di Raffaele Avico
Questo articolo apparso su Carlat, ci fornisce una visione ampia sul tema inerente il declino cognitivo che, come leggiamo nell’articolo, ha il suo inizio a partire dal 45esimo anno di età.
Inizialmente viene fatta una riflessione sulla distinzione che un medico dovrebbe fare tra i problemi di declino cognitivo fisiologici, e quelli conseguenti a qualche particolare patologia neurodegenerativa, come a sottolineare l’importanza di una eccellente diagnosi differenziale.
Le aree maggiormente esposte, in termini cognitivi, a questo declino, sono:
- memoria episodica (che ci consente di ricordare specifici eventi)
- memoria di lavoro (che un tempo si sarebbe chiamata memoria a breve termine, che ci consente di ricordare per un breve tempo alcuni dati, provenienti dal senso della vista o dell’udito, per compiere operazioni utili alla vita quotidiana)
- attenzione, con un calo della capacità di mantenimento focalizzato dell’attenzione
Carlat ci racconta quindi di una serie di elementi da tenere in considerazione quando si debba valutare come poter contrastare il declino cognitivo (che come dicevamo inizia intorno ai 45 anni, ma raddoppia la sua velocità tra i 60 e i 70 anni).
Nell’articolo viene fatto un distinguo tra differenti tipologie di declino cognitivo, come rappresentato nell’immagine sottostante:
Come si osserva dall’immagine, l’articolo distingue tre tipologie di problema: un normale declino correlato all’età, un disturbo neurocognitivo moderato, e un disturbo neurocognitivo maggiore. Che differenza intercorre tra un “semplice” declino cognitivo conseguente il processo d’invecchiamento e un “neurocognitive disorder”?
Come prima cosa viene osservato che un disturbo neurocognitivo non ha un andamento progressivo, ma avviene in tempi rapidi e richiede da parte del soggetto l’adozione di “strategie di compensazione” per garantirsi una mantenuta qualità della vita; un disturbo di questo tipo non è collegato all’età, e può presentarsi in conseguenza di differenti problemi intercorsi come lo sviluppo di sintomi negativi nel quadro di un disturbo psichiatrico, oppure a seguito di un grave trauma cranico, un infarto o un ictus. Nella tabella sopra riportata vengono distinti i tre livelli di disturbo in base a età e strategie di compensazione.
Come si interviene in questi casi?
Carlat è una rivista di psichiatria: gli interventi consigliati sono dunque a favore di personale sanitario; tuttavia, l’articolo promuove alcuni interventi potenzialmente a beneficio di tutti.
Quindi, per intervenire in questi casi nel migliore dei modi, occorre:
- diminuire il numero di farmaci assunti dal soggetto che non siano strettamente necessari, per evitarne gli effetti collaterali
- approcciare il problema per via laterale, ponendo attenzione agli aspetti metabolici e cardiovascolari (quindi valutando obesità, circolazione, pressione del sangue, dispnee notturne, etc.)
- attuare alcuni cambiamenti nello stile di vita
A proposito dello stile di vita, vengono qui riportati alcune modificazioni da fare, all’apparenza semplici, che tuttavia hanno nel tempo raccolto una vasta mole di evidenze a riprova del loro potenziale di “freno” del processo di decadimento cognitivo. In particolare, leggiamo:
- dieta
- esercizio
- training cognitivo
DIETA
Per quanto riguarda la dieta, viene consigliata l’adozione della dieta definita MIND, ovvero una combinazione tra una dieta definita DASH (qui approfondita) e una dieta mediterranea. Vi si incentiva il consumo di verdure (a foglia) e frutti di bosco, frutta secca e olio di oliva, pesce e pollo. Sconsigliato invece il consumo di carni rosse, junk food, zucchero raffinato, burro e formaggi. Per chi fosse interessato a tematiche di questo tipo, nell’articolo viene citato un libro a tema, questo.
ESERCIZIO FISICO
Molteplici evidenze ci raccontano di come l’esercizio fisico conduca a un miglioramento in tutte le aree di funzionamento dell’individuo, comprese le performance cognitive. L’attività fisica ha raccolto prove di efficacia anche in ambito psicopatologico, come qui approfondito. In questo articolo viene in particolare sottolineato come, tra i diversi risultati ottenuti dalla ricerca a proposito della prevenzione del declino cognitivo in persone sopra i 50 anni, sembri essere maggiormente efficace combinare esercizi di natura aerobica e di resistenza per almeno 4 o 5 giorni la settimana (con sessioni di 45/50 minuti l’una). Viene inoltre segnalato questo articolo, con ulteriori evidenze a riguardo.
TRAINING COGNITIVO
Il tema del training cognitivo riguarda sia persone che subiscono un declino cognitivo connesso all’età, sia persone che manifestino compromissioni del funzionamento connesse a particolari eventi “non naturali”. Gli autori di questo articolo ragionano sulla potenziale sopravvalutazione di interventi di questo tipo, in particolare a riguardo degli interventi digitali. In termini generali, vengono citati alcuni potenziali esercizi di training cognitivo con effetti almeno similari (se non superiori) a quelli digitali:
- lumosity (debole in termine di ricerca effettuata a proposito, addirittura multato -gli autori riportano- per falsa pubblicità a proposito dei potenziali effetti positivi sulle performance cognitive)
- giochi di carte, di parole, sudoku, puzzle
- uso di strumenti musicali
- interazioni sociali (in generale, quindi dialogo e ragionamento congiunto)
- Brain HQ
Concludendo, gli autori ragionano sulla necessità generale, da parte degli individui, di prendere in carico la salute del cervello inteso come organo, nell’ottica di prevenire il declino cognitivo, cercando dunque di raggiungere una buona igiene del sonno, curare la dieta, svolgere attività fisica per quanto si riesca e, se necessario, implementare l’attività cognitiva attraverso uso di training specifici (anche digitali) per 2 o 3 volte a settimana, della durata complessiva compresa tra i 30 e i 60 minuti a sessione.
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