di Raffaele Avico
L’EMDR è una tecnica, o meglio, un protocollo di cui si conoscono in modo forte i benefici. La letteratura a proposito del suo utilizzo in ambito di PTSD e trauma, è molto vasta. Rimandiamo al sito dell’Associazione EMDR Italia per un approfondimento su quali siano le pubblicazioni più valide sul tema.
Quello che sappiamo, genericamente, è che l’EMDR dovrebbe essere utilizzato quando ci si trovi ad aver a che fare con pazienti che presentino stress post traumatico -in particolare nella sua forma intrusiva. Ricordiamo brevemente che i cluster sintomatologici dello stress post traumatico, sono:
- Cluster dell’intrusività
- Cluster dell’evitamento
- Cluster dell’alterazione in senso negativo di pensiero ed emozioni
- Cluster della disregolazione dell’arousal
Il DSM contempla una serie di richieste specifiche per poter fare diagnosi di PTSD, che sono qui descritte e a cui rimandiamo.
L’EMDR dovrebbe essere usato in particolare quando un soggetto presenti sintomi intrusivi (immagini potenti dell’evento traumatico che tornano alla mente sotto forma di flashback, ricordi disturbanti e salienti in forma visiva). In qualche modo, cioè, l’EMDR sembra presentare maggior benefici proprio a riguardo di uno dei problemi più pressanti dello stress post traumatico: il problema dell’elaborazione dei ricordi, della loro digestione al fine di una loro metabolizzazione, così da “lasciare il passato nel passato” (frase di Shapiro che riassume il tema centrale di ciò che concerne il trauma, ovvero la sua permanenza nella vita del soggetto anche nel momento presente, anche a distanza di tempo dal suo essere accaduto).
Il meccanismo di funzionamento della’EMDR è tuttora non chiaro, non conosciuto in modo definitivo. L’ipotesi che sembra più probabile (ma qui andiamo su punti di vista soggettivi, non assoluti), è che l’EMDR predisponga la mente a un’elaborazione cognitiva delle memorie depositate in zone profonde del cervello, cosa che avviene anche durante il sonno, come nell’ipotesi e nello studio di Marco Pagani che linkiamo qui.
Altra ipotesi plausibile o interessante, quella del doppio compito: è possibile che per accedere all’elaborazione di un ricordo forte in senso emotivo come un ricordo traumatico, debba essere applicato un “aggancio” in tempo reale a livello di “attenzione” somatica. Se, cioè, allo stesso tempo elicitiamo la memoria episodica (cosa stavo facendo e cosa ho vissuto durante il trauma) e convogliamo l’”attenzione” sul corpo per via di una stimolazione bilaterale (come avviene durante l’EMDR), è possibile che accedere ai ricordi sia più semplice grazie appunto al fatto che in quello stesso momento il “corpo” viene distratto o stimolato in modo neutro -cosa sufficiente a evitare che il paziente sia troppo sollecitato dal ricordo traumatico stesso. Qui linkati gli articoli su questo blog a tema #EMDR.
Questo articolo illustra il razionale clinico di una tecnica sperimentale mutuata dal protocollo EMDR che è stata chiamata 3MDR. Il sito del progetto è questo: https://www.ncmh.info/3mdr-treatment-resistant-ptsd/.
Qui un video che la esplica:
Il protocollo nasce da un gruppo di studio danese, come illustrato nel video.
Un paziente con un PTSD resistente al trattamento viene fatto camminare in modo assistito su un tapis roulant per circa 60 minuti, immerso in un contesto ricostruito in modo virtuale, che gli saprà ricordare il luogo dove si compì la traumatizzazione (esempio: deserto dell’Afghanistan).
Allo stesso tempo, durante la sua camminata (che si protrarrà appunto per circa 60 minuti), davanti al suo sguardo verrà fatto oscillare un cerchio con un numero progressivo che il paziente stesso dovrà enumerare ad alta voce, come una stimolazione bilaterale del protocollo classico EMDR.
Come in altre forme di stimolazione bilaterale, il razionale descritto è l’iperstimolazione della memoria di lavoro durante un’evocazione del ricordo traumatico, al fine di operare un riconsolidamento della memoria traumatica, verso una sua risoluzione (l’ipotesi del doppio compito prima citata).
Cosa viene approfondito in questo articolo?
Gli autori partono dal considerare come il PTSD resistente sia soggetto a un altissimo tasso di drop out da parte dei pazienti: da qui valutano come sia necessario tentare nuovi approcci al problema. Decidono così di mettere insieme un approccio più “strong” in senso di terapia espositiva, aiutandosi con i nuovi strumenti della realtà virtuale. Il paziente, camminando in un vero e proprio tunnel di schermi, vive un’immersione reale all’interno della situazione traumatizzante. Insieme a questo, beneficia degli effetti associativi e neutrotrofici dell’attività fisica, degli effetti dell’EMDR e della presenza fisica di un terapeuta che condivide con lui l’esperienza di immersione.
Qui riassunti i principi che hanno mosso gli autori alla creazione dello strumento:
Come si osserva, lo strumento ha natura multi-modulare (il suo nome completo infatti è Multi-modular Motion-assisted Memory Desensitization and Reconsolidation, 3MDR).
FUNZIONA?
Gli autori dell’articolo riportano 3 casi studio con effetti positivi. Troppo pochi ovviamente per costituirsi in un dato significativo; lo scopo tuttavia di questo lavoro è proporre uno strumento nuovo, combinando diversi approcci al trauma che si sono dimostrati tutti efficaci (esposizione, EMDR, attività fisica, passaggio da un setting faccia a faccia a un setting più compartecipato e condiviso), uniti all’interno di un solo strumento.
Gli autori concludono infine che prima dell’utilizzo dello strumento in questione, occorrerebbe prestare attenzione a quei pazienti particolarmente sensibili alla terapia espositiva: alcuni di questi infatti di fronte a un’attività troppo “espositiva”, potrebbero manifestare eccessiva disregolazione emotiva, rendendo lo strumento, in questi particolari casi, controindicato.
Ps tutto il materiale su trauma e dissociazione presente su questo blog è consultabile cliccando sul bottone a inizio pagina (o dal menù a tendina) #TRAUMA.