di Raffaele Avico
Il podcast “Il lavoro non ti ama” è curato dagli autori del portale Siamomine, in collaborazione con la casa editrice Minimum Fax; prende spunto e prolunga il volume che porta lo stesso titolo di Sarah Jaffe, che viene più volte citato nelle cinque puntate di cui si compone.
Il podcast, per la sua durata, può essere ascoltato anche in una sola volta, dato che le puntate durano 20/30 minuti l’una.
Qual è il tema?
Come si intuirà dal titolo, il tema è la tossicità della Hustle culture, intesa come “cultura dell’iper-attaccamento al lavoro”, tematica già da tempo indagata (si veda per esempio questo articolo), ora particolarmente attuale a seguito del fenomeno delle “grandi dimissioni”, una tendenza cioè all’abbandono del posto di lavoro partita dagli USA e sconfinata anche in Europa, fenomeno slatentizzato dai due anni di pandemia appena trascorsi.
Siamomine da qualche tempo esplora il fenomeno attraverso la rubrica #quitters.
Il punto centrale è quello che altri autori già affrontano (Byung Chul Han), ovvero un’introiezione talmente nascosta e pervicace delle norme del sistema capitalistico, da essersi convertita in una sorta di spinta all’auto-sfruttamento continuo.
Il “capo”, ora, è “dentro”.
L’effetto pratico di questo processo di “colonizzazione del pensiero” è un senso di colpa sottile ma continuo nei momenti di vuoto e di non-lavoro, particolarmente presente in coloro che si professano “capi di sé stessi”, ovvero le partite IVA.
Nel podcast viene ben osservato come in questa fase “tarda” del periodo capitalistico (ricordiamoci che il concetto di “carriera” è un concetto recente, nuovo), lo stesso capitalismo abbia preso delle forme peculiari, funzionali al suo stesso sopravvivere.
Nonostante infatti la crisi economica degli ultimi 15 anni abbia abbassato il livello di ricchezza generale (per lo meno in Italia), le persone sembrano sempre di più puntare su una visione individualistica del lavoro, rinunciando a ogni forma di diritto lavorativo nell’idea che “volere è potere”.
Ci troviamo in un frangente storico di grande sfruttamento, venduto però come “libertà di scegliere”, una sorta di ripiegamento su sé stessi di individui che vedono il mondo del lavoro progressivamente destrutturarsi per come lo conoscevano, auto-convincendosi che la responsabilità del loro precariato ricada totalmente sulle loro spalle -a fronte di un’offerta da parte del mondo del lavoro sempre più povera (vd. gig economy).
Il decentramento del lavoro (lavoro da casa, senza orari, senza confini tra vita privata e vita lavorativa, con un senso di reperibilità continua) rischia solamente di accelerare questo processo, sgravando le aziende di molti costi e insieme separando i lavoratori, isolandoli e rendendoli quindi più deboli in senso cooperativistico.
La Hustle Culture (“thanks god it’s monday”) rappresenta una bugia dal sapore distopico, che questo podcast tenta di smascherare. Da ascoltare, qui.