di Raffaele Avico
Giorgio Samorini è un riferimento in Italia per la “scienza delle droghe”, gli studi sulle piante allucinogene, sulla storia dell’utilizzo di psichedelici, per l’ambito dell’etnobotanica in generale. Per avere idea del portato del suo lavoro, è sufficiente dare un’occhiata al suo sito: samorini.it
In questo volume corto e scorrevole, Samorini descrive molte specie animali intenti a consumare sostanze psicotrope di vario tipo (già presenti in natura o create dall’uomo, come l’alcol). Samorini osserva come si debbano distinguere due modalità di consumo di sostanze psicotrope tra gli animali:
- consumo condizionato, indotto da un certo tipo di comportamento dell’uomo, come il coltivare certe piante o attivamente effettuare esperimenti sugli animali usando sostanze psicotrope (come il famoso esperimento dei ragni sotto caffeina)
- consumo naturale, ricercato dagli animali in assenza di elementi umani a fare da rinforzo, all’apparenza per “puro piacere” o alla ricerca di un’alterazione del funzionamento del sistema nervoso
Tra le specie animali, molte consumano attivamente sostanze psicotrope, come gli elefanti (Samorini raccoglie parecchie evidenze sulla ricerca da parte degli elefanti dell’effetto inebriante dell’alcol), gli orsi, molti uccelli e soprattutto le capre; esistono anche molte evidenze di animali “inferiori” (con un sistema nervoso basico/semplice) alla ricerca di sostanze dal potere psicotropo, come le sfingi -particolari falene-, i cervi volanti, ma anche le lumache, le mosche, le drosofile (moscerini della frutta), e altri.
Procedendo nella lettura, Samorini si avvicina al tema “animali che si curano”, raccogliendo evidenze di come diverse specie si auto-curino con elementi naturali terapeutici; da notare come Samorini sottolinei più volte la fallacia della prospettiva antropocentrica –per cui l’essere umano tende a negare l’idea che gli animali producano comportamenti direttamente causati da un tipo di pensiero più articolato del semplice stimolo/risposta. Samorini osserva a proposito di questo come gli animali esibiscano comportamenti sessuali slegati dalla semplice riproduzione, anche omosessuali, oltre ad indursi come già detto stati di eccitazione euforica attraverso sostanze trovate in natura, producendo associazioni di causa-effetto articolate (per esempio, Samorini parla di manguste che sfruttano il senso di intorpidimento e confusione dei topi alterati dall’aver ingerito canapa, al fine di aggredirli).
Samorini si chiede come sia possibile che diverse specie animali si “droghino” per puro piacere (senza che ci sia insomma una finalità nutritiva, istintuale), e risponde che questo fenomeno sarebbe impossibile senza ipotizzare l’esistenza di un “pensiero” maggiormente articolato e proto-cosciente nella mente degli animali stessi, compresi gli animali inferiori (come appunto le mosche). Gli animali possiedono risorse che non comprendiamo in pieno: il modello comportamentista/antropocentrico ci impedisce tuttavia di immaginare o pensare agli animali stessi come dotati di una quota di ragionamento senziente, articolato, non necessariamente o solamente mosso dall’istinto.
La scienza che studia il comportamento autocurativo degli animali è chiamata zoofarmacognosia: Samorini raccoglie in questo volume molte evidenze di comportamenti di questo tipo, non basato sulla preservazione di un semplice stato omeostatico (con comportamenti auto-regolativi basati sul feedback, come un neonato che trovandosi causalmente la sua stessa mano di fronte al volto, inizi a succhiarla auto-gratificandosi), ma producendo comportamenti articolati, lunghi, con “attese” e “tempistiche di medicazione” complesse che farebbero propendere per, ancora una volta, una visione differente a riguardo della coscienza degli animali, “post-”comportamentista, maggiormente cognitivista, con una maggiore spazio da attribuire al loro stesso “pensiero”.
Inoltre, Samorini osserva come l’utilizzo degli psichedelici e delle piante medicinali da parte degli animali, precede storicamente quello fatto dagli umani, che proprio dagli animali avrebbero osservato come utilizzare gli elementi naturali per auto-medicarsi.
Nell’utlima parte di questo corto saggio, l’autore introduce il tema dell’omosessualità animale, diffusa in più di 450 specie, frequentissima ma ancora oggi declassata dagli etologi ad “aberrazione” o “divergenza”. Samorini spiega che una visione di questo tipo dipende dall’adesione ortodossa di alcuni studiosi al paradigna darwinista, per cui ogni azione in natura verrebbe giustificata dal bisogno di procacciare e ottenere risorse scarse, o di riprodursi, nella direzione di un’evoluzione costante volta a un miglioramento funzionale, a una maggiore utilità.
Esistono paradigmi nuovi e post-darwinisti, tuttavia, che meglio si adatterebbero a spiegare questi comportamenti in natura. Samorini cita il concetto di “esuberanza biologica”, la “teoria del caos”, spingendosi fino alla fisica quantistica, che meglio si adatterebbero a una lettura non riduzionistica o antropocentrica di questi comportamenti assolutamente normali ma “esuberanti” in senso evolutivo. Seguendo il paradigma dell’esuberanza biologica, in natura sarebbe cioè necessario produrre varianza, novità, alterità, così come per la teoria del caos è importante che il caos stesso introduca variazioni casuali funzionali a produrre salti evolutivi, al fine di migliorare e far evolvere lo stato delle cose. Questi comportamenti (l’omosessualità, l’uso non riproduttivo della sessualità negli animali, la ricerca di uno stato di alterazione assolutamente deliberata e non funzionale ad alcunchè negli animali), una volta riletti in modo non moralistico e al di là della posizione antropocentrica, potrebbero essere riletti usando questi nuovi, più vasti paradigmi, post-darwiniani, altrettamento “scientifici”. A riguardo dell’esuberanza biologica, si veda questo approfondimento da un articolo pubblicato nel 2000 su Jama.
Si veda anche questo approfondimento fatto da Vice.
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