di Raffaele Avico
PREMESSA: su concessione di Emiliano Toso pubblichiamo le prefazioni al suo libro “Verso una terapia espositiva di precisione.”. Toso ha collaborato con questo blog di recente, attraverso una serie di interviste che si possono rintracciare scorrendo gli articoli del blog, o che possono essere ascoltate qui in formato podcast. Quotidianamente abbiamo a che fare con persone vinte dalla paura, bloccate da disturbi al cui centro permane, invincibile, un senso di minaccia percepita. Sentirsi minacciati (che vi sia qualcosa di esterno che ci spaventa, o di interno -un ricordo traumatico, un pensiero disturbante, l’idea della morte) induce il nostro sistema nervoso a produrre una risposta autonomica e fuori dal controllo cosciente dell’individuo, chiamata fear response. Durante la fear response il flusso e la forma dei nostri pensieri cambiano, divenendo più rapidi e disorganizzati, così come cambia il nostro corpo, in molteplici modi.
Se chiediamo a ChatGPT cos’è la fear response e quali cambiamenti produce, otteniamo quanto segue:
La “fear response” è una risposta fisiologica e comportamentale che si verifica quando una persona o un animale percepisce una minaccia o un pericolo. Questa risposta è una parte fondamentale della nostra biologia ed è strettamente collegata all’istinto di sopravvivenza. La paura è una reazione naturale al pericolo, che prepara il corpo e la mente a fronteggiare la minaccia o a fuggire da essa. Ecco alcune delle principali caratteristiche della fear response:
- Reazioni fisiologiche: Quando una persona percepisce una minaccia, il suo corpo inizia a reagire in vari modi. Il sistema nervoso simpatico si attiva, aumentando la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna e la respirazione. Inoltre, il corpo può rilasciare adrenalina, che aumenta la prontezza fisica.
- Reazioni comportamentali: La fear response spesso porta a comportamenti di difesa o di fuga. Le persone possono cercare di evitare la fonte della paura o prepararsi a combattere se necessario.
- Cambiamenti cognitivi: La paura può influenzare il pensiero e l’attenzione. Le persone tendono a concentrarsi sulla minaccia per valutare e pianificare una risposta adeguata.
- Emozioni: La paura è spesso accompagnata da emozioni intense, come l’ansia, il timore o l’angoscia.
- Sintomi fisici: Oltre alle reazioni fisiologiche generali, la fear response può manifestarsi con sintomi fisici specifici, come sudorazione e tremori.
È importante notare che la fear response è una reazione normale e adattativa, che aiuta gli individui a far fronte ai pericoli. Tuttavia, in alcune situazioni, la paura può diventare eccessiva o patologica, portando a disturbi d’ansia come il disturbo da attacco di panico, il disturbo d’ansia generalizzata o il disturbo da stress post-traumatico. In questi casi, può essere necessaria l’assistenza di un professionista della salute mentale per gestire la paura in modo adeguato.
Molteplici disturbi hanno in comune proprio una reazione di allarme che può diventare cronico, come accade nel disturbo post-traumatico. L’ansia stessa è una forma di allarme.
La paura si manifesta sia come risposte adattativa e fisiologica, sia come condizionata/appresa. Negli attacchi di panico, per esempio, un primo e forte scompenso, un attacco di ansia parossistica generato per le più svariate ragioni, produce un’impressione talmente forte nel soggetto che la subisce da rimanere impresso a fuoco nella sua memoria: quel ricordo diventerà un “oggetto minaccioso interno”, in grado di attivare tentativi di reprimerlo o controllarlo, e di evitarlo in tutti i modi.
Si inserisce in questo punto dell’esperienza del paziente il disturbo di panico, un problema che si mantiene vivo e regge su due pilastri, il controllo/repressione e, di nuovo, l’evitamento. A riguardo del controllo abbiamo approfondito il tema in un post dedicato, qui reperibile. Sul tema dell’evitamento, invece (che sia evitamento di cose “esterne” o “interne” al soggetto), sappiamo che evitare attivamente un problema porta con sé due ulteriori questioni: 1) evitare qualcosa indebolisce la sicurezza in sè, e mina l’autoefficacia, dato che è un messaggio implicito di impotenza che il soggetto lancia a sé stesso 2) la rappresentazione del problema sembra ingrandirsi, come attraverso un processo di mistificazione del problema stesso.
La terapia espositiva sembra l’unica modalità sensata per contrastare l’evitamento, tenendo conto che esistono molti psicoterapeuti che ne fanno uso senza saperlo. La psicoterapia stessa potrebbe in un certo senso essere pensata come incentrata sulla terapia espositiva (si veda questo interessante articolo); sicuramente l’EMDR, l’ipnosi, lo psicodramma, il journaling, la scrittura espressiva, etc.: sono tutte variazioni sul tema di quella che genericamente chiamiamo “terapia espositiva”.
Qui di seguito le prefazioni al lavoro di Emiliano Toso.
Buona lettura!
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VERSO UNA TERAPIA ESPOSITIVA DI PRECISIONE: PREFAZIONI
Da circa due decenni stiamo assistendo a una transizione che sta rivoluzionando i paradigmi psicologici e biomedici grazie soprattutto allo sviluppo tecnologico di tre aree scientifiche con un forte impatto sia concettuale che applicativo. Le tecnologie di neuroimaging (neuroimmagine) hanno gettato luce sul funzionamento del cervello “in vivo” rendendo possibile finalmente comprendere le importanti interazioni mente-corpo anche in relazione alla neuroplasticità prodotta dall’esperienza vissuta dalla persona (per questo chiamata “esperienza dipendente”). Grazie, infatti, ai recenti sviluppi delle neuroscienze, sono stati maggiormente considerati i processi fondamentali che dal piano psicologico generano cambiamenti nelle cellule neurali dimostrando la debolezza del paradigma dicotomico mente-corpo, purtroppo largamente condiviso anche nel settore biomedico, dove vengono ammessi esclusivamente gli effetti delle interazioni fisico-chimiche sugli aspetti psicologici. Le tecnologie di sequenziamento genetico hanno invece da un lato decretato definitivamente il fallimento di quello che veniva chiamato “determinismo genetico”, consentendo al paradigma epigenetico (che enfatizza il ruolo delle esperienze) di essere maggiormente accettato, dall’altro hanno permesso la nascita di quella che viene definita “microbiota revolution” (la rivoluzione del microbiota), per il radicale impatto che lo studio dei microorganismi che colonizzano il nostro organismo (batteri, virus e funghi) ha sul nostro benessere sia fisiologico che psicologico. In questo scenario, caratterizzato dalla forte critica di importanti paradigmi biomedici e psicologici che hanno rappresentato per oltre mezzo secolo la cultura condivisa e i conseguenti protocolli clinici della maggior parte dei professionisti, il libro di Toso delinea, in una maniera molto chiara, originale e aggiornata, la moderna prospettiva della teoria espositiva, il settore delle scienze cognitivo-comportamentali che studia come la sistematica esposizione a specifiche esperienze possa aiutare a superare problematiche legate alla paura (per esempio, le fobie, i disturbi d’ansia, i disturbi ossessivo-compulsivi e molti altri). Il libro ha l’obiettivo di descrivere la teoria espositiva, aggiornata con i più recenti sviluppi teorici e clinici, collocandola all’interno della moderna prospettiva che considera il benessere e la salute umana in un’ottica personalizzata e integrata (Psico-Neuro-Endocrino-Immunologica). In questo senso il testo che state leggendo rappresenta l’ambizioso sforzo di affrontare una duplice sfida. La prima consiste nell’analizzare il fenomeno dell’esposizione in relazione al recente sviluppo scientifico della cosiddetta “memoria inibitoria”, per più aspetti antitetico, sia dal punto di vista teorico che applicativo, al processo di estinzione per abituazione (da oltre mezzo secolo considerato come il principale paradigma di riferimento per lo sviluppo di protocolli clinici). Come già evidenziato dalla recente letteratura scientifica, la “memoria inibitoria” non solo fornisce una spiegazione della relativamente scarsa efficacia terapeutica di molti modelli espositivi finora largamente adottati (fondati sull’assunto che per contrastare una memoria traumatica servisse indebolirla al fine di ottimizzare il processo di estinzione), ma soprattutto propone un modello più complesso, realistico e specifico del processo di estinzione consentendo la progettazione e la realizzazione di tutta una nuova gamma di modalità di intervento almeno in parte apparentemente paradossale se paragonata al tradizionale approccio dell’abituazione. La seconda sfida affrontata da questo libro consiste nel tracciare, in maniera sistematica, coerente e scientificamente solida, tutte le principali connessioni che determinano la “forza” antagonistica e competitiva della memoria inibitoria in confronto a quella eccitatoria. In questo senso Toso propone l’originale concetto di processi “intrinseci” ed “estrinseci” per sottolineare la differenza tra i meccanismi psicologici che determinano la forza della memoria inibitoria (l’errore predittivo, la dipendenza dal contesto e la ricompensa) e tutte le dinamiche psicofisiche e contestuali che ne possono influenzare il funzionamento (i fattori genetici, l’attività motoria, la qualità del sonno, la composizione del microbiota, l’ansia del terapeuta ecc.). Le ricadute applicative e cliniche del quadro concettuale descritto dall’autore sono molteplici, profonde e, pur essendo tutte basate su solide evidenze scientifiche, per alcuni versi controintuitive in confronto alle strategie, alle tecniche e ai protocolli utilizzati finora. L’originalità del libro si esprime sia attraverso la coerenza con l’attuale modello integrato di salute e benessere, che prevede di considerare trasversalmente le dimensioni molecolari, cellulari, fisiologiche, psicologiche e sociali, sia nell’esigenza di personalizzare e aumentare il livello di precisione dell’intervento offerto dai professionisti. L’estesa trattazione delle implicazioni cliniche della teoria espositiva presentata nel libro offre anche l’importante vantaggio pratico di permettere un linguaggio comune tra i vari professionisti (psicologi, medici, nutrizionisti ecc.) che possono contribuire a rendere più preciso, personalizzato ed efficace l’intervento di supporto al paziente. Consiglio vivamente la lettura di questo libro a tutti i professionisti del benessere psicofisico interessati a conoscere le molteplici e innovative implicazioni cliniche che il moderno concetto di esposizione propone nel trattamento di tutte le problematiche legate all’ansia e allo stress.
Prof. Massimo Agnoletti esperto di Stress, Psicologia Positiva e Psicologia Epigenetica con un’importante esperienza soprattutto negli Stati Uniti, ha prodotto più di un centinaio di pubblicazioni scientifiche su riviste anche internazionali.
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Gli psicoterapeuti cognitivo comportamentali possiedono oggi, grazie al lavoro di tanti ricercatori e di altrettanti clinici, molti, validi, modelli teorici che consentono di comprendere efficacemente il funzionamento mentale dei pazienti e, conseguentemente, di trovare le metodologie di cura che meglio si adattano alle specifiche condizioni e alle specifiche richieste delle persone che cercano sollievo dai loro disturbi nei centri specializzati di salute mentale. Questa situazione è certamente positiva ma, osservandola in maniera più approfondita, costituisce anche un rischio; di fronte alla pletora di interventi nuovi o rivisitati che, ad esempio, la terza generazione delle terapie CBT offre, in tutti i settori di trattamento della psicopatologia, il pericolo è quello di dimenticare, se non di boicottare (magari a causa di problemi del terapeuta – la famosa ma sempre un po’ rimossa “ansia del terapeuta” mirabilmente descritta da Toso in un’intrigante pagina del suo nuovo libro), metodologie di cura straordinariamente efficaci, ritenendole (erroneamente) superate o, peggio, potenzialmente iatrogene. In questo contesto, ricco, stimolante, ma, come anzidetto, non scevro da rischi, il nuovo libro di Emiliano Toso costituisce una sonora, potente sveglia rivolta a tutti i terapeuti comportamentali, un invito forte, ma illuminato e sapiente, a riscoprire uno degli interventi più potenti, ma anche più fraintesi, della storia della psicoterapia di matrice comportamentale, l’esposizione. Riscoprire però non significa dissotterrare un vecchio arnese e magari utilizzarlo dopo una semplice pulitura. Riscoprire la terapia espositiva significa, al contrario, riprendere in mano le radici saldamente vitali della scienza comportamentale e consentire loro di nutrirsi dell’humus che proviene dal ricco terreno scientifico che, in materia di esposizione, è andato sviluppandosi negli ultimi vent’anni, grazie agli studi (alcuni dei quali ormai imprescindibili) sulla neurobiologia delle emozioni (Le Doux) e sui sistemi di apprendimento (Craske). Partendo da un’accurata disamina delle evidenze circa le problematiche di efficacia a lungo termine dell’esposizione per abituazione, Toso ci porge dunque un presente scientifico già consolidato, ma ancora ampiamente negletto in Italia, quello dell’esposizione per apprendimento inibitorio. Ma non si ferma qui. La vera novità del libro sta nell’individuazione di una nuova, promettente via, destinata a diventare paradigmatica per tutti i terapeuti desiderosi di avanguardia e di novità scientifica: la via dell’“esposizione di precisione”, altamente personalizzata, basata sulla conoscenza e sull’utilizzo esperto degli aspetti interni ed esterni (Toso li chiama: intrinseci e estrinseci) che modulano la risposta di apprendimento della nuova memoria di sicurezza (memoria inibitoria) derivante dall’esposizione. Non più quindi una sola terapia “per tutte le stagioni e per tutti i pazienti”, basata sull’abituazione o sulla ristrutturazione cognitiva, ma una terapia, incentrata sull’apprendimento inibitorio, che sappia farsi carico e utilizzare a vantaggio del paziente fattori cognitivi come la violazione dell’aspettativa di minaccia, fattori contestuali come l’umore e l’utilizzo dello stress, fattori rinforzanti come la ricompensa gratificante e, ancora, fattori non strettamente mentali come la genetica, le caratteristiche fisiologiche, il sonno, il microbiota intestinale, l’attività fisica e molto altro ancora. Il terapeuta comportamentale, dopo il libro di Toso, ha davanti a sé una scelta, che è anche una sfida personale: utilizzare in maniera ripetitiva e probabilmente non ottimale l’esposizione per come l’ha imparata negli studi universitari e post universitari e tramite l’esperienza personale, oppure sfidare la propria propensione al cambiamento (e anche, a volte, la propria personale ansia), vincere il conformismo e formarsi su questa nuova via indicata da Toso, ampiamente basata sulla scienza, proponendo ai pazienti una terapia d’avanguardia.
Prof. Elio Carlo docente di Psicologia ambientale presso l’Università Guglielmo Marconi (Roma)
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La terapia dell’esposizione è considerata una tecnica d’elezione per il trattamento di molti disturbi d’ansia e ha una lunga storia di verifiche a livello empirico. Un terapeuta cognitivo comportamentale, nell’esercizio della sua professione, applicherà frequentemente questa tecnica. Dopo aver appreso l’utilizzo della desensibilizzazione sistematica (DS) per trattare le fobie, impiegherà anche l’esposizione in vivo per trattare, tra gli altri, il disturbo ossessivo compulsivo, gli attacchi di panico, l’agorafobia, l’ansia sociale e il disturbo da stress post-traumatico. Può succedere che, durante il percorso terapeutico, i pazienti abbiano delle ricadute, il cosiddetto “recupero spontaneo”, e sta al terapeuta spiegare come questo fenomeno sia del tutto normale e anche frequente, in modo che non venga vissuto come un fallimento. Nei corsi di formazione viene insegnato come, per superare le paure, sia necessario procedere con gradualità, utilizzando sia l’esposizione in vivo che in immaginazione. È anche possibile adottare strategie più potenti quali il flooding, una tecnica cognitivo-comportamentale che consiste nell’esporre ripetutamente il soggetto allo stimolo fobico, senza dargli alcuna possibilità di fuga. Per massimizzare gli esiti, spesso, è necessario inserire altri elementi ed è qui che ci viene in aiuto il modello basato sullo sviluppo dell’“apprendimento inibitorio”. Si è sempre ritenuto che attraverso la terapia dell’esposizione fosse possibile aiutare la memoria a “rimuovere” le paure, tuttavia le ricerche più attuali hanno dimostrato che con l’estinzione non si cancella la memoria ma si va a crearne una “inibitoria”. L’autore cita LeDoux (2016): “Non solo la memoria della paura rimane indelebile nell’amigdala, ma l’estinzione è in grado di creare una nuova memoria competitiva (memoria di estinzione) che viene conservata in un’altra sede del cervello, nello specifico, nella corteccia prefrontale ventromediale (PFCvm), in cui si attiva un’azione ‘frenante’ della stessa rispetto all’amigdala. I nuovi schemi di connessioni sinaptiche tra i vari neuroni, che formano il metaforico freno, rappresentano la nuova memoria inibitoria”. Al fine di sviluppare tale memoria, nel libro vengono presentate le principali strategie comportamentali quali:
- violare le aspettative;
- etichettare le emozioni;
- rimuovere i segnali comportamenti di sicurezza;
- separare gli interventi cognitivi dalle esposizioni;
- variare lo stimolo;
- variare il contesto.
Oltre a ciò, viene consigliato di far svolgere al paziente dell’attività fisica che, come è stato dimostrato da innumerevoli ricerche, migliora rapidamente l’umore e riduce lo stress. Sono sufficienti dieci minuti di camminata rapida per migliorare in modo sensibile l’umore. L’esercizio fisico, inoltre, incrementa l’autostima e, in questo modo, si acquisisce la consapevolezza di come sia possibile limitare lo stress. Un altro elemento importante da inserire nel trattamento terapeutico è l’umorismo. Il senso dell’humor ha lo scopo di insegnare a guardarsi dall’esterno e a non prendersi troppo sul serio, riducendo le emozioni negative e la tensione. L’umorismo “autorinforzativo” si contraddistingue per la capacità di assumere un atteggiamento positivo nei confronti della vita, mantenendo una “prospettiva divertente” anche di fronte alle difficoltà e agli eventi sfavorevoli. Le ricerche più recenti hanno evidenziato come l’umorismo, in psicoterapia, aiuti a creare un’alleanza terapeutica, prerogativa fondamentale per iniziare un percorso di modifica del comportamento. Un altro aspetto da tenere in considerazione è la gestione dell’ansia che il paziente prova durante la terapia dell’esposizione. È del tutto normale che il paziente, avvertendo un’ansia elevata, tenda a evitare l’auto esposizione alle situazioni particolarmente disturbanti. Ecco perché diventa determinante la figura del terapeuta che lo deve affiancare. Ma il terapeuta è in grado di farlo? Sa come aiutarlo durante una crisi di panico intensa? Può succedere che lo stesso terapeuta subisca l’ansia del paziente e abbia timore di farlo esporre ma, se ciò non avviene, difficilmente svilupperà la memoria inibitoria. La figura del terapeuta, durante le esposizioni, è determinante, in quanto può rappresentare un modello, rinforzare i successi e aiutare il soggetto a modificare il proprio dialogo interno, in modo che possa, poco alla volta, sviluppare una memoria competitiva. I familiari, spesso, tendono a proteggere il loro caro dicendogli frasi come: “Se non te la senti non sforzarti!”, “prendi i medicinali, così starai meglio!”, “tu sei ansioso come lo sono io!” Altri, ritengono che “con un po’ di buona volontà” si possano superare tutte le paure, perché non sanno che la volontà serve a poco se non è sostenuta dalle abilità e dalle competenze. Il paziente deve essere messo in grado di adoperare gli strumenti e le tecniche migliori per affrontare le proprie paure. Ritengo che tutte queste recenti ricerche possano offrire spunti interessanti a un terapeuta che voglia sviluppare una terapia espositiva di “precisione”. Ritengo, inoltre, che questo libro possa essere uno stimolo per tutti i terapeuti che hanno maturato la consapevolezza che l’esposizione sia il cardine della terapia e che, grazie a essa, sia possibile modificare i pensieri non funzionali. Un ulteriore suggerimento per potenziare la memoria inibitoria è quello di separare l’esposizione dagli interventi cognitivi. Citando l’autore: “Qualsiasi intervento cognitivo, volto a ridurre la pericolosità della minaccia, ostacolerebbe la formazione della memoria inibitoria. Tale intervento, secondo Michelle Craske (2014), andrebbe eventualmente applicato successivamente all’esposizione, in un secondo momento, così da facilitare il consolidamento della memoria”.
Prof. Enrico Rolla direttore dell’Istituto Watson di Torino
NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)