi ci si impegni per meglio gestire il tempo dedicato al lavoro, soprattutto da remoto. Da free lance, Minto consiglia tendenzialmente un uso auto-disciplinato del tempo e dello spazio legato al lavoro da casa, una contro-forza all’auto-asservimento, una pratica quotidiana di riluttanza all’occupazione (pseudo)volontaria di ogni frangente di tempo libero.
In breve: dal tempo libero, al tempo liberato.
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