di Raffaele Avico
PREMESSA: abbiamo già in precedenza introdotto il pensiero di Wilfred Bion qui, recensendo un libro corale sul pensiero del grande psicoanalista indiano (naturalizzato inglese). In questo articolo vengono introdotti alcuni concetti di base sulla teoria metapsicologica bioniania, ovvero il “modello” attraverso cui Bion tentava di spiegare il funzionamento della mente, dalla nascita all’età adulta.
Il pensiero di Bion ci fornisce una spiegazione di quelli che sono i meccanismi alla base dei processi pensiero.
Secondo l’autore il pensare risulterebbe da una corretta trasformazione di impressioni sensoriali, gli elementi β, in elementi di maggiore complessità che definisce elementi α.
Nel caso in cui esista una difficoltà a metabolizzare (“digerire”) queste informazioni sensoriali, ne risulterà alterata la capacità del paziente di costruire pensieri; una difficoltà del progetto trasformativo, cioè da β a α (Bion, 1962) produce l’impossibilità di creare immagini mentali dotate di senso e fondamentali per la salute mentale del paziente, nonché di creare un “testo narrativo” comprensibile agli altri.
Scrive Antonino Ferro:
“Secondo Bion è centrale l’attività di metabolizzazione che noi facciamo di qualunque afferenza percettiva: questa attività consiste nella formazione a partire dalle afferenze sensoriali di un pittogramma, o ideogramma visivo: una immagine poetica che sincretizza la risultante emotiva di quell’afferenza o di quella sommatoria di afferenze: l’elemento α”.
Gli elementi β
Bion teorizza che all’origine dei processi di pensiero vi sia una quota di elementi derivati dagli organi di senso che viene “digerita” dalla mente per creare pensieri sani e gestibili.
Questi elementi, che il famoso psicoanalista chiama elementi β, sono definiti in termini di protoemozioni e protosensorialità.
Esiste cioè un livello primitivo di modalità di rapportarsi al mondo esterno basato su sensazioni ed emozioni non ancora gestite e non gestibili.
Si può parlare in un certo senso di materiale emotivo alla stato grezzo che ha un grande impatto nel caso in cui arrivi alla coscienza non metabolizzato: Bion attribuisce la causa scatenante di molte patologie all’ “evacuazione” e ad un’ “iperpresenza” di elementi β.
Secondo questo modello è possibile per esempio pensare all’attacco di panico come ad un’evacuazione (eruzione) di elementi β o aggregati di elementi β non digeriti (i betalomi) che inondano in modo devastante la mente.
In quest’ottica le sindromi ipocondriache andrebbero pensate come un continuo bisogno da parte del soggetto di “tenere sotto controllo” un substrato psichico ritenuto pericoloso poiché composto principalmente da elementi β non digeriti.
Antonino Ferro, tra i maggiori studiosi del pensieri di Bion in Italia, paragonerà l’ondata devastante di elementi β che caratterizza l’attacco di panico alla:
“[…] Massa gelatinosa dello straordinario film The Blob di Yerworth del 1958, nel quale per l’appunto una massa gelatinosa caduta sulla terra da un frammento di asteroide inizia a divorare tutto aumentando sempre più di dimensioni”.
Tornando al pensiero di Bion, è fondamentale riprendere il concetto di accensione mentale; secondo lo psicoanalista è necessario che la capacità di metabolizzare elementi β venga accesa attraverso la relazione con un’altra mente:
“[…] Solo così è consentito l’innesto del meccanismo elementi β evacuati in elementi β accolti e restituiti trasformati in elementi α, ma soprattutto arricchiti da quote di “alfità”, che in sequenza consentiranno l’accendersi della funzione α autonoma“
Gli elementi α
Nella definizione di Roche Barnos (2000), l’elemento alfa potrebbe essere pensato come “l’elemento protovisivo del pensiero che indica l’avvenuta trasformazione di ciò che urgeva come β in pittogramma visivo”.
In altre parole quando un elemento protoemotivo allo stato grezzo viene digerito dalla funzione α assume finalmente una forma comprensibile al soggetto e quindi comunicabile. Il processo di trasformazione che porta l’elemento β a essere “comunicato” in quanto elemento α è graduale: termina nel momento in cui viene scelto un particolare derivato/dispositivo narrativo per poterlo “leggere”.
Secondo la teoria di Bion la difettosità del processo di pensiero può essere riscontrata in due loci patologici: può esservi una carenza nella capacità della mente di produrre elementi α (la funzione α), oppure, nel caso in cui quest’ultima risulti integra, può mancare la capacità di leggere e riconoscere in modo corretto gli elementi α prodotti.
In questo secondo caso gli elementi β vengono trasformati in α ma poi sono difettuali gli elementi che su questi devono lavorare.
In una mente “sufficientemente sana” (va ricordato che per Bion una mente sana è stata “creata” dalla relazione con un’altra mente-madre) gli elementi protoemotivi vengono assimilati e digeriti fino a diventare gestibili e chiari al soggetto, insomma si trasformano in pensieri.
Nel momento in cui gli elementi α sono stati creati devono essere riconosciuti dalla mente per la loro forma ed elaborati fino a diventare ciò che Antonino Ferro definirà derivati narrativi.
L’elaborazione dell’elemento α può essere rappresentata come una progressiva raffinatura a partire dall’elemento β: si pensi a un vissuto primordiale di rabbia e vendetta (β) che trovi la sua prima elaborazione nel pittogramma narrativo “piscina piena di sangue”. Da qui l’elemento α subirà ulteriori trasformazioni fino a poter essere narrato attraverso “film differenti”, i derivati narrativi.
Se l’apparato per elaborare e leggere gli elementi α, definito da Bion apparato per pensare i pensieri , è difettoso, ci saranno situazioni cliniche
“[…] Borderline, narcisistiche in cui c’è una funzione α adeguata ma i cui prodotti non sono poi gestibili e l’interpretazione classica genera spesso più persecuzione che crescita”.
Esistono patologie quindi dovute a una difettosità della funzione α, quella cioè deputata a metabolizzare gli elementi β, oppure a una difettosità della lettura del prodotti di questa funzione.
Un terzo fattore patogenetico può derivare tuttavia da una sovrabbondanza di elementi β rispetto alla capacità lavorativa della funzione α.
Esistono cioè situazioni in cui la quantità di stimolazioni sensoriali ed estero-propriocettive supera la quantità solitamente gestibile dalla mente; queste situazioni sono definite “da accumulo” o più comunemente situazioni traumatiche.
Nel momento in cui esista una quota di elementi β che non può essere gestita vengono messi in atto dei meccanismi difensivi volti a salvaguardare l’integrità psichica della mente. É possibile che una certa quantità di elementi β venga messa in attesa di una funzione α che li elabori: questi sono stati definiti da Ferro elementi balfa, oppure è possibile che vengano messi in atto meccanismi di difesa più comuni, come il diniego, la negazione o la scissione (la quota di elementi β viene scissa e proiettata via).
Secondo la teoria di Bion elementi α vengono prodotti di continuo e in sequenza: durante il sonno si renderanno accessibili attraverso le immagini del sogno, durante la veglia come si vedrà emergeranno attraverso pittogrammi, flash visivi o derivati narrativi.
Per chiarificare il concetto bioniano di trasformazione β -> α Ferro utilizzerà una metafora suggestiva:
“Se usassimo delle tesserine tipo quelle del Memory, una sequenza potrebbe essere fiore-ciliegia-zanzara e, ad esempio, starebbe a pittografare una esperienza gradevole quindi gustosa per divenire poi vagamente irritante”
L’elemento α che viene prodotto è accessibile nella sua forma primaria (non elaborato né “derivato”) solo in due particolari situazioni:
- nel caso in cui esso fuoriesca dall’apparato che deve contenerlo e venga visto all’esterno del soggetto (per esempio il paziente vedrebbe un fiore o una ciliegia che esprimerebbero come si sente in quell’istante). Questo fenomeno è descritto come flash visivo.
- nel caso in cui il soggetto sia capace di entrarvi in contatto grazie alla sua capacità di rêverie.
La capacità di rêverie è stata definita da Bion come la capacità caratteristica della madre di introiettare gli elementi β del bambino e di metabolizzarli per lui restituendogli elementi α (in questo modo si accende la mente del bambino).
Tale capacità, se introiettata dal bambino, gli garantirà un adeguato funzionamento mentale poiché gli sarà concesso di visualizzare negli elementi a la parte più autentica di sé. Si può notare quindi come la formazione della mente sia pensata da Bion in chiave fortemente relazionale.
L’apparato per pensare i pensieri
Facendo riferimento allo schema che riassume le basi concettuali del pensiero di Bion, si noterà che l’autore ha teorizzato la presenza di un apparato volto a elaborare gli elementi α già metabolizzati: lo definisce apparato per pensare i pensieri.
Si tratta di un secondo livello nel processo di produzione del pensiero narrativo, cioè del pensiero che può essere espresso e narrato a sé e agli altri.
Questo apparato è caratterizzato da una negoziazione continua a livello di significato attribuito agli elementi α in entrata: i suoi prodotti sono i derivati narrativi (Antonino Ferro sosterrà che da uno stesso elemento a possono originarsi più derivati narrativi – “racconti” – che a livello di significato emotivo hanno la stessa valenza).
I derivati narrativi, che assumono come si vedrà in seguito forme diverse (derivati narrativi ludici, grafici, etc.) sarebbero per Bion i pensieri nella loro forma normale e al loro stato più “raffinato”.
É impossibile pensare che all’interno del campo d’analisi il terapeuta non metta in gioco la sua capacità di elaborare o trasformare in un certo modo il materiale psichico che lo coinvolge in quel frangente; nella seduta l’analista utilizzerà il suo apparato per pensare i pensieri nel modo in cui gli sarà congeniale partendo da quanto gli proviene da altre fonti emozionali significative.
Può accadere che le capacità elaborative del paziente superino quelle dell’analista e questo ne risulti influenzato a livello di apparato per pensare i pensieri (situazione di inversione del flusso degli elementi α): secondo Ferro “questo fa parte a pieno diritto delle regole del gioco psicoanalitico“.
L’apparato per pensare i pensieri funziona a livello cosciente, le aperture a significati differenti dipendono da situazioni di oscillazione tra momenti schizoparanoidi e depressivi in termini kleiniani (PS↔D) e oscillazioni tra momenti di contenimento e momenti di fuoriuscita delle emozioni (♀-♂). Da queste oscillazioni dipende la scelta di un significato narrativo da attribuire all’elemento a, secondo un meccanismo vicino ai concetti piagetiani di assimilazione e accomodamento (nel senso di ridefinizione del significato e accostamento a un senso nuovo: l’“irrompere del fatto prescelto” secondo Bion).
Il sogno della veglia
Si delinea così per Bion una modalità di funzionamento della mente con risvolti altamente creativi, per cui da un elemento emotivo grezzo possono prendere vita molte differenti immagini mentali ognuna con un suo “dialetto”.
É questo ciò che l’autore definisce pensiero onirico della veglia, intendendo che l’attività di produzione di elementi da parte della funzione α può essere accostata a quella di produzione di immagini oniriche durante il sonno; vi è quindi un onirico della veglia, e un onirico nel sonno.
É da sottolineare che già la concezione di sogno per Bion era differente da quella classica freudiana, poiché se Freud considerava il pensiero onirico come una trasformazione di materiale inconscio, secondo Bion anche il materiale conscio viene elaborato dal lavoro-del-sogno, per poter venire immagazzinato e selezionato.
Quindi, secondo l’autore, il lavoro-del-sogno (pensiero onirico) lavora incessantemente durante la veglia come durante il sonno.
L’inconscio nel pensiero di W. Bion
Il concetto bioniano di inconscio si differenzia da quello teorizzato nella letteratura classica: è grande l’attenzione data dall’autore alla lettura relazionale delle dinamiche psichiche anche a livello inconscio. Freud teorizzava l’inconscio come costituito da materiale rimosso durante l’infanzia, o a seguito di avvenimenti fortemente traumatici. Durante la seduta psicoanalitica era necessario riportare alla luce questa verità “sepolta e preesistente” al fine di rendere chiara al paziente l’origine storica della sua nevrosi. L’inconscio era visto quindi come fortemente condizionato dal passato e accessibile solo attraverso l’analisi del sogno o la lettura analitica dei sintomi (paraprassie, lapsus, conversioni isteriche, etc.).
La visione che ne dà Bion invece considera l’inconscio come frutto della trasformazione operata dalla funzione α: l’inconscio è per l’autore formato da sequenze di elementi α non accessibili alla coscienza (va ricordato che l’elemento α nella sua forma pura è visualizzabile solo nel flash visivo o attraverso la rêverie). Anche qui è d’aiuto per la comprensione la metafora delle carte Memory utilizzata da Antonino Ferro:
“[…] Man mano che vengono costruiti questi elementi possono rimanere, come in immaginario Memory, scoperte e formano il sistema della coscienza, o capovolti e formano il sistema inconscio. Cioè, l’inconscio di Bion non è un a-monte, ma è un a-valle dell’incontro dell’elemento β con la funzione α”.
Com’è intuibile questo mette in crisi il concetto classico di analista come “archeologo”, che dalla nascita del concetto di campo d’analisi bipersonale era risultato vacillante: si parla in questo caso di un inconscio creato dal soggetto attraverso la funzione α, non di un soggetto pilotato nelle sue scelte dal suo inconscio, in modo “quasi” deterministico.
Per approfondire il lavoro di Bion, un autore italiano che lo ha approfondito nei suoi risvolti metapsicologici e narrativi, è il già citato Antonino Ferro, di Parma:
NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)