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Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in Psichiatria e Psicoterapia

10 January 2022

24 MESI DI PSICOTERAPIA ONLINE

di Raffaele Avico

Questo articolo rappresenta una riflessione personale sulla psicoterapia e sullo stato mentale degli individui che mi è capitato di consultare, come psicologo clinico, in quasi 24 mesi di periodo pandemico. Premetto che per me è stato un privilegio in senso umano poter lavorare con così tante persone, ognuna all’interno del suo mondo, unico, e ho trovato in questa esperienza un’occasione di estrema crescita personale, vista la quantità di lavoro assegnatomi in un periodo così peculiare.

Come tutti sappiamo, le prime avvisaglie del “problema pandemico” arrivarono sul finire di gennaio 2020, quando la notizia di un virus cinese cominciò lentamente ad apparire sugli organi di informazioni in Italia, per poi diventare altamente preoccupante già poche settimane dopo con i primi focolai, le prime profilazioni del virus, l’isolamento del “paziente zero” e l’avvio dello stato di eccezione/emergenza che ancora oggi viviamo.

Ad oggi siamo all’incirca a due anni dallo scoppio della peggiore crisi sanitaria da cinquant’anni a questa parte a livello mondiale, cosa che ha ovviamente trasfigurato l’intera realtà, le modalità con cui lavoriamo e comunichiamo, gli scenari urbani con cui quotidianamente ci confrontiamo, la realtà della salute mentale degli individui.

Con questa riflessione cercheremo di concentrarci su quest’ultimo aspetto, cercando di rispondere alla domanda: qual è lo stato della salute mentale degli individui, dopo due anni di adattamento forzato a uno stato delle cose di questo tipo? Quanto è reale e presente un problema anche di salute mentale, negli individui, a due anni dall’avvio di uno stato eccezionale a livello mondiale? Quali strascichi lascerà questo periodo sulla salute mentale dei cittadini? Cercheremo inoltre di riflettere sul mestiere dello psicoterapeuta, e su quanto anche in questo caso sia stato forte l’impatto trasformativo della pandemia.

Per approcciare una tematica così ampia suddividiamo gli aspetti del problema in due tipologie, ovvero gli aspetti clinici (che riguardano la presenza o meno di sintomi di natura psicologica nella popolazione), e tutti gli altri aspetti, più sfumati, connessi ad altre questioni/tematiche, sempre però collegati in modo diretto al tema “salute mentale”.

É innegabile che chiunque di noi abbia osservato l’evolvere della pandemia e delle misure messe in atto per contenerla in questi due anni, si sarò reso conto che siamo di fronte a un balzo storico, a un “cigno nero” di fronte a cui la Storia ci ha voluti testimoni. Il mondo ha subìto cambiamenti enormi in brevissimo tempo, su molteplici fronti: questo non può non avere delle conseguenze sulla mente di individui, abituati alla relativa stabilità del “prima”. Questa pandemia produrrà un prima e un dopo -come tutti i traumi sanno fare- nella nostra memoria. Ricorderemo per anni i primi mesi del 2020, così come la “seconda ondata”; ci troveremo in bocca e in mente espressioni che fino a pochi mesi fa sarebbe stato inimmaginabile dover imparare: chi avrebbe mai detto che in poco tempo saremmo divenuti familiari con concetti come l’RT, l’indice di trasmissione, il tema del testing e del tracking legato al Coronavirus, la branca medica della virologia in generale? Chi avrebbe immaginato nella sua vita di essere obbligato a rispettare un coprifuoco, entro uno stato di eccezione con diverse restrizioni tipiche di un periodo di guerra, di dover adeguarsi a una “sanitarizzazione” massiva della società, paralizzata al cospetto di un virus?

Partiamo dagli aspetti clinici:

  • come era ovvio aspettarsi, coloro i quali prima del Covid sembravano propendere per uno stile di vita caratterizzato da comportamenti “fobici”, non hanno avuto vita facile. Lo stesso potremmo dire per coloro che facevano del mantenimento di un “ordine pulito”, il proprio goal di vita (soggetti caratterizzati da una strutturazione mentale che potremmo chiamare ossessiva, o sofferenti di varie forme di DOC). La presenza di un virus invisibile potenzialmente pericoloso e di fatto poco conosciuto, scuote alle fondamenta ogni tentativo razionale di controllare la realtà che ci circonda, obbligandoci a un passaggio fondamentale, quello dell introiezione di una quota di fatalismo e di rischio, non accessibile a tutti. Mi sono spesso confrontato con persone che sentivano crescere il senso di allarme nei confronti della realtà esterna e del proprio comportamento finendo per auto-emarginarsi ancora di più di quanto prima già non facessero. Parliamo di un aggravarsi di forme di ritiro sociale e di evitamento, con persone chiuse in casa per mesi, eventualmente con brevi aperture all’esterno con l’approssimarsi dell’inizio della campagna vaccinale a inizio dell’ormai concluso 2021. La possibilità di lavorare da casa -ma questo è un tema molto vasto- può aver in questi casi legittimato comportamenti di auto-reclusione, rendendo socialmente accettabile qualcosa che prima del Covid non lo era. Abbiamo assistito dunque a una fase iniziale in cui chi si isolava già da prima, sembrava alleviato dall’idea che gli “altri” potessero comprendere il suo punto di vista, e in qualche modo legittimato nella propria risposta “difensiva” verso la società all’esterno; il senso di sollievo ha però rappresentato in questi casi solo la parte iniziale di un problema in realtà pregresso e più vasto, che in questo senso ha fatto solo incancrenire situazioni di isolamento sociale sviluppatesi prima dell’inizio della pandemia.
  • In relazione a questo primo punto, mi è spesso capitato di constatare un diffuso disinvestimento da tutto ciò che è esterno, indotto dalle restrizioni sanitarie in un primo tempo, poi cronicizzato in forme sfumate e differenti per ognuno. Quello che intendo dire è che -nel prossimo futuro- non è automatico che la fuoriuscita da una condizione di restrizione sociale, produca un naturale ritornare all’esterno come conseguenza ovvia; molte persone in questi 24 mesi hanno riscoperto l’ambiente di casa loro, guardandolo con occhi diversi, forzati dall’obbligo di farlo, come bambini costretti a non uscire e in grado di rendere il piccolo mondo entro il quale fossero chiusi un luogo nuovo, un teatro di sperimentazione. La casa ha assunto una rappresentazione differente, è passata per qualcuno da essere house a essere home, per dirla in senso psicodinamico è stata oggetto di maggiore attenzione, di maggiore investimento libidico; al ritorno della possibilità di vedere persone ed eventualmente viaggiare, molti individui hanno realizzato quanto fosse mortificata la parte di sé che in altre epoche li avrebbe spinti a esporsi fuori, a uscire dalla propria zona di comfort. Parliamo di una sorta di mortificazione della parte esplorativa, un po’ come effetto post-traumatico, un po’ come conseguenza di un restringimento dei confini della propria realtà operato in modo dapprima coatto, poi in qualche modo attivamente mantenuto tale.
  • un altro problema di questi 24 mesi, indubbiamente, è stato il sonno. L’insonnia è divenuta qualcosa di normale, di endemico; ci sarebbe da chiedersi se già prima non fosse così e se la pandemia non abbia solo fatto uscire allo scoperto alcuni aspetti finora rimasti per così dire nascosti. Le cause dell’insonnia sono le più variegate; quando non dipendono da cause mediche, le cause di origine psicologica vanno ricercate nei problemi correlati alla gestione dello stress. L’insonnia si manifesta quando la mente non conceda un abbandono reale, in presenza di uno stato protratto di allarme o di minaccia percepita. Su questo blog abbiamo più volte parlato di fear response, di post-trauma, di disturbo dell’adattamento; possiamo immaginare l’insonnia come il risultato di una mente che non possa concedersi il lusso di uno stato di ristoro completo nel contesto di un luogo (mentale) non sperimentato come sicuro. Per certi versi è come se il cervello fosse impegnato in una risposta di difesa anche quando non ce ne sarebbe la reale necessità. La risposta di difesa accade in concomitanza con una risposta autonomica del sistema nervoso simpatico, completamente slegato dalla nostra volontà cosciente, al di fuori del nostro controllo. Un sistema nervoso che non può spegnersi ci impedisce di abbandonarci a un sonno ristoratore. A questo punto bisognerebbe aprire il grosso capitolo delle cause di questa ipereccitazione del sistema nervoso; qui è forse più importante sottolineare come in questi ultimi 24 mesi tutti noi si sia stati esposti a continui, dalla mattina alla sera, stimoli potenzialmente traumatici e nocivi per la salute mentale. Non che questo non fosse per certi versi obbligatorio o evitabile; è opportuno però ricordarci quanto negli ultimi due anni le informazioni passate di prima mano attraverso il passaparola, o per via mediatica, siano state per lo più allarmanti. La mente di ognuno di noi si è confrontata per due anni con micro-minacce costanti relative a possibili contagi, all’instabilità del Paese, ai continui cambi di scena difficilmente prevedibili; è più che probabile che questo abbia avuto conseguenze anche sulla qualità del sonno; parliamo di un’insonnia procurata, in realtà, da un problema di adattamento a una realtà percepita come non prevedibile per troppo tempo, un disturbo cioè dell’adattamento (come vedremo nel prossimo punto). La nostra mente ha bisogno di prevedibilità e routines; in assenza di queste, alle prese con situazioni troppo caotiche, tende a sviluppare forme di adattamento di vario tipo, e con diversi livelli di “successo”, lungo un continuum che va dalla paralisi pseudodepressiva (si veda su questo l’esperimento dei cani depressi di Pavlov, apparentemente depressi, in realtà post-traumatizzati), a una condizione di crescita post-traumatica (questo lo vedremo in seguito in questo articolo). Sappiamo che in condizioni di prevedibilità scarsa e trauma, la mente tende per prima cosa ad attivarsi in senso difensivo, per poi in alcuni casi collassare in forme simili-depressive che in realtà sono dei comportamenti di resa. Lo spiega molto bene il modello a cascata che qui abbiamo più volte approfondito
  • collegato a questo punto, il disturbo dell’adattamento. Giovanni Tagliavini ne scrive in questo post pubblicato su questo blog, e ne ha parlato di recente in modo efficace Valerio Rosso. Il punto centrale del disturbo dell’adattamento, è la presenza di micro-stressor diluita nel tempo per un periodo non definibile o non prevedibile. Pensiamo a chi debba convivere con la gestione psicologica di una malattia invalidante, o alla pandemia in atto. Ci troviamo ogni giorno di fronte a possibili cambi di scenario a cui dobbiamo adattarci di volta in volta. Il disturbo dell’adattamento si struttura come una risposta inefficace di fronte a eventi esterni non prevedibili. È la forma più sottile e allo stesso più attuale e importante di risposta post-traumatica. Parliamo non tanto di un singolo evento traumatico in grado di toccare la mente di un individuo creando un prima e un dopo; la cosa difficile in questi casi è creare delle isole di controllo in un contesto esterno percepito come totalmente imprevedibile o pericoloso. Una parte della responsabilità, in questi due anni, abbiamo purtroppo constatato essere da attribuire al lavoro dei media, iatrogeno nei suoi effetti, spinto da interessi economici venduti come “necessità di informare”, in realtà impulsivo e tossico -con ovviamente eccezioni importanti, come il Post o singoli divulgatori come Enrico Bucci, moderati nei toni e poco impulsivo/emotivi.
    Il disturbo dell’adattamento è un adattamento non riuscito a una realtà percepita come non prevedibile, con diverse conseguenze sul piano psicofisico; il senso di impotenza che procura diviene rapidamente somatico, generando spesso un senso di sconforto non raramente confuso con depressione. Parliamo in realtà di un problema di “empowerment” e di gestione dello stress.
  • negli ultimi due anni ci siamo dovuti adattare a diverse restrizioni e cambi di abitudine; adattarci a una regime di costruzione e rinunce, non è stato semplice anche in termini di psicologia della coppia. Sono venuti improvvisamente a mancare i punti di fuga funzionali alla tenuta del “sistema coppia”, gli sfoghi necessari alla tenuta della coppia stessa. Il lockdown ha improvvisamente generato un obbligo di convivenza estremamente ristretta, per lo più a fronte di una realtà esterna allarmante; il clima famigliare ne è stato obbligatoriamente alterato, con conseguenze sui singoli elementi della coppia, e a cascata sui figli.
  • Tornando alla questione post traumatica, c’è da sottolineare il problema di coloro che hanno sperimentato in prima persona un ricovero per Covid, magari in una terapia intensiva. Qui troviamo individui con un PTSD conclamato, netto. Il PTSD inteso in senso più “normale”, rappresenta la risposta a un singolo trauma acuto, arrivato a creare uno spartiacque nella vita di chi lo subisca. Al di là dunque del periodo storico, troviamo qui persone realmente minacciate nella propria sicurezza dal Covid. L’esperienza di un ricovero in una condizione di isolamento sociale, o ancora peggio un’esperienza di intubazione e di fame d’aria, rappresentano esperienze altamente traumatiche in grado di procurare PTSD con tutti i sintomi annessi, anche per molto tempo dopo il loro accadere. Qui lo abbiamo spesso ripetuto: il trauma si produce nella compresenza di immobilità e terrore estremo, due elementi presenti insieme in un’esperienza di ricovero con intubazione da Covid. Su questo si vedano gli studi di Delfina Janiri per approfondire, tra cui questo.

Andando invece sugli aspetti meno evidentemente clinici, quali conseguenze hanno avuto questi 24 mesi sulla mente degli individui? Quali aspetti “sfumati” o poco evidenti hanno invece saputo impattare sulle nostre abitudini, sul nostro stile di vita?

Proviamo a raggruppare qui alcune osservazioni:

  • la realtà e le abitudini quotidiane hanno subìto negli ultimi due anni profonde trasformazioni; ci siamo abituati a immagini perlomeno inquietanti progressivamente divenute normali: le immagini di una società adattata a un periodo eccezionale, pandemico; mascherine, distanziamento; vedere persone dopo molto tempo e trovarle cambiate, fuoriuscite dal proprio personale percorso di adattamento al periodo pandemico, magari dopo anni. Questo ha un impatto, anche se difficilmente misurabile, in termini di qualità della vita percepita, di minacciosità della realtà esterna.
  • Il fatto che la realtà esterna imponga un adattamento coatto, produce delle reazioni di sovra-compensazione: questo lo spiega molto bene Nassim Taleb nel libro Antifragile. I sistemi complessi (come siamo noi, e come lo è la società) rispondono spesso in modo attivo a uno stressor, iper-compensando e in realtà attivandosi, evolvendo. Taleb la chiama proprietà di antifragilità, un concetto molto simile a quello di crescita post-traumatica. Abbiamo avuto negli ultimi mesi sentore di qualcosa in procinto di accadere, o un senso di “niente sarà più come prima”. Non sappiamo tuttavia -nel momento in cui dovesse calare il senso di urgenza o di paura, o l’adattamento alla realtà pandemica si spingesse troppo in là in termini di tempo- quanto una “reazione positiva” o “antifragile” possa continuare senza lasciare il posto in realtà a un senso di collasso, a un’implosione sia a livello di energie del singolo individuo che in termini di società presa nella sua interezza. Quello che intendo dire è che l’adattamento alla realtà della pandemia ha generato delle difficoltà nella gestione dell’energia individuale, da un lato spingendo le persone a muoversi per compensare, dall’altro svuotandole, con poco equilibrio generale in termini, appunto, di “management” energetico.
  • Un aspetto non troppo dibattuto o osservato, è il senso di precarietà esistenziale. Già prima del Covid il tema “precariato” era dibattuto e se ne parlava spesso a livello sociale; potremmo partire per tracciarne la traiettoria forse dal 2001, con l’evento dell’11 settembre, passando per il 2008 e l’inizio simbolico di un periodo di crisi economica, per arrivare al 2020 e la pandemia. Questi eventi hanno minato alla base diversi assunti che la generazione dei nati negli anni ’80 (che oggi rappresenta -in teoria- la classe dirigente e insieme una nuova leva di genitori) portava con sé, ereditata dalla generazione precedente; alcune convinzioni sono state messe progressivamente in discussione, dall’idea che la laurea portasse un lavoro sicuro nel contesto di una crescita economica infinita, per arrivare a una generale messa in discussione del senso di sicurezza sociale, minato dal terrorismo. Mettiamoci insieme anche il tema emergente della crisi climatica. Tutto questo rientra quotidianamente nei pensieri dei cittadini, parallelamente ai temi prima riportati, connessi alla pandemia, alimentando ulteriormente il senso di allarme.
  • 24 mesi di pandemia hanno coinciso con molto tempo passato in una condizione di reclusione. Per comprendere il vissuto di chi sia obbligato a stare in casa in modo forzato, abbiamo mesi fa approfondito alcuni aspetti della psicologia della carcerazione. Qua è possibile trovare i due articoli. Il tema del senso da attribuire all’esperienza della reclusione (“pur sempre tempo di vita”) così come un certo aiuto ottenuto dalle routines e dall’attività fisica, sono i punti centrali della questione.
  • Uno dei temi più importanti ultimamente, è stata la gestione dell’energia individuale connessa alle abitudini legate allo smart working. Come psicologo clinico mi sono confrontato quotidianamente in questi mesi con molte persone alle prese con un cambio praticamente totale delle abitudini di vita; giornate passate interamente a casa, soprattutto in città, trascorse lavorando e alternando tempo libero a tempo trascorso in rete; il tempo trascorso online è stato ovviamente aumentato dalle restrizioni; le persone si sono ritrovate per molto più tempo quotidianamente esposte a tutto ciò che proveniva dalla propria rete virtuale, compresi i Social. I rischi dell’uso smodato di Social sono sempre più evidenti, sia per lo sviluppo di addiction, che per il rischio di overload cognitivo (ne abbiamo scritto qui), che per il rischio di una radicalizzazione “ricorsiva” del pensiero. Se i software e gli algoritmi sono progettati appositamente per profilare e proporre agli utenti cose che già sanno, al fine di agganciarli con più forza a fini commerciali, è naturale che noi si osservi una radicalizzazione sempre più estrema del pensiero, soprattutto all’interno di certe fasce della popolazione -meno equipaggiate di pensiero critico. Tutto questo è, presa molto alla larga, un rischio per la tenuta sociale.
    Le giornate trascorse online e lavorando hanno creato diversi punti problematici: la reperibilità continua, la difficile separazione vita lavorativa/vita privata, un difficile “time boxing“, l’assenza di privacy durante le ore di lavoro; ultimamente le aziende sembrano aver introdotto maggiore regolamentazione con un più esplicito “diritto alla disconnessione”. È la vita liquida nella sua forma più estrema, senza nessun tipo di struttura o infrastruttura a salvaguardare lo stato mentale di individui in balia di pressioni lavorative rimaste inalterate, quando non aumentate. Dopo due anni osserviamo posizioni diverse, individui che hanno reagito in modo assolutamente personalizzato, in un continuum con da un lato i lavoratori finiti in burn-out, dall’altro gli entusiasti del lavoro da casa, a detta loro maggiormente produttivi e con più tempo per sé, di fatto con meno stress percepito. Tutto questo è arrivato per restare, e lo porteremo nella nostra vita quotidiana anche quando la pandemia sarà conclusa.

Oltre a questi aspetti riguardanti gli individui, è interessante fare alcune osservazioni a riguardo del lavoro da psicoterapeuta.

In questi 24 mesi ho personalmente cambiato ogni abitudine riguardante il lavoro da terapeuta. Dopo due anni mi rendo conto di come il lavoro online si presti a un lavoro di psicoterapia altrettanto efficace, ma di tipo diverso. Il lavoro di psicoterapia online ha regole e modalità diverse; voler rimanere aderenti a una concettualizzazione classica del setting, rischia di farci perdere le possibilità che questa tipologia di lavoro porta con sé.

Nei primi sei mesi del 2020 abbiamo osservato una reticenza ad accettare l’avvento di una tipologia di sedute fatte online, da parte della comunità più ortodossa del gruppo degli psicologi clinici, spesso di derivazione psicoanalitica. Da parecchio tempo la comunità psicoanalitica tenta di mantenere vivo il fuoco sacro del setting freudiano, di fatto chiudendosi a contaminazioni che le sarebbero vitali, visto il suo lento scomparire progressivo a favore di approcci più moderni (anche se non necessariamente più efficaci). In seguito, dopo i primi mesi di pandemia, anche tra questi colleghi sembrò farsi strada l’idea che qualcosa si potesse fare, e che il lavoro di supporto dovesse continuare anche durante la pandemia -anzi, soprattutto durante la pandemia.

Alcune osservazioni sul tema:

  • il lavoro degli psicologi clinici è in questi due anni aumentato in modo vistoso, essendosi moltiplicata la domanda di ascolto da parte delle persone, per lo più rinchiuse in casa. Personalmente collaboro con il Centro Medico Santagostino di Milano, che come qui approfondito ha aumentato in modo esponenziale il lavoro di psicoterapia online, arrivando ad aprile del 2020 a erogare più di 17000 colloqui di psicoterapia mensili (con un’equipe di più di 300 psicoterapeuti); questo ci dà una prima impressione di quanto il lavoro di supporto sia stato necessario, soprattutto in quella fase di emergenza; attualmente, la “curva” delle richieste di terapia sembra crescere in modo continuativo
  • negli ultimi due anni (e in particolare nelle prime fasi della pandemia) sembra esserci stato uno sdoganamento delle tematiche legate alla salute mentale, anche a partire dalle istituzioni, con la conseguenza di avvicinare persone che mai avrebbero pensato di chiedere una consultazione con uno specialista, all’ambiente della psicoterapia. Questo è stato possibile anche grazie ai prezzi calmierati delle piattaforme che hanno cominciato a erogare ed erogano psicoterapia (con costi intorno ai 40 euro -teniamo presente che per una città come Milano i costi superano spesso gli 80€).
  • le piattaforme di psicoterapia (Centro Medico Santagostino, Serenis) hanno popolarizzato la psicoterapia, raccogliendo un bisogno che il sistema sanitario pubblico, al momento, non è in grado di soddisfare, vista la situazione degradata in cui versa, con pochissimi psicologi assunti in Asl e psicoterapie necessariamente brevi (qui un approfodimento su questo).
  • il setting del lavoro dello psicoterapeuta online, è un setting differente dagli altri. Vi sono vantaggi e svantaggi. I vantaggi sono rappresentati dalla comodità di fruizione del servizio e dalla minore intrusività di un incontro mediato dal device tecnologico, che permette un contatto oculare meno diretto, più mediato appunto. Da molte parti è arrivata l’osservazione che una seduta di psicoterapia fatta di fronte a uno schermo, sembri essere stata in grado di favorire la riflessione e la libera associazione, un po’ come quando, dal vivo, si usa un lettino (che evitando il contatto oculare, lascia il paziente in compagnia del suo pensiero, libero di ragionare e associare). Come vantaggio/svantaggio, potremmo indicare la possibilità di evitare di esporre il proprio corpo: non a tutti i pazienti piace, pur rappresentando una fonte di informazione notevole per il terapeuta.
    Questo tipo di colloqui, introducono il terapista all’interno dell’ambiente quotidiano del paziente, come fosse un colloquio a domicilio, riportando il “contesto” del paziente all’interno del lavoro di esplorazione psicoterapica, fornendo insomma informazioni ed elementi in più. Resta da capire quanto in realtà al paziente possa essere di giovamento non staccarsi dal suo ambiente di appartenenza: la psicoterapia dovrebbe rimanere un luogo protetto, “altro”, uno spazio che, per interferire con la vita nella sua quotidianità, dovrebbe essere percepito appunto come un “altrove”, spesso rappresentato dallo studio dello stesso terapeuta.
    In breve, ci sono vantaggi e svantaggi. La psicoterapia online dovrebbe essere considerata un modo della terapia, una modalità di esplicarsi del lavoro del terapeuta, con caratteristiche peculiari, da declinare a seconda del problema portato dal paziente (per esempio un paziente gravemente traumatizzato che necessiti di EMDR, troverebbe più benefici da un percorso effettuato dal vivo). Consideriamo infine i vantaggi generali della comodità fisica, e del minore costo.

ASPETTI CONCLUSIVI

Viste le questioni prima elencate, mi sembra interessante poter aggiungere alcuni punti di riflessione intorno al tema “psicoterapia e salute mentale” relativamente a questo periodo, ormai “eccezionale” da due anni a questa parte:

  • la salute mentale rappresenta un punto centrale della vita di un Paese: la pandemia ce lo ha ricordato, e ce lo ricorderà soprattutto quando l’”iper-compensazione” da evento traumatico avrà lasciato definitivamente il posto alle reazioni simil-depressive, cosa che sta già avvenendo; il fatto che gli organi di governo non colgano come centrale questo aspetto, è purtroppo un segnale nefasto; mi riferisco con questo al taglio del “bonus psicologo”
  • la socialità, la cura della propria salute psicofisica, le sindromi da reclusione, sono aspetti eclatanti di questo periodo, ma non sono gli unici; difficili da “misurare” ma altrettanto importanti, gli aspetti sfumati, la difficoltà di staccare da un lavoro estremamente richiedente, lo stress da iper-reperibilità e il disturbo dell’adattamento, il disinvestimento dall’esplorazione; di questo ci si dovrà occupare centralmente nei prossimi mesi, in termini di salute mentale, oltre ai “macro-temi” del post-trauma e delle generiche “sindromi ansioso-depressive”
  • la cura della comunicazione e del modo in cui viene fatta, è un punto importante; si spera che questa pandemia produca una crescita in questo senso, verso uno stile comunicativo che metta al centro la qualità dell’esperienza del fruitore anche in senso emotivo; l’impressione è che il giornalismo attuale sia sempre più condizionato da logiche di tipo economico, finendo per diventare entertainment: personalmente mi chiedo sempre più di frequente quanto un articolo sia scritto in un certo modo per raccontare il “vero”; o invece non voglia solo vendermi un trigger per un’emozione che mi spinga ad acquistare qualcosa o a reagire di pancia concedendo altro tempo e attenzione alla piattaforma che me lo propone. Per fortuna è in atto anche in questo settore uno sfoltimento in un certo modo “darwiniano”, con testate premiate o meno dal livello di qualità e valore prodotto.

Qui un approfondimento ulteriore.


Ps tutto il materiale su trauma e dissociazione presente su questo blog è consultabile cliccando sul bottone a inizio pagina (o dal menù a tendina) #TRAUMA.

Article by admin / Editoriali / psicotraumatologia, raffaeleavico

22 May 2021

CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA: UN CONVEGNO ONLINE CON VALERIO ROSSO, MARCO CREPALDI, LUCA PROIETTI, BERNARDO PAOLI, GENNARO ROMAGNOLI

di Raffaele Avico

Si è svolto il 21 maggio 2021 un convegno online moderato da Il Foglio Psichiatrico, patrocinato dall’associazione Pre.zio.sa di Torino (con la presenza di Maria Peano), che ha visto la partecipazione di alcuni esperti di salute mentale presenti in forme diverse in Rete, intorno al tema “CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA”, sul divario cioè creatosi in questo anno di pandemia tra l’approccio alla salute come corpo e l’approccio alla salute mentale degli individui -grande “elefante nella stanza”.

Riassumendo in breve i singoli interventi:

  1. VALERIO ROSSO ha parlato di stile di vita, cambiamenti di abitudine e visione integrata mente/corpo per l’approccio alla salute mentale. Ritiene inoltre debba essere svolto un lavoro di misurazione e valutazione “lenta” dei dati clinici che quest’anno di pandemia ci fornirà, senza inutili sensazionalismi. Emerge come pilastro clinico il concetto di disturbo dell’adattamento (qui per approfondire)
  2. GENNARO ROMAGNOLI ha parlato di Mindfulness e regolazione emotiva mediata da questa pratica. Ha portato molti degli argomenti che tratta nel suo blog e podcast “storico” PSINEL
  3. LUCA PROIETTI ha tentato di chiarire l’importanza di una buona diagnosi differenziale tra disturbi d’ansia e dell’umore e, di nuovo, il disturbo dell’adattamento (qui per approfondire)
  4. MARCO CREPALDI ha ragionato a proposito del tema “hikikomori”, osservando da una prospettiva “sociale” alcuni cambiamenti in atto già presenti prima della pandemia, problematizzando -tra le altre cose- il tema dell’impatto sulla mente degli individui dell’esposizione massiva in senso mediatico a cui siamo sottoposti quotidianamente (qui per approfondire)
  5. BERNARDO PAOLI ha infine portato uno studio di ricerca quantitativa sulla sua esperienza di terapia a distanza nel corso della pandemia (e prima), osservando quanto il lavoro online sia una strada percorribile, sicura ed efficace (ne abbiamo scritto e parlato a fondo qui). Per approfondire il lavoro di Bernardo Paoli

Al di là dei singoli apporti personali, declinati attraverso tematiche “core” per i singoli individui, alcuni punti emersi sono stati:

  1.  il grande elefante della stanza in senso clinico, come prima accennato, è il disturbo dell’adattamento; si è parlato in questo anno di epidemia di depressione, ansia, panico, insonnia, per lo più a sproposito: in realtà la cittadinanza si è confrontata con la necessità di adattarsi a una realtà cangiante, poco prevedibile e percepita come allarmante; l’area clinica è dunque l’area della gestione della stress, del management energetico e dei disturbi post traumatici (tra cui, appunto, il disturbo dell’adattamento)
  2. esiste la necessità -per il prossimo futuro- di migliorare tutto ciò che concerne l’”educazione scientifica”, intesa come comunicazione e divulgazione della scienza ed educazione all’utilizzo delle fonti da parte della cittadinanza, presa nel frullatore di una comunicazione sensazionalistica e impulsiva soprattutto a riguardo del Covid19
  3. la pandemia sembra aver impresso un’accelerata a un processo che socialmente osservavamo già prima del 2020; la pressione costante a uno stile di vita omologato, standard, votato al consumo per lo più solitario, sembra essere stato sospinto agli estremi dalle limitazioni sanitarie accorse negli ultimi mesi; il fenomeno Hikikomori inteso come “assetto mentale” sembra paradigmatico: la percezione di un “dentro sicuro” contrapposto a un “esterno pericoloso” ha trovato terreno fertile negli ultimi mesi, essendosi spostata la comunicazione per lo più su piattaforme digitali, in grado come sappiamo di polarizzare gli individui, radicalizzandoli su posizioni spesso estreme. Questi aspetti di “psicologia sociale” rappresentano elementi sfumati e poco indagabili in senso quantitativo, pur essendo probabilmente il vero elemento centrale che meriterebbe una seria analisi: il rischio sembra essere in fin dei conti la degradazione delle forme più virtuose di relazione sociale. Ci si dovrebbe inoltre interrogare sul potere intossicante dei Social Media, presi nella loro totalità.

L’incontro è visibile qui:


Ps tutto il materiale su trauma e dissociazione presente su questo blog è consultabile cliccando sul bottone a inizio pagina (o dal menù a tendina) #TRAUMA. Qui invece l’area membri/Patreon per sostenere il blog, in cambio di contenuti dedicati (4€/mese)

Article by admin / Editoriali, Generale / psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia, PTSD

4 May 2021

Psicologia digitale e pandemia COVID19: il report del Centro Medico Santagostino di Milano dall’European Conference on Digital Psychology (ECDP)

 
di Sara Di Croce (Psicoterapeuta del Centro Medico Santagostino ) e Raffaele Avico

PREMESSA IMPORTANTE: QUESTO ARTICOLO É STATO PUBBLICATO IN ORIGINALE SUL BLOG LA FINESTRA SULLA MENTE DEL CENTRO MEDICO SANTAGOSTINO, MILANO, QUI

Dopo un anno di pandemia, cosa rimane della vecchia psicoterapia, e quanto emerge dai colloqui fatti a distanza?

In concomitanza con l’esplosione della pandemia di CoViD-19, il Centro Medico Santagostino di Milano ha dovuto puntare fortemente sulla psicoterapia online, introducendo nel lavoro quotidiano nuove soluzioni, con un forte ripensamento della prassi clinica.

Anche se il nostro centro medico offriva da tempo la possibilità di svolgere una psicoterapia online, infatti, nel 2020 il numero di sedute svolte da remoto ha registrato picchi mai visti.

Abbiamo cercato di sfruttare questa rivoluzione per raccogliere dati utili e capire dove sta andando la pratica clinica psicoterapeutica. Questo approfondimento riassume e racconta i dati presentati dai clinici del Santagostino all’European Digital Conference on Psychology.

In generale, è stato riscontrato un calo delle visite settimanali del 17,4 per cento durante il primo periodo di lockdown (marzo-maggio 2020). Tuttavia, nel complesso è stato possibile mantenere fino al 90 per cento delle visite totali, grazie a un sistema di videoterapia che era già implementato e utilizzato dai nostri psicologi.

Soprattutto per quanto riguarda la psicoterapia, i pazienti hanno dimostrato un rapido adattamento alla videoterapia, favorito dalla paura del contagio e dalla scelta del centro di limitare il più possibile l’attività clinica in presenza per tutelare i dipendenti.

I vissuti dei terapeuti

Attraverso l’utilizzo di questionari self-report è stato rilevato che l’esperienza del terapeuta correla positivamente con la possibilità dei pazienti di accedere alla videoterapia e di trarne giovamento. Al contrario, bassa esperienza del terapeuta, scetticismo o difficoltà di accesso ai device possono rappresentare fattori critici. I dati confermano una buona accettazione della videoterapia (VT) da parte dei pazienti, in modo coerente con quanto riportato in letteratura (Carpenter, Pincus et al., 2018). I dati sono anche in linea con quelli di (Perrin et al. 2020), che descrivono una simile transizione alla VT durante la pandemia di Covid-19 negli Stati Uniti, al Dipartimento di Psicologia della Virginia Commonwealth University.

Il “ritorno al futuro” della pratica clinica

A causa – o forse grazie alla – pandemia, abbiamo assistito a un’accelerazione notevole nel percorso di integrazione tra reale e virtuale, forse di dieci o venti anni.

Come psicoterapeuti del Santagostino ci siamo trovati a dover ridiscutere il “setting clinico” costruendo nel frattempo nuove modalità di lavoro, più snelle anche se forse meno ricche sul piano umano. Ogni settimana abbiamo fatto colloqui con persone chiuse in piccole stanze, o in appartamenti in cui la privacy era molto scarsa. Alcuni si collegavano dal bagno, o dall’automobile, o ancora, da uffici svuotati del personale.

In altre circostanze le persone trovavano isole di privacy durante passeggiate nel circondario, connettendosi in movimento.

A distanza di un anno, al Santagostino le prassi di lavoro inerenti la psicoterapia a distanza sembrano consolidate e la “macchina” organizzativa funzionale e ben rodata.

Può essere utile a chi si trova a lavorare in circostanze simili dare un’occhiata ad alcuni grafici che raccontano l’andamento delle psicoterapie al Santagostino negli ultimi due anni.

Qui sotto abbiamo riassunto i dati più significativi.

Fig. 1 Le visite psicologiche al Santagostino nel periodo gennaio 2019 – gennaio 2021

Nel grafico in figura 1 è possibile notare un andamento crescente delle richieste di psicoterapia al Santagostino, in progressione costante a partire da gennaio 2019.

Marzo 2020 corrisponde a un’impennata delle richieste, che fino a quel momento invece erano cresciute con andamento più regolare.

Fig. 2 Le visite psicologiche riferite alla sola videoterapia al Santagostino nel periodo gennaio 2019 – gennaio 2021

Nell’immagine in figura 2 si osserva una crescita esponenziale delle richieste di videoterapia. Questo dato è contestuale alle restrizioni sanitarie imposte a marzo 2020, che ha comportato una rapida e obbligatoria conversione del lavoro psicoterapico: le terapie in presenza sono state sospese e tramutate – quando possibile – in psicoterapie online.

Scorporando le due tipologie di psicoterapia (dal vivo e online), osserviamo che le psicoterapie online mensili sono passate da meno di 700 a quasi 18000 in soli due mesi (da febbraio ad aprile 2020).

Salute mentale: da tabù ad argomento centrale di discussione

Al di là degli aspetti numerici, abbiamo negli scorsi 12 mesi rilevato la tendenza a un maggior accesso ai servizi di psicologia.

Anche se in modo a volte confuso e incongruo, molte istituzioni hanno messo l’accento sulla necessità di prendersi cura della propria salute mentale.

Nel complesso, abbiamo assistito a uno sdoganamento significativo dell’idea di ricorrere a uno psicologo, facilitata e soprattutto legittimata dal vivere tutti le grandi difficoltà connesse alla pandemia Covid19.

Insieme a questi aspetti, il proliferare di servizi gratuiti e l’apparente semplificazione dell’accesso alle psicoterapie, sembrano aver facilitato l’arrivo di persone con domande di cura poco strutturate. A volte l’impressione è stata quella di trovarsi di fronte ad aspettative “magiche”. Internet ha sostituito totalmente gli spazi aggregativi dedicati all’intrattenimento, alla socialità, al lavoro, e crediamo che questo abbia favorito fantasie di una terapia “senza sforzo”.

Ci sembra necessario dunque fare un resoconto per punti di ciò che per noi ha significato cambiare in modo così radicale le prassi di lavoro, e ragionare sulle nuove forme e modalità di lavoro che abbiamo dovuto adottare nel corso del primo anno di pandemia.

I maggiori cambiamenti nel lavoro clinico

I cambiamenti più significativi che abbiamo osservato nel lavoro clinico riguardano le motivazioni sottostanti la richiesta di accesso.

Andiamo per gradi.

Il setting 

Se prima della pandemia il setting clinico era la stanza d’analisi o di psicoterapia – con le sue poltroncine e/o la scrivania – al suo posto esistono ora schermi e smartphone, auricolari, cuffie bluetooth, IPhone messi in verticale su tavoli di cucina, tra laptop e bottiglie d’acqua.

Se tuttavia i colloqui possono essere svolti, e rappresentare allo stesso modo uno strumento di aiuto psicologico, è forse da ripensare l’ortodossia del setting in sé. Non parliamo più di uno spazio fisico, ma di un assetto relazionale: il setting è prima di tutto una posizione relazionale adottata tra paziente e terapeuta, un modo di ascoltare, costruito dal focalizzare l’attenzione sul paziente in quell’ora di colloquio.

La distruzione dello “spazio differenziato” imposto dalla permanenza forzata in casa – luogo ibrido, sede di tutte le attività del soggetto -, ha imposto un differente criterio di organizzazione delle attività quotidiane, legata alla divisione del tempo in slot. Se l’organizzazione spaziale non è possibile, allora è il tempo a essere reso “spazio”, per mezzo di un artificio cognitivo funzionale ma compensatorio, che permetta una maggiore organizzazione del pensiero.

Decompressione impossibile

Il problema di trovare luoghi di decompressione è diventato primario per diverse persone.In spazi stretti, vissuti in coppia o in famiglia, sono venuti a mancare luoghi di decompressione e apertura. Luoghi pubblici che prima rivestivano questa funzione (bar, palestra, circoli ricreativi) sono divenuti inaccessibili.

Il risultato sembra essere una generalizzata difficoltà a trovare spazi in cui scaricare lo stress e allontanarsi dai problemi.

Invasività e confini

Connesso al punto precedente, la questione dei confini. Confini violati in senso prima di tutto spaziale/ambientale, poi in senso psicologico. Ma anche confini violati in termini di poca differenziazione tra tempo libero e tempo dedicato al lavoro, con un senso di reperibilità continua. Violazioni di confine psichico producono senso di disgregazione, disfacimento identitario, confusione tra i propri pensieri e quelli dell’”altro”, difficoltà a perseguire i propri obiettivi, dispersione di energia.

Difficoltà di regolazione somatica

Con particolare riferimento al sonno, problema dilagante. La pandemia ha alzato il senso di allerta, producendo senso di poca prevedibilità e paura del futuro. Dormire di un sonno peggiore, più frammentato, è stata la naturale conseguenza su scala nazionale. Il Santagostino ha, a proposito di questo, attivato un servizio di presa in carico specifico.

Reperibilità continua

Come prima accennato, la questione della reperibilità continua ha reso più labili i confini tra vita privata e lavorativa. Molte persone nei colloqui clinici hanno riportato con regolarità la percezione di sentire invaso il proprio tempo libero, a causa di mail, messaggi, richieste fuori orario, con una vita privata continuamente “bucata” da questioni professionali ansiogene, anche qui con una dispersione enorme di energia e quote di stress elevate. Non sembra esserci più riparo dalla reperibilità continua, non pagata e frustrante. Questi aspetti sono ben argomentati nel libro Lavorare (da casa) stanca di Nicola Zamperini, curatore dell’interessante blog “Disobbedienze”, così come in Cronofagia di Davide Mazzocchi (che abbiamo recensito qui)

Enclothed cognition

Il concetto di enclothed cognition (letteralmente “cognizione indossata”, a indicare l’impatto del vestiario sulla cognizione) è emerso ragionando sulla necessità di strutturare nuove prassi di lavoro da remoto. Enclothed cognition significa che a volte “è l’abito a fare il monaco”: indossare abiti da lavoro aiuta cioè ad assumere un differente assetto mentale, gestendo meglio l’energia da dedicare al lavoro. Il problema anche qui è formale: avendo il lockdown ridotto il ricorso ad artifici ambientali volti a rendere più produttivi e attivi, serviva (serve, servirà) un espediente mentale per aumentare l’efficienza. Il “come vestirsi” stando in casa per lavorare è uno dei problemi dei liberi professionisti che già prima lavoravano da casa (grafici, architetti, scrittori). Ne parla bene ad esempio Haruki Murakami nel suo Il mestiere dello scrittore. Sulla enclothed cognition si veda questo video. Per approfondire.

I problemi psicologici più legati alla pandemia

Lo “stop” pandemico forzato ha avuto ricadute profonde su tutta una serie di pensieri che prima tendevamo a evitare. Di fatto, ci ha obbligati tutti a contattare contenuti mentali scomodi, luttuosi, depressivi. Problemi mai veramente affrontati, conflitti interni mai risolti. La stasi obbligata ha creato un contenitore di pensiero che sembra in un certo senso aver distorto il senso del tempo, con la sensazione di un “limbo”, di un interregno, di una realtà sospesa, con però un aumentato senso di consapevolezza su ciò che prima eravamo.

Quali sono i temi che abbiamo osservato lavorando con persone arrivate al Santagostino in questo primo anno di pandemia Covid? Ecco alcuni spunti.

Ansia sociale

Le persone che prima della pandemia soffrivano di problematiche sociali (fobie sociali e scolastiche per esempio, problemi di ritiro sociale come gli Hikikomori), hanno trovato nella nuova normalità ritirata, una legittimazione e insieme un riconoscimento delle proprie difficoltà psichiche, migliorando vistosamente in termini psicopatologici. Questi individui hanno vissuto le chiusure progressive con senso di controllo e con una relativa serenità: gli “altri” avrebbero finalmente capito come si sta in casa, cosa vuol dire sentire l’isolamento, come si impara a bastare a se stessi.

Regressione

L’intervento del Governo a regolamentare le chiusure e le regole sociali, è stato in grado di promuovere movimenti di regressione psichica. Auto-indursi dei limiti tramite pratiche di rinuncia o auto-disciplina, presuppone una scelta ragionata da parte dell’individuo e la libertà di poter sgarrare alle stesse regole a cui ci si assoggetta. Qui invece parliamo di un limite posto da qualcosa di esterno, come un intervento “genitoriale” radicale eseguito su un bambino impotente.
É un limite in grado di produrre regressione a stati mentali infantili, il più verosimile degli “interventi paterni”. La regressione può produrre senso di castrazione e soffocamento, ma in questo caso sentire la presenza di un limite reale (come il coprifuoco serale) ha avuto un effetto ansiolitico nei soggetti che sembravano in difficoltà nell’amministrare la propria libertà.

Difficoltà nel creare nuove relazioni

Un elemento da non sottovalutare è la problematicità insita nel conoscere persone nuove/intrecciare relazioni di coppia in questo frangente storico. Sono venuti meno i luoghi di normale messa in scena dell’avvio di un rapporto di coppia. Inoltre permane una diffidenza verso gli altri, ereditata nei primi mesi di pandemia. Sarà interessante vedere l’evoluzione e l’esito di questi atteggiamenti quando la pandemia, gradualmente, si concluderà (il distanziamento sociale stesso, la differente prossemica, gesti divenuti automatici come sollevare la mascherina all’incrociare un altro individuo in una strada vuota, gli automatismi legati all’igiene delle mani).

Il tema della buona comunicazione

In ultimo, ma non per importanza, il problema della comunicazione.

Il 2020 ha evidenziato un problema di comunicazione inefficiente, i cui effetti sulla salute mentale dei cittadini sono difficilmente dimostrabili, ma sicuri.

In questi ultimi mesi, la contraddittorietà delle informazioni riguardanti il Covid, i titoli clickbait, informazioni pompate in modo sensazionalistico dalle più autorevoli testate italiane e sottoposte alla nostra attenzione centinaia di volte al giorno, hanno avuto un impatto negativo costante.Il problema della comunicazione di qualità è sempre più attuale.

In questo scenario fosco si elevano poche eccezioni (Il Post) insieme alla categoria dei divulgatori come Roberta Villa, Enrico Bucci, Burioni, Entropy for Life, Biologi per la scienza, in grado di veicolare informazioni chiare e coerenti. Veri fari nella notte in questi ultimi mesi.

QUI IL SITO DEL CENTRO MEDICO SANTAGOSTINO.


Ps tutto il materiale su trauma e dissociazione presente su questo blog è consultabile cliccando sul bottone a inizio pagina (o dal menù a tendina) #TRAUMA. Qui invece l’area membri/Patreon per sostenere il blog, in cambio di contenuti dedicati (4€/mese)

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  • OLTRE IL DSM: LA TASSONOMIA GERARCHICA DELLA PSICOPATOLOGIA. DI COSA SI TRATTA?
  • LIMITARE L’USO DEI SOCIAL: GLI EFFETTI BENEFICI SUI LIVELLI DI DEPRESSIONE E DI SOLITUDINE
  • IL PTSD IN VIDEO
  • PILLOLE DI EMPOWERMENT
  • COME NASCE LA RAPPRESENTAZIONE DI SÈ? UN APPROFONDIMENTO
  • IL CAFFÈ CI PROTEGGE DALL’ALZHEIMER?
  • PER AVERE UNA BUONA AUTISTIMA, OCCORRE ESSERE NARCISISTI?
  • LA MENTE ADOLESCENTE di Daniel Siegel
  • TALVOLTA È LA RASSEGNAZIONE DEL TERAPEUTA A RENDERE RESISTENTE LA DEPRESSIONE NEI DISTURBI NEURODEGENERATIVI – IMPLICAZIONI PRATICHE
  • Costruire un profilo psicologico a partire dal tuo account Facebook? La scienza dietro alla vittoria di Trump e al fenomeno Brexit
  • L’effetto placebo nel Morbo di Parkinson. È possibile modificare l’attività neuronale partendo dalla psiche?
  • I LIMITI DELL’APPROCCIO RDoC secondo PARNAS
  • COME IL RICORDO DEL TRAUMA INTERROMPE IL PRESENTE?
  • SISTEMI MOTIVAZIONALI INTERPERSONALI E TEMI DI VITA. Riflessioni intorno a “Life Themes and Interpersonal Motivational Systems in the Narrative Self-construction” di Fabio Veglia e Giulia di Fini
  • IL SOTTOTIPO “DISSOCIATIVO” DEL PTSD. UNO STUDIO DI RUTH LANIUS e collaboratori
  • “ALCUNE OSSERVAZIONI SUL PROCESSO DEL LUTTO” di Otto Kernberg
  • INTRODUZIONE ALLA MOVIOLA DI VITTORIO GUIDANO
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI DANIEL SIEGEL
  • DALL’ADHD AL DISTURBO ANTISOCIALE DI PERSONALITÀ: IL RUOLO DEI TRATTI CALLOUS-UNEMOTIONAL
  • UNO STUDIO SUI CORRELATI BIOLOGICI DELL’EMDR TRAMITE EEG
  • MULTUM IN PARVO: “IL MONDO NELLA MENTE” DI MARIO GALZIGNA
  • L’EFFETTO PLACEBO COME PARADIGMA PER DIMOSTRARE SCIENTIFICAMENTE GLI EFFETTI DELLA COMUNICAZIONE, DELLA RELAZIONE E DEL CONTESTO
  • PERCHÈ L’EFFETTO PLACEBO SEMBRA ESSERE PIÙ DEBOLE NEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO: UN APPROFONDIMENTO
  • BREVE REPORT SUL CONCETTO CLINICO DI SOLITUDINE E SUL MAGNIFICO LAVORO DI JT CACIOPPO
  • SULL’USO DEGLI PSICHEDELICI IN PSICHIATRIA: L’MDMA NEL TRATTAMENTO DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO
  • LA LENTE PSICOTRAUMATOLOGICA: GLI ASSUNTI EPISTEMOLOGICI
  • PREVENIRE LE RECIDIVE DEPRESSIVE: FARMACOTERAPIA, PSICOTERAPIA O ENTRAMBI?
  • YOUTH IN ICELAND E IL COMUNE DI SANTA SEVERINA IN CALABRIA
  • FILTRO AFFETTIVO DI KRASHEN: IL RUOLO DELL’AFFETTIVITÀ NELL’IMPARARE
  • DIFFIDATE DELLA VOSTRA RAGIONE: LA PATOLOGIA OSSESSIVA COME ESASPERAZIONE DELLA RAZIONALITÀ
  • BREVE STORIA DELL’ELETTROSHOCK
  • TALVOLTA É LA RASSEGNAZIONE DEL TERAPEUTA A RENDERE RESISTENTE LA DEPRESSIONE NEI DISTURBI NEURODEGENERATIVI
  • LO STATO DELL’ARTE SUGLI EFFETTI DELL’ATTIVITÀ FISICA NEL PTSD (disturbo da stress post-traumatico)
  • DIPENDENZA DA INTERNET: IL RITORNO COMPULSIVO ON-LINE
  • L’EVOLUZIONE DELLE RETI NEURALI ASSOCIATIVE NEL CERVELLO UMANO: report sullo sviluppo della teoria del “tethering”, ovvero di come l’evoluzione di reti neurali distribuite, coinvolgenti le aree cerebrali associative, abbia sostenuto lo sviluppo della cognizione umana
  • COMMENTO A “PSICOPILLOLE – Per un uso etico e strategico dei farmaci” di A. Caputo e R. Milanese, 2017
  • L’ERGONOMIA COGNITIVA NEL METODO DI MARIA MONTESSORI
  • SUL COSTRUTTIVISMO: PERCHÉ LA SCIENZA DEVE RICERCARE L’UTILE. Un estratto da Terapia Breve Strategica di Paul Watzlawick e Giorgio Nardone
  • IN MORTE DI GIOVANNI LIOTTI
  • ALL THAT GLITTERS IS NOT GOLD. APOLOGIA DELLA PLURALITÀ IN PSICOTERAPIA ATTRAVERSO UN ARTICOLO DI LEICHSERING E STEINERT
  • COMMENTO A:  ON BEING A CIRCUIT PSYCHIATRIST di JA Gordon
  • KERNBERG: UN AUTORE IMPRESCINDIBILE, PARTE 2
  • IL PRIMATO DELLA MANIA SULLA DEPRESSIONE: “LA MANIA È IL FUOCO E LA DEPRESSIONE LE SUE CENERI”.
  • IL CESPA
  • COMMENTO A LUTTO E MELANCONIA DI FREUD
  • LA DEFINIZIONE DI SOTTOTIPI BIOLOGICI DI DEPRESSIONE FONDATA SULL’ATTIVITÀ CEREBRALE A RIPOSO
  • BORSBOOM: PER LA SEPARAZIONE DEI MODELLI DI CAUSALITÀ RELATIVI AL MODELLO MEDICO E AL MODELLO PSICHIATRICO, E SULLA CAUSALITÀ CIRCOLARE CHE REGOLA I RAPPORTI TRA SINTOMI PSICOPATOLOGICI
  • IL LAVORO CON I PAZIENTI GRAVI: IL QUADRO BORDERLINE E LA DBT
  • INTERNET ADDICTION, ALCUNI SPUNTI DAL LAVORO DI KIMBERLY YOUNG
  • EMDR: LO STATO DELL’ARTE
  • PTSD, UNA DEFINIZIONE E UN VIDEO ESPLICATIVO
  • FLASHBULB MEMORIES E MEMORIE TRAUMATICHE, UN APPROFONDIMENTO
  • NUOVA PSICHIATRIA, RDoC E NEUROPSICOANALISI
  • JACQUES LACAN, LA CLINICA PSICOANALITICA: STRUTTURA E SOGGETTO di Massimo Recalcati, 2016
  • DGR 29: alcune riflessioni su quello che sembra un passo indietro in termini di psichiatria pubblica
  • L’ATTUALITÀ DI PIERRE JANET: “La psicoanalisi”, di Pierre Janet
  • PSICOPATIA E AGGRESSIVITÀ PREDATORIA, LA VERSIONE DI GIOVANNI LIOTTI (da “L’evoluzione delle emozioni e dei Sistemi Motivazionali”, 2017)
  • LA GESTIONE DEL CONTATTO OCULARE IN PAZIENTI CON PTSD
  • MARZO 2017: IL CONSENSUS STATEMENT SULL’UTILIZZO DI KETAMINA NEI CASI DI DISORDINI DELL’UMORE APPARENTEMENTE NON TRATTABILI
  • IL CERVELLO TRIPARTITO: LA TEORIA DI PAUL MACLEAN
  • IL CIRCUITO DI RICOMPENSA NELL’AMBITO DEI PROBLEMI DI DIPENDENZA
  • OTTO KERNBERG: UN AUTORE IMPRESCINDIBILE
  • TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SULLE MNEMOTECNICHE (MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE)
  • LA CURA DEL SE’ TRAUMATIZZATO di Lanius e Frewen, 2017
  • EFFICACIA DI UN BREVE INTERVENTO PSICOSOCIALE PER AUMENTARE L’ADERENZA ALLE CURE FARMACOLOGICHE NELLA DEPRESSIONE
  • PSICOTERAPIE: IL DIBATTITO SU FATTORI COMUNI E SPECIFICI A CONFRONTO

IL BLOG

Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

A CURA DI:

  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
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