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Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in Psichiatria e Psicoterapia

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19 July 2021

PRIMO LEVI, LA CARCERAZIONE E IL TRAUMA

di Raffaele Avico

Raccontare il dolore dei sopravvissuti dell’olocausto nazista non ha senso in un articolo di blog, ci limitiamo qui a prendere alcuni spunti dai lavori di Primo Levi per porre alcune questioni in ottica psicotraumatologica.

Il primo libro di Levi fu pubblicato nel 1958, seppur un articolo pubblicato sulla rivista medica Minervamedica fosse apparso, in sordina, già nel 1946 (articolo sconvolgente e scritto fresco di ritorno).

I libri comparvero a fine anni ’50, e da lì in avanti primo Levi sarebbe diventato sempre più scrittore, pur continuando il suo lavoro da chimico in una fabbrica di Avigliana, fuori Torino, dopo diversi anni di silenzio; lo stesso Levi racconta di come negli anni successivi la seconda Guerra mondiale, della tragedia ebraica si preferisse non parlare: ci vollero all’incirca 15 anni perchè il ricordo traumatico potesse far breccia nella coscienza della popolazione.

Lo racconta molto bene lo stesso Levi nella famosa intervista in concomitanza del suo ritorno ad Auschwitz.

Per quanto riguarda la vita quotidiana, la vita in Lager, i libri di Primo Levi sono diventati, negli anni, importantissima traccia di memoria, anche per lo stile scientifico con cui Levi seppe descrivere le reazioni psicofisiche dei deportati, lo stile di vita del Lager, i lavori forzati, la tragedia della Shoah nei suoi elementi più quotidiani.

Il primo libro scritto da Levi fu Se questo è un uomo, seguito da La tregua (per stare solo nei lavori a tema Olocausto) e da I sommersi e i salvati, una ricapitolazione delle convinzioni maturate dall’autore sulla sua esperienza, una riflessione più sul senso della sua esperienza, che non su quanto avvenne in Polonia negli anni della sua deportazione.

Cerchiamo di mettere in risalto alcuni spunti dai libri di Levi sugli aspetti psicotraumatologici della vita ad Auschwitz, a partire dalle sue osservazioni:

  • per prima cosa occorre notare che Levi si considerò sempre un privilegiato, un “salvato” per via del suo mestiere di chimico, per i pochi privilegi che ad Auschwitz gli vennero concessi, per l’istruzione acquisita a Torino all’università: occorre dunque osservare che l’esperienza del Lager gli fu facilitata da una serie di fattori contingenti: i “sommersi” è più che probabile avessero sofferto pene differenti, più crude
  • Levi descrive più volte il restringimento degli orizzonti cognitivi dei deportati: durante la prigionia -visti gli sforzi continui di adattamento alla realtà esterna, brutalizzante-, Levi si accorge chiaramente di come le priorità si restringono al qui ed ora, alla sopravvivenza contro il freddo, al procacciamento del cibo, anche nei bambini. Solo nei tempi morti, o più distesi, della vita del campo, fanno breccia nella coscienza dell’individuo altri, più vasti bisogni; per questo Levi racconta le domeniche e i momenti di stasi dalla vita da campo, come i momenti più penosi in termini psicologici, tanto che gli italiani in Lager, di domenica, avevano “smesso di riunirsi” (“a ritrovarsi, accadeva di ricordare e di pensare, ed era meglio non farlo”)
  • uno dei capitoli più sconvolgenti di Se questo è un uomo, è il capitolo sui sogni “Le nostre notti”: Levi sogna, nelle corte notti polacche, di mangiare (“molti schioccano le labbra e dimenano le mascelle”), di tornare in Italia, ma più spesso -e questo è l’incubo ricorrente e più doloroso- di tornare, raccontare e di non essere ascoltato. In un passo di Se questo è un uomo, Levi si confida a un compagno italiano di prigionia, Alberto, il quale gli confida di sognare lo stesso: di narrare e di non essere creduto.
    Osserviamo qui la consapevolezza di star attraversando un evento storico, e insieme il timore che l’assurdità del suo accadere non trovi spazio nella mente dei “civili”.
  • oltre a questa tipologia di sogni, ci sono gli incubi più “classici”, potremmo dire più classicamente post-traumatici. Levi scrive: “la sofferenza del giorno, composta da percosse, fame, freddo, fatica, paura e promiscuità, si volge di notte in incubi informi di inaudita violenza, quali nella vita libera occorrono solo nelle notti di febbre. Ci si sveglia ogni istante, gelidi di terrore, con un sussulto di tutte le membra, sotto l’impressione di un ordine gridato da una voce piena di collera, in una lingua incompresa”. Sogni dunque carichi di una violenza per così dire irrazionale, e di paura infantile.
  • connesso a questo punto (un restringimento dei bisogni, un focus sulla sopravvivenza nel presente) Levi osserva il senso di distorsione del passaggio del tempo: tutto accade, in Lager, nel presente. Viene persa cioè la coerenza narrativa dell’evento in cui ci si trovi a vivere: solo i più fortunati, i più acculturati, riusciranno a non smettere mai di osservare l’evento come un evento “prospettico”, inserito in un disegno temporale, con un prima e un dopo, così da scongiurare quello che Levi chiama “naufragio spirituale”. Nelle sue parole: “a dare un colpo di spugna al passato e al futuro si impara assai presto, se il bisogno preme”. Sulla distorsione del tempo nel trauma, si veda questo approfondimento
  • Levi osserva, nel capitolo “Una buona giornata”, un meccanismo psichico di adattamento al dolore mentale, una sorta di “gerarchia delle sofferenza”, che merita riportare in toto. Il contesto è quello di un giorno di sole e di tregua dal rigido inverno polacco, con una temperatura più mite:
    “Poiché tale è la natura umana, che le pene e i dolori simultaneamente sofferti non si sommano per intero nella nostra sensibilità, ma si nascondono, i minori dietro i maggiori, secondo una legge prospettica definita. Questo è provvidenziale, e ci permette di vivere in campo. Ed è anche questa la ragione per cui così spesso, nella vita libera, si sente dire che l’uomo è incontentabile: mentre, piuttosto che di una incapacità umana per uno stato di benessere assoluto, si tratta di una sempre insufficiente conoscenza della natura complessa dello stato di infelicità, per cui alle sue cause, che sono molteplici e gerarchicamente disposte, si dà un solo nome, quello della causa maggiore; fino a che questa abbia eventualmente a venir meno, allora ci si stupisce dolorosamente al vedere che dietro ve n’è un’altra; e in realtà, una serie di altre.”
  • l’annientamento psichico partiva, osserva Levi, dalla deprivazione identitaria: i deportati vennero fin da subito trattati come “pezzi”, come merce, fatti spogliare e osservati come casi clinici, come pesci in un acquario. Questo procurava un primo trauma, atto a indebolire costituzionalmente l’Io dei soggetti deportati, come osserva lo stesso Levi in appendice a Se questo è un uomo. In questa appendice Levi sottolinea come, visto questo stato di prostrazione psichica e fisica, ribellarsi ai carcerieri era pressoché impensabile
  • nell’intervista del suo ritorno ad Auschwitz, Levi racconta di aver osservato come, dopo la liberazione a opera dei Russi nel 1945, fossero molteplici le reazioni all’esperienza appena vissuta: molti furono coloro che preferirono non tornare con la mente sull’argomento, se non per brevi dolorosi momenti di apertura. Rimuovere, come sappiamo, è diverso dal dissociare: a detta di Primo Levi fu possibile osservare entrambe queste tipologie di reazioni nei sopravvissuti all’Olocausto.
 
Sul tema carcerazione e deprivazione, questi articoli potrebbero fornire alcuni spunti:
  • 1
  • 2

Troverete in questo doppio articolo un approfondimento fatto sulla psicologia della carcerazione, sulla base di un sito molto utile e ricco di materiale: ristretti.it.


Ps tutto il materiale su trauma e dissociazione presente su questo blog è consultabile cliccando sul bottone a inizio pagina (o dal menù a tendina) #TRAUMA.

Article by admin / Formazione, Generale / psichiatria, psicotraumatologia, PTSD

3 February 2021

PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE (SECONDA PARTE): FINE PENA MAI

di Raffaele Avico

Abbiamo nella prima parte di questo articolo cercato di approfondire alcuni aspetti psicologici della carcerazione prendendo spunto dal sito, molto ricco, ristretti.it

Sempre su questo sito troviamo delle tesi, pubblicate intere, svolte da studenti o studiosi di diritto, psicologia, sociologia e altre discipline, a proposito della vita in carcere e dei suoi risvolti sulla psiche e le relazioni.

Tra queste troviamo una tesi in sociologia del Diritto scritta da Carmelo Musumeci, egli stesso incarcerato a vita, dal titolo “Vivere l’ergastolo“.

Musumeci scrive:

“La pena dell‘ergastolo non è un deterrente, non migliora l’uomo, non ha niente di ragionevole e istituzionalizza la vendetta attraverso la sofferenza, rispondendo alla violenza criminale con la violenza legale”

Il suo proposito è indagare il vissuto dei carcerati “fine pena mai”. In questo lavoro si propone di eseguire un’indagine allargata su alcuni aspetti della vita da ergastolano, attraverso alcune domande mirate da far rispondere a più persone possibile.

La tesi è di estremo interesse perchè ci consente di gettare uno sguardo diretto sull’esperienza portata da un campione di individui -suddivisi in questo modo, su più carceri: Opera (Milano) 1 questionario, Novara 1, Prato 2, Sollicciano (Firenze) 1, Livorno 4, Volterra 1, Fossombrone 10, Rebibbia (Roma) 3, Sulmona 4, L‘Aquila 1, Carinola 8, Melfi 1, Palmi 1, Trapani 1, Bicocca (Catania) 1, Ucciardone (Palermo) 1, Trapani 1, Nuoro 6.

Ecco un estratto dal lavoro.

A domanda fatta (in grassetto) si susseguono le risposte date dai diversi intervistati (indicati con Q46, Q35, etc.), in corsivo.

  1. La sofferenza della pena dell’ergastolo e l’esperienza del carcere, a tuo parere, ti ha cambiato in meglio o in peggio?
  • Q46 “La sofferenza dell’ergastolo è qualcosa di davvero indescrivibile, ti stordisce, ti lascia il segno per tutta la vita, stravolge la tua esistenza a tal punto che non sai se è stato un cambiamento peggiore o migliore, solo l’esperienza del carcere ti lascia capire il tuo cambiamento”.
  • Q16 “La sofferenza della pena dell’ergastolo e l’esperienza del carcere non mi hanno certo cambiato in meglio, con la soppressione non si migliorano le persone; quello che mi ha totalmente cambiato è stato l’amore della mia famiglia che mi ha dimostrato in questo periodo particolare”.
  • Q10 “Come è noto la sofferenza fa crescere interiormente, ti fa avere un concetto del mondo diverso rispetto a quando la tua vita era libera dalle catene”.
  • Q1 “La sofferenza indurisce e chi soffre spesso diventa egoista ed individualista, quindi credo anche se in minima parte di essere peggiorato.”
  • Q5 “Sicuramente la detenzione non influisce positivamente sul carattere di alcuna persona, difatti porta inesorabilmente ad uno stato di sottomissione parziale, nonché perenne nei casi degli ergastolani.”
  • Q40 “Il carcere non fa altro che aggiungere male al male”
  • Q39 “Sono più consapevole della vita, ma credo che questo dipenda dall’età. Il carcere se non sai affrontarlo può abbrutirti o rincretinirti”.
  • Q30 “Questo carcere non può cambiare niente, solo aggiungere dolore.”
  • Q24 “Certamente in meglio, dopo tanti anni di carcere riesci ad apprezzare tutto ciò che ti offre la vita.”
  • Q41 “Credo in meglio perché conosco il dolore… non vorrei che il mio prossimo avesse la stessa la sorte.”
  • Q37 “Nella sofferenza s’imparano tante cose… il tutto è saperli mettere in pratica poi, purtroppo, non tutti ci riescano però. La gente cosiddetta per bene discrimina il detenuto… Fa male! Guai se il mondo si dividesse in buoni e cattivi, sarebbe la fine.
  • Q32 “Questo lo dovrebbero giudicare gli altri; io so solo che vorrei vivere da eremita.”
  • Q23 “Sicuramente mi ha insegnato a conoscere meglio le persone, a dominare l’impulsività, a conoscere meglio me stesso e cosa voglio veramente dalla vita.”
  • Q13 “In peggio.”
  • Q9 “L’esperienza del carcere non ti cambia in meglio specie quando è afflittiva, ci vorrebbe poco per migliorarla”.
  • Q20 “Sicuramente mi ha fatto riflettere su molti aspetti della propria persona, e sicuramente mi ha cambiato in meglio”.
  • Q4 “La sofferenza dell’ergastolo e l’esperienza del carcere ha rafforzato il mio carattere, mi ha cambiato in meglio, almeno credo”.
  • Q12 “Per certi versi in peggio”.
  • Q19 “In peggio”.
  • Q27 “Mi porta a riflettere sul mio passato”.
  • Q28 “Mi hanno fatto conoscere la grandezza e la miseria umana. Non so se sono cambiato in meglio o in peggio, non riesco a giudicarmi”.
  • Q38 “Sicuramente in peggio”.
  • Q35 “Non lo so …, a volte mi faccio forza per dirmi che in fondo anche questa nuova esperienza tragica … è un segno positivo…”.
  • Q29 “Sicuramente in peggio! Il carcere può tirarti fuori solo quello”.
  • Q34 “In peggio perché non solo danno ergastoli con molta facilità ma poi in carcere c’è pure chi se la gode”.
  • Q33“Mi ha migliorato sotto l’aspetto culturale, fuori non avevo tempo di leggere tanti libri. Mi ha fatto conoscere di più la cattiveria umana. Sono cambiato in meglio”.
  • Q43“Lo valuterò un giorno che avrò l’occasione di confrontarmi con il mondo esterno”.
  • Q45 “Non so se sono cambiato in meglio o in peggio, so solo che la sofferenza ha il sopravvento su tutto.” 
  1. Hai oggi disturbi psicofisici come: difficoltà a dormire, paure, manie, problemi riguardanti il cibo… ecc.?
  • Q46 “Maggiormente sono i problemi psicofisici che in questi lunghi anni di detenzione mi hanno colpito di più, quello che più mi tormenta e mi fa disperare è la difficoltà a dormire. Da anni soffro di una grave forma d’insonnia, una sofferenza che ha aggravato di molto il mio stato detentivo
  • Q16 “No, non ho disturbi psicofisici, per dormire ci riesco bene perché durante il giorno mi stanco moltissimo tra sport, artigianato, ecc. manie non per niente, paure no, forse più che la paura è la preoccupazione quando i miei vengono a trovarmi, caso mai succeda qualcosa durante il tragitto. Per il cibo ripeto che problemi si possono avere o mangi quello che passano o che ti permettono di comprare, sempre che uno abbia disponibilità economica, o stai a digiuno, dalla finestra non ti puoi buttare, ci sono le sbarre.”
  • Q10 “Ho difficoltà a dormire, questi sono gli effetti devastanti che ha il carcere sul tuo sistema nervoso, il quale è sottoposto quotidianamente ad una “buona” dose di stress.”
  • Q1 “Non ho difficoltà, tranne il fatto che ormai dormo pochissimo massimo 4, 5 ore.”
  • Q5 “Niente di tutto questo, a parte un po’ di insonnia.”
  • Q40 “Ho sempre la paura, tutte le mattine, di svegliarmi in carcere e quando la sera mi chiudono il blindato (la seconda porta) mi sento in trappola…”
  • Q39 “Si, ma nulla che non riesca a controllare.”
  • Q30 “Ho solo problemi con alcuni cibi, il latte e le melanzane.”
  • Q24 “Sono fissato per l’ordine e l’igiene.”
  • Q32 “Ho solo il desiderio di morire presto.”
  • Q23 “Non ho particolare problemi di dormire… ho comunque anch’io le mie paure, le mie ansie, come tutti, ed in periodi in cui si accentuano, ne risento un po’ di più, ma in linea di massima riesco a stare abbastanza tranquillo”
  • Q7 “No, certo con l’avanzare degli anni dormo un po’ di meno, manie non me ne vedo, ma su di me, sono sempre stato poco critico.”
  • Q3 “Difficoltà nel dormire “
  • Q11 “Sì, per mangiare posso mangiare poche cose e qui dentro è un problema dato che da mangiare non danno nulla”
  • Q31 “No, me ne frego di tutto e di tutti negli ultimi anni. Fino a metà pena cioè ai 12 anni di carcere, avevo dei problemi a dormire e nervosismo”.
  • Q9 “Difficoltà a dormire, problemi riguardanti il cibo, paure interiori”.
  • Q4 “Sì, oggi dopo tanti lunghi anni di galera ho difficoltà di dormire”.
  • Q21 “Sì, a volte quando mi spoglio ho degli incubi”.
  • Q27 “I problemi più duri sono il cibo, infatti spesso mi cucino da me per i miei problemi di stomaco.”
  • Q38 “In linea di massima non avverto ansia immotivata a parte quando magari i miei familiari ritardano al colloquio”.
  • Q35 “Difficoltà nel dormire…se lo spioncino del blindo resta aperto… per via della luce…e la luce della torcia… alla conta.”
  • Q34 “Ho problemi con il cibo a causa di problemi allo stomaco”.              
  1. Come vive e pensa un ergastolano?
  • Q46 “L’esistenza di un ergastolano, a mio modo di vedere, vive e pensa in modo del tutto particolare: è meno incline a crearsi amicizie, è un po’ chiuso in se stesso, intrattiene pochi rapporti sociali, sceglie con cura quei pochi amici che lo circondano è molto diffidente verso tutti, caratterialmente è molto forte, cerca sempre di adattarsi ad ogni situazione, coordina tutto con eccessiva cura, dedica molto tempo alla cura della sua persona, analizza tutto ed è più razionale dei detenuti che devono scontare una pena temporale”.
  • Q44 “ Pieno di angosce per il futuro”
  • Q2 “Un ergastolano vive una vita normale come altri detenuti, ma pensa diversamente dagli altri, la sua è una pena che deve scontare per tutta la vita, mentre gli altri possono pensare ad un fine pena e fare progetti.”
  • Q16 “Io personalmente vivo alla giornata e le uniche cose che penso sono se la mia famiglia sta bene, se ai miei manca qualcosa, se possono mangiare e la sera dopo la preghiera ringrazio Dio perché un altro giorno è trascorso e mi chiedo: ma quanti altri? Una vita.”
  • Q1 “Credo che nei primi 10 – 15 anni di carcerazione la sua vita sia pressoché uguale a quella degli altri detenuti, forse con un po’ più di attenzione verso il prossimo. Da quella data in poi in tanti subentra una specie di metamorfosi e si tende ad incarognirsi cioè a curare il proprio orticello.”
  • Q5 “L’ergastolano vive con una marcia in meno e pensa di non poter sperare nemmeno tanto.”
  • Q40 “Nella maggioranza dei casi un ergastolano non vive, non pensa ma vegeta ripetendosi sempre che la speranza è l’ultima a morire e così facendo muore tutti i giorni…perché la tortura della speranza è un meccanismo perverso e sadico che il legislatore ha messo in opera. La speranza è la forma più struggente che il diritto potesse escogitare per far soffrire un condannato all’ergastolo.”
  • Q39 “Vive accontentandosi delle piccole cose che riescono a farlo sentire vivo e cerca di pensare in modo positivo, nel senso che spera di avere una altra opportunità.”
  • Q30 “Vivo una quotidianità sempre uguale, il pensiero che impera è di uscire un giorno.”
  • Q24 “Vive con la speranza che aboliscano l’ergastolo e danno una scadenza alla condanna. I pensieri sono sempre gli stessi, la famiglia, la libertà una vita diversa ecc.”
  • Q41 “Se pensi da ergastolano non tiri sera!”
  • Q37 “Principalmente pensa al futuro che non può più avere e cerca di farsene una ragione; ognuno poi vive secondo le proprie forze e com’era sistemato fuori… individualmente ci creiamo un nostro mondo e col tempo ci si abitua. Alcuni addirittura arrivano ad istituzionalizzarsi rifiutando il mondo esterno.”
  • Q32 “Credo che questo sia soggettivo, io penso che respiro e va bene così.” Q23 “Sperando!”
  • Q13 “In funzione dell’ambiente circostante.”
  • Q7 “Io vivo e penso solo ad uscire, il più presto possibile.”
  • Q22 “Posso dire come penso io con l’ergastolo. Sono entrato per fare sei mesi, e sono da 31 anni in carcere, la colpa non è solo mia ma anche dell’istituzione, loro non mi mollano, cosa devo pensare, che Dio che li aiuti.”
  • Q3 “Con il massimo della fantasia”.
  • Q15 “Vive sempre con la speranza che un giorno l’angoscia del fine pena mai finisca, pensa come una persona consapevole di aver una grossa condanna da scontare senza perdere mai la speranza che un giorno possa riabbracciare la propria famiglia.”
  • Q8 “Alla giornata”
  • Q31“Io, con odio”.
  • Q9 “L’ergastolo più che vivere ti fa stare in uno stato vegetativo, pensa al momento del risveglio, non arriva a pensare al giorno seguente”.
  • Q20 “In diversi modi nella speranza e vive nei ricordi della propria vita”.
  • Q4 “Come si vive la pena di un ergastolano: bisogna avere tanta pazienza e tanta fede e pensare positivo ed affrontare la vita giorno per giorno, quello che ci offre nostro Signore”.
  • Q19 “Si tira avanti, giorno per giorno senza pensare alle cose tristi”.
  • Q21 “Vive da pena e pensa di non morire in carcere”.
  • Q27 “Un ergastolano non pensa e non vive, ma sopravive e basta”.
  • Q28 “Ogni persona pensa e vive a modo suo, la condizione di ergastolano non accomuna il modo di vivere e di pensare”.
  • Q6 “Vivo poco e penso poco”.
  • Q38 “Vive male, pensa sempre in negativo, diciamo una vita da cani”.
  • Q29 “Giorno per giorno”.
  • Q34 “L’ergastolano vive alla giornata e più che pensare spera sempre che arrivi il giorno per uscire”.
  • Q33 “Io non ho mai accettato l’ergastolo non riesco ad immedesimarmi”.
  • Q43 “Che ci sarà un giorno nel quale anche io potrò essere dichiarato libero di vivere!” Q45 “Vive la giornata e pensa molto poco per disilludersi.”
  • Q42 “Vive alla giornata. Pensa…”
  1. Ci sono stati dei cambiamenti in te stesso che hai notato in questi ultimi anni di carcere?
  • Q46 “Ci sono stati molti cambiamenti in me in questi anni di carcere. Il primo cambiamento che posso constatare è stata la graduale maturità, una trasformazione totale (sono entrato in carcere che ero un ragazzo); la seconda cosa, un nuovo modo di pensare e di vedere le cose, riflettere su tutto, in breve, tutte cose che si notano quando senti che in te c’è stato un cambiamento.”
  • Q47 “Si ho valutato la vita e non rifarei gli errori fatti”.
  • Q16 “Sì, negli ultimi 3 anni ho dato un’intera svolta alla mia vita, ho proprio voltato pagina e sono cambiato in meglio, mentalmente tanto che spesso non ci credo neppure io, mi stupisco da solo.”
  • Q10 “Sono diventato più riflessivo, razionale, ma questo è dovuto all’età!”
  • Q1 “Sicuramente sono molto più riflessivo, poi mi sono adeguato a non dire sempre quello che penso, cioè a fingere.”
  • Q5 “I cambiamenti che maggiormente fanno paura non sono quelli che ogni mattina si possono vedere attraverso lo specchio, ma l’evoluzione psicologica che spesso ci porta a farci perdere la fiducia in noi stessi e la costante paura di un futuro incerto.”
  • Q40 “Solo i sassi non cambiano anche se con il tempo e le intemperie cambiano anche loro. Ho notato che sono cresciuto interiormente accettando la mia sensibilità non più come un difetto ma come un pregio…per il resto il carcere così com’è non rieduca nessuno.”
  • Q39 “Sono diventato più riflessivo e accomodante.”
  • Q30 “Solo gli stupidi non cambiano mai. Sono cresciuto e di molto, ho compreso chi ho incontrato, sono stato me stesso.”
  • Q24 “Sono diventato molto più riflessivo e paziente, ero molto istintivo, questo mi ha sempre creato problemi.”
  • Q41 “Sicuramente si muta molto di più interiormente, è capitato a me.”
  • Q37 “Sì, ho maturato la convinzione che l’Italia non è mai uscita da quell’infame regime fascista…ha cambiato solo pelle. In un paese democratizzato un cittadino che “devia” va aiutato e guidato sulla retta via e non represso con un tipo di carcere fine a se stesso.”
  • Q32 “Che non mi frega niente, tanto è tutto relativo.”
  • Q23 “Passano gli anni e si ha tanto tempo per pensare, è inevitabile che si cambi. Soprattutto si cambia ripensando alle conseguenze del proprio passato.”
  • Q13 “Il tempo modifica sempre le persone, il luogo ne accudisce le peculiarità.‖
  • Q7 “Più vecchio e meno disposto a subire prepotenze.
  • Q22 “Uno cambia nella vita quando fa cose storte, se vive nel giusto per il giusto e con il giusto, non può mai dire di aver fatto errori.”
  • Q15 “Si, i tantissimi anni di lunga e sofferente detenzione mi hanno portato a meditare e a farmi riflettere su alcuni episodi della mia vita, sono certo di avere la volontà di comprendere quale strada dovrò intraprendere per stare in una società sana e civile”.
  • Q11“Si, qui dentro sono arrivato a capire bene cosa vuol dire famiglia, cosa vuol dire essere padre, dato che avevo 22 anni quando sono entrato qui”
  • Q8 “Sì, arrabbiato”
  • Q31 “Sì, più maturità dopo 22 anni e 6 mesi di vita in carcere”.
  • Q4 “Sì, ho visto molti cambiamenti in me stesso in questi anni di galera, parecchi, una per tutte l’affetto dei miei cari, la mia personalità verso gli altri più umana”.
  • Q21 “Sì, sono più riflessivo e meno permaloso”.
  • Q23 “Il primo cambiamento che noto è che sto invecchiando, ho tutti i capelli bianchi”.
  • Q28 “Sì, anche se non fossi stato in carcere sarei cambiato, anche se indubbiamente tale condizione ha influenzato il cambiamento”
  • Q38 “Più sensibilità e maturità: sono certo però che sarei migliorato anche fuori”.
  • Q34 “Certamente sono invecchiato prima per la sofferenza mia e dei miei cari”.
  • Q45 “Più maturità e tanta pazienza.”
  • Q42 “Sicuramente, il tempo cambia le persone, ovunque esse si trovino.”
  1. Come percepisci il tempo che trascorri in carcere? É per te un tempo vuoto, un tempo perso o comunque un tempo di vita?
  • Q8 “L‘ergastolo c‘è ma non c‘è ma se non c‘è perché c‘è? La vita dell‘ergastolano è proprio una lunga marcia attraverso la notte e si avanza al buio per tutta la vita”
  • Q6 “Il tempo in carcere è difficile da percepire, si dilata andando oltre il vero tempo reale. Non si avverte il trascorrere effettivo di esso ma tutto si riduce ad un qualcosa di aspettativa, sembra tutto fermo, si parla di anni come se si discutesse di giorni, lo si estende e lo si altera. Ma, come sia, lo percepisco sempre come un’esistenza di vita”.
  • Q2 “Credo che dopo aver perso i primi anni di carcerazione a questo punto diventa un tempo di vita da trascorrere il meno duro possibili.”
  • Q10 “A mio avviso, il tempo in carcere è vuoto, perso. Se pure mi applichi per utilizzarlo al meglio delle mie possibilità.”
  • Q1 “In generale il carcere è vita persa però in tanti cerchiamo di tenerci occupati svolgendo varie attività che il più delle volte vengono ostacolate da chi è preposto alla custodia. È comunque un tempo di vita.”
  • Q5 “In questi posti il tempo non è un concetto ben definito ma se dovessi esprimere tale emozione, potrei certamente dire che si tratta di un tempo di vita drasticamente perso.”
  • Q40 “Sinceramente, grazie al mio attivismo, un tempo di vita.”
  • Q39 “Penso che nonostante tutto oltre a vegetare, ci sono momenti di vita, soprattutto quando vediamo i nostri cari e quando riusciamo in qualcosa.”
  • Q30 “È tempo perso stando chiusi qui dentro, ma lo vivo come vita reale.”
  • Q24 “La detenzione è un” vivere fuori dal mondo” pertanto sicuramente un tempo perso, purtroppo senza recupero.”
  • Q41 “Se non c’è speranza si affaccia solo il “borderline”.
  • Q37 “Occupo le mie giornate facendo piccoli lavoretti artigianali… poi vengono le guardie e me li rubano e mi fanno incazzare … Anche questo è un modo per trascorrere qualche momento diverso…”
  • Q32 “Per me il tempo è relativo perché prima o poi finisce con la morte.”
  • Q23 “Ho sempre vissuto il tempo in carcere come una “risalita” che veniva premiata con graduali “scatti” di libertà infraumana ma in questo carcere mi sento tornato ai tempi della custodia cautelare.”
  • Q13 “Il tempo è vuoto ovunque ci sia l’ozio. Tempo perso (no) se mai rubato ai miei cari, è un tempo di vita in quanto occupa uno spazio in un determinato tempo.”
  • Q7 “Il tempo passa per lo più vuoto, e in ogni modo, è un tempo di vita.”
  • Q22 “Nel carcere il tempo non è vuoto ma è super vivo.”
  • Q15 “Lo percepisco del tutto simile alla vita dell’uomo condannato”.
  • Q11 “Per me è un tempo vuoto”.
  • Q8 “Comunque tempo di vita”.
  • Q9 “Cerco di riempire il vuoto, per quel che si può è un passaggio obbligato, imposto, ma guardo oltre con speranza”.
  • Q12 “È un tempo perso ma di vita”.
  • Q19 “Come un tempo di vita, anche se ripetitiva.”
  • Q21 “Lo percepisco studiando e per me è un tempo di vita”.
  • Q27 “Per me è un tempo vuoto ma è manche un tempo di vita a vuoto”.
  • Q6 “Sempre vita è”.
  • Q38 “Inutile, sicuramente un tempo perso”.
  • Q35 “Un tempo di sofferente vita”.
  • Q29 “Nessun tempo penso che sia perso, anche se mi manca qualcosa”.
  • Q34 “In carcere il tempo è morto di monotonia, insomma non si vive ma si sopravvive”.
  • Q43 “E’ un tempo di vita che cerco di vivere malgrado tutto!”
  • Q45 “Sicuramente un tempo di vita, ma dentro di noi lo sentiamo come perso.”
  • Q42 “Sicuramente potrei sfruttarlo molto meglio. Comunque un tempo di vita.”
  • Q33 “Cerco migliorare nel mio povero bagaglio culturale.”

OSSERVAZIONI

  • l’esperienza del carcere è l’esperienza del limite. Rappresenta in questo senso quanto di più prossimo al lutto esista: il lutto arriva imponendosi come “limite” invalicabile, separazione tra il prima e il dopo, evento esterno o deus ex machina totalmente al di fuori del controllo individuale da parte del soggetto. Inoltre, il carcere è un limite fisico, “reale”. Auto-indursi dei limiti tramite pratiche di rinuncia o auto-disciplina, presuppone una scelta ragionata da parte dell’individuo e la libertà di poter sgarrare alle stesse regole a cui ci si assoggetta. Qui invece parliamo di un limite posto da qualcosa di esterno, un intervento “genitoriale” radicale eseguito su un bambino impotente. É un limite in grado di produrre regressione a stati mentali infantili, il più verosimile degli “interventi paterni”.
  • Nelle risposte alle domande sopra svolte, il tema della riflessione e della “produzione” di pensiero entro un regime di “punizione” mette in luce il razionale stesso di intervento giuridico relativo alla coercizione che, oltre a basarsi sul “preservare la società da individui pericolosi”, mira a promuovere “riflessione“ e “redenzione” dei soggetti tramite auto-osservazione e ascolto “interiore”, un po’ come fa la comunità terapeutica (a metà tra custodia e terapia), ma in modo più totalizzante. Per un approfondimento sulla comunità terapeutica e il ruolo degli operatori di comunità, si veda qui.
  • il problema dell’igiene del sonno sembra dilagante (almeno, in questo campione ristretto). Alcune osservazioni:
    • Il sonno è complicato da una condizione di assenza di “sicurezza percepita”; il percepire l’ambiente in cui si dorme come non totalmente sicuro altera il livello di arousal, frammentando il sonno, favorendo poi una condizione psicologica di prostrazione cronica e di abbattimento delle performance cognitive. Ma le spiegazioni all’origine dell’insonnia potrebbero essere più complesse, più varie.
    • Occorrerebbe in questo senso fare un’indagine sugli effetti della deprivazione sociale: quali sono gli effetti sul sistema nervoso autonomo della deprivazione sociale? Le situazioni di confinamento sono spesso correlate all’insonnia, come approfondito in questo articolo.
    • la scomparsa della fatica fisica, un corpo obbligato alla stasi e alla non attività, non si stanca e riposa peggio.
  • Interessante notare la quantità di volte che viene sottolineato il fatto che, seppur passato in carcere, il tempo di un “fine pena mai” venga vissuto in ogni caso come un “tempo di vita”, in grado di esprimere un suo valore intrinseco, al di là di come un individuo utilizzi il tempo stesso.
  • in generale, viene osservato come l’intervento carcerario non rappresenti un vero intervento riabilitativo per il singolo, ma più un intervento atto a preservare la società stessa dalla “pericolosità sociale” dell’individuo.

Qui la prima parte di questo articolo.

Il sito da cui è tratto il materiale presente su questo articolo è il già citato ristretti.it


Ps tutto il materiale su trauma e dissociazione presente su questo blog è consultabile cliccando sul bottone a inizio pagina (o dal menù a tendina) #TRAUMA.

Article by admin / Formazione / neuroscienze, psichiatria, psicologia, psicoterapia

25 March 2020

PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE: RISTRETTI.IT

di Raffaele Avico


                            “Per ciò che riguarda la psiche non posso dir molto di preciso: è certo che per molti mesi sono vissuto senza alcuna prospettiva, dato che non ero curato e non vedevo una qualsiasi via d’uscita dal logorio fisico che mi consumava. (…) mi pare di poter dire che questo stato d’animo non è ossessionante come nel passato. D’altronde esso non può cessare con uno sforzo di volontà; intanto dovrei essere in grado di fare questo sforzo, o di sforzarmi di sforzarmi ecc. A parole è semplice, nei fatti ogni sforzo conseguente diventa subito un’ossessione e un orgasmo. [..] Le allucinazioni sono completamente passate e anche è diminuita la contrazione o rattrazione degli arti, specialmente delle gambe e dei piedi”                       (Antonio Gramsci, Lettere dal carcere)

 

 

La psicologia della carcerazione può allo stato attuale delle cose offrire interessanti spunti di riflessione. Può essere utile comprendere quali siano gli strumenti di preservazione della salute mentale adottati da carcerati e persone costrette a un regime di costrizione non per settimane o mesi, ma per anni.

Leggendo qua e là un po’ di letteratura e lavori sul tema, ci si imbatte in contenuti più rigorosi con elencazioni di patologia psichiatriche sviluppate nel contesto chiuso della cella, ma non è semplice raccogliere e sistematizzare contenuti che abbiano come oggetto centrale il semplice: che fare?

Uno dei siti forse più istruttivi, è Ristretti.it, incentrato sulle testimonianze dirette di carcerati e reclusi, costretti a un lavoro di costante e faticoso adattamento alle restrizioni della vita carceraria.

Ricordiamo che il carcere è una delle istituzioni totali.

L’obbligo alla chiusura pone diversi problemi alla vita dell’individuo. Senza voler forzare la mano a un confronto troppo diretto tra una vita “da quarantena” e una vita in carcere, può essere utile chiedersi quali elementi contribuiscono alla preservazione di una buona salute mentale durante un periodo forzato di isolamento. Ristretti.it ci fornisce alcuni spunti interessanti. Si parla di carcerite (qui un approfondimento) , di prisonizzazione (a indicare una serie di sintomi mentali e fisici collegati allo stile di vita carcerario), deculturalizzazione (perdita di schemi di comportamento adeguati alla cultura dominante), alienazione (accomodazione patologica ad un ambiente che destruttura la personalità), acculturazione (acquisizione di ruoli, comportamenti, valori della cultura carceraria).

Goffman, autore di Asylum, osservava come la “prisonizzazione” fosse una conseguenza dello stile di vita dentro tutte le istituzioni totali (quindi anche ricoveri per anziani, ospedali psichiatrici, caserme, monasteri).

Ristretti.it ci offre molto materiale da prendere in esame. Troviamo sottolineati aspetti della vita del carcere che diventano rituali (o meglio che divengono, progressivamente, ritualizzati, come il chiudersi delle porte, il momento del pasto, elementi ricorrenti e connotanti come il rumore delle chiavi del secondini, fatte tintinnare apposta – la sensazione è che l’ambiente chiuso ricrei un ambiente da esperimento sociale di memoria pavloviana). Altre, molteplici problematiche (dai sintomi psicosomatici al rischio di deterioramento cognitivo, a un collasso della libido/sessualità) vengono citate come possibilità connesse allo stato d’isolamento – qui un approfondimento.

Laddove tuttavia l’istituzione impone il rituale e una vita consumata nella ripetizione, emergono elementi di possibile salvaguardia. In particolare su ristretti.it troviamo citate:

  • attività affermative (o di soggettivazione) di natura artistica: lavoratori di scrittura, di espressività, arteterapia, lettura, cucina (vd. Gambero nero)
  • la cura “ossessiva” dell’immagine proiettata, con funzione di contenimento. Poi: cura del vestiario, della pulizia, dell’igiene, degli ambienti in cui si vive. Corpi trascurati, corpi annullati 
  • cura dell’alimentazione, con forti radicalizzazioni -fino ad arrivare a una maniacalità sugli aspetti “salutistici”
  • cura dell’igiene del sonno: Ritretti.it fornisce un breve guida alla vita sana in carcere, dove il detenuto viene esortato a svegliarsi presto, a fare moto in cella, a non rimanere a letto e non dormire di giorno
  • colloqui (con operatori, psicologi, psichiatri, ma anche parenti) con funzione di detensione, contenimento, socializzazione..in una parola: connessione. I colloqui hanno funzione inoltre di “destrutturazione” identitaria in un contesto che al contrario tenderebbe al cristallizzare gli aspetti identitari dell’individuo. Questo vuol dire che il lavoro di uno psicologo, per esempio, in questi contesti, dovrebbe essere quello di favorire una decostruzione identitaria e un ripensamento di alcuni aspetti relativi a come l’individuo percepisce se stesso (proprio perché il carcere alimenta rispecchiamenti ricorsivi in grado di portare la persona a una cristallizzazione dell’identità)
  • la ritualità come doppia valenza: da un lato stringe l’individuo in una morsa di eventi ricorrenti, claustrofobici; dall’altro, rappresenta un importante riferimento ambientale in grado di sorreggere l’individuo nei suoi propositi auto-disciplinari. In questo lavoro etnografico, viene per esempio sottolineato come, nel contesto del carcere, uno degli elementi di maggiore impatto negativo sulla mente sia l’imprevedibilità, l’impossibilità di creare routines 
  • l’ambiente viene assorbito dal corpo: questo sia in positivo che in negativo. L’ambiente del carcere è un ambiente spesso molto “brutto”: il rischio è che questo pesi sulla psicologia delle persone. Qua avevamo già scritto sul rapporto tra psichiatria, psicologia e architettura, insieme a Maria Pia Amore. Questo elemento va considerato se si pensa al tema della cura del proprio spazio, alle “isole di ordine”, agli angoli personalizzati, alla presenza o meno di “safe places”.
  • attività fisica come necessaria distrazione, in grado di frammentare la consapevolezza a riguardo della pena in sè, rendendola più tollerabile. Nelle Lettere dal carcere, Gramsci descrive quella che lui chiama “ginnastica da camera”, “che non credo sia molto razionale, ma che tuttavia mi giova moltissimo, secondo la mia impressione. (…) Credo che questa innovazione mi abbia giovato anche psicologicamente, distraendomi specialmente dalle letture troppo insulse e fatte solo per ammazzare il tempo”.

Per quanto riguarda, per così dire, la fenomenologia del vissuto carcerario, ci viene in aiuto un lavoro di Vincenzo Gagliardo chiamato Dei dolori e delle pene (qui scaricabile per intero), in cui vengono portate alcune riflessioni sulla salute mentale e fisica del carcerato, con alcuni spunti interessanti, seppur estremi. In particolare, due capitoli del lavoro (“della mente” e “del corpo”) meritano un approfondiment0:

Il corpo ignorato smette però di reagire come un animale domestico. E l’animale in gabbia rivela – anche se sembrava domestico – caratteristiche fino ad allora poco conosciute. La prima scoperta da farsi è che il corpo ignorato non produce vuoto ma dolore: dolore fisico. Il dolore è una reazione all’ignoranza del corpo, serve a ricordarci che siamo un corpo. E’ l’aspetto assunto dal senso della realtà, criterio di verità che prova ad ancorare la mente al mondo, dicendoci che ne siamo parte. E’ la parola dei muti ai quali non è consentito il gesto. [..] Alla luce di una lunga esperienza personale mi sono formato una convinzione che forse scandalizzerà qualche liberale: in carcere la malattia psicosomatica è uno stato necessario del corpo. La malattia è la cura, anche se una cura pericolosa. Non si guarisce per non morire. Come disse un detenuto: comportarsi da normali in una situazione anormale sarebbe proprio da anormali. La malattia psicosomatica (artrite, gastrite, eczema ecc.) fa da barriera a un più grave grado d’intossicazione: la malattia degenerativa (o invecchiamento precoce, come si diceva più chiaramente una volta) o l’epidemia. E’ il piccolo male che ci protegge dai grandi mali sempre in agguato fra le mura, in noi e fuori di noi: il diabete o l’epatite, la malattia cardiovascolare o la tubercolosi, il tumore o …, ecc. La malattia da carcere che si sviluppa a partire dall’iniziale alterazione dei sensi, è omeopatia spontanea. E’ l’arma della tolleranza verso il corpo contro l’annientamento. La ragione più profonda della malattia omeopatica naturale in carcere è la necessità vitale di resistere contro l’esasperato dualismo di un ambiente organizzato per scindere il corpo dalla mente.

Si noti dalle riflessioni sopra come l’intero processo possa essere riletto usando come cornice la psicopatologia dei disturbi di natura conversiva o dissociativa. La malattia psicosomatica, in questo senso, interviene come “sintomo estremo” in ragione di un conflitto ulteriore, di fondo, intollerabile. Di fronte a questo conflitto e a un ambiente percepito come “impossibile”, la mente, secondo questa lettura, si organizza in senso difensivo prima auto-inducendosi uno stato simil-alterato di coscienza, quindi “producendo” sintomi di natura psicosomatica -con funzione, però, salvifica.

Addirittura Gagliardo ragiona su quanto esasperare la cura del corpo, possa essere nocivo -nel contesto del carcere- per la “tenuta” mentale:

Il prezzo di una troppo buona salute fisica rischia di essere la morte psichica. C’è un’abitudine che si sta diffondendo nella società (si pensi agli Stati Uniti) e che in carcere si è spesso vista da tempi più antichi: la dedizione maniacale al corpo di taluni attraverso diete rigorose ed esercizio fisico spaventoso. Il commento dei non-maniaci è bonario: «lo fa per non pensare, forse si è bevuto il cervello»

Il lavoro di Gagliardo (che, ricordiamolo, è un ex brigatista con molto carcere alle spalle), scava nella profondità psicologica dell’esperienza carceraria, parlando di conflitti intrapsichici spostati sul piano somatico, distorsioni della coscienza, stati para-deliranti.

Occorre riportare alcuni brani significativi del suo lavoro, per farcene un’idea più precisa:

  • Il prigioniero si ribella contro ciò che sente assurdo, proprio contro quelle imposizioni che gli sembrano «folli» e perciò tanto più umilianti da accettare. Ben presto però si accorge di essere puntualmente perdente in questo scontro. Potrà allora accettare la sconfitta permanente e il costo che ne deriva come prezzo della dignità secondo il noto ragionamento implicito in ogni battaglia di principio: l’importante non è vincere ma resistere. Anche in questo caso un compromesso tra la propria coscienza e il comportamento esteriore è inevitabile in certe situazioni, giacché quel che ognuno ritiene giusto fare per reagire dipende comunque più dal contesto collettivo in cui si trova che dalla propria volontà; ma ognuno allora, a seconda della sua storia, della sua cultura e del suo carattere decide dentro di sé qual è la soglia del cedimento oltre la quale la sua dignità è messa in pericolo

  • [..] Ma, a parte il relativo isolamento del senso della dignità per ciascun individuo (fatto in sé naturale e positivo dato che è rivelatore dell’unicità degli individui e, pertanto, del carattere insopprimibile del bisogno di libertà per gli esseri umani), abbiamo tutti a che fare con una difficoltà ancora più grande, questa volta sociale, di natura culturale e indubbiamente negativa: non siamo stati educati a vivere a lungo le contraddizioni. Una tale capacità, ovvero la resistenza interiore, richiede una forte modestia, un’accettazione cosciente dei propri limiti che cozza puntualmente con l’individualismo di cui i più vengono imbevuti fin da bambini. Può succedere allora che per esorcizzare la paura il cosciente compromesso sul comportamento si trasferisca pian piano in un compromesso della coscienza, spostando la soglia dell’invalicabile. E’ l’inizio della caduta sul cammino della disumanizzazione.
  • La falsa coscienza è essenzialmente un far di necessità virtù, una graduale rimozione della coscienza del conflitto, e della positività della sua esistenza all’interno della coscienza. La perdita dell’equilibrio interiore è una sorta di peccato d’orgoglio; si diventa incapaci di riconoscere i propri limiti e capaci invece di mentire a se stessi. L’individuo costruisce allora una falsa unità – falsa perché impossibile – tra coscienza e comportamento. Egli si rappresenta così un mondo sempre più fantastico, in una spirale solipsista che credo simile a quella del paranoico, dove gli altri diventano sempre più irreali o surreali, sempre più “strumenti” o “ostacoli”. Il confine tra fantasticheria e realtà si fa sottile e confuso, come quello fra bugia e autoinganno. Per esempio avviene spesso che tra una cella e l’altra il desiderio di qualcuno diventi una «voce» la quale per altri diventerà notizia sicura da diffondere fino a diventare illusione collettiva. In tutte le carceri di tutti i tempi e paesi si è sempre in attesa di un qualche progetto di clemenza o di un evento che farà comunque cambiar le cose in meglio.
  • [..] Molta produzione letteraria, cinematografica o televisiva si spreca per descrivere queste «esagerazioni comportamentali», esaltandole o deprecandole o facendone oggetto di satira su cui ridere. Tutti hanno letto o visto modi di fare «da boss», attribuendoli alla presunta naturalezza d’un certo ambiente illegale quasi che sia, sulla scia delle teorie di Lombroso, un dato biologico, un immutabile innato carattere antropologico di certe persone che non può non dar luogo alla formazione di quell’ambiente. Questa immensa produzione intellettuale suscita ormai in me una sensazione penosa. Presentando questa particolare subcultura come un modo di essere «contro» quella ufficiale, ci si sbaglia, non ci si accorge di descrivere in realtà quello che è il primo passo di un cedimento umano vissuto e costruito nella realtà oppressiva e ricattatoria del carcere: non ci si accorge di assistere a un processo d’imitazione della cultura ufficiale e che da lì condiziona alla fine un intero strato sociale (rinnovandolo di padre in figlio) costituito da tutti coloro che devono delinquere per sopravvivere
  • La nuova personalità dell’accasato non nasce da un’attiva volontà di dominio com’è nel sadico, ma dal colmo della rassegnazione prodotta da mille invisibili ferite; è più devastante del sadismo perché al posto di un principio attivo c’è l’autospegnimento dell’individuo, una passività creata da un vuoto di stimoli che ha raggiunto il colmo spezzando l’amore per la vita.
  • La cella, la sezione, il cortile sono organizzati come un garage per una macchina non più destinata alla circolazione, mentre il detenuto, per una ragione naturale, cercherà di trasformarli in spazio abitativo: luogo in cui si svolge gran parte dell’esistenza dell’essere umano, fatto di abitudini, di relazioni, di simboli. Questa impresa, irrinunciabile perché impressa nella natura umana, diventa un lavoro di Sisifo che si svolge in una resistenza per lo più pacifica, sotterranea.
  • […] E’ il caso di dire che ci sono cose che hanno tanto più valore quanto meno hanno prezzo: segnano il confine tra la vita concreta degli esseri umani in carne e ossa da una parte (le «persone») e le astrazioni e la merce dall’altra. La tesi non è semplicemente romantica; è fondamentale assumerla per capire che queste attività, questi spazi sociali, le abitudini e la cultura che ne conseguono sono la realtà esterna di quella realtà interiore di cui si è detto finora in queste pagine. In questi obbiettivi «casalinghi» si cela tutto ciò che ha a che fare con il senso della dignità personale, con i legami di vera solidarietà in una comunità, con il rispetto, l’amore.

A conclusione del capitolo “Della mente” del lavoro di Gagliardo, l’autore fa un riferimento all’aspetto che considera più centrale, inerente la sessualità:

 

Si arriva così vicino alla questione fondamentale per comprendere l’obbiettiva fragilità di ogni movimento prigioniero, al perché del rischio di crollo della personalità nel singolo murato da vivo. Nessuna misura repressiva potrebbe infatti avere successo in una simile impresa se non avvenisse su una base di cui si parla sì, ma sempre come se non fosse la base dell’intero edificio bensì un aspetto tra gli altri… Tabù dei tabù, non se ne parla come si dovrebbe neanche in pur apprezzabili studi di denuncia come quelli di Foucault o di Ignatieff; peggio ancora, lo si ignora quasi del tutto persino nelle proteste dei detenuti, lo si trascura tra gli abolizionisti. Se in questo capitolo quest’argomento viene dunque affrontato per ultimo è per meglio dimostrare la sua decisività nel distruggere la realtà interiore, sperando che un giorno sia il primo ad essere affrontato quando ci si occupi di critica delle prigioni; nell’attesa, la critica della prigione e del pensiero punitivo sarà sempre, a mio parere, viziata alla radice. Ecco l’ovvietà (centrale) diventata (periferico) mistero: non si dice mai che la persona reclusa è, anzitutto, un castrato sessuale o, se si preferisce, un sub-castrato dato che nessuno lo evira fisicamente.

Ristretti.it regala d’altronde molto altro materiale consultabile. Nell’opera per esempio “Il carcere immateriale” (scaricabile qui), Ermanno Gallo osserva come uno degli aspetti da considerare relativamente alla vita da carere, sia il senso di stravolgimento della percezione del tempo, che viene così descritto:

Esiste un legame stretto fra stress e modificazione della “percezione del tempo“. Già i benedettini, con la tipica scansione del tempo monastico, avevano tenuto conto del pericolo di quella che possiamo definire “malattia del tempo“. Alla fantasticheria mistica alternavano infatti il lavoro, il gioco, l’attività libera e anche la socialità, forse più mondanizzata e «aperta» di quanto si sia disposti a ritenere. La sofferenza legale si può considerare perciò non semplicemente malattia delle sbarre, ma malattia del tempo: «La menomazione dello spazio genera senza dubbio ansia, angoscia, senso di soffocamento, che possono sfociare nell’asma, nella stanchezza cronica, nell’astenia; ma la menomazione temporale, a mio avviso, è più grave. La mente, immersa in una dimensione del tempo innaturale, reagisce in modo imprevedibile. C’è chi non esce più dalla cella, neppure durante l’aria. Chi guarda la televisione di notte e dorme di giorno. Chi rifiuta di pensare e chi pensa troppo. Senza considerare le lacerazioni che non sono visibili e che si manifesteranno più tardi, dopo la scarcerazione»

Che fare, dunque?

Considerando come le ricadute depressive siano inevitabili, a riguardo degli elementi protettivi e di salvaguardia la letteratura e gli spunti prima citati ci permettono di fermarci su tre elementi principali:

  • la costruzione di routines
  • il mantenimento di uno stile di vita adeguato (alimentazione, igiene, sonno, moto)
  • la cura di forme alternative di connessione agli altri essere umani

Torniamo dunque agli aspetti essenziali della vita quotidiana dell’uomo, minacciati dallo stato di isolamento. Sul “che fare”, Open ha scritto un buon articolo a riguardo, da leggere.

Infine, va fatta una riflessione sull’”assetto cooperativo”. Giovanni Liotti, nei suoi lavori, osserva come la “posizione cooperativa” consenta, spesso, di svincolare posizioni soggettive bloccate in senso patologico. L’assetto cooperativo (fare qualcosa con qualcuno, insieme a qualcuno, o anche ragionare, dialogare in modo cooperativo, per un bene terzo, comune) sblocca stati di impotenza, crea significato, vivifica la relazione. Liotti lo considera l’espressione più alta dello sviluppo cognitivo umano. In una condizione deprivata come l’isolamento, cercarlo potrebbe regalarci apertura, ossigeno e benessere psichico.

Article by admin / Aggiornamento / psichiatria, psicoanalisi, psicologia, psicoterapia, psicotraumatologia, raffaeleavico

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  • ASCESA E CADUTA DEI COMPETENTI: RADICAL CHOC DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA
  • L’EMDR: QUANDO USARLO E CON QUALI DISTURBI
  • FACEBOOK IS THE NEW TOBACCO. Perchè guardare “The Social Dilemma” su Netflix
  • SPORT, RILASSAMENTO, PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA: oltre la parola per lo stress post traumatico
  • IL MODELLO TRIESTINO, UN’ECCELLENZA ITALIANA. Intervista a Maria Grazia Cogliati Dezza e recensione del docufilm “La città che cura”
  • IL RITORNO DEL RIMOSSO. Videointervista a Luigi Chiriatti su tarantismo e neotarantismo
  • FARE PSICOTERAPIA VIAGGIANDO: VIDEOINTERVISTA A BERNARDO PAOLI
  • SUL MERCATO DELLA DOPAMINA: INTERVISTA A VALERIO ROSSO
  • TARANTISMO: 9 LINK UTILI
  • FRANCESCO DE RAHO SUL TARANTISMO, tra superstizione e scienza
  • ATTACCHI DI PANICO: IL MODELLO SUL CONTROLLO
  • SHELL SHOCK E PRIMA GUERRA MONDIALE: APPORTI VIDEO
  • LA LUNA, I FALÒ, ANGUILLA: un romanzo sulla melanconia
  • VIDEOINTERVISTA A FERNANDO ESPI FORCEN: LAVORARE COME PSICHIATRA A CHICAGO
  • ALCUNI ESTRATTI DALLA RUBRICA “GROUNDING” (PDF)
  • STRESS POST TRAUMATICO: IL MODELLO A CASCATA. Da un articolo di Ruth Lanius
  • OTTO KERNBERG SUGLI OBIETTIVI DI UNA PSICOANALISI: DA UNA VIDEOINTERVISTA
  • SONNO, STRESS E TRAUMA
  • Il SAFE AND SOUND PROTOCOL, UNO STRUMENTO REGOLATIVO. Videointervista a GABRIELE EINAUDI
  • IL CONTROLLO CHE FA PERDERE IL CONTROLLO: UNA VIDEOINTERVISTA AD ANDREA VALLARINO SUL DISTURBO DI PANICO
  • STRESS, RESILIENZA, ADATTAMENTO, TRAUMA – Alcune definizioni per creare una mappa clinicamente efficace
  • DA “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE”: COS’É LA NEUROCEZIONE
  • AUTO-TRADIRSI. UNA DEFINIZIONE DI MORAL INJURY
  • BASAGLIA RACCONTA IL COVID
  • FONDAMENTI DI PSICOTERAPIA: LA FINESTRA DI TOLLERANZA DI DANIEL SIEGEL
  • L’EBOOK AISTED: “AFFRONTARE IL TRAUMA PSICHICO: il post-emergenza.”
  • NOI, ESSERI UMANI POST- PANDEMICI
  • PUNTI A FAVORE E PUNTI CONTRO “CHANGE” di P. Watzlawick, J.H. Weakland e R. Fisch
  • APPORTI VIDEO SUL TARANTISMO – PARTE 2
  • RISCOPRIRE L’ARCHIVIO (VIDEO) DI PSYCHIATRY ON LINE PER I SUOI 25 ANNI
  • SULL’IMMOBILITÀ TONICA NEGLI ANIMALI. Alcuni spunti da “IPNOSI ANIMALE, IMMOBILITÁ TONICA E BASI BIOLOGICHE DI TRAUMA E DISSOCIAZIONE”
  • FOBIE SPECIFICHE IN BREVE
  • JEAN PIAGET E LA SHARING ECONOMY
  • LO STATO DELL’ARTE INTORNO ALLA DIMENSIONE SOCIALE DELLA MEMORIA: SUL MODO IN CUI SI E’ ARRIVATI ALLA CREAZIONE DEL CONCETTO DI RICORDO CONGIUNTO E SU QUANTO LA VITA RELAZIONALE INFLUENZI I PROCESSI DI SVILUPPO DELLA MEMORIA
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.3 – MODELLO ITALIANO E MODELLO BELGA A CONFRONTO, CON GIOVANNA JANNUZZI!
  • RISCOPRIRE PIERRE JANET: PERCHÉ ANDREBBE LETTO DA CHIUNQUE SI OCCUPI DI TRAUMA?
  • AGGIUNGERE LEGNA PER SPEGNERE IL FUOCO. TERAPIA BREVE STRATEGICA E DISTURBI FOBICI
  • INTERVISTA A NICOLÓ TERMINIO: L’UOMO SENZA INCONSCIO
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.3
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.2 – MODELLO ITALIANO E MODELLO SVIZZERO A CONFRONTO, CON OMAR TIMOTHY KHACHOUF!
  • ANTONELLO CORREALE: IL QUADRO BORDERLINE IN PUNTI
  • 10 ANNI DI E.J.O.P: DOVE SIAMO?
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.2
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE: RISTRETTI.IT
  • NELLE CORNA DEL BUE LUNARE: IL LAVORO DI LIDIA DUTTO
  • LA COLPA NEL DOC: LA MENTE OSSESSIVA DI FRANCESCO MANCINI
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.1
  • PREFAZIONE DI “PTSD: CHE FARE?”, a cura di Alessia Tomba
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO”: EP.1 – FERNANDO ESPI FORCEN
  • NERVATURE TRAUMATICHE E PREDISPOSIZIONE AL PTSD
  • RIMOZIONE E DISSOCIAZIONE: FREUD E PIERRE JANET
  • TEORIA DEI SISTEMI COMPLESSI E PSICOPATOLOGIA: DENNY BORSBOOM
  • LA CULTURA DELL’INDAGINE: IL MASTER IN TERAPIA DI COMUNITÀ DEL PORTO
  • IMPATTO DELL’ESERCIZIO FISICO SUL PTSD: UNA REVIEW E UN PROGRAMMA DI ALLENAMENTO
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI GIULIO TONONI
  • THOMAS INSEL: FENOTIPI DIGITALI IN PSICHIATRIA
  • HPPD: HALLUCINOGEN PERCEPTION PERSISTING DISORDER
  • SU “LA DIMENSIONE INTERPERSONALE DELLA COSCIENZA”
  • INTRODUZIONE AL MODELLO ORGANODINAMICO DI HENRY EY
  • IL SIGNORE DELLE MOSCHE letto oggi
  • PTSD E SLOW-BREATHING: RESPIRARE PER DOMINARE
  • UNA DEFINIZIONE DI “TRAUMA DA ATTACCAMENTO”
  • PROCHASKA, DICLEMENTE, ADDICTION E NEURO-ETICA
  • NOMINARE PER DOMINARE: L’AFFECT LABELING
  • MEMORIA, COSCIENZA, CORPO: TRE AREE DI IMPATTO DEL PTSD
  • CAUSE E CONSEGUENZE DELLO STIGMA
  • IMMAGINI DEL TARANTISMO: CHIARA SAMUGHEO
  • “LA CITTÀ CHE CURA”: COSA SONO LE MICROAREE DI TRIESTE?
  • LA TRASMISSIONE PER VIA GENETICA DEL PTSD: LO STATO DELL’ARTE
  • IL LAVORO DI CARLA RICCI SUL FENOMENO HIKIKOMORI
  • QUALI FONTI USARE IN AMBITO DI PSICHIATRIA E PSICOLOGIA CLINICA?
  • THE MASTER AND HIS EMISSARY
  • PTSD: QUANDO LA MINACCIA É INTROIETTATA
  • LA PSICOTERAPIA COME LABORATORIO IDENTITARIO
  • DEEP BRAIN REORIENTING – IN CHE MODO CONTRIBUISCE AL TRATTAMENTO DEI TRAUMI?
  • STRANGER DREAMS: STORIE DI DEMONI, STREGHE E RAPIMENTI ALIENI – Il fenomeno della paralisi del sonno nella cultura popolare
  • ALCUNI SPUNTI DA “LA GUERRA DI TUTTI” DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA
  • Psicopatologia Generale e Disturbi Psicologici nel Trono di Spade
  • L’IMPORTANZA DEGLI SPAZI DI ELABORAZIONE E IL “DEFAULT MODE”
  • LA PEDAGOGIA STEINER-WALDORF PER PUNTI
  • SOSTANZE PSICOTROPE E INDUSTRIA DEL MASSACRO: LA MODERNA CORSA AGLI ARMAMENTI FARMACOLOGICI
  • MENO CONTENUTO, PIÙ PROCESSI. NUOVE LINEE DI PENSIERO IN AMBITO DI PSICOTERAPIA
  • IL PROBLEMA DEL DROP-OUT IN PSICOTERAPIA RIASSUNTO DA LEICHSENRING E COLLEGHI
  • SUL REHEARSAL
  • DUE PROSPETTIVE PSICOANALITICHE SUL NARCISISMO
  • TERAPIA ESPOSITIVA IN REALTÀ VIRTUALE PER IL TRATTAMENTO DEI DISTURBI D’ANSIA: META-ANALISI DI STUDI RANDOMIZZATI
  • DISSOCIAZIONE: COSA SIGNIFICA
  • IVAN PAVLOV SUL PTSD: LA VICENDA DEI “CANI DEPRESSI”
  • A PROPOSITO DI POST VERITÀ
  • TARANTISMO COME PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA?
  • R.D. HINSHELWOOD: DUE VIDEO DA UN CONVEGNO ORGANIZZATO DA “IL PORTO” DI MONCALIERI E DALLA RIVISTA PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE
  • EMDR = SLOW WAVE SLEEP? UNO STUDIO DI MARCO PAGANI
  • LA FORMA DELL’ISTITUZIONE MANICOMIALE: L’ARCHITETTURA DELLA PSICHIATRIA
  • PSEUDOMEDICINA, DEMENZA E SALUTE CEREBRALE
  • FARMACOTERAPIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (DOC) DAL PRESENTE AL FUTURO
  • INTERVISTA A GIOVANNI ABBATE DAGA. ALCUNI APPROFONDIMENTI SUI DCA
  • COSA RENDE LA KETAMINA EFFICACE NEL TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE? UN PROBLEMA IRRISOLTO
  • CONCETTI GENERALI SULLA TEORIA POLIVAGALE DI STEPHEN PORGES
  • UNO SGUARDO AL DISTURBO BIPOLARE
  • DEPRESSIONE, DEMENZA E PSEUDODEMENZA DEPRESSIVA
  • Il CORPO DISSIPA IL TRAUMA: ALCUNE OSSERVAZIONI DAL LAVORO DI PETER A. LEVINE
  • IL PTSD SOFFERTO DAGLI SCIMPANZÈ, COSA CI DICE SUL NOSTRO FUNZIONAMENTO?
  • QUANDO IL PROBLEMA È IL PASSATO, LA RICERCA DEI PERCHÈ NON AIUTA
  • PILLOLE DI MASTERY: DI CHE SI TRATTA?
  • C’È UN EFFETTO DEL BILINGUISMO SULL’ESORDIO DELLA DEMENZA?
  • IL GORGO di BEPPE FENOGLIO
  • VOCI: VERSO UNA CONSIDERAZIONE TRANSDIAGNOSTICA?
  • DALLA SCUOLA DI NEUROETICA 2018 DI TRIESTE, ALCUNE RIFLESSIONI SUL PROBLEMA ADDICTION
  • ACTING OUT ED ENACTMENT: UN ESTRATTO DAL LIBRO RESISTENZA AL TRATTAMENTO E AUTORITÀ DEL PAZIENTE – AUSTEN RIGGS CENTER
  • CONCETTI GENERALI SUL DEFAULT-MODE NETWORK
  • NON È ANORESSIA, NON È BULIMIA: È VOMITING
  • PATRICIA CRITTENDEN: UN APPROFONDIMENTO
  • UDITORI DI VOCI: VIDEO ESPLICATIVI
  • IMPUTABILITÀ: DA UN TESTO DI VITTORINO ANDREOLI
  • OLTRE IL DSM: LA TASSONOMIA GERARCHICA DELLA PSICOPATOLOGIA. DI COSA SI TRATTA?
  • LIMITARE L’USO DEI SOCIAL: GLI EFFETTI BENEFICI SUI LIVELLI DI DEPRESSIONE E DI SOLITUDINE
  • IL PTSD IN VIDEO
  • PILLOLE DI EMPOWERMENT
  • COME NASCE LA RAPPRESENTAZIONE DI SÈ? UN APPROFONDIMENTO
  • IL CAFFÈ CI PROTEGGE DALL’ALZHEIMER?
  • PER AVERE UNA BUONA AUTISTIMA, OCCORRE ESSERE NARCISISTI?
  • LA MENTE ADOLESCENTE di Daniel Siegel
  • TALVOLTA È LA RASSEGNAZIONE DEL TERAPEUTA A RENDERE RESISTENTE LA DEPRESSIONE NEI DISTURBI NEURODEGENERATIVI – IMPLICAZIONI PRATICHE
  • Costruire un profilo psicologico a partire dal tuo account Facebook? La scienza dietro alla vittoria di Trump e al fenomeno Brexit
  • L’effetto placebo nel Morbo di Parkinson. È possibile modificare l’attività neuronale partendo dalla psiche?
  • I LIMITI DELL’APPROCCIO RDoC secondo PARNAS
  • COME IL RICORDO DEL TRAUMA INTERROMPE IL PRESENTE?
  • SISTEMI MOTIVAZIONALI INTERPERSONALI E TEMI DI VITA. Riflessioni intorno a “Life Themes and Interpersonal Motivational Systems in the Narrative Self-construction” di Fabio Veglia e Giulia di Fini
  • IL SOTTOTIPO “DISSOCIATIVO” DEL PTSD. UNO STUDIO DI RUTH LANIUS e collaboratori
  • “ALCUNE OSSERVAZIONI SUL PROCESSO DEL LUTTO” di Otto Kernberg
  • INTRODUZIONE ALLA MOVIOLA DI VITTORIO GUIDANO
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI DANIEL SIEGEL
  • DALL’ADHD AL DISTURBO ANTISOCIALE DI PERSONALITÀ: IL RUOLO DEI TRATTI CALLOUS-UNEMOTIONAL
  • UNO STUDIO SUI CORRELATI BIOLOGICI DELL’EMDR TRAMITE EEG
  • MULTUM IN PARVO: “IL MONDO NELLA MENTE” DI MARIO GALZIGNA
  • L’EFFETTO PLACEBO COME PARADIGMA PER DIMOSTRARE SCIENTIFICAMENTE GLI EFFETTI DELLA COMUNICAZIONE, DELLA RELAZIONE E DEL CONTESTO
  • PERCHÈ L’EFFETTO PLACEBO SEMBRA ESSERE PIÙ DEBOLE NEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO: UN APPROFONDIMENTO
  • BREVE REPORT SUL CONCETTO CLINICO DI SOLITUDINE E SUL MAGNIFICO LAVORO DI JT CACIOPPO
  • SULL’USO DEGLI PSICHEDELICI IN PSICHIATRIA: L’MDMA NEL TRATTAMENTO DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO
  • LA LENTE PSICOTRAUMATOLOGICA: GLI ASSUNTI EPISTEMOLOGICI
  • PREVENIRE LE RECIDIVE DEPRESSIVE: FARMACOTERAPIA, PSICOTERAPIA O ENTRAMBI?
  • YOUTH IN ICELAND E IL COMUNE DI SANTA SEVERINA IN CALABRIA
  • FILTRO AFFETTIVO DI KRASHEN: IL RUOLO DELL’AFFETTIVITÀ NELL’IMPARARE
  • DIFFIDATE DELLA VOSTRA RAGIONE: LA PATOLOGIA OSSESSIVA COME ESASPERAZIONE DELLA RAZIONALITÀ
  • BREVE STORIA DELL’ELETTROSHOCK
  • TALVOLTA É LA RASSEGNAZIONE DEL TERAPEUTA A RENDERE RESISTENTE LA DEPRESSIONE NEI DISTURBI NEURODEGENERATIVI
  • LO STATO DELL’ARTE SUGLI EFFETTI DELL’ATTIVITÀ FISICA NEL PTSD (disturbo da stress post-traumatico)
  • DIPENDENZA DA INTERNET: IL RITORNO COMPULSIVO ON-LINE
  • L’EVOLUZIONE DELLE RETI NEURALI ASSOCIATIVE NEL CERVELLO UMANO: report sullo sviluppo della teoria del “tethering”, ovvero di come l’evoluzione di reti neurali distribuite, coinvolgenti le aree cerebrali associative, abbia sostenuto lo sviluppo della cognizione umana
  • COMMENTO A “PSICOPILLOLE – Per un uso etico e strategico dei farmaci” di A. Caputo e R. Milanese, 2017
  • L’ERGONOMIA COGNITIVA NEL METODO DI MARIA MONTESSORI
  • SUL COSTRUTTIVISMO: PERCHÉ LA SCIENZA DEVE RICERCARE L’UTILE. Un estratto da Terapia Breve Strategica di Paul Watzlawick e Giorgio Nardone
  • IN MORTE DI GIOVANNI LIOTTI
  • ALL THAT GLITTERS IS NOT GOLD. APOLOGIA DELLA PLURALITÀ IN PSICOTERAPIA ATTRAVERSO UN ARTICOLO DI LEICHSERING E STEINERT
  • COMMENTO A:  ON BEING A CIRCUIT PSYCHIATRIST di JA Gordon
  • KERNBERG: UN AUTORE IMPRESCINDIBILE, PARTE 2
  • IL PRIMATO DELLA MANIA SULLA DEPRESSIONE: “LA MANIA È IL FUOCO E LA DEPRESSIONE LE SUE CENERI”.
  • IL CESPA
  • COMMENTO A LUTTO E MELANCONIA DI FREUD
  • LA DEFINIZIONE DI SOTTOTIPI BIOLOGICI DI DEPRESSIONE FONDATA SULL’ATTIVITÀ CEREBRALE A RIPOSO
  • BORSBOOM: PER LA SEPARAZIONE DEI MODELLI DI CAUSALITÀ RELATIVI AL MODELLO MEDICO E AL MODELLO PSICHIATRICO, E SULLA CAUSALITÀ CIRCOLARE CHE REGOLA I RAPPORTI TRA SINTOMI PSICOPATOLOGICI
  • IL LAVORO CON I PAZIENTI GRAVI: IL QUADRO BORDERLINE E LA DBT
  • INTERNET ADDICTION, ALCUNI SPUNTI DAL LAVORO DI KIMBERLY YOUNG
  • EMDR: LO STATO DELL’ARTE
  • PTSD, UNA DEFINIZIONE E UN VIDEO ESPLICATIVO
  • FLASHBULB MEMORIES E MEMORIE TRAUMATICHE, UN APPROFONDIMENTO
  • NUOVA PSICHIATRIA, RDoC E NEUROPSICOANALISI
  • JACQUES LACAN, LA CLINICA PSICOANALITICA: STRUTTURA E SOGGETTO di Massimo Recalcati, 2016
  • DGR 29: alcune riflessioni su quello che sembra un passo indietro in termini di psichiatria pubblica
  • L’ATTUALITÀ DI PIERRE JANET: “La psicoanalisi”, di Pierre Janet
  • PSICOPATIA E AGGRESSIVITÀ PREDATORIA, LA VERSIONE DI GIOVANNI LIOTTI (da “L’evoluzione delle emozioni e dei Sistemi Motivazionali”, 2017)
  • LA GESTIONE DEL CONTATTO OCULARE IN PAZIENTI CON PTSD
  • MARZO 2017: IL CONSENSUS STATEMENT SULL’UTILIZZO DI KETAMINA NEI CASI DI DISORDINI DELL’UMORE APPARENTEMENTE NON TRATTABILI
  • IL CERVELLO TRIPARTITO: LA TEORIA DI PAUL MACLEAN
  • IL CIRCUITO DI RICOMPENSA NELL’AMBITO DEI PROBLEMI DI DIPENDENZA
  • OTTO KERNBERG: UN AUTORE IMPRESCINDIBILE
  • TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SULLE MNEMOTECNICHE (MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE)
  • LA CURA DEL SE’ TRAUMATIZZATO di Lanius e Frewen, 2017
  • EFFICACIA DI UN BREVE INTERVENTO PSICOSOCIALE PER AUMENTARE L’ADERENZA ALLE CURE FARMACOLOGICHE NELLA DEPRESSIONE
  • PSICOTERAPIE: IL DIBATTITO SU FATTORI COMUNI E SPECIFICI A CONFRONTO

IL BLOG

Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

A CURA DI:

  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
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