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Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in Psichiatria e Psicoterapia

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4 April 2021

CORRELATI MORFOLOGICI E FUNZIONALI DELL’EMDR: UNA PANORAMICA SULLA NEUROBIOLOGIA DEL TRATTAMENTO DEL PTSD

PREMESSA: questo articolo prosegue un filone di articoli riguardanti l’EMDR già presenti su questo blog, che qui riportiamo linkati:

  • L’EMDR: QUANDO USARLO E CON QUALI DISTURBI
  • EMDR: LO STATO DELL’ARTE
  • EMDR = SLOW WAVE SLEEP? UNO STUDIO DI MARCO PAGANI

Il problema dell’EMDR è che, nonostante le prove di efficacia, non è chiaro il suo meccanismo di funzionamento. Diverse ipotesi sono state formulate, dalla spazializzazione bilaterale delle memorie traumatiche, all’utilità dei movimenti saccadici (ma allora perchè funziona anche con altre modalità di stimolazione bilaterale, come il tapping?), al fatto che l’EMDR consenta la cognitivizzazione delle memorie traumatiche “intrappolate” in zone sottocorticali e per questo molto impattanti sullo stato emotivo del paziente, all’ipotesi del doppio distrattore per cui distrarre la memoria “somatica” per via della stimolazione bilaterale, consentirebbe a quella episodica di esprimersi meglio, così da favorire l’elaborazione delle memorie.

In più, una tendenza negli ultimi anni a usarlo per qualsiasi disturbo (dal DOC alla depressione, al trauma ovviamente -che è il disturbo per il quale è stato storicamente usato) porta al paradossale sospetto che lo strumento in sè sia poco rilevante, e che intervengano altri fattori di cura, contestuali.

Quando uno strumento di cura funziona per molti, diversificati disturbi, ci si deve domandare cioè quanto conti lo strumento in sè, e quanto invece sia il modo in cui è somministrato a risultare efficace, l’effetto placebo che con esso si possa esprimere, gli aspetti di contesto (per esempio il rituale protocollato con cui è somministrato l’EMDR -teoricamente molto rigido, cosa che lo rende “liturgico”). 

Esistono insomma molti dubbi ancora a riguardo del suo utilizzo, nonostante la mole di evidenze scientifiche che ne testimoniano l’efficacia. In questo articolo Silvia Bussone fa una panoramica sui correlati “neuro” dell’EMDR. (R.Avico)

CORRELATI MORFOLOGICI E FUNZIONALI DELL’EMDR: UNA PANORAMICA SULLA NEUROBIOLOGIA DEL TRATTAMENTO DEL PTSD

di Silvia Bussone

Il Disturbo da Stress Post-Traumatico (post-traumatic stress disorder, PTSD) è una psicopatologia estremamente invalidante che può insorgere in seguito all’esposizione ad eventi traumatici quali aggressioni fisiche e/o sessuali, incidenti, guerre, catastrofi naturali, o dopo essere venuti a conoscenza o aver assistito ad uno di questi eventi (APA, 2013). Negli ultimi anni è stato stimato che circa il 60.7% degli uomini e il 51.2% delle donne potrebbe andare incontro ad un evento potenzialmente traumatico nel corso della vita (Kessler et al., 1995), e di questi tra il 10% e il 40% potrebbe sviluppare sintomi psichiatrici o vere e proprie patologie strutturate, quali disturbi dell’umore, da uso di sostanze e PTSD (Breslau et al., 1999; Odonnell et al., 2008).

Tra le conseguenze dello sviluppo di una patologia di stampo post-traumatico possiamo assistere alla ri-esposizione a stimoli legati al trauma, che avviene generalmente attraverso flashback, l’evitamento di situazioni o stimoli che possono ricordare l’evento traumatico, una marcata attivazione attentiva e fisiologica definita hyperarousal, e la mancanza di regolazione delle emozioni (Harvey et al., 1998; Karl et al., 2006; Fontana and Rosenheck, 2010; Scott et al., 2015). Appare chiaro come il quadro sintomatologico del PTSD possa essere così pervasivo da portare l’individuo a un impoverimento progressivo della qualità della propria esistenza, incrementando il rischio suicidario (Brown et al., 2021).

Tra le linee guida per il trattamento del PTSD è emersa come gold standard la psicoterapia cognitivo-comportamentale, con la farmacoterapia come accompagnamento per contenere la sintomatologia invalidante e permettere il lavoro sull’individuo. Tra le diverse terapie, in particolare la terapia della desensibilizzazione e riprocessamento basati sui movimenti oculari (Eye Movement Desensitization and Reprocessing therapy – EMDR) è stata riportata essere tra le maggiormente efficaci nel trattamento di questa psicopatologia così invalidante (Ehlers et al., 2010; Jeffries and Davis, 2013).

Tale trattamento si fonda sulla stimolazione bilaterale (bilateral stimulation – BS) oculare, tattile o uditiva, che viene usata per desensibilizzare la risposta emotigena alle memorie traumatiche in un setting protetto, ed è proprio la BS che sarebbe alla base del successo terapeutico dell’EMDR (Rousseau et al., 2020).

Nonostante la comprovata efficacia nell’estinzione a lungo termine della risposta traumatica prodotta dall’EMDR, ad oggi non è ancora del tutto chiaro il suo meccanismo d’azione (Rousseau et al., 2020).

Dunque proprio qui ci domandiamo: cosa accade nel cervello di una persona che si sottopone a EMDR?

Lo scopo di questo articolo è proprio quello di rispondere, per quanto possibile, in maniera il più possibile esaustiva a questa domanda.

Perché addentrarci in ciò che accade nel nostro cervello, se ancora non conosciamo esattamente il meccanismo d’azione dell’EMDR? Lo studio del cervello e del suo funzionamento in relazione a un trattamento può essere un modo per capire, in maniera retroattiva, le funzioni implicate nel trattamento stesso, in modo tale da ipotizzare un possibile meccanismo d’azione.

I primi lavori sull’EMDR sono stati svolti a partire da ipotesi legate ad alcune funzioni stimolate dalla BS e dai movimenti saccadici in generale, come la memoria o l’integrazione sensoriale, per poi ipotizzare il coinvolgimento di circuiti cerebrali legati alle funzioni stesse.

Diversi studi hanno riportato come i movimenti saccadici orizzontali facilitassero l’elaborazione dei ricordi associativi, fornendo insight in merito all’ipotesi della connettività interemisferica (Parker e Dagnall, 2007; Parker et al., 2008, 2009), per cui avverrebbero delle modifiche sia a carico delle connessioni tra i due emisferi cerebrali, che all’interno dell’emisfero destro (Keller et al., 2016; Yaggie et al. , 2016) nel momento in cui si veniva sottoposti alla BS oculare.

Un ulteriore modello prevedeva il coinvolgimento dei circuiti talamo-corticale e talamo-cerebellare, che servirebbero a chiarire il coinvolgimento di alcune funzioni cognitive e sensoriali nella BS. L’attività del circuito talamo-corticale è stata ritrovata essere ridotta in pazienti con PTSD (Lanius et al., 2001; 2003), dunque auspicabilmente l’azione dell’EMDR potrebbe agire a questo livello. La BS, infatti, faciliterebbe l’attivazione di alcuni nuclei talamici in grado di ripristinare il legame del circuito talamo-corticale (Bergmann, 2008). Inoltre, l’attivazione dei nuclei talamici laterale, ventrolaterale e centrale tramite l’attivazione del cervelletto laterale (Bergmann, 2008), è in grado di facilitare l’integrazione delle funzioni somatosensoriali, di memoria, cognitive ed emotive che vengono interrotte nel PTSD. In questo contesto, l’EMDR è stata ipotizzato in grad attivare il default mode network e il cervelletto tramite la BS, portando a un miglioramento di tutte le funzioni legate a queste due strutture, quali l’apprendimento associativo, memoria associativa e il rilassamento (Calancie et al., 2018). Tuttavia tali modelli e ipotesi richiedono studi consistenti per essere validati, con tecniche d’avanguardia di imaging strutturale, funzionale e tecniche neurofisiologiche.

A tal proposito, studi di imaging strutturale hanno investigato i correlati cerebrali dell’EMDR, con un focus sulle regioni coinvolte nella memoria e nella regolazione emotiva (Letizia et al., 2007). Nello specifico, diversi lavori hanno mostrato consistenti modifiche a carico di alcune strutture del sistema limbico, come ad esempio un aumento progressivo del volume ippocampale nei pazienti affetti da PTSD che venivano sottoposti a 8 settimane di EMDR (Bossini et al., 2011). Un ulteriore studio ha rivelato evidenti cambiamenti cerebrali dopo 12 settimane di EMDR in pazienti con PTSD, caratterizzati da un aumento significativo del volume della materia grigia nel giro paraippocampale sinistro e una diminuzione significativa del volume della materia grigia nella regione del talamo sinistro (Bossini et al., 2017). Nardo e colleghi (2010) invece, nel tentativo di investigare le differenze tra pazienti affetti da PTSD che rispondevano all’EMDR e pazienti traumatizzati che non rispondevano al trattamento, hanno individuato una ridotta densità del volume della materia grigia a carico delle cortecce paraippocampali, dell’insula, e della corteccia cingolata posteriore bilaterale, regioni coinvolte nella formazione delle memorie traumatiche e nella risposta alla paura, nei pazienti non responsivi all’EMDR. Tali alterazioni non sussistevano nel gruppo dei pazienti traumatizzati che aveva risposto al trattamento. Ciò sembrerebbe essere legato al fatto che il carico traumatico (trauma load) possa aver avuto un effetto a monte del trattamento, laddove un maggiore trauma load provocava una diminuzione di volume nelle strutture sopraccitate che l’EMDR non era in grado di recuperare, fungendo così da fattore prognostico negativo.

A fronte del recupero strutturale in diverse regioni cerebrali coinvolte nella formazione delle memorie affettive e nel circuito della paura, l’EMDR può modificarne anche la funzionalità?

Gli studi di imaging funzionale hanno tutti individuato un aumento del metabolismo cerebrale e dell’irrorazione sanguigna nelle regioni corticali dei pazienti sottoposti all’EMDR, rispetto ai soggetti di controllo (Lansing et al., 2005; Pagani et al., 2007; Oh and Choi, 2007). Tali evidenze vanno a sostegno di una migliore integrazione ed elaborazione cognitiva delle memorie traumatiche.

Tuttavia la funzionalità delle singole regioni e dei circuiti cerebrali durante l’EMDR è stata maggiormente investigata grazie all’utilizzo dell’elettroencefalografia (EEG). Tra i primi studi troviamo quello di Pagani e colleghi del 2012, in cui è stata valutata l’attività corticale durante la prima e l’ultima seduta di EMDR. Grazie a questo studio è stato rilevato che, nei pazienti, la maggiore attivazione della corteccia limbica avveniva poco prima del processamento del trauma. Ciononostante, tra la prima esposizione alla BS e l’ultima, è stato riscontrato uno spostamento dell’attività cerebrale dalle cortecce orbitofrontale, prefrontale e cingolata anteriore verso le regioni temporo-occipitali sinistre. L’analisi della connettività tra la prima e l’ultima sessione di EMDR, aveva inoltre mostrato una diminuzione delle interazioni tra corteccia prefrontale e cingolata durante la BS nei pazienti rispetto ai controlli. Questi risultati supportano ulteriormente l’ipotesi che l’attivazione cerebrale preferenziale si sia spostata, dopo la terapia EMDR, da regioni con valenza emotiva a regioni corticali con valenza cognitiva e semantica (processo definito cognitivizzazione), favorendo l’elaborazione e un migliore collocamento dell’esperienza traumatica nel proprio vissuto.

Un’altra area il cui funzionamento è stato trovato alterato nel PTSD, per poi tornare in linea dopo l’EMDR, è l’amigdala. L’amigdala è la regione dell’etichettamento emotivo, nonché il centro del circuito della paura. In genere nei pazienti con PTSD è stata trovata essere iperattiva, esagerando la risposta di paura in tali individui, anche a stimoli neutri (Badura-Brack et al., 2018). Il trattamento a base di EMDR sembrerebbe ridurre l’attivazione amigdaloidea, promuovendo una migliore gestione delle emozioni, in particolare della paura, rispetto alle memorie traumatiche (de Voogd et al., 2018). La ripristinata attività dell’amigdala conseguente al trattamento potrebbe facilitare un’elaborazione a livello cognitivo superiore delle immagini relative all’evento traumatico, consentendo una migliore elaborazione e contestualizzazione (Pagani et al., 2012; Carletto et al., 2019).

Dunque l’azione dell’EMDR a livello neurofisiologico sembrerebbe favorire o la sincronizzazione dell’attività neurale o un maggior reclutamento di neuroni. In entrambi i casi avverrebbe una migliore comunicazione tra diverse aree del cervello, portando all’implementazione di funzioni cognitive superiori utili all’elaborazione del ricordo traumatico e alla regolazione emotiva.

Un ultimo tentativo audace di sezionare ancora più approfonditamente i correlati neurobiologici e neurofisiologici dell’EMDR è stato fatto da Baek e colleghi (2019), i quali hanno creato un modello murino di PTSD con il paradigma del condizionamento alla paura, per poi erogare una BS oculare al momento dell’estinzione della paura. All’interno di questo lavoro è stato individuato come fondamentale ai fini del mantenimento dell’estinzione a lungo termine della paura ad opera della BS visiva, il circuito formato dalla struttura del collicolo superiore e dei nuclei dorsomediale del talamo. In particolare, quest’ultima struttura, essendo in connessione anche con l’amigdala, modulerebbe l’attività di quest’ultima in modo tale da attenuarne l’attivazione favorendo l’estinzione.

Le modificazioni strutturali e funzionali riscontrate nei diversi studi passati in rassegna, validano l’EMDR non solo sotto un punto di vista clinico, ma anche di funzionamento cerebrale, poiché tale tecnica sembra aiutare il cervello a modulare e rafforzare le connessioni tra la corteccia e le regioni del sistema limbico, con conseguente miglioramento nelle capacità di elaborazione cognitiva dell’esperienza traumatica, come evidenziato dai distinti pattern neurobiologici riportati.

 

Bibliografia

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Article by admin / Formazione / psicotraumatologia, PTSD, raffaeleavico

30 September 2020

L’EMDR: QUANDO USARLO E CON QUALI DISTURBI

di Raffaele Avico

PREMESSA: questo articolo fa parte del pacchetto Patreon, dedicato a trauma e dissociazione

Questo editoriale (Maxfield, 2019, clinician’s guide to EMDR’s efficacy) uscito per un numero speciale della rivista Journal of emdr practice and research a 30 anni dalla prima applicazione dell’EMDR (1989), vuole raccogliere una serie di ricerche il più possibile rigorose (RCT, review sistematiche fatte su articoli con campioni numerosi e pazienti correttamente diagnosticati) a proposito dell’efficacia dell’EMDR sia per disturbi post-traumatici, che relativa ad altre problematiche psichiche.

Ecco i risultati, in breve, distinti per “target” clinico:

  • DISTURBI TRAUMA E STRESS-CORRELATI: esistono 44 studi RCT su pazienti adulti e non, sofferenti di disturbi connessi a trauma e stress post traumatico, divisi come riportato nell’immagine sottostante. Come si nota, dei 44 studi citati quelli più “solidi” in termini metodologici sono gli studi relativi al PTSD “semplice” su pazienti adulti. A riguardo di questi ultimi lavori, nell’editoriale vengono evidenziati risultati pressoché non contestabili: “The evidence for EMDR treatment for PTSD appears to be solid, consistent, and well established, and the treatment guideline committee of the International Society for Traumatic Stress Studies gave EMDR a strong recommendation for adults and children with PTSD and a standard recommendation for early intervention (ISTSS Guidelines Committee, 2018)”. Manca una folta letteratura sul PTSD nei bambini (solo 4 studi RCT). Non ne esistono al momento su PTSD complex, vista anche l’ampiezza e i contorni “fumosi” della categoria diagnostica
  • DEPRESSIONE: nell’editoriale vengono quindi presi in considerazione altri ambiti clinici; viene fatto notare che nel momento in cui siano evidenti benefici prodotti dall’EMDR anche su altre patologie, questo potrebbe interrogare i clinici sull’eziologia dei disturbi stessi, potenzialmente di natura traumatica. Questo ragionamento diagnostico effettuato usando un criterio ex adiuvantibus che, seppur debole in termini logici e di metodologia di ricerca (dato che si sa poco sul meccanismo di funzionamento effettivo, reale, dell’EMDR) interroga i clinici su quali “aspetti” del sintomo o del disturbo l’EMDR vada a “toccare”, supponendo -in caso di risultati positivi- l’esistenza di una radice “traumatica” del disturbo stesso.
    A riguardo della depressione, viene citata una review su 7 studi RCT prodotti tra il 2001 e il 2019, da cui risulterebbe un’efficacia dell’utilizzo dell’EMDR per la depressione uguale o superiore all’efficacia della psicoterapia CBT. Gli autori concludono osservano come l’EMDR potrebbe essere integrato in modo efficace alla psicoterapia “standard” CBT.
  • DISTURBO BIPOLARE: gli autori osservano come esista un solo studio RCT che abbia indagato l’impatto dell’EMDR sul disturbo bipolare, con risultati poco significativi al momento
  • PSICOSI: Esistono delle linee di ricerca che vorrebbero indagare l’efficacia dell’uso dell’EMDR sul trattamento degli aspetti post-traumatici della psicosi. Chi fa ricerca in questo ambito contempla l’esistenza di “nervature” o aspetti PTSD nel disturbo psicotico, o almeno l’esistenza di comorbilità tra disturbo psicotico e PTSD (e, in questo caso, l’uso dell’EMDR sarebbe giustificato). Gli studi sono in una fase preliminare. Gli autori sottolineano infine come limitarsi nell’utilizzo di EMDR per paura di esacerbare i sintomi psicotici, sia insensato.
  • DISTURBI D’ANSIA: vista la grande eterogeneità dei disturbi d’ansia in sè, l’argomento si presenta qui molto ampio. L’editoriale in questione presenta questo articolo di Faretta e Dal Farra (Elisa Faretta in particolare è impegnata da molti anni nell’approfondire le implicazioni cliniche dell’uso di EMDR nell’attacco di panico), che sintetizza lo stato dell’arte. I risultati ci raccontano di un utilizzo dell’EMDR particolarmente efficace per quanto riguarda panico e disturbi fobici specifici
  • DOC: nessun risultato significativo
  • DISTURBI DA ADDICTION: l’EMDR appare in questi casi non controindicato, ma neanche significativo
  • DOLORE: l’editoriale in questione cita 6 studi RCT effettuati negli ultimi 10 anni sull’utilizzo dell’EMDR per il dolore cronico. I risultati vengono definitivi “impressive”, ma da prendere in considerazione con cautela, visti i grossi bias metodologici che gli studi portano con sè. L’utilizzo quindi dell’EMDR per il dolore o il dolore cronico viene definito ai suoi “albori”, promettente ma ancora poco sorretto da dati di ricerca rigorosi. Si ripresenta qui il problema “hard” relativo ai meccanismi di funzionamento profondi dell’EMDR, non ancora chiari (per cui non risulta pienamente chiaro il suo funzionare o meno con disturbi diversi)

Come si osserva, l’EMDR conserva il suo posto elettivo nel trattamento dei disturbi inerenti il trauma: non ha senso usarlo ovunque. In particolare, è bene ricordarlo, l’EMDR va usato laddove siano presenti dei ricordi target particolarmente intrusivi che faticano a essere elaborati in senso mnestico, nel contesto di un percorso di psicoterapia di tipo trifasico.

Visti inoltre gli ambiti dove l’EMDR sembri meglio funzionare (trauma e fobia), è logico supporre che l’EMDR non agisca tanto sulle generiche memorie traumatiche, quanto sulla fear response nei confronti di un oggetto fobico: servirebbe dunque ad aiutare il paziente ad affrontare meglio, di petto, il confronto mentale con un oggetto di fobia (per esempio una memoria traumatica molto impattante, e in grado di procurare la fear response, oppure il pensiero di un oggetto fobico specifico). La fear response è la reazione di allarme di fronte a uno stimolo ignoto o con particolari caratteristiche di salienza, presente ovunque in natura, anche in animali “basici”, con un sistema nervoso molto semplice.

Sappiamo che l’affacciarsi mentalmente a un contenuto traumatico, procura nel soggetto una reazione di forte allarme (la fear response, appunto), un po’ come succede a un individuo fobico esposto al suo oggetto di paura (per esempio un individuo che abbia fobia dei ragni che se ne trovasse uno molto vicino): l’emdr, in entrambi i casi, “placherebbe” la fear response consentendo una migliore esposizione allo stimolo stesso.


Ps tutto il materiale su trauma e dissociazione presente su questo blog è consultabile cliccando sul bottone a inizio pagina (o dal menù a tendina) #TRAUMA.

 

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12 March 2019

EMDR = SLOW WAVE SLEEP? UNO STUDIO DI MARCO PAGANI


di Raffaele Avico

Sappiamo che una delle questioni principali intorno al PTSD sia la questione dell’elaborazione difficoltosa di alcuni eventi specifici. In particolare, pare che il PTSD possa essere considerato, a tutti gli effetti, una patologia della memoria, o meglio della memorizzazione di alcune esperienze traumatiche che rimangono immutate nel flusso dei ricordi.

Alcuni studi a riguardo della fisiologia del sonno, evidenziano come il sonno predisponga l’individuo a un’elaborazione delle memorie, in particolare nelle fasi cosiddette a onda lunga. Le fasi del sonno a onda lunga (SLOW WAVE SLEEP) consentono ai percetti immagazzinati durante la veglia, di essere trasferiti a zone corticali cosiddette associative, in questo modo passando all’interno del “magazzino” della memoria a lungo termine, in forma elaborata e facilmente gestibile dall’individuo stesso.

La cosa non avviene nel PTSD: le memorie traumatiche permangono immutate e non trasformabili o metabolizzabili dal cervello.

In questo videocorso (di cui consiglio caldamente l’acquisto per chi fosse interessato di neurobiologia del PTSD), Marco Pagani spiega come alcuni percetti eccessivamente traumatici, rimangano intrappolati nelle zone più profonde del cervello come l’amigdala e l’ippocampo, senza riuscire a compiere questa migrazione verso zone della corteccia associative, che condurrebbe all’elaborazione finale del ricordo (cognitivizzazione).

Questo avviene, Pagani spiega, a causa di un blocco che coinvolge il meccanismo con cui i neuroni, tra essi, comunicano e si trasferiscono le informazioni. Per passarsi le informazioni, e tra esse anche i dati “di memoria”, i neuroni usano un meccanismo elettrochimico organizzato intorno al rilascio di alcuni neurostramettitori. Nei casi di forti percetti a contenuto traumatico, ciò che accade è una iper-depolarizzazione del neurone post-sinaptico (si veda immagine sottostante). In qualche modo e per dirla in modo modo grossolano, assistiamo a un ingolfamento o una congestione del meccanismo della trasmissione neuronale a causa di una sovra-eccitazione dei neuroni post-sinaptici in area amigdalo-ippocampale:

“Traumatic events may cause over-potentiation of amygdalar synapses and all post-synaptic AMPA binding sites will be occupied by glutamate. In such circumstances, the transfer to neocortex mainly through anterior cingulate cortex cannot occur since memories need the same synchronized signal intensity at emotional and cognitive level for the correct processing. Fragmented non-processed episodic and traumatic memories are trapped in hippocampus or amygdala without the contextual integration needed to encode them in long-term memory in association neocortex and persist sometimes for life“

Il sonno a onde lunghe non riesce, in questi casi, a svolgere il suo lavoro di traghettatore delle memorie traumatiche entro zone associative e di rielaborazione corticale, di fatto lasciando il ricordo lì dov’è, come in una condizione di blocco.

In questo brillante studio del 2017  Marco Pagani (CNR) mette in parallelo il funzionamento dell’EMDR con il funzionamento del sonno a onde lunghe, arrivando a ipotizzare che, per mezzo dell’EMDR, il terapeuta riprodurrebbe forzandolo -lavorando su un singolo ricordo alla volta-, il meccanismo del sonno a onde lunghe. Il sonno, Pagani osserva, ha mostrato un forte coinvolgimento in tutto ciò che ha a che fare con lo “smaltimento” e l’elaborazione dei percetti che sono immagazzinati durante la veglia, come ben evidenziato nell’articolo sopra citato:

“The combined episodic and emotional memory is replayed in the memory-editing matrix of the hippocampal-amygdalar complex as well as in neocortex during the first stage of SWS. In this process, memory is reinforced and extinguished by potentiation and depotentiation, respectively, of synapses of neurons recruited to form the memory chain. The excitatory glutamatergic pre-synaptic neurons release an amount of glutamate proportional to the strength of the signal. “

Osservando per mezzo di encefalogramma l’effetto delle sommistrazioni di EMDR su soggetti volontari svegli, si è notato che la sua somministrazione conduce a un generale rallentamento delle onde prodotte dai neuroni:

“Bilateral stimulation typical of EMDR causes immediate slowing of the depolarization rate of neurons from the dominant waking state frequency of around 7 Hz to about 1.5 Hz. The change of neuronal firing to low-frequency waves is a change from conditions favorable for synaptic potentiation to ones favorable for depotentiation.“

Alcuni studi inoltre, Pagani osserva, hanno dimostrato che somministrare impulsi elettrici a herzaggio lento (1 ciclo al secondo) sull’amigdala di animali traumatizzati, consentiva di sbloccare il precedentemente descritto “blocco” sinaptico, favorendo il ripristino del normale scorrimento delle informazioni verso le parti associative della corteccia. Pagani fa notare che in una seduta EMDR, il numero di stimolazioni erogate al paziente è, anche, di circa 900 stimolazioni bilaterali.

La stimolazione bilaterale durante un ciclo EMDR riprodurrebbe quindi le onde lente del sonno, con un importante implicazione in termini di possibile spiegazione a riguardo del meccanismo di funzionamento dell’EMDR, a tutt’oggi ancora oscuro, come qui approfondito. Durante la somministrazione di EMDR, la stimolazione bilaterale scioglierebbe, come fa il sonno, il “blocco” sinaptico che interessa le zone profonde del cervello iperattivate dal trauma (come appunto l’amigdala), di fatto consentendo alle memorie traumatiche di essere traghettate verso le zone associative corticali, per essere elaborate e “dimenticate”, cosa che rappresenta il punto di arrivo ideale di ogni trattamento per il PTSD:

“In our SWS model, memory degradation is determined by the depotentiation of AMPA receptors by EMDR bilateral stimulations miming SWS low-frequency stimulations occurring during sleep “

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  • DIPENDENZA DA INTERNET: IL RITORNO COMPULSIVO ON-LINE
  • L’EVOLUZIONE DELLE RETI NEURALI ASSOCIATIVE NEL CERVELLO UMANO: report sullo sviluppo della teoria del “tethering”, ovvero di come l’evoluzione di reti neurali distribuite, coinvolgenti le aree cerebrali associative, abbia sostenuto lo sviluppo della cognizione umana
  • COMMENTO A “PSICOPILLOLE – Per un uso etico e strategico dei farmaci” di A. Caputo e R. Milanese, 2017
  • L’ERGONOMIA COGNITIVA NEL METODO DI MARIA MONTESSORI
  • SUL COSTRUTTIVISMO: PERCHÉ LA SCIENZA DEVE RICERCARE L’UTILE. Un estratto da Terapia Breve Strategica di Paul Watzlawick e Giorgio Nardone
  • IN MORTE DI GIOVANNI LIOTTI
  • ALL THAT GLITTERS IS NOT GOLD. APOLOGIA DELLA PLURALITÀ IN PSICOTERAPIA ATTRAVERSO UN ARTICOLO DI LEICHSERING E STEINERT
  • COMMENTO A:  ON BEING A CIRCUIT PSYCHIATRIST di JA Gordon
  • KERNBERG: UN AUTORE IMPRESCINDIBILE, PARTE 2
  • IL PRIMATO DELLA MANIA SULLA DEPRESSIONE: “LA MANIA È IL FUOCO E LA DEPRESSIONE LE SUE CENERI”.
  • IL CESPA
  • COMMENTO A LUTTO E MELANCONIA DI FREUD
  • LA DEFINIZIONE DI SOTTOTIPI BIOLOGICI DI DEPRESSIONE FONDATA SULL’ATTIVITÀ CEREBRALE A RIPOSO
  • BORSBOOM: PER LA SEPARAZIONE DEI MODELLI DI CAUSALITÀ RELATIVI AL MODELLO MEDICO E AL MODELLO PSICHIATRICO, E SULLA CAUSALITÀ CIRCOLARE CHE REGOLA I RAPPORTI TRA SINTOMI PSICOPATOLOGICI
  • IL LAVORO CON I PAZIENTI GRAVI: IL QUADRO BORDERLINE E LA DBT
  • INTERNET ADDICTION, ALCUNI SPUNTI DAL LAVORO DI KIMBERLY YOUNG
  • EMDR: LO STATO DELL’ARTE
  • PTSD, UNA DEFINIZIONE E UN VIDEO ESPLICATIVO
  • FLASHBULB MEMORIES E MEMORIE TRAUMATICHE, UN APPROFONDIMENTO
  • NUOVA PSICHIATRIA, RDoC E NEUROPSICOANALISI
  • JACQUES LACAN, LA CLINICA PSICOANALITICA: STRUTTURA E SOGGETTO di Massimo Recalcati, 2016
  • DGR 29: alcune riflessioni su quello che sembra un passo indietro in termini di psichiatria pubblica
  • L’ATTUALITÀ DI PIERRE JANET: “La psicoanalisi”, di Pierre Janet
  • PSICOPATIA E AGGRESSIVITÀ PREDATORIA, LA VERSIONE DI GIOVANNI LIOTTI (da “L’evoluzione delle emozioni e dei Sistemi Motivazionali”, 2017)
  • LA GESTIONE DEL CONTATTO OCULARE IN PAZIENTI CON PTSD
  • MARZO 2017: IL CONSENSUS STATEMENT SULL’UTILIZZO DI KETAMINA NEI CASI DI DISORDINI DELL’UMORE APPARENTEMENTE NON TRATTABILI
  • IL CERVELLO TRIPARTITO: LA TEORIA DI PAUL MACLEAN
  • IL CIRCUITO DI RICOMPENSA NELL’AMBITO DEI PROBLEMI DI DIPENDENZA
  • OTTO KERNBERG: UN AUTORE IMPRESCINDIBILE
  • TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SULLE MNEMOTECNICHE (MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE)
  • LA CURA DEL SE’ TRAUMATIZZATO di Lanius e Frewen, 2017
  • EFFICACIA DI UN BREVE INTERVENTO PSICOSOCIALE PER AUMENTARE L’ADERENZA ALLE CURE FARMACOLOGICHE NELLA DEPRESSIONE
  • PSICOTERAPIE: IL DIBATTITO SU FATTORI COMUNI E SPECIFICI A CONFRONTO

IL BLOG

Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

A CURA DI:

  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
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