di Andrea Vallarino
PREMESSA: riportiamo su questo blog l’introduzione di “Curare la psichiatria” di Andrea Vallarino, di recente pubblicazione. Vallarino è uno psicoterapeuta strategico-breve di Genova, e in passato ha in passato già collaborato con questo blog (qui per aggregare i suoi contributi).
Curare la psichiatria: introduzione
Perché curare la psichiatria? È un’ammalata? E, se malata, di quali malattie possiamo considerarla malata? La psichiatria è uno dei pazienti più difficili da trattare e con questo sono sicuro di introdurre una contraddizione, perché quella che è una disciplina che dovrebbe curarci quando siamo in difficoltà, in realtà da più parti viene detto che si è ammalata. Non lo dico solo io, lo dicono persone molto più autorevoli, lo dicono gli psichiatri che hanno curato le precedenti edizioni del DSM, se ne sono accorti i pazienti da sempre, se ne stanno accorgendo, vedo, anche molti giornalisti e stanno fioccando i titoli di giornale e gli articoli su questo tema: sembra proprio che la psichiatria stia diventando inadatta a curare tutti problemi che abbiamo. Dico queste cose con molto amore verso questa disciplina, che mi ha affascinato sin da giovane, quindi lo dico perché gli voglio bene, non per polemizzare o per criticare o in maniera arrogante, però sicuramente, proprio perché gli vogliamo bene dobbiamo mettere in luce le difficoltà che in questo momento ci sono e le malattie che sta attraversando. Qui ne elencheremo soltanto alcune, la prima, che per me è la più importante è la diagnosi. Come diceva Karl Kraus, un giornalista austriaco, lui lo diceva per la medicina austriaca, noi lo diciamo per la psichiatria europea e anche americana, la diagnosi è una malattia di cui si ammala il medico che poi contagia il paziente. La psichiatria me ne ero già accorto da giovane, sin da quando studiavo all’Università, vive di un senso di inferiorità rispetto alla medicina e per mettersi alla pari ne ha copiato i criteri diagnostici ed è qui che sorge il primo problema: mentre in medicina la diagnosi descrive una malattia, in psichiatria, la diagnosi crea la malattia. In medicina, se vedo che uno ha la tosse, la febbre, il catarro, lo ausculto con il fonendoscopio, posso dire che abbiamo di fronte una persona con una bronchite, in medicina questa è una diagnosi che dà sicurezze che dà garanzie perché descrive una patologia ed indica una terapia, in psichiatria la diagnosi crea il labeling, l’etichettamento. Potrei fare mille esempi, quanti pazienti ho avuto che mi hanno detto “vengo da te perché soffro di una sindrome depressiva che ultimamente si è aggravata”, se tu gli chiedi da quando si è aggravata, “da quando un tuo collega mi ha detto che soffro di una depressione particolarmente grave, a me quel particolarmente grave, mi ha aggravato”. Uno degli esempi più fulminei di questo lo si ha in una ricerca fatta da David L. Rosenham. Un gruppo di otto pseudopazienti, tra cui psicologi e psichiatri, che decisero segretamente, a scopo di ricerca, di presentarsi in vari ospedali lamentando sintomi e disturbi di natura psichiatrica (sentivano delle voci). Furono tutti quanti ricoverati in reparti di psichiatria.
Dopo qualche giorno di ricovero avrebbero dovuto mostrarsi per quello che erano e cioè persone “sane”. Tutte le volte che gli veniva chiesto come stavano esibivano la loro salute mentale, dicendo come d’altra parte era vero, che si sentivano bene, che non sentivano le voci, che non avevano più nessuno dei sintomi psichiatrici per cui erano stati ricoverati con la diagnosi di “schizofrenia”, né avevano alcun altro sintomo. Non ci fu verso perché tutti vennero dimessi dopo altri lunghi giorni e settimane di ricovero con la diagnosi confermata di “schizofrenia” anche se in remissione. Gli unici che si accorsero del ‘gioco’ furono gli altri pazienti che individuarono gli ‘infiltrati’, dicendo: ‘…tu non sei pazzo, tu sei un professore universitario; …tu un giornalista…, etc.’. Una falsa etichetta crea una realtà vera: il ricovero in psichiatria. Dobbiamo sempre tenere presente questo lavoro. La cosa incredibile è che questa diagnosi ha creato una malattia cronica, e questo è un altro dei motivi di malattia della psichiatria: quando viene formulata una diagnosi, non viene mai “concessa” la guarigione, tutt’al più si ha una sindrome in fase di remissione. E questo rende ulteriormente malata la psichiatria: la diagnosi, una volta scritta, non viene più verificata, non viene più messa in discussione. Ci sono alcuni dati riportati da Allen Frances, una voce autorevole al di sopra di ogni sospetto, perché è stato il capostruttura dell’edizione del DSM 4. Gli studi epidemiologici in psichiatria in questo momento stanno dicendo che il 20% della popolazione americana ed europea ha un disturbo mentale attuale, il 50% quindi metà della popolazione almeno una volta ha avuto un disturbo mentale, secondo altri studi prospettici sembra che questi dati debbano essere raddoppiati, ma se voi raddoppiate il 50% diventa il 100%, quindi non si sta salvando più nessuno. Sembra che siamo tutti un popolo di ammalati e che dobbiamo poi ovviamente prendere farmaci per tutta la vita. Un altro problema serio, segnalato ancora da Allen Frances, nato col DSM 5, l’ultimo manuale di diagnosi cui fanno riferimento i medici, gli psichiatri e gli psicologi di tutto il mondo, è il concetto di spettro. Quante persone mi vengono a chiedere, gente di 40 e 50 anni, se gli confermo la diagnosi di autismo, perché facendo dei test sono emersi punteggi che li segnalano nello spettro dell’autismo. Questo concetto di spettro ha allargato le maglie della diagnosi. È come se un chirurgo dicesse questo paziente ha un mal di pancia che rientra nello spettro di un’appendicite, la diagnosi di appendicite si gonfierebbe a dismisura. Un chirurgo direbbe: “insomma l’appendicite c’è o non c’è , perché se non c’è è inutile parlarne”. Questo concetto dello spettro ha aumentato la diagnosi di autismo di 20 volte, quindi c’è un’epidemia di malattie che non esistono. Il disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività è triplicato, già i dati erano gonfiati, adesso è triplicato. I disturbi bipolari e anche qui ce ne sarebbe da dire sul disturbo bipolare, quello vero che non è così diffuso come viene detto, sono addirittura raddoppiati. Con le nuove linee diagnostiche non ci siamo fermati agli adulti, stiamo creando tanti problemi ai bambini, per esempio il disturbo bipolare del bambino è cresciuto di 40 volte in pochissimo tempo. Allen Frances segnala ancora che il 20% della popolazione americana assume psicofarmaci, il 7% ne è dipendente proprio a causa dell’inflazione diagnostica. I ricoveri per overdose da sostanze legali, quindi da psicofarmaci, ha superato il numero di ricoveri da overdose da sostanze illegali, quindi dalle droghe. Questi sono fenomeni che rendono problematico e patologico lo strumento principale che abbiamo per guarire la gente. C’è un altro aspetto che rende ancora più problematica la questione: molte persone e molte famiglie stanno diventando conniventi con gli psichiatri nel creare diagnosi, per esempio nell’ambito scolastico. Una delle esplosioni diagnostiche, che sta condannando intere popolazioni giovanili, è rappresentata dai disturbi specifici dell’apprendimento che sono molto gettonati e hanno creato un mercato florido e che hanno molto spesso la connivenza delle famiglie perché sappiamo che se ad un giovane viene diagnosticato un DSA può avere un percorso scolastico facilitato. L’incidenza dei DSA dovrebbe essere dello 0,4%, 0,5%, ma ormai in tutte le classi, mi dicono gli insegnanti, c’è un 30, 40% di DSA. Sembrerebbe un beneficio l’avere un percorso facilitato. C’è un problema però, l’aveva ben illustrato un neurologo americano che si chiamava Oliver Sacks, scomparso recentemente, ha scritto dei bellissimi libri. Uno dei suoi migliori libri riporta il titolo “Awakenings”, in italiano “Risvegli”, da cui è tratto un bel film di successo con Robin Williams e Robert De Niro. Questo neurologo era stato impiegato dal regista sul set del film con il compito di spiegare agli attori le varie sindromi neurologiche che loro dovevano impersonare e Oliver Sacks aveva istruito De Niro a comportarsi da paziente parkinsoniano. Coloro che hanno visto il film sanno che De Niro aveva interpretato benissimo la parte. Oliver Sacks in un successivo libro descrive di essere andato a pranzo con De Niro durante una pausa di lavorazione del film e che durante il pranzo a De Niro era caduto a terra il tovagliolo. Il neurologo descrive di essere rimasto impressionato da come l’attore si fosse chinato a raccogliere il tovagliolo esattamente come avrebbe fatto un paziente parkinsoniano: era entrato così bene nella parte da non riuscire ad uscirne neanche nelle pause di lavorazione del film. Se io comincio a trattare un ragazzo da disturbato dell’apprendimento, rischio che alla fine la finzione diventi realtà, che il ragazzo caschi dentro la credenza di esserlo realmente: di nuovo la diagnosi finta può produrre una realtà vera. Dobbiamo quindi rivedere gli schemi diagnostici per evitare che la psichiatria, oltre a non curare i malati, crei anche problemi ai sani.
Ci sono almeno altri due condizionamenti patologici subiti dalla psichiatria. Una cosa che pochi sanno è che l’insegnamento di psichiatria nella facoltà di medicina è abbastanza recente. L’insegnamento autonomo di clinica psichiatrica nasce nel 1975, perché fino a quell’anno, quindi non tantissimo tempo fa, l’insegnamento di clinica psichiatrica era accorpato alla neurologia nella disciplina che veniva definita “Clinica delle malattie nervose e mentali”. Questo aveva creato tantissimi problemi soprattutto a livello di credenze. Ne dico una su tutte: perché la gran parte degli psicofarmaci viene data dai neurologi? Perché è ancora viva l’idea che siano i neurologi ad occuparsi delle malattie mentali. Un neurologo, uno specialista in neurologia dovrebbe occuparsi dei problemi biologici dell’encefalo, delle emorragie cerebrali, delle paralisi, degli infarti cerebrali, di tutto ciò che è medico, strettamente medico e non psichiatrico ed invece la gran parte degli psicofarmaci viene data dai neurologi che non hanno una preparazione specifica psichiatrica a meno che non se la siano fatta per conto loro ed è lì che nasce una delle credenze meno scientifiche che io conosca, che però ha condizionato e tuttora condiziona la psichiatria e cioè l’analogia tra il diabete e le malattie mentali: come nel diabete dobbiamo dare insulina per tutta la vita alla persona, così nelle malattie mentali dobbiamo dare psicofarmaci per tutta la vita. Questa credenza che non è scientifica sta condizionando tutte le cronicizzazioni che avvengono nelle cliniche, nei reparti psichiatrici di diagnosi e cura, nei servizi pubblici di salute mentale ma anche negli studi medici privati e soprattutto sta condizionando il paziente a pensare: mi ha lasciato la fidanzata, sono depresso, quindi mi mancano delle catecolamine nel cervello e devo prendere farmaci per tutta la vita, come se fosse normale essere allegri quando si perde un lavoro, una fidanzata, quando non si passano gli esami all’università. Nel DSM 5, quindi nel manuale psichiatrico più recente, due settimane di lutto vengono considerate una depressione maggiore per cui occorre prendere farmaci per tutta la vita. Poi ce n’è un’altra credenza di cui io mi ero accorto già quando andavo all’università nel ’76, quindi subito dopo che avevano diviso la psichiatria dalla neurologia. In quell’epoca la gran parte delle cliniche psichiatriche era in mano a psichiatri psicoanalisti, che devo dire rimpiango perché adesso sono in mano a psichiatri biologisti. Si facevano lezioni sulle nevrosi, le psiconevrosi, le psicosi, le nevrosi del carattere, erano le definizioni psicoanalitiche dell’epoca. Ricordo un professore che, parlando delle nevrosi del carattere, cioè di quelli che stanno male, ma non hanno sintomi psichiatrici definiti, aveva detto che la nevrosi del carattere è l’equivalente del raffreddore per la pneumologia, quindi una sindrome tendenzialmente lieve e con una buona prognosi. Qualcuno chiese quale doveva essere la terapia di una nevrosi del carattere. Lui rispose la psicoterapia psicoanalitica che deve durare almeno quattro anni. Eravamo giovani e anche un po’ sfrontati. Possibile professore che per un raffreddore ci vogliano quattro anni? Lui diede una risposta molto seccata, molto arrabbiata, che non mi sarei aspettato, perché era una persona in genere molto raffinata, molto calma, molto serena e disponibile al dialogo. Ribadì indispettito che per cambiare un carattere ci vuole molto tempo e chiuse la lezione. Io da buon ossessivo quale sono mi sono sempre chiesto: “ma perché si è arrabbiato”. Se io avessi chiesto ad un chirurgo come mai quell’intervento richiedeva dieci ore di lavoro in sala operatoria, lui mi avrebbe probabilmente risposto che al momento la tecnologia non permetteva di fare più velocemente, ma che il giorno che la tecnologia evolvendo ci avrebbe permesso di metterci di meno, ne sarebbe stato felice e non si sarebbe arrabbiato. E in chirurgia effettivamente è andata così, perché tanti interventi che duravano ore in sala operatoria sono stati sostituiti da piccoli interventi con la chirurgia laser che durano minuti, addirittura in chirurgia si è passati da avere una sala operatoria grande a creare una piccola sala operatoria dentro la pancia del paziente con due forellini con dentro piccoli bisturi manovrati da computer a distanza, quindi delle evoluzioni incredibili per l’epoca. Perché invece lo psichiatra si era arrabbiato? Mi portai dietro la domanda per un bel po’ finché poi ho letto un libro di Milton Erickson, famoso ipnotista, che era stato uno psicoanalista, che poi si è evoluto, aveva creato le terapie non comuni che poi avevano dato avvio alle terapie brevi, alla terapia strategica e al Mental Research Institute di Palo Alto in California. Erickson aveva detto: gli psichiatri sono molto permalosi e si arrabbiano molto quando gli vengono toccati gli assiomi, perché in psichiatria, diceva, ci sono tre assiomi, si cambia dopo molto tempo, molte sofferenze e spendendo molti soldi. Questi però non sono dimostrati scientificamente sono assiomi ed infatti lui aveva postulato altri assiomi: si può cambiare in poco tempo e quindi spendendo pochi soldi e anche senza dolore, facendo anche delle terapie giocose. D’altra parte non si capisce perché la psichiatria debba aggiungere dolore artificiale all’inevitabile dolore che già la vita dà. Queste credenze e questi assiomi impediscono l’evoluzione della psichiatria in un senso più umano, come invece sta avvenendo in tante altre discipline.
Cosa altro impedisce alla psichiatria di guarire? Gli psicofarmaci. Sgomberiamo il campo da ogni pregiudizio, io non sono ideologicamente contrario agli psicofarmaci, Su questo argomento il mondo si divide in due categorie, quelli che ideologicamente come ho descritto finora escludono la psicoterapia e dicono che la terapia è solo farmacologica, ma ci sono anche molti colleghi psicoterapeuti che sostengono che con la psicoterapia si riesce a fare tutto e si devono escludere gli psicofarmaci. Io non credo, ci sono delle situazioni psichiatriche in cui gli psicofarmaci vanno utilizzati e devono essere utilizzati bene. Quindi bando a tutte le ideologie estreme. È evidente in ogni caso che gli psicofarmaci stanno cronicizzando la psichiatria come stanno cronicizzando i pazienti. Soprattutto perché il campo della psicofarmacologia è molto investito dal marketing delle aziende farmaceutiche. Basta prendere la storia dei DSM. Negli anni ’80 compare sulla scena il DSM III, il manuale statistico e diagnostico delle malattie mentali. I suoi predecessori DSM I, comparso nel 1952 ed il II, del 1968, praticamente non li aveva letti nessuno. Il III, invece, ha un incredibile successo e le diagnosi psichiatriche cominciano ad essere effettuate sulla base di questo manuale attraverso un metodo descrittivo statistico. Vengono analizzati i sintomi e correlati al fattore tempo. E l’approccio terapeutico è quello di prescrivere farmaci a seconda della prevalenza dei sintomi. Si curano le malattie a prescindere della personalità e dell’originalità del paziente. Già Ippocrate ammoniva che si devono curare i malati e non le malattie. Inoltre il DSM da quando è uscito nella prima edizione nel 1952 ad oggi ha triplicato il numero delle malattie mentali descritte. Un grande salto è stato effettuato nell’ultima edizione, la quinta del 2013, dove molte delle malattie del bambino sono diventate anche malattie dell’adulto e molte malattie dell’adulto sono diventate anche malattie del bambino. Un’operazione di lievitazione diagnostica senza precedenti, che ha portato Allen Frances, già citato prima, psichiatra, capostruttura della IV edizione del DSM, a mettere in discussione anche il suo stesso lavoro. Col DSM si pensava di salvare la psichiatria ed invece ne è stato fatto un uso distorto. Nel suo libro “Saving the normal”, tradotto in Italiano con “Primo, non curare chi è normale”, lamenta come l’inflazione diagnostica in psichiatria abbia creato vere e proprie epidemie di malattie inesistenti, con l’intento di far aumentare le vendite di psicofarmaci.
Nell’analizzare 143 molecole usate in Europa e in America per verificarne il corretto uso, mi sono già accorto ad un primo sguardo che ci sono svariate influenze del marketing. Per esempio mi sono accorto che molte molecole commerciali hanno la x nel nome. Come mai? Perché, lo sanno tutti i pubblicitari, la x ha un potere seduttivo sull’acquirente. E quindi molti psicofarmaci riportano la x. Se fate conto delle molecole che ricordate, ricordate quasi esclusivamente quelle con la x. Sono tutte modalità che i settori commerciali delle aziende utilizzano per imprimere queste molecole nella mente del medico e per sedurre il povero paziente. Possiamo citarne una per tutte, lo xanax, che di x ne ha due ed è un nome che può essere letto anche al contrario, palindromo. Non dico che sia un farmaco funzionale o non sia funzionale, persone molto più autorevoli di me hanno detto che non è funzionale, ma non voglio dire questo, però c’è questo inghippo della pubblicità. Quante case automobilistiche hanno la serie x, perché ci sono delle lettere che hanno questo potere seduttivo, la x, la y.
Un altro esempio di condizionamento che non è di marketing ma ne è abbastanza vicino, sono le teorie psichiatriche vendute come scientifiche. Per esempio, se io parlo di depressione tutti ormai sanno che la molecola implicata nella depressione è la serotonina e tutti, proprio tutti, quelli con la laurea in medicina e quelli con la laurea in psicologia, ma anche il paziente che non ha nozioni di neuroscienze, dicono che se uno è un po’ giù di morale è perché ha la serotonina bassa. Un ricercatore inglese, Irving Kirsch, psicologo, ha fatto degli esperimenti dimostrando che lui otteneva gli stessi effetti antidepressivi sia aumentando la serotonina che abbassandola. Ora se io ottengo gli stessi effetti sia alzando che abbassando la stessa molecola, vuol dire che quella molecola non è implicata in quel processo. Lui ha abbassato la serotonina somministrando una molecola ai pazienti che si chiama tianeptina. Le aziende farmaceutiche sono intervenute dicendo che sì forse la serotonina non c’entra, ma che ad ogni modo il farmaco agisce sulla plasticità del cervello. Gli antidepressivi vanno usati, bisogna usarli, ma l’invito a tutti è a fidarsi molto meno e continuare a fare ricerca e a studiare perché le neuroscienze moderne fanno continuamente emergere dati che non conoscevamo anche sui recettori della serotonina. Non sono contrario all’uso di antidepressivi quando servono, ma dietro a queste vendite incredibili di psicofarmaci ci sono dei meccanismi che non sono tanto scientifici, da qui l’invito a tutti gli addetti ai lavori a studiare ancora di più per divulgare invece le teorie scientifiche.
La lotta contro l’ideologia psichiatrica ed il marketing delle aziende farmaceutiche è una lotta impari e destinata all’insuccesso, però mi sembra giusto provare lo stesso a seguire i dettami di un noto psichiatra, Viktor Emil Frankl, il fondatore della logoterapia, medico austriaco, che aveva conosciuto i campi di concentramento dove era stato internato per due anni e mezzo. Lui scrive:
“… Non convince l’opinione che la psichiatria sia in grado di risolvere tutti i problemi. Fino ad oggi noi psichiatri non conosciamo, ad esempio, quale sia la reale causa della schizofrenia e men che meno sappiamo come curarla. Gli psichiatri non sono né onniscienti, né onnipotenti. Un unico attributo divino si addice loro: quello di essere onnipresenti. Ad ogni simposio si trova uno psichiatra, lo si ascolta in ogni discussione e lo si incontra ad ogni convegno… Parlando ora seriamente, ritengo sia giunto il momento di smetterla nell’idolatrare la psichiatria: tanto meglio sarebbe intraprendere la sua umanizzazione.”
Bibliografia di riferimento
- Frances, Saving normal. An insider’s revolt against out-of-control psychiatric diagnosis, “DSM-5, Big Pharma, and the medicalization of ordinary life; trad. it. Primo, non curare chi è normale, Bollati Boringhieri, Milano, 2013
- Frances, Essentials of psychiatric diagnosis; trad. it. La diagnosi in psichiatria, Raffaello Cortina, Milano, 2013
- V.E. Frankl, Das Leiden am sinnlosen Leben. Psychotherapie fur heute, trad. it: La sofferenza di una vita senza senso – Psicoterapia per l’uomo d’oggi, Mursia, Milano, 2013
- Kirsch, I farmaci antidepressivi, il crollo di un mito, Tecniche Nuove, Milano, 2012
NB: “POPMED”, UNA NEWSLETTER DI AGGIORNAMENTO A TEMA “PSI”, A PAGAMENTO. Qui per iscriverti