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Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in psichiatria e psicoterapia

13 February 2018

IL LAVORO CON I PAZIENTI GRAVI: IL QUADRO BORDERLINE E LA DBT

di Raffaele Avico

Il lavoro con i pazienti gravi comprende il confrontarsi con problematiche psichiatriche che non sono totalmente spiegate, né totalmente sotto controllo da parte della scienza medica. Avere a che fare per esempio con pazienti che soffrono di disturbi gravi dell’umore ci confronta continuamente con l’impotenza dei mezzi che la psichiatria e la psicologia clinica hanno a disposizione come strumenti di intervento elettivo. Genericamente sappiamo che gli interventi più efficaci paiono essere gli interventi multi-professionistici, in cui si tenta di attaccare i sintomi più invalidanti da più direzioni contemporaneamente, che è una sorta di compensazione al fatto che non si conosce l’origine unica del disturbo. Si tenta dunque di mettere più risorse in campo e di usare approcci in prima linea farmacologici (mediati dalla figura dello psichiatra), quindi psicoterapici ed educativi, che possano aiutare la persona a trovare un equilibrio sia in senso neurofisiologico, che psicologico, insieme a un discreto e auspicabile inserimento in società e quindi un supporto nei termini di appartenenza a una comunità (elemento questo trascurato ma centrale, purtroppo lontano dall’essere attuabile).

ALCUNE RIFLESSIONI

Uno dei quadri clinici più frequentemente riscontrato, e più complesso nelle sue sfumature nosografiche e di difficile gestione, è il “disturbo borderline”, che un tempo veniva definito come a cavallo tra la psicosi e la nevrosi, e che oggi ha acquisito una caratterizzazione più complessa. Alcuni suoi aspetti sono:

  • l’instabilità del soggetto, che si manifesta sul piano relazionale e del tono umorale, come elemento diagnosticamente centrale
  • la predominanza della rabbia come emozione prevalente che regola e caratterizza la vita del paziente, rabbia che interviene a regolamentare l’andamento delle relazioni del soggetto, che si presentano come esplosive o bruciate. A tal proposito, i pazienti borderline hanno difficoltà a mantenere i rapporti duraturi perchè è tanto forte l’intensità dell’investimento sull’altro, da rendere ogni relazione troppo intensa e troppo carica di aspettative-emozioni in gioco: il tutto finisce spesso con una rottura, come un’onda anomala che ricade su se stessa
  • i manuali di psichiatria psicodinamica parlano del soggetto borderline facendo riferimento alla posizione schizo-paranoide teorizzata da Melanie Klein, psicoanalista inglese che osservò in questi soggetti la tendenza a comportarsi in senso relazionale usando modalità primitive o infantili (non riuscendo a integrare le parti buone con le parti cattive all’interno dello stesso oggetto relazionale, e oscillando quindi tra emozioni di segno opposto, per esempio tra una forte passione e sentimenti di svalutazione e rabbia): Melanie Klein chiamava la posizione alternativa a quella schizo-paranoide “depressiva”, ovvero che consente di integrare i diversi aspetti di uno stesso oggetto in una visione più allargata e adulta tale da consentire l’instaurare di rapporti di durata maggiore
  • i soggetti borderline paiono aver familiarità con tutto ciò che riguarda la gestione corporea dell’impulsività e l’uso del corpo a fini regolativi (cioè di regolazione, o di “normalizzazione” dell’emotività): c’è un ricadere della malattia sul corpo (autolesionismo, familiarità con le sostanze d’abuso e spesso dipendenze in corso -che peggiorano l’andamento irregolare del tono dell’umore-, problematiche di tipo alimentare soprattutto per le donne)
  • La difficoltà per un paziente borderline è cavalcare il tumulto emotivo senza procurarsi enormi sbalzi d’umore (passando per esempio da una gioia euforica a un senso di vacuità e depressione abissale): in questo senso l’uso di farmaci prescritti da uno psichiatra che conosca a fondo la situazione clinica del paziente può aiutare a regolare meglio un’emotività vissuta come troppo veemente e di cui si è in “balia”
  • la gestione delle emozioni veementi procura la difficoltà di mantenere e alimentare relazioni durature, visto l’alternarsi di momenti di grande entusiasmo e sentimenti di svalutazione, rancore e distruttività
  • esiste un senso di non-amabilità (cioè il non credere di poter essere compresi e amati per quello che si è), che concorre a rendere complessa la gestione delle relazioni, che sembrano seguire sempre lo stesso schema: idealizzazione, rottura, distruttività, ripresa, rottura, etc.
  • spesso il ricorrere a comportamenti distruttivi è un tentativo di gestire le emozioni, sperimentate come troppo intense: “distruggere” un rapporto o provocare l’altro, portandolo a un contraddittorio acceso e violento, può rappresentare un paradossale tentativo di gestire e modulare emozioni intense che faticano a essere auto-gestite: prendendo a prestito la teoria di Freud, possiamo immaginare una quota di energia psichica in eccesso che in qualche modo deve essere smaltita/evacuata.

LA TERAPIA DIALETTICO COMPORTAMENTALE DI MARSHA LINEAN

La terapia psicodinamica non ha risolto del tutto le problematiche del borderline, e ha nel tempo lasciato spazio ad altre soluzioni più complesse e articolate, per esempio la DBT (dialectical behavior therapy) di Marsha Linehan, metodologia pensata per la presa in carico di soggetti borderline e affetti da abuso di sostanze riconducibile -ma non ascrivibile in toto- al gruppo delle terapie comportamentali, e incentrato su quattro interventi:

  1. psicoterapia individuale (con uso di farmaci dove necessario)
  2. terapia di gruppo incentrata sulla psicoeducazione e sullo sviluppo delle “skills”, ovvero delle competenze necessarie a gestire il disturbo
  3. consultazione telefonica e reperibilità di un operatore formato
  4. psicoterapia erogata al terapeuta stesso

Come si nota, lo strumento viene complessificato in ragione della complessità fenomenologica del  disturbo stesso. Così come accade per altri tipi di terapie di stampo comportamentale, gli obiettivi hanno priorità diverse e sono propedeutici l’uno all’altro (se non si è prima fatto un lavoro sulla stabilizzazione dei sintomi più invalidanti o dell’ideazione suicidaria, per esempio, non si potrà lavorare sulle skills relazionali). Nel caso per esempio dei pazienti che oltre al quadro borderline, soffrono anche di disturbo da abuso di sostanze, il primo obiettivo sarà quello di incentivare l’astinenza, e così via. Il lavoro a fasi si basa sul pensiero piuttosto intuitivo di regolarizzare un paziente prima di poter fare, con lui, un lavoro di approfondimento sul suo mondo “interiore”.

LAVORO D’EQUIPE

La terapia dialettico-comportamentale si struttura come una terapia erogata da un’equipe di lavoro, e non da un singolo terapeuta. Come prima evidenziato, uno degli obiettivi è la trasmissione di skills relazionali: si tratta in questo caso quindi di un intervento di tipo psico-educativo di gruppo, non finalizzato dunque a un lavoro di tipo esplorativo (come invece fa il terapeuta individuale).

Lo skill training contempla quattro moduli diversi (che si realizzano attraverso 8 incontri di gruppo, ognuno, con una partecipazione di 8/10 persone):

  1. MINDFULNESS, per il recupero della presenza nel momento presente per mezzo di pratiche mutuate dalla meditazione buddhista, attraverso la ri-educazione dell’attenzione focalizzata e il controllo del respiro
  2. LA REGOLAZIONE EMOTIVA, incentrato su tutto ciò che concerne la manifestazione sregolata dell’emotività (per esempio vengono prese in considerazione le manifestazioni esplosive di rabbia in concomitanza a una sensazione di rifiuto o di abbandono percepito, oppure i momenti di profonda apatia vissuta dal soggetto, cercando di ragionare sulle strategie soggettive per fuoriuscire dalla tirannia dell’emozione veemente)
  3. I RAPPORTI INTERPERSONALI, per un’acquisizione delle buone prassi di comunicazione e convivenza
  4. LA TOLLERANZA AL DOLORE PSICHICO, costruito intorno al concetto di accettazione. Questo punto è connesso al primo (1); attraverso l’osservazione della propria emotività si ricerca uno stato di dis-identificazione dai propri vissuti emotivi, e si fugge dall’impulso (i pazienti borderline, ma in generale chi soffra di disregolazione emotiva, sono così in balia della veemenza dell’emotività, da ricorrere a forme di auto-cura per mezzo di azioni che coinvolgono il corpo -per esempio attraverso l’uso sregolato del cibo, o l’abuso di sostanze, o il ricorso ad altri tipi di strumenti auto-regolativi, come la masturbazione compulsiva usata a fini ansiolitici-). Questo modulo di skill training insegna a procrastinare l’impulso, dato che abbandonarvisi ha per il paziente, spesso, l’unico realistico effetto di peggiorare ulteriormente i sintomi e il malessere, come in un circolo vizioso in senso psicopatologico.

L’evidenza dell’importanza di un trattamento non solo psicoterapico, ma anche psico-educativo, ha una particolare centralità soprattutto con pazienti di questo tipo, che vivono con sofferenza non solo la propria emotività, ma anche le ripercussioni in senso sociale di quella stessa emotività fuori controllo. Parliamo di “cicli interpersonali problematici” per descrivere le ripercussioni (sempre in negativo) di un’emotività di cui si è in balia, che provoca rotture e scoppi relazionali (proprio quando si avrebbe maggiore bisogno di vicinanza e supporto).

Su Jama Psychiatry uno studio randomizzato ha dato consistenza a quest’evidenza, in particolare appunto nei termini dell’importa del lavoro sulle skills. Qui l’approfondimento: https://jamanetwork.com/journals/jamapsychiatry/fullarticle/2205835?resultClick=1


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

Article by admin / Formazione / psichiatria, psicologia, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale, raffaeleavico

4 December 2017

INTERNET ADDICTION, ALCUNI SPUNTI DAL LAVORO DI KIMBERLY YOUNG

di Raffaele Avico

La psicoterapeuta Kimberly Young, americana, da anni lavora in ambito di dipendenza da Internet. Compie un costante lavoro promozionale per informare e divulgare a riguardo di un fenomeno di cui ci si sta accorgendo, ma di cui non si rilevano totalmente i rischi.

Alcune osservazioni a proposito del fenomeno, mutuate dal suo lavoro divulgativo:

  • Questa forma di dipendenza viene discussa e teorizzata già dalla fine degli anni ’90, sostituendosi a quella che per anni era stata la questione a proposito, invece, della “tele-dipendenza”, ovvero dei rischi connessi alla permanenza prolungata di fronte alla TV
  • Essendo un fenomeno giovane, è difficilmente inquadrabile. E’ indubbio che Internet garantisca  in modo democratico enormi vantaggi di accesso alle informazioni, però la cosa sembra presentare rischi soprattutto per i ragazzi più giovani o tendenti a sviluppare forme (altre) di dipendenza
  • A differenza delle altre forme di dipendenza, l’obiettivo per Young non è arrivare a un’assenza dell’oggetto di dipendenza -come si fa invece per le sostanze, per le quali è preferibile l’astinenza-, quanto a un “utilizzo moderato positivo”, cioè a un uso consapevole e sotto il controllo della volontà. Non è quindi prioritario diminuire il numero di ore, ma capire cosa di Internet crei compulsività e ragionare su quello (il focus di una dipendenza da internet può essere il gioco d’azzardo, la pornografia, i Social Network, le informazioni, gli stimoli continui, etc.)
  • Young paragona la dipendenza da Internet alla dipendenza da cibo: a proposito di questo parla non tanto di “dieta” digitale (che prevederebbe cambiamenti rapidi di abitudini, digiuni e disintossicazioni) quanto di “digital nutrition”, ovvero di “educarsi” a un uso consapevole dello strumento
  • L’uso consapevole deriva da un approccio duplice, che prevede da un lato il mettere dei paletti esteriori (Young dice “check the checking”, ovvero prestare attenzione a quante volte si controlli il telefono, oppure praticare momenti di lontananza dal telefono -”disconnect to riconnect”), e insieme osservare i bisogni che Internet, in quel momento, sembri soddisfare in noi
  • per alcune forme di dipendenza, esiste una valenza auto-curativa: il gesto legato alla dipendenza (qualunque essa sia) sembra risolvere un conflitto interno (provocato dai più svariati fattori, che hanno spesso a che fare con dinamiche di tipo relazionale), sopprimere alcune emozioni di difficile gestione o farle “nascere” dove sembrino mancare: stati mentali vissuti soggettivamente male, che in questo modo trovano una risoluzione o un sollievo momentaneo. In questo caso il problema da affrontare viene prima, e la dipendenza si configura come tentativo che il ragazzo o la persona mette in atto per evitarlo (per esempio lo smartphone come tentativo di evitare picchi di ansia)
  • La soglia che distingue un problema da una patologia, è soggettiva. Il criterio da adottare per capire quanto un problema stia assumendo forma di patologia, è quanto il sintomo abbia intaccato la qualità della vita della persona, costringendola a comportamenti nocivi o fuori dal controllo della volontà (per esempio sentirsi forzati, obbligati a controllare il telefono mentre si guida, o mentre si ascolta una persona, deviando costantemente l’attenzione altrove)

Qui  il Ted Talk di Kimberly Young:

 

Article by admin / Formazione / addiction, psicologia, raffaeleavico

4 December 2017

EMDR: LO STATO DELL’ARTE

di Raffaele Avico

L’EMDR (acronimo che sta per Eye Movement Desensitization and Reprocessing), è una tecnica usata in ambito di psichiatria e psicoterapia riconosciuta pratica efficace per contrastare l’insorgere di sintomi post- traumatici, pensieri intrusivi, insonnia conseguente a grandi shock, etc. Viene usata primariamente per i casi di cosiddetto trauma con la “T Maiuscola”, ovvero grandi traumi singoli (uno shock anafilattico vissuto come mincaccioso per la prorpia vita, un singolo attacco di panico potente, un singolo incidente, etc.).

A proposito della sua scientificità e della sua validità come pratica medica,  è in corso un dibattito acceso tra chi vede l’EMDR come uno strumento che trova la sua efficacia nel potere suggestivo che esercita (e quindi senza peso in termini scientifici) e chi invece lo decanta come nuova tecnica in ambito psichiatrico destinata a grandi successi clinici. E’ indubbio che psicotraumatologi di fama mondiale (come Bessel Van Der Kolk, olandese), ne appoggiano e consigliano l’utilizzo, a partire da risultati ottenuti nella propria attività di psicoterapeuti e psichiatri.

La tecnica prevede un protocollo standardizzato, con delle domande specifiche a proposito del trauma (il suo svolgersi, il contesto, le immagini più pesanti, i pensieri su di sé prodotti in quell’occasione, etc.), seguite da una “stimolazione bilaterale” che viene fatta o facendo seguire al paziente il movimento di due dita (del terapeuta) che passano di fronte al suo volto orizzontalmente, oppure attraverso un tamburellamento ritmico e alternato effettuato dal terapeuta sulle ginocchia o sulle mani del paziente. Si torna poi a una parte verbale, chiedendo spiegazioni su come il paziente si senta (in modo molto aperto e libero), si torna a focalizzare sulle immagini relative al trauma e si riprocede a una stimolazione bilaterale, in una sequenza dalla durata variabile.

Dei sintomi post-traumatici, la parte peggiore dell’esperienza è la riattivazione delle memorie traumatiche, che faticano ad essere elaborate e collocate nel passato: permangono intatte nel flusso dei ricordi, come intaccate dal tempo. Ogni qualvolta vengano evocate, il paziente rivive (verbo importante e preciso, che denota un’esperienza differente da quella del semplice ricordare) in pieno il trauma, con il corrispettivo attivarsi allarmato del corpo, imprigionato dal ricordo stesso. Quindi sudorazione, tachicardia, panico, ansia forte che cresce, senso di impazzire e tendenza della mente a dissociare, cioè a “scollarsi” dal momento presente precipitando in un vuoto simile a quando, come si dice nel linguaggio comune, ci si “incanta”.

MECCANISMO

L’EMDR pare efficace nel contrastare questa riattivazione forte sul piano somatico, perchè sembra aiutare a elaborare le memorie che precedono questa stessa riattivazione. Esistono alcune ipotesi che sono state formulate per spiegare il suo funzionamento:

  1. l’ipotesi integrativa, per cui il ricordo traumatico verrebbe trasferito da un emisfero all’altro del cervello, trovando un’elaborazione più ampia e armonica.
  2. l’ipotesi del doppio distrattore, per cui “distrarre” la memoria “somatica” (quella che conduce a una forte attivazione del corpo al momento del ricordo del trauma) mantenendo il focus dell’attenzione sul corpo o sull’esterno (seguendo il movimento delle dita o percependo il tocco sulle ginocchia), consentirebbe al ricordo traumatico di tornare alla mente senza provocare scompensi fisici, per poi quindi essere “visto” e infine elaborato.
  3. l’ipotesi connessa al movimento dei bulbi oculari, che è stato osservato essere presente anche durante la fase REM del sonno (il momento del sogno). In questo caso un effetto benefico dell’EMDR potrebbe essere connesso al sollecitare questo tipo di movimento. Questa ipotesi trova poca credibilità soprattutto visti i risultati clinici ottenuti da altre forme di stimolazione bilaterale, come i tamburellamenti sulle ginocchia.
  4. L’ipotesi dell’esposizione immaginativa, che assimilerebbe la tecnica a quella di “desensibilizzazione espositiva” (che viene usata per trattare i disturbi di natura fobica): esponendoci progressivamente alla nostre paure, il potere i quelle immagini hanno su di noi, progressivamente cala. L’EMDR in questo caso sarebbe una sorta di evoluzione di questa tecnica, essendo meno guidata dal terapeuta, più libera e flessibile.

In questo studio pubblicato sul British Journal of Psychiatry (http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0103676), viene effettuata una meta-analisi (cioè una ricapitolazione di altre analisi) riferita agli studi scientifici che, a partire dal 1991 fino al 2013, hanno indagato l’efficacia della tecnica EMDR a riguardo dei sintomi cosiddetti post-traumatici (conseguenti, per l’essere umano, a traumi gravi come cataclismi, abusi, incidenti mortali, etc.). Altri studi, come quello pubblicato sulla rivista Frontiers of Psychology del 2017,(https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5623122/), illustrano una review degli studi fatti fino ad ora nell’ambito dell’applicazione clinica dell’EMDR, su pazienti con problematiche diverse. Qui viene in particolare evidenziato come l’uso di questa pratica produca miglioramenti nei pazienti che presentano un aspetto post-traumatico nell’ambito di un altro quadro diagnostico (per esempio pazienti bipolari o psicotici, questi ultimi da sempre ma senza una reale ragione clinica esclusi dall’applicazione di EMDR-si veda: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25607833), ad eccezione dei pazienti affetti da DOC (ossessivo-compulsivi), ambito clinico non ancora esplorato in relazione all’uso di EMDR.

I risultati parlano chiaro evidenziando un’efficacia che è a tutt’ora sapere comune nella società psichiatrica e psicoterapeutica, ma di cui non si capiscono fino in fondo le ragioni scientifiche, e quale delle ipotesi prima elencate sia la più plausibile. La questione resta quindi aperta.

Un articolo inglese che approfondisce molto e con cura l’argomento, si trova qui: http://jep.textrum.com/dl_art.php?art_id=113. Per ulteriori approfondimenti: http://emdr.it/.

Article by admin / Formazione / neuroscienze, psichiatria, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia, PTSD, raffaeleavico

4 December 2017

PTSD, UNA DEFINIZIONE E UN VIDEO ESPLICATIVO

di Raffaele Avico

Lo stress post traumatico (PTSD) potrebbe essere genericamente definito come un insieme di sintomi che si presentano nel periodo conseguente un trauma (unico e grande, o minore ma ripetuto), tra cui problemi di insonnia, flashback vividi in cui ci si trova mentalmente immersi nel ricordo o scena traumatica, e una serie di sintomi riguardanti il corpo e le ripercussioni somatiche del rivivere le memorie traumatiche (ricordi che, usando una terminologia informatica, divengono embedded, incarnati).

UN VIDEO ESPLICATIVO

In questo breve video filmato negli Stati Uniti, è stato fatto un tentativo di rappresentare in soggettiva quello che significa attraversare un PTSD:

In questo caso la ragazza, che è anche la regista del video ed essa stessa affetta da PTSD, racconta di essere stata vittima di un episodio di revenge porn (video a contenuto erotico diffuso in rete per vendetta) da parte dell’ex compagno. Da qui le ripercussioni in senso post traumatico.

SINTOMI

Nel filmato sono ben rappresentati alcuni dei più comuni sintomi del PTSD:

  1. incubi vividi (e risveglio precoce)
  2. pensieri intrusivi (che si presentano cioè contro la nostra volontà) che in questo caso hanno forma di immagini di commenti letti ai video postati in Rete dall’ex-compagno: la lettura dei commenti aveva innestato una memoria traumatica
  3. il senso di mancata permanenza nel momento presente, con la difficoltà a concentrarsi su quelli che, nel qui ed ora, sarebbero i compiti a lei assegnati (dopo pochi secondi, non ricorda ciò che deve fare, la memoria e la coscienza stessa assumono una forma frammentata, intermittente: in alcuni momenti è presente a sé stessa, in altri la mente viene risucchiata dall’accesso post-traumatico, portandola al mondo interiore traumatizzato e distaccandola a forza dal presente). Questo ha la conseguenza di renderle difficoltoso e impegnativo portare a termine un compito (il momento in cui la compagna le chiede per esempio per quanto tempo abbia lavorato su una singola e-mail)
  4. la ragazza non riesce a vivere nel momento presente: è più forte il pensiero che torna alla “questione” traumatica (il frangente in cui parla tra sé e sé chiedendosi quante persone abbiano visto il filmato: è necessario che le amiche la chiamino con foga per riportarla “sulla terra”, tanto è forte il potere ipnotico e seducente del disturbo, che attira sempre l’attenzione su di sé)
  5. iper-acusia: i suoi nervi sono accesi, ipervigili: sente i rumori come forti e violenti; percepire i rumori come disturbanti e troppo forti è un sintomo di stress che troviamo anche in assenza di un vero e proprio PTSD
  6. il momento del contatto con un uomo (un semplice passante) si trasforma in una potenziale minaccia: la ragazza si prepara a scappare e difendersi. La mente della ragazza appare costantemente impegnata nel prevenire un potenziale attacco da parte di un predatore: si mantiene come in un continuo stato di allarme, che precipita infine in uno stato di insonnia con cui si conclude il filmato.

UN APPROCCIO INTEGRATO

Per ridurne l’impatto sulla vita, è opportuno per la persona affrontare un percorso di psicoterapia integrato, quando necessario, a un approccio farmacologico mediato dalla figura dello psichiatra.

 

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4 December 2017

FLASHBULB MEMORIES E MEMORIE TRAUMATICHE, UN APPROFONDIMENTO

di Raffaele Avico

Articolo originariamente pubblicato per La Stampa Web: http://www.lastampa.it/2017/11/27/scienza/benessere/flashbulb-memories-i-ricordi-traumatici-scolpiti-nella-nostra-mente-che-ci-condizionano-la-vita-waX2T5DsbhLLNIxpw3LyaN/pagina.html

Un termine che usano gli psicologi clinici per descrivere le memorie traumatiche, è “flashbulb memories“. Per flashbulb memory si intende un particolare tipo di ricordo bizzarramente vivido, che rimane nella memoria come intaccato dal tempo. Le flashbulb memories stazionano nel flusso dei ricordi come pietre dure, senza che la mente riesca a svuotarle del loro potere attivante su di noi nel momento del loro affaccio alla coscienza. Facciamo un esempio concreto: ricordiamo le dure parole di un nostro professore che ci umiliò in classe per un comportamento da noi tenuto in un determinato momento. L’avvampare della vergogna e il senso di mortificazione prodotto da un rimprovero così bruciante da parte di una figura per noi autorevole, è il momento dell'”immagazzinamento” di un ricordo traumatico che anni dopo potremo scoprire vivido e attuale in noi, come fosse successo ieri. Questo è tipico delle memorie traumatiche: ricordiamo il luogo in cui quel determinato evento ci capitò, l’emozione che ci suscitò, come reagimmo, etc. La cosa sorprendente è che, magari anni dopo, nel rievocare questo ricordo, ci potrà capitare di sperimentare le stesse identiche sensazioni ad esso correlate.

RIVIVERE IL TRAUMA

In psicotraumatologia è popolare affermare che “il trauma non viene ricordato, ma rivissuto”. Questo è un dato osservato in relazione al corpo: è il corpo infatti il teatro in cui quella scena madre/traumatica si riattualizzerà. Nel momento in cui cioè si affaccerà alla memoria quel ricordo, sarà il corpo a reagire per primo, “alterandosi” in senso difensivo (ricordiamoci che il trauma è percepito come una minaccia reale alla vita) e preparandosi ad un’eventuale risposta (osservando gli animali, gli etologi hanno osservato che in questi momenti ci prepariamo a due tipi di risposta, ovvero a una risposta di fuga oppure, quando questa non è possibile, a un attacco). Il corpo si prepara alla risposta e il cuore accelera, il respiro si fa più corto, la circolazione del sangue cambia –sentiamo mani e piedi freddi, etc. Rivivere il trauma significa ri-sperimentare in definitiva quello che vivemmo all’epoca, senza che il tempo ci sia stato d’aiuto nell’elaborare la potenza di quell’episodio e del suo ricordo.

GLI INDIZI/I TRIGGER  E IL LORO EVITAMENTO

Ma quali sono i momenti in cui il ricordo di un determinato episodio per noi traumatico si affaccia alla coscienza? Gli “indizi” che ci ricordano del nostro trauma vengono chiamati trigger (“grilletto”) e li troveremo sia fuori da noi, che dentro di noi. Sempre per stare sull’esempio, capita di osservare come chi voglia sfuggire al ricordo di una relazione passata e finita male, decida per un po’ di evitare determinati luoghi, o di togliere da casa certe fotografie, etc. Questo è perchè vuole nascondere dalla vista i trigger che gli innescheranno il “turbamento” legato al trauma prodotto dalla relazione finita. Questi sono indizi “grandi”, visibili: sono richiami eclatanti; pensiamo però ai “micro” indizi che hanno il potere di rievocare in noi il nostro personale trauma: potrà essere la sfumatura nella voce di una persona che conosciamo che ci riporterà ad altre persone o situazioni, un atteggiamento di qualcuno a ricordarci qualcuno che ci manca, per esempio, o di cui abbiamo avuto paura.

I trigger sono potenzialmente molti, e li troveremo in ciò che ci circonda ma anche dentro di noi. Anche solo immaginare “quel determinato frangente”, per esempio, può rappresentare per chi abbia subìto un trauma un forte attivatore. L’evitamento è dunque non solo esterno, ma anche interno (per questo si parla di “fobia degli stati interni”: cercherò dentro di me di evitare di posare il mio pensiero su certi contenuti; il risultato è in definitiva l’indossare una sorta di paraocchi interiore, evitando attivamente certi contenuti).

IL MODELLARSI DELLO STILE DI VITA

E’ chiaro quindi come nel tempo, l’evitare i trigger e fronteggiare lo stress post-traumatico (di questo si tratta), conduca a un rimodellamento dello stile di vita fino a una compromissione della libertà individuale quotidiana. Per questo si dice che spesso il trauma segna un prima e un dopo: diviene uno spartiacque tra due stili di vita diversi.

Il film di Roberto Faenza “I Giorni dell’abbandono” descrive bene queste dinamiche e questo senso di rottura. Così come descritto nel film, occorrerà attraversare la tempesta post-traumatica armandosi di pazienza e coraggio. Genericamente le indicazioni cliniche più recenti suggeriscono di approcciare la problematica a partire dal corpo. Perché? Il trauma è un momento in cui il nostro corpo vorrebbe agire, ma è impossibilitato a farlo. E’ quindi come se il corpo fosse immobilizzato nella sua “tendenza all’azione”. A differenza degli animali, che sanno scrollarsi di dosso lo spavento e il trauma subìto senza conservarne memoria duratura, l’uomo non riesce a farlo e rimane per lunghissimo tempo memore della devastante esperienza, ed è come se fosse il corpo a ricordarsene (qui un approfondimento autorevole: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/j.2051-5545.2010.tb00254.x/full).

Fronteggiare lo stress post traumatico passando dal corpo è una via caldamente promossa dagli psicoterapeuti che usano una pratica chiamata sensory-motor e di cui consiglio, per chi fosse interessato, il recente lavoro -molto completo- di Pat Ogen  e Janina Fisher “Psicoterapia Sensomoria”. Una psicoterapia fondata sui metodi della CBT (cognitive behavioral therapy) e un supporto farmacologico per stabilizzare i sintomi più invalidanti, consentiranno poi di accedere alle memorie traumatiche per poterle destituire del loro potere “attivante”. Lo sport praticato in modo costante aiuterà, insieme al resto, a “svincolare” il corpo.

Article by admin / Formazione / neuroscienze, psichiatria, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia, PTSD, raffaeleavico

2 December 2017

IL CERVELLO TRIPARTITO: LA TEORIA DI PAUL MACLEAN

di Raffaele Avico

A tutti è capitato di sperimentare come in alcuni momenti il nostro cervello sembri accelerare e farci prendere decisioni fulminee che non hanno a che fare con il ragionamento cosciente. Ci rendiamo conto che non tutto ciò che viviamo proviene dal ragionamento, non tutto è cognitivo: esiste un mondo di sensazioni ed emozioni che ci consente di approcciare la realtà in modo emotivo, non solamente in modo razionale. Una teoria che ci aiuta a fare chiarezza e a dare un senso a queste diverse velocità e modalità, è la teoria del cervello tripartito (o “trino”) formulata da Paul MacLean nei primi anni ’70, una “semplificazione accademica” (nelle parole di Panksepp) del funzioanamento del cervello, ma molto utile a fare chiarezza e a intuirne i meccanismi.

Essa trova le sue basi negli studi della psicologia evoluzionista (che cioè studia il comportamento dell’uomo a partire da ciò che in termini di evoluzione sia stato per lui più o meno utile). MacLean distingue tre parti del cervello, ognuna con funzioni distinte. Le tre parti funzionano in modo gerarchico, seguendo un principio chiamato di “principio di Jackson”: gli impulsi più basici vengono progressivamente raffinati e infine razionalizzati, “risalendo” dalle parti più antiche del nostro cervello fino alla neo-corteccia, più recente.

LA STRUTTURE

IL COMPLESSO RETTILIANO, che reagisce

La parte più antica dal punto di vista evoluzionistico è anche la più profonda in termini anatomici e viene definita “cervello rettiliano” dal momento che è paragonabile, per finalità e modalità di funzionamento, al cervello di un rettile. Si attiva nei momenti che ci richiedono massima velocità di esecuzione (per esempio nei casi di rischio di vita), non ci rendiamo conto di usarlo dato che è pre-cognitivo e funziona in termini relazionali secondo una logica di attacco/fuga (in inglese fight/fly), ovvero ci predispone a scappare o ad attaccare di fronte a un predatore (reale o immaginato). Quando ci troviamo in mezzo a una situazione di emergenza come un’aggressione o un incidente, è questa parte a essere coinvolta perchè ci consente di muoverci in modo molto più rapido, al limite della consapevolezza. Si nutre di impulsi, che non vengono modulati secondo un criterio di intensità: l’impulso o si esprime o resta silente.

IL SISTEMA LIMBICO, che sente

Procedendo verso la parte più esterna del cervello, esiste nella teoria di MacLean il “sistema limbico”, che si occupa di quello che concerne la nostra vita relazionale ed emotiva: ci permette di sentire emozioni e di provare sentimenti. Un bambino piccolo usa questa parte, provando emozioni e sentimenti, senza esserne totalmente consapevole. Il percorso di sviluppo di un essere umano ricapitola l’intero percorso evolutivo della specie: quando nasce, il bambino usa e risponde alle parti più antiche del cervello, per poi, crescendo, evolvere ed accedere a livelli più alti della coscienza e della consapevolezza. Il cervello di un ragazzo adolescente è prevalentemente limbico nel senso che, più che pensare, “sente” (e chi ha a che fare con gli adolescenti, di questo si rende conto).

LA NEO-CORTECCIA, che coordina

Proseguendo verso i livelli superiori e più recenti in termini di evoluzione, dell’anatomia del nostro cervello, MacLean illustra le proprietà della neo-corteccia, l’ultima in termini evolutivi e la sola che ci distingue realmente dagli altri mammiferi. La neo-corteccia ci consente di sapere di esistere, di impegnarci in progetti complessi e creativi che esulano dal semplice bisogno affettivo, riproduttivo o di sopravvivenza, e di dedicarci all’etica, alla filosofia, al ragionamento puro e astratto. Questa parte è la più recente in termini di evoluzione. Quando le cose funzionano bene, in modo integrato, coordina le attività delle altre parti e ne è allo stesso tempo impressionata: grazie alla neo-corteccia “razionalmente” possiamo inibire gli istinti o le pulsioni; allo stesso tempo ci accorgiamo di come il contenuto dei pensieri si moduli su quali emozioni stiamo sperimentando, a prova di quanto siamo suscettibili e perturbabili da ciò che “sentiamo”.

GERARCHIA

Il cervello funziona in modo gerarchico, secondo un principio attribuito agli studi del neurologo J. Hughlings Jackson, che teorizzò come le “funzioni mentali superiori” fossero gerarchicamente dominanti su quelle più istintive, e in grado di modularle “quando tutta va bene” (Jackson chiama Dissoluzione lo stato di mancato funzionamento delle funzioni mentali superiori -che coordinano-, con una dominanza di quelle inferiori).

Come prima si diceva, tuttavia, in situazioni peculiari è auspicabile e necessario che la neo-corteccia lasci il posto a livelli più istintivi di funzionamento, disattivandosi. Quando le funzioni sono integre e tutte accessibili, siamo nell’ambito del buon funzionamento psichico; dove c’è squilibrio e impossibilità a usare certe parti o difficoltà nel farlo (per esempio con una dominanza di razionalità -un uso prevalente della neo-corteccia-, o una forte impulsività fuori controllo -un utilizzo prevalente del cervello rettiliano), emergono difficoltà che si ascrivono all’ambito della psicopatologia.

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1 December 2017

IL CIRCUITO DI RICOMPENSA NELL’AMBITO DEI PROBLEMI DI DIPENDENZA

di Raffaele Avico

Nella genesi di un problema di dipendenza, molteplici evidenze suggeriscono come sia implicato quello che viene definito circuito di reward (o “di ricompensa”). La dipendenza è figlia sia della psicologia in senso stretto, che della biologia.

Quando parliamo di circuito di ricompensa, parliamo di come funziona l’apprendimento umano. Apprendere dall’esperienza, per noi così come per gli animali, vuol dire rincorrere e ripetere quello che in noi produce sensazioni di gratificazione e benessere. Il nostro cervello, ogni qual volta sperimentiamo momenti di piacere (mediato dal cibo, dal sesso, dall’affetto, dal sentirsi a casa, ecc.), libera alcune sostanze che funzionano da rinforzo a quello stesso stimolo, rimarcandolo.

Questo circuito comprende alcune aree del cervello “profonde”, come il talamo e i gangli della base, e aree più recenti facenti parte della corteccia, come la corteccia prefrontale, unite in un meccanismo che trova il suo impulso centrale nel coinvolgimento del neurotrasmettitore dopamina (insieme ad altri). I primi studi inerenti il circuito di reward risalgono agli anni ‘50 per opera di Old e Milner, che osservarono come nei topi stimolare elettricamente alcune aree del cervello conduceva a risposte ripetute, ripetitive e “insistenti”: gli studi proseguirono a cascata e oggi siamo in grado di pensare non solo teoricamente, ma anche anatomicamente, la presenza di un circuito formato da reti neurali collegate che fa da sfondo ai comportamenti umani “intenzionali” e che riguardano la “ricerca di piacere” o la “ricerca di sensazioni”.

Per un approfondimento esauriente di tutte le zone cerebrali coinvolte nel circuito, consigliamo la lettura di questa review.

Nella genesi della dipendenza, c’è consenso sul fatto che sia centralmente coinvolta la dopamina. La spiegazione evoluzionistica, è che questa venga liberata al fine di procurare nell’individuo sensazione di piacere soggettivo e di “coinvolgimento sensoriale” (al di là di quale sia l’atto compiuto nella realtà esterna -l’assunzione di una sostanza, un rapporto sessuale consumato, un generico appetito, etc.-).

La dopamina produce senso di “intenzionalità”: quando aumenta la sua concentrazione nel vallo intersinaptico (lo spazio di comunicazione tra i neuroni del cervello), ci sentiamo più orientati ad “afferrare” la realtà, diveniamo più focalizzati su obiettivi specifici: è facile intuire come la ricerca spasmodica di una sostanza come la nicotina o l’alcol, possa essere in qualche modo connessa al livello di concentrazione, appunto, di dopamina.

L’IMPRONTA MNESTICA

Insieme a questo meccanismo di rinforzo neurochimico, nel provocare un meccanismo di “dipendenza”, è coinvolta la memoria, che imprime in modo potente l’esperienza “piacevole” nel ricordo del soggetto, per poterla in futuro ricercare e ricreare. L’evoluzione ci ha dotati di questo meccanismo per spingerci a ripetere esperienze per noi gratificanti, nella direzione del “meglio” per noi.

Questo è il motivo per cui ricordiamo così vividamente le prime volte (in una dipendenza, ma anche relativamente ad altri aspetti della nostra storia): le esperienze (soprattutto quelle molto gratificanti) si imprimono nei ricordi e ci fanno da “faro” nelle nostre esplorazioni future.

Alcune delle “memorie relazionali” impresse nella nostra mente nel corso dell’infanzia, se positive, sono così indelebili da guidarci, in seguito, a ciò che “là e allora” ci produsse senso di benessere soggettivo, il tutto mediato dal circuito di ricompensa, senza il quale, quelle esperienze, le scorderemmo nel tempo.

Capita spesso di osservare in chi usa sostanze, la ricerca e la volontà di tornare a quelle prime, bellissime esperienze, senza che questo possa avvenire nella realtà: la forza di quel ricordo, tuttavia, spinge a rimettere in atto, nuovamente, la ricerca di quel benessere.

AMBIVALENZA E DIPENDENZE

Il circuito di ricompensa viene chiamato così perché descrive il meccanismo di rinforzo di una determinata esperienza, che ci guida nel futuro, verso la sua ripetizione. Il problema di una dipendenza, però, sono gli effetti collaterali, spesso talmente gravi da far riconsiderare l’effettivo desiderare di quel piacere originario, tra l’altro difficilmente replicabile. La persona esegue una valutazione dei pro e dei contro, arrivando a uno stato di ambivalenza totale verso l’oggetto della propria dipendenza: la rincorre e ne ricerca gli effetti benefici, spesso però, contemporaneamente, conoscendone i rischi e gli effetti avversi: questo crea una situazione di amore/odio, uno stato di ambivalenza che può durare tantissimo, fino a che l’inganno non sia completamente disvelato, e l’esperienza riconsiderata. Come dire: il circuito di reward ci spinge in quella direzione, ma la testa può aiutarci a cambiare rotta (biologia e psicologia vanno, come si diceva, insieme, ognuna capace di interferire con l’altra).

Article by admin / Formazione / psichiatria, raffaeleavico

1 December 2017

OTTO KERNBERG: UN AUTORE IMPRESCINDIBILE

di Matteo Respino

Otto Kernberg.

New York Presbyterian Hospital, White Plains (NY). Weill Cornell Medicine, Department of Psychiatry.

Il Professor Otto Kernberg è uno dei più importanti psichiatri e psicoanalisti della nostra epoca, forse anche di quelle precedenti. È riuscito ad apportare contributi insuperati alla comprensione delle “organizzazioni patologiche di personalità”, alla teorizzazione delle relazioni oggettuali e in generale alla sistematizzazione della psicoanalisi contemporanea. Tutto ciò senza mai allontanarsi dal mondo reale dei pazienti, mantenendo un approccio alla teorizzazione sufficientemente pragmatico da poter essere effettivamente applicato in contesti reali, e senza mai provocare fratture con la psichiatria biologica o il mondo accademico. Nel corso della sua carriera è stato Presidente dell’Associazione Internazionale di Psicoanalisi e ancora oggi, all’età di 89 anni, pratica la psicoanalisi privatamente ed insegna psichiatria all’università Weill Cornell Medicine di New York, supervisionando la formazione dei giovani specializzandi.

Per questo insieme di ragioni indiscutibili, oltre ad elementi personali che mi rendono particolarmente interessato al suo lavoro, ho deciso di scrivere una serie di brevi pezzi che ne riassumano il pensiero, o quantomeno alcune sue parti, procedendo con una logica “dal generale al particolare”. Rigorosamente seguendo in nostro stile, questi pezzi saranno il riassunto, semplificato ed accessibile, di articoli scientifici o d’opinione pubblicati dallo stesso Kernberg su riviste scientifiche di alta qualità.

Se siete all’inizio della vostra formazione o semplicemente curiosi, questi pezzi faranno per voi. Per coloro invece già formati, un adeguato approfondimento sarà disponibile accedendo alla fonte diretta presente ai relativi link.

Cominciamo con il primo, tratto da qui.

Le componenti fondamentali del trattamento psicoanalitico secondo Otto Kernberg.

Nell’articolo “The four basic components of psychoanalytic technique and derived psychoanalytic psychotherapies”, pubblicato nel 2016 sulla rivista World Psychiatry, Kernberg sintetizza efficacemente gli elementi centrali che caratterizzano il trattamento psicoanalitico e le cosiddette psicoterapie “ad orientamento psicoanalitico”, distinguendole da altre forme di trattamento della sofferenza mentale. Quando qualcuno, ad un esame o in una discussione davanti a un bicchiere di vino, vi chiederà che differenza c’è tra la psicoanalisi e la psicoterapia in generale (domanda classica, prima o poi arriva sempre se studiate o lavorate nel contesto “psi”), potrete rispondere come segue, citando il maestro e il suo articolo del 2016. Seguendo una logica “dal generale al particolare”, pare sensato partire da qui.

In sostanza ciò che caratterizza il trattamento psicoanalitico si riassume in quattro elementi: interpretazione, analisi del transfert, neutralità tecnica e analisi del controtransfert.

  • L’interpretazione è la comunicazione verbale, da parte dell’analista, di ciò che l’analista ipotizza sia il conflitto inconscio che domina il funzionamento del paziente. Kernberg sottolinea come questa definizione, piuttosto generica, includa di fatto diversi tipi di intervento verbale/comunicativo. Ad esempio, forme di intervento ascrivibili al contesto “interpretativo” sono la clarification (in cui l’analista cerca di far luce, di mettere ordine, su quello che sta avvenendo nella mente del paziente a livello conscio) e la confrontation (il portare cautamente alla luce aspetti non-verbali del comportamento del paziente). Vi è poi ovviamente l’interpretazione vera e propria, ovvero la comunicazione di ciò che l’analista ritiene sia il significato inconscio ed unitario dell’insieme di esperienze, comportamenti e comunicazioni che paziente mette in atto.
  • Il transfert è la ripetizione inconscia, nel presente, di un conflitto passato. Kernberg sostiene che la sua analisi sia la fonte principale del “cambiamento” indotto dal trattamento psicoanalitico. Inoltre, l’Autore sottolinea come il transfert operi come una “resistenza” (ovviamente al cambiamento) nella forma di patterns stabili di difesa caratterologica. In tal senso, l’analisi del transfert e la sua interpretazione sono una via possibile alla modificazione del carattere.
  • Cosa si intende per neutralità tecnica? Trattasi della disposizione dell’analista ad approcciarsi al paziente, citando l’Autore, “con naturalezza e sincerità […] nel contesto di comportamenti socialmente appropriati, parte dei quali include che l’analista eviti di riferirsi o focalizzarsi sui propri interessi o problemi”. Kernberg, trattando questo punto, prende le distanze da un approccio “anonimo” sottolineando come sia inevitabile che alcuni elementi personali propri dell’analista emergano nel corso del trattamento, e come questi non siano un male tout-court, ma anzi possano essere a loro volta elementi di analisi del transfert nel contesto della diade paziente-terapeuta. Attenzione però! L’Autore sottolinea anche come le reazioni del paziente ai comportamenti dell’analista non vadano lette costantemente come “reazioni di transfert”!! Esistono infatti anche reazioni “fisiologiche” (realistic reactions) che vanno distinte dal transfert, ovvero reazioni emotive a fatti/contesti/situazioni reali in cui il paziente e/o l’analista si possono trovare.
  • Il controtransfert è oggi definito come un concetto piuttosto allargato: si tratta “semplicemente” dell’insieme delle reazioni emotive dell’analista “momento per momento”. Queste reazioni includono a) reazioni al transfert del paziente; b) reazioni alla realtà della vita del paziente (ad esempio, la compassione per una perdita reale che il paziente può subire); c) reazioni alla realtà della vita dell’analista stesso; d) infine (definizione più ristretta e classica) le reazioni transferali attivate nell’analista dai contenuti espressi dal paziente. In questo sensoi, Kernberg puntualizza come serie difficoltà caratterologiche dell’analista possano portare a “distorsioni croniche” del controtransfert, implicitamente sottolineando il noto fatto che un analista dovrebbe essere “sufficientemente sano”.

Article by admin / Formazione / matteorespino, psichiatria, psicoanalisi, psicologia, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia

30 November 2017

TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SULLE MNEMOTECNICHE (MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE)

di Luca Proietti

LA NASCITA DELLE MNEMOTECNICHE

“Si racconta che una volta Simonide stesse cenando a Crannone, in Tessaglia, a casa di Scopa, uomo ricco e nobile. (…) Poco dopo, Simonid  fu chiamato fuori: due giovani erano alla porta e lo chiamavano con grande insistenza. Egli si alzò, uscì, ma non vide nessuno. Nel frattempo, la sala in cui Scopa banchettava crollò, ed egli stesso morì con i suoi parenti sotto le macerie. Quando i congiunti vollero seppellirli, non li poterono riconoscere in alcun modo, così maciullati; Simonide allora li identificò uno per uno per la sepoltura perché ricordava la posizione che ognuno di loro occupava durante il banchetto. Stimolato da questo episodio, egli capì che l’ordine era l’elemento fondamentale per illuminare la memoria. Pertanto coloro che esercitano questa capacità della mente devono fissare dei luoghi immaginari, raffigurarsi con il pensiero ciò che vogliono ricordare e collocarlo in questi luoghi: cosi l’ordine dei luoghi conserverà l’ordine delle cose e l’immagine delle cose indicherà le cose stesse; i luoghi saranno per noi come le tavolette di cera, e le immagini come le lettere.”

Cicerone, “De oratore”

COSA SONO E COME FUNZIONANO LE MNEMOTECNICHE?

Le mnemotecniche sono delle strategie che sfruttano la nostra capacità innata di apprendere. Innata? Si, proprio innata. Se questa capacità è davvero naturale allora perché per apprendere delle nozioni ricorriamo a metodi quali quello della ripetizione? Perché alcune informazioni, stimolando la memoria a sufficienza, rimangono impresse a lungo, e altre invece vengono dimenticate.

Simonide di Ceo capì quali caratteristiche deve possedere un’informazione per essere appresa in poco tempo ed in modo duraturo; nacque da lì lo studio di tecniche che si prefiggevano di rendere stimolanti la memoria le nozioni, normalmente dimenticate, grazie alla manipolazione delle loro proprietà.

Le caratteristiche capaci di creare rapidamente un ricordo a lungo termine sono il coinvolgimento emotivo, l’utilizzo della componente visiva della memoria e l’associazione delle informazioni. Quotidianamente sperimentiamo la durata e la nitidezza del ricordo di fatti o concetti emotivamente rilevanti.

La memoria visiva è la capacità di ricordare immagini create dalla mente ex novo o da manipolazione della realtà, diversamente da quella fotografica che trattiene immagini reali.

La capacità della nostra mente di ricordare immagini, particolarmente se accompagnate da elementi di percezione sensoriale, è molto più sviluppata rispetto a quella di ricordare concetti o ragionamenti.

L’associare tra loro queste immagini fa sì che il ricordo di una sia sufficiente a richiamare la successiva e così via, tenendo così a mente lunghe liste di immagini ricordando solo la prima.

Se teoricamente è richiesto solo di soddisfare questi tre principi per ottenere un ricordo duraturo delle nozioni, il problema si pone poi nella pratica; non tutte le informazioni da apprendere infatti colpiranno l’emotività, né saranno facilmente visualizzabili e associabili. Molti di noi ricorderanno come erano vestiti il giorno del loro diciottesimo compleanno: il vestito è l’elemento visivo, associato a noi, al luogo e all’occasione del festeggiamento; innegabile è la componente emotiva.

Ricordare un elenco di muscoli, arterie, presidenti della repubblica con relative date dell’incarico, articoli di codice o vocaboli di una lingua straniera risulta meno immediato. Le tecniche di memoria si propongono di rendere emotivamente attive, associabili e visive delle informazioni che altrimenti sarebbero astratte quanto le idee dell’Iperuranio; queste saranno così apprese con rapidità e verranno ricordate per lungo tempo.

QUAL È IL MECCANISMO FISIOLOGICO ALLA BASE DEL LORO FUNZIONAMENTO?

Il substrato anatomico dei processi mnemonici è identificabile soprattutto con il circuito di Papez, via nervosa che collega ippocampo, fornice, ipotalamo( corpi mammillari), talamo, corteccia limbica, ippocampo nuovamente, corteccia prefrontale, nuclei del setto e amigdala.

Quando pensiamo e studiamo andiamo ad attivare aree anatomicamente diverse se noi facciamo uso della logica e della razionalità, come di consueto o se, per mezzo di mnemotecniche ricorriamo alla fantasia, all’evocazione di sensazioni e alla visione mentale di immagini.

L’ippocampo, formazione disposta nel profondo del nostro encefalo, può essere paragonato a un anziano libraio che smista le informazioni con cui veniamo a contatto, per depositarle nei sistemi neurali e successivamente richiamarle a coscienza. Esso quindi è il protagonista principale dell’apprendimento delle nozioni e del successivo richiamo di queste. Ogni volta che noi ricordiamo un’informazione il processo è svolto dall’ippocampo, sia che sia stata appresa con il metodo tradizionale che con le tecniche di memoria.

Cambiano invece i luoghi anatomici nei quali queste informazioni vengono archiviate: con lo studio, che potremmo definire tradizionale e che utilizza soprattutto la logica, andiamo a stimolare l’emisfero sinistro e in particolare le cortecce temporale e frontale, quest’ultima sede del ragionamento analitico e astratto; non è un caso che nell’ essere umano questa regione sia molto più sviluppata che in tutte le altre forme viventi.

Utilizzando le mnemotecniche invece stimoliamo entrambi gli emisferi: il sinistro grazie ai processi di associazione delle immagini e al ragionamento logico e analitico, necessario alla comprensione del testo, che non deve essere mai tralasciato; il destro per mezzo delle sensazioni e emozioni correlate.

In particolare, le formazioni che si attivano sono soprattutto l’ippocampo, l’ipotalamo e l’amigdala.

La differente efficacia del ricordo è spiegabile tramite due fatti: il differente percorso neurale intrapreso per il richiamo di nozioni e l’attivazione bi-emisferica.

Con il metodo tradizionale, l’informazione richiamata dall’ippocampo, situato nelle profondità dell’encefalo, deve giungere dalla corteccia frontale, la formazione più superficiale dell’encefalo; è quindi elevata la distanza quantificabile in centimetri e sinapsi. Da un punto di vista filogenetico questo tragitto ripercorre le tappe evolutive dell’encefalo, da quello primitivo a quello più sofisticato. Stimolando la memoria con le mnemotecniche andiamo a sollecitare due formazioni contigue all’ippocampo: l’amigdala, che possiamo immaginare come un bambino che si emozioni facilmente, responsabile delle reazioni emotive, e l’ipotalamo, assimilabile a un ragazzaccio che bada solo ai fatti, responsabile delle reazioni alle sensazioni.

In sintesi queste tecniche permettono di attivare l’ipotalamo grazie alla creazione di immagini visive accompagnate da sensazioni, l’amigdala per mezzo del coinvolgimento emotivo, la parte razionale del cervello con l’associazione di immagini; inoltre l’ordine di queste agevola l’ippocampo nella sua funzione di richiamo.

L’utilizzo di due emisferi invece di uno solo facilita la concentrazione: l’emisfero destro è infatti il principale responsabile dei così detti “sogni ad occhi aperti”, il suo impegno riduce notevolmente la possibilità che i nostri pensieri si disperdano in voli pindarici.

PERCHÉ LA RIPETIZIONE DELLE INFORMAZIONI È UNO DEI METODI MENO EFFICACI?

Ogni volta che ripensiamo o ripetiamo a voce un’informazione, a livello neurale vengono riutilizzate delle sinapsi: si verifica il così detto potenziamento sinaptico a lungo termine, fenomeno per il quale a stimoli presinaptici ad alta frequenza, ripetuti per alcuni secondi, fa seguito un miglioramento dell’efficienza della trasmissione sinaptica stessa. Tale miglioramento trova fondamento nella maggior quantità di neurotrasmettitore rilasciato e nella sintesi di più recettori postsinaptici. Il nome di questo fenomeno non deve ingannarci, infatti esso è in grado di spiegare l’apprendimento di nozioni esclusivamente a breve termine. La ripetizione inoltre comporta svantaggi a livello neurofisiologico e psicologico. Ogni volta che ripetiamo un’informazione rafforziamo sì temporaneamente la memoria, ma paradossalmente aumentiamo anche la probabilità di perdere quell’informazione, infatti ripetere un dato inibisce la memorizzazione di altri poiché le sinapsi saranno sature dal sovraccarico di lavoro.

Dal punto di vista psicologico i fattori da tenere presenti sono principalmente il tempo speso e la noia: un basso rapporto in termini di efficacia/tempo aumenta la sensazione di noia, che diminuendo l’interesse, inficia la capacità di concentrazione e inibisce il ricordo.

SONO APPLICABILI IN QUALSIASI DISCIPLINA? IL LORO UTILIZZO SI SOSTITUISCE AL RAGIONAMENTO E ALLA COMPRENSIONE?

L’applicazione pedissequa di mnemotecniche ad ogni tipo di informazione non vi fornirà alcun vantaggio, il loro impiego deve essere calibrato e ragionevole.  Non ha senso, ad esempio, imparare a memoria informazioni che una volta analizzate razionalmente e comprese si ricordano già. Il ricorso alle mnemotecniche ci permette di migliorare il ricordo e rendere più rapida la nostra facoltà di apprendere, ma esse non devono essere applicate sempre e ovunque, il loro abuso risulta infatti controproducente.

Con un po’di immaginazione potremmo paragonare il loro utilizzo all’impiego della marcia più alta di una macchina da corsa: la tecnica è la marcia che permette di raggiungere le velocità maggiori, ma per impiegare il minor tempo possibile a completare un percorso, sarà importante ricorrere a quella che più si adatta al tratto corrente.

Un metodo di studio corretto, a mio modesto parere, si fonda sul ragionamento e la comprensione, che sono le basi per qualsiasi memorizzazione, prima spontanea e poi adiuvata dalle mnemotecniche.

L’UTILIZZO DI QUESTE TECNICHE È ALLA PORTATA DI TUTTI? QUALI SONO I VANTAGGI OTTENIBILI?

Solo chi è sufficientemente curioso e costante nell’esercizio di queste tecniche potrà raggiungere un’abilità soddisfacente; come per ogni altra tecnica, questa è frutto dell’esercizio e dell’abitudine.

I vantaggi sono definibili in risparmio di tempo, riduzione dello stato d’ansia, ordine mentale, e acquisizione di un ricordo a lungo termine. Si ha un guadagno di tempo poiché la persona che si avvale di queste tecniche non avrà alcuna necessità di ripetere le informazioni per apprenderle.

Il ricordo visivo che si viene a creare rende consapevoli di aver appreso in maniera consolidata le nozioni: la sensazione è quella di aver a disposizione un taccuino per appunti, sfogliabile mentalmente; ciò rende molto più sicuri, diminuendo il livello di ansia.

Sotto stress è facilitato il richiamo delle immagini della memoria, amigdala e ipotalamo sono infatti stimolati nello stato di allerta, che invece tende a diminuire l’attività della corteccia frontale, sede dell’analisi e della memoria logica.

In sede di esame ad alcuni studenti capita di agitarsi e non riuscire a richiamare le informazioni apprese; per i motivi descritti prima, con le mnemotecniche questo rischio viene meno.

Ricordare una consecuzione di immagini permette di manipolarle, avendo a mente un susseguirsi visuale, e nel frattempo di proseguire con il proprio discorso.  Il Sistema Nervoso permette di gestire contemporaneamente due canali differenti di informazioni, uno linguistico e uno visivo; senza immagini ciò è non è possibile.

L’ordine delle informazioni viene dato dalle stesse tecniche utilizzate, per questo anche l’esposizione ne avrà dei vantaggi: “cosi l’ordine dei luoghi conserverà l’ordine delle cose e l’immagine delle cose indicherà le cose stesse” Cicerone, “De oratore”.

Infine le tecniche di memoria, se padroneggiate con esperienza e accortezza, permettono di creare nella maggior parte dei casi un ricordo a lungo termine; grazie a un sistema di ripassi programmati ideato da Tony Buzan, psicologo esperto di apprendimento, qualsiasi informazione memorizzata per mezzo delle mnemotecniche può essere ricordata a lungo termine.

BIBLIOGRAFIA

Cicerone, De Oratore, Libro II Biblioteca Universale Rizzoli,2006

Tony Buzan, Usiamo la Testa, Sperling & Kupfer Editori,2011

Tony Buzan, Usiamo la Memoria, Sperling & Kupfer Editori,2012

Giuseppe Anastasi, Trattato di Anatomia Umana, Volume III  Edi-Ermes, 2010

Tony Buzan, Lettura Veloce, Alessio Roberti Editore – Nlp Italy,2009

Tony Buzan, Mappe Mentali, Alessio Roberti Editore- Nlp Italy,2012

Gianni Golfera, Migliora la tua memoria, Sperling & Kupfer,2006

SITOGRAFIA

www.wikipedia.it

www.unibg.it

www.mnemotecniche.com

Grazie a Woody Allen, dal quale ho preso spunto per il titolo dell’articolo.

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  • 3 MODI DI INTENDERE LA DISSOCIAZIONE: DA UN INTERVENTO DI BENEDETTO FARINA 12 December 2023
  • Il burnout oltre i luoghi comuni (DI RICCARDO GERMANI) 23 November 2023
  • TRATTAMENTO INTEGRATO DELL’ANSIA: INTERVISTA A MASSIMO AGNOLETTI ED EMILIANO TOSO 9 November 2023
  • 10 ARTICOLI SUL JOURNALING E SUI BENEFICI DELLO SCRIVERE 6 November 2023
  • UN’INTERVISTA A GIUSEPPE CRAPARO SU PIERRE JANET 30 October 2023
  • CONTRASTARE IL DECADIMENTO COGNITIVO: ALCUNI SPUNTI PRATICI 26 October 2023
  • PTSD (in podcast) 25 October 2023
  • ANIMALI CHE SI DROGANO, DI GIORGIO SAMORINI 12 October 2023
  • VERSO UNA TERAPIA ESPOSITIVA DI PRECISIONE: PREFAZIONE 7 October 2023
  • Congresso Bari SITCC 2023: un REPORT 2 October 2023
  • GLI INCONTRI ORGANIZZATI DA AISTED, Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione 25 September 2023
  • CANNABISCIENZA.IT 22 September 2023
  • TERAPIA ESPOSITIVA (IN PODCAST) 18 September 2023
  • TERAPIA ESPOSITIVA: INTERVISTA A EMILIANO TOSO (PARTE SECONDA) 4 September 2023
  • POPMED: 10 articoli/novità dal mondo della letteratura scientifica in ambito “psi” (ogni 15 giorni) 30 August 2023
  • DIFFUSIONE PATOLOGICA DELL’ATTENZIONE E SUPERFICIALITÀ DIGITALE. UN ESTRATTO DA “PSIQ” di VALERIO ROSSO 23 August 2023
  • LE FRONTIERE DELLA TERAPIA ESPOSITIVA. INTERVISTA A EMILIANO TOSO 12 August 2023
  • NIENTE COME PRIMA, DI MANGIASOGNI 8 August 2023
  • NASCE IL “GRUPPO DI INTERESSE SULLA PSICOPATOLOGIA” DI AISTED (Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione) 26 July 2023
  • Psychedelic Science Conference 2023 – lo stato dell’arte sulle terapie psichedeliche  15 July 2023
  • RENDERE NON NECESSARIA LA DISSOCIAZIONE: DA UN ARTICOLO DI VAN DER HART, STEELE, NIJENHUIS 29 June 2023
  • EMBODIED MINDS: INTERVISTA A SARA CARLETTO 21 June 2023
  • Psychiatry On Line Italia: 10 rubriche da non perdere! 7 June 2023
  • CURARE LA PSICHIATRIA DI ANDREA VALLARINO (INTRODUZIONE) 1 June 2023
  • UN RICORDO DI LUIGI CHIRIATTI, STUDIOSO DI TARANTISMO 30 May 2023
  • PHENOMENAUTICS 20 May 2023
  • 6 MESI DI POPMED, PER TORNARE ALLA FONTE 18 May 2023
  • GLI PSICOFARMACI PER LO STRESS POST TRAUMATICO (PTSD) 8 May 2023
  • ILLUSIONI IPNAGOGICHE, SONNO E PTSD 4 May 2023
  • SI PUÓ DIRE MORTE? INTERVISTA A DAVIDE SISTO 27 April 2023
  • CENTRO SORANZO: INTERVISTA A MAURO SEMENZATO 12 April 2023
  • Laetrodectus, che morde di nascosto 6 April 2023
  • STABILIZZAZIONE E CONFINI: METTERE PALETTI PER REGOLARSI 4 April 2023
  • L’eredità teorica di Giovanni Liotti 31 March 2023
  • “UN RITMO PER L’ANIMA”, TARANTISMO E DINTORNI 7 March 2023
  • SUICIDIO: SPUNTI DAL LAVORO DI MAURIZIO POMPILI E EDWIN SHNEIDMAN 9 January 2023
  • SUPERHERO THERAPY. INTERVISTA A MARTINA MIGLIORE 5 December 2022
  • Allucinazioni nel trauma e nella psicosi. Un confronto psicopatologico 26 November 2022
  • FUGA DI CERVELLI 15 November 2022
  • PSICOTERAPIA DELL’ANSIA: ALCUNI SPUNTI 7 November 2022
  • LA Q DI QOMPLOTTO 25 October 2022
  • POPMED: UN ESEMPIO DI NEWSLETTER 12 October 2022
  • INTERVISTA A MAURO BOLOGNA, PRESIDENTE SIPNEI 10 October 2022
  • IL “MANUALE DELLE TECNICHE PSICOLOGICHE” DI BERNARDO PAOLI ED ENRICO PARPAGLIONE 6 October 2022
  • POPMED, UNA NEWSLETTER DI AGGIORNAMENTO IN AREA “PSI”. PER TORNARE ALLA FONTE 30 September 2022
  • IL CONVEGNO SIPNEI DEL 1 E 2 OTTOBRE 2022 (FIRENZE): “LA PNEI NELLA CLINICA” 20 September 2022
  • LA TEORIA SULLA NASCITA DEL PENSIERO DI WILFRED BION 1 September 2022
  • NEUROFEEDBACK: INTERVISTA A SILVIA FOIS 10 August 2022
  • La depressione come auto-competizione fallimentare. Alcuni spunti da “La società della stanchezza” di Byung Chul Han 27 July 2022
  • SCOPRIRE LA SIPNEI. INTERVISTA A FRANCESCO BOTTACCIOLI 6 July 2022
  • PERFEZIONISMO: INTERVISTA A VERONICA CAVALLETTI (CENTRO TAGES ONLUS) 6 June 2022
  • AFFRONTARE IL DISTURBO DISSOCIATIVO DELL’IDENTITÁ 28 May 2022
  • GARBAGE IN, GARBAGE OUT.  INTERVISTA FIUME A ZIO HACK 21 May 2022
  • PTSD: ALCUNE SLIDE IN FREE DOWNLOAD 10 May 2022
  • MANAGEMENT DELL’INSONNIA 3 May 2022
  • “IL LAVORO NON TI AMA”: UN PODCAST SULLA HUSTLE CULTURE 27 April 2022
  • “QUI E ORA” DI RONALD SIEGEL. IL LIBRO PERFETTO PER INTRODURSI ALLA MINDFULNESS 20 April 2022
  • Considerazioni sul trattamento di bambini e adolescenti traumatizzati 11 April 2022
  • IL COLLASSO DEL CONTESTO NELLA PSICOTERAPIA ONLINE 31 March 2022
  • L’APPROCCIO “OPEN DIALOGUE”. INTERVISTA A RAFFAELLA POCOBELLO (CNR) 25 March 2022
  • IL CORPO, IL PANICO E UNA CORRETTA DIAGNOSI DIFFERENZIALE: INTERVISTA AD ANDREA VALLARINO 21 March 2022
  • RECENSIONE: L’EREDITÁ DI BION (A CURA DI ANTONIO CIOCCA) 20 March 2022
  • GLI PSICHEDELICI COME STRUMENTO TRANSDIAGNOSTICO DI CURA, IL MODELLO BIPARTITO DELLA SEROTONINA E L’INFLUENZA DELLA PSICOANALISI 7 March 2022
  • FOTOTERAPIA: JUDY WEISER e il lavoro con il lutto 1 March 2022
  • PLACEBO E DOLORE: IL POTERE DELLA MENTE (da un articolo di Fabrizio Benedetti) 14 February 2022
  • INTERVISTA A RICCARDO CASSIANI INGONI: “Metodo T.R.E.®” E TECNICHE BOTTOM-UP PER L’APPROCCIO AL PTSD 3 February 2022
  • SPIDER, CRONENBERG 26 January 2022
  • LE TEORIE BOTTOM-UP NELLA PSICOTERAPIA DEL POST-TRAUMA (di Antonio Onofri e Giovanni Liotti) 17 January 2022
  • 24 MESI DI PSICOTERAPIA ONLINE 10 January 2022
  • LA TOSSICODIPENDENZA COME TENTATIVO DI AMMINISTRARE LA SINDROME POST-TRAUMATICA 7 January 2022
  • La Supervisione strategica nei contesti clinici (Il lavoro di gruppo con i professionisti della salute e la soluzione dei problemi nella clinica) 4 January 2022
  • PSICHEDELICI: LA SCIENZA DIETRO L’APP “LUMINATE” 21 December 2021
  • ASYLUMS DI ERVING GOFFMAN, PER PUNTI 14 December 2021
  • LA SINDROME DI ASPERGER IN BREVE 7 December 2021
  • IL CONVEGNO DI SAN DIEGO SULLA PSICOTERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI (marzo 2022) 2 December 2021
  • PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA E DEEP BRAIN REORIENTING. INTERVISTA A PAOLO RICCI (AISTED) 29 November 2021
  • INTERVISTA A SIMONE CHELI (ASSOCIAZIONE TAGES ONLUS) 25 November 2021
  • TRAUMA: IMPOSTAZIONE DEL PIANO DI CURA E PRIMO COLLOQUIO 16 November 2021
  • TEORIA POLIVAGALE E LAVORO CON I BAMBINI 9 November 2021
  • INTRODUZIONE A BYUNG-CHUL HAN: IL PROFUMO DEL TEMPO 3 November 2021
  • IT (STEPHEN KING) 27 October 2021
  • JUDITH LEWIS HERMAN: “GUARIRE DAL TRAUMA” 22 October 2021
  • ANCORA SU PIERRE JANET 15 October 2021
  • PSICONUTRIZIONE: IL LAVORO DI FELICE JACKA 3 October 2021
  • MEGLIO MALE ACCOMPAGNATI CHE SOLI: LE STRATEGIE DI CONTROLLO IN INFANZIA (PTSDc) 30 September 2021
  • OVERLOAD COGNITIVO ED ECOLOGIA MENTALE 21 September 2021
  • UN LUOGO SICURO 17 September 2021
  • 3MDR: UNO STRUMENTO SPERIMENTALE PER COMBATTERE IL PTSD 13 September 2021
  • UN LIBRO PER L’ESTATE: “COME ANNOIARSI MEGLIO” DI PIETRO MINTO 6 August 2021
  • “I fondamenti emotivi della personalità”, JAAK PANKSEPP: TAKEAWAYS E RECENSIONE 3 August 2021
  • LIFESTYLE PSYCHIATRY 28 July 2021
  • LE DIVERSE FORME DI SINTOMO DISSOCIATIVO 26 July 2021
  • PRIMO LEVI, LA CARCERAZIONE E IL TRAUMA 19 July 2021
  • “IL PICCOLO PARANOICO” DI BERNARDO PAOLI. PARANOIA, AMBIVALENZA E MODELLO STRATEGICO 14 July 2021
  • RECENSIONE PER PUNTI DI “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE” 8 July 2021
  • I VIRUS: IL LORO RUOLO NELLE MALATTIE NEURODEGENERATIVE 7 July 2021
  • LA PLUSDOTAZIONE SPIEGATA IN BREVE 1 July 2021
  • COS’É LA COGNITIVE PROCESSING THERAPY? 24 June 2021
  • SULLA TERAPIA ESPOSITIVA PER I DISTURBI FOBICI: IL MODELLO DI APPRENDIMENTO INIBITORIO DI MICHELLE CRASKE 19 June 2021
  • É USCITO IL SECONDO EBOOK PRODOTTO DA AISTED 15 June 2021
  • La psicologia fenomenologica nelle comunità terapeutiche -con il blog Psicologia Fenomenologica. 7 June 2021
  • PSICHIATRIA DI COMUNITÁ: LA SCELTA DI UN METODO 31 May 2021
  • PTSD E SPAZIO PERIPERSONALE: DA UN ARTICOLO DI DANIELA RABELLINO ET AL. 26 May 2021
  • CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA: UN CONVEGNO ONLINE CON VALERIO ROSSO, MARCO CREPALDI, LUCA PROIETTI, BERNARDO PAOLI, GENNARO ROMAGNOLI 22 May 2021
  • MDMA PER IL PTSD: NUOVE EVIDENZE 21 May 2021
  • MAP (MULTIPLE ACCESS PSYCHOTHERAPY): IL MODELLO DI PSICOTERAPIA AD APPROCCI COMBINATI CON ACCESSO MULTIPLO DI FABIO VEGLIA 18 May 2021
  • CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA: UN CONVEGNO GRATUITO ONLINE (21 MAGGIO) 13 May 2021
  • BALBUZIE: COME USCIRNE (il metodo PSICODIZIONE) 10 May 2021
  • PANICO: INTERVISTA AD ANDREA IENGO (PANICO.HELP) 7 May 2021
  • Psicologia digitale e pandemia COVID19: il report del Centro Medico Santagostino di Milano dall’European Conference on Digital Psychology (ECDP) 4 May 2021
  • SOLCARE IL MARE ALL’INSAPUTA DEL CIELO. Liberalizzare come terapia: il problema dell’autocontrollo in clinica 30 April 2021
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO” 25 April 2021
  • La psicologia fenomenologica nelle comunità terapeutiche 25 April 2021
  • 3 STRUMENTI CONTRO IL TRAUMA (IN BREVE): TAVOLA DISSOCIATIVA, DISSOCIAZIONE VK E CAMBIO DI STORIA 23 April 2021
  • IL MALADAPTIVE DAYDREAMING SPIEGATO PER PUNTI 17 April 2021
  • UN VIDEO PER CAPIRE LA DISSOCIAZIONE 12 April 2021
  • CORRELATI MORFOLOGICI E FUNZIONALI DELL’EMDR: UNA PANORAMICA SULLA NEUROBIOLOGIA DEL TRATTAMENTO DEL PTSD 4 April 2021
  • TRAUMA E DISSOCIAZIONE IN ETÁ EVOLUTIVA: (VIDEO)INTERVISTA AD ANNALISA DI LUCA 1 April 2021
  • GLI EFFETTI POLARIZZANTI DELLA BOLLA INFORMATIVA. INTERVISTA A NICOLA ZAMPERINI DEL BLOG “DISOBBEDIENZE” 30 March 2021
  • SVILUPPARE IL PENSIERO LATERALE (EDWARD DE BONO) – RECENSIONE 24 March 2021
  • MDMA PER IL POST-TRAUMA: BEN SESSA E ALTRI RIFERIMENTI IN RETE 22 March 2021
  • 8 LIBRI FONDAMENTALI SU TRAUMA E DISSOCIAZIONE 14 March 2021
  • VIDEOINTERVISTA A CATERINA BOSSA: LAVORARE CON IL TRAUMA 7 March 2021
  • PRIMO SOCCORSO PSICOLOGICO E INTERVENTO PERI-TRAUMATICO: IL LAVORO DI ALAIN BRUNET ED ESSAM DAOD 2 March 2021
  • “SHARED LIVES” NEL REGNO UNITO: FORME DI PSICHIATRIA D’AVANGUARDIA 25 February 2021
  • IL TRAUMA (PTSD) NEGLI ANIMALI (PARTE 1) 21 February 2021
  • FLOW: una definizione 15 February 2021
  • NEUROBIOLOGIA DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO (PTSD) 8 February 2021
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE (SECONDA PARTE): FINE PENA MAI 3 February 2021
  • INTERVISTA A COSTANZO FRAU: DISSOCIAZIONE, TRAUMA, CLINICA 1 February 2021
  • LO SPETTRO IMPULSIVO COMPULSIVO. I DISTURBI OSSESSIVO COMPULSIVI SONO DISTURBI DA ADDICTION? 25 January 2021
  • ANATOMIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (E PSICOTERAPIA) 15 January 2021
  • LA STRANGE SITUATION IN BREVE e IL TRAUMA COMPLESSO 11 January 2021
  • GIORNALISMO = ENTERTAINMENT 6 January 2021
  • SIMBOLIZZARE IL TRAUMA: IL RUOLO DELL’ATTO ARTISTICO 2 January 2021
  • PSICHIATRIA: IL MODELLO DE-ISTITUZIONALIZZANTE DI GEEL, BELGIO (The Openbaar Psychiatrisch Zorgcentrum) 28 December 2020
  • STABILIZZARE I SINTOMI POST TRAUMATICI: ALCUNI ASPETTI PRATICI 18 December 2020
  • Psicoterapia breve strategica del Disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Intervista ad Andrea Vallarino e Luca Proietti 14 December 2020
  • CRONOFAGIA DI DAVIDE MAZZOCCO: CONTRO IL FURTO DEL TEMPO 10 December 2020
  • PODCAST: SPECIALIZZAZIONE IN PSICHIATRIA E CLINICA A CHICAGO, con Matteo Respino 8 December 2020
  • COME GESTIRE UNA DIPENDENZA? 4 PIANI DI INTERVENTO 3 December 2020
  • INTRODUZIONE A JAAK PANKSEPP 28 November 2020
  • INTERVISTA A DANIELA RABELLINO: LAVORARE CON RUTH LANIUS E NEUROBIOLOGIA DEL TRAUMA 20 November 2020
  • MDMA PER IL TRAUMA: VIDEOINTERVISTA A ELLIOT MARSEILLE (A CURA DI JONAS DI GREGORIO) 16 November 2020
  • PSICHIATRIA E CINEMA: I CINQUE MUST-SEE (a cura di Laura Salvai, Psychofilm) 12 November 2020
  • STRESS POST TRAUMATICO: una definizione e alcuni link di approfondimento 7 November 2020
  • SCOPRIRE IL FOREST BATHING 2 November 2020
  • IL TRAUMA COME APPRENDIMENTO A PROVA SINGOLA (ONE TRIAL LEARNING) 28 October 2020
  • IL PANICO COME ROTTURA (RAPPRESENTATA) DI UN ATTACCAMENTO? da un articolo di Francesetti et al. 24 October 2020
  • LE PENSIONI DEGLI PSICOLOGI: INTERVISTA A LORENA FERRERO 21 October 2020
  • INTERVISTA A JONAS DI GREGORIO: IL RINASCIMENTO PSICHEDELICO 18 October 2020
  • IL RITORNO (MASOCHISTICO?) AL TRAUMA. Intervista a Rossella Valdrè 13 October 2020
  • ASCESA E CADUTA DEI COMPETENTI: RADICAL CHOC DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA 6 October 2020
  • L’EMDR: QUANDO USARLO E CON QUALI DISTURBI 30 September 2020
  • FACEBOOK IS THE NEW TOBACCO. Perchè guardare “The Social Dilemma” su Netflix 28 September 2020
  • SPORT, RILASSAMENTO, PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA: oltre la parola per lo stress post traumatico 21 September 2020
  • IL MODELLO TRIESTINO, UN’ECCELLENZA ITALIANA. Intervista a Maria Grazia Cogliati Dezza e recensione del docufilm “La città che cura” 15 September 2020
  • IL RITORNO DEL RIMOSSO. Videointervista a Luigi Chiriatti su tarantismo e neotarantismo 10 September 2020
  • FARE PSICOTERAPIA VIAGGIANDO: VIDEOINTERVISTA A BERNARDO PAOLI 2 September 2020
  • SUL MERCATO DELLA DOPAMINA: INTERVISTA A VALERIO ROSSO 31 August 2020
  • TARANTISMO: 9 LINK UTILI 27 August 2020
  • FRANCESCO DE RAHO SUL TARANTISMO, tra superstizione e scienza 26 August 2020
  • ATTACCHI DI PANICO: IL MODELLO SUL CONTROLLO 7 August 2020
  • SHELL SHOCK E PRIMA GUERRA MONDIALE: APPORTI VIDEO 31 July 2020
  • LA LUNA, I FALÒ, ANGUILLA: un romanzo sulla melanconia 27 July 2020
  • VIDEOINTERVISTA A FERNANDO ESPI FORCEN: LAVORARE COME PSICHIATRA A CHICAGO 20 July 2020
  • ALCUNI ESTRATTI DALLA RUBRICA “GROUNDING” (PDF) 14 July 2020
  • STRESS POST TRAUMATICO: IL MODELLO A CASCATA. Da un articolo di Ruth Lanius 10 July 2020
  • OTTO KERNBERG SUGLI OBIETTIVI DI UNA PSICOANALISI: DA UNA VIDEOINTERVISTA 3 July 2020
  • SONNO, STRESS E TRAUMA 27 June 2020
  • Il SAFE AND SOUND PROTOCOL, UNO STRUMENTO REGOLATIVO. Videointervista a GABRIELE EINAUDI 23 June 2020
  • IL CONTROLLO CHE FA PERDERE IL CONTROLLO: UNA VIDEOINTERVISTA AD ANDREA VALLARINO SUL DISTURBO DI PANICO 11 June 2020
  • STRESS, RESILIENZA, ADATTAMENTO, TRAUMA – Alcune definizioni per creare una mappa clinicamente efficace 5 June 2020
  • DA “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE”: COS’É LA NEUROCEZIONE 3 June 2020
  • AUTO-TRADIRSI. UNA DEFINIZIONE DI MORAL INJURY 28 May 2020
  • BASAGLIA RACCONTA IL COVID 26 May 2020
  • FONDAMENTI DI PSICOTERAPIA: LA FINESTRA DI TOLLERANZA DI DANIEL SIEGEL 20 May 2020
  • L’EBOOK AISTED: “AFFRONTARE IL TRAUMA PSICHICO: il post-emergenza.” 18 May 2020
  • NOI, ESSERI UMANI POST- PANDEMICI 14 May 2020
  • PUNTI A FAVORE E PUNTI CONTRO “CHANGE” di P. Watzlawick, J.H. Weakland e R. Fisch 9 May 2020
  • APPORTI VIDEO SUL TARANTISMO – PARTE 2 4 May 2020
  • RISCOPRIRE L’ARCHIVIO (VIDEO) DI PSYCHIATRY ON LINE PER I SUOI 25 ANNI 2 May 2020
  • SULL’IMMOBILITÀ TONICA NEGLI ANIMALI. Alcuni spunti da “IPNOSI ANIMALE, IMMOBILITÁ TONICA E BASI BIOLOGICHE DI TRAUMA E DISSOCIAZIONE” 30 April 2020
  • FOBIE SPECIFICHE IN BREVE 25 April 2020
  • JEAN PIAGET E LA SHARING ECONOMY 25 April 2020
  • LO STATO DELL’ARTE INTORNO ALLA DIMENSIONE SOCIALE DELLA MEMORIA: SUL MODO IN CUI SI E’ ARRIVATI ALLA CREAZIONE DEL CONCETTO DI RICORDO CONGIUNTO E SU QUANTO LA VITA RELAZIONALE INFLUENZI I PROCESSI DI SVILUPPO DELLA MEMORIA 25 April 2020
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.3 – MODELLO ITALIANO E MODELLO BELGA A CONFRONTO, CON GIOVANNA JANNUZZI! 22 April 2020
  • RISCOPRIRE PIERRE JANET: PERCHÉ ANDREBBE LETTO DA CHIUNQUE SI OCCUPI DI TRAUMA? 21 April 2020
  • AGGIUNGERE LEGNA PER SPEGNERE IL FUOCO. TERAPIA BREVE STRATEGICA E DISTURBI FOBICI 17 April 2020
  • INTERVISTA A NICOLÓ TERMINIO: L’UOMO SENZA INCONSCIO 13 April 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.3 10 April 2020
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.2 – MODELLO ITALIANO E MODELLO SVIZZERO A CONFRONTO, CON OMAR TIMOTHY KHACHOUF! 6 April 2020
  • ANTONELLO CORREALE: IL QUADRO BORDERLINE IN PUNTI 4 April 2020
  • 10 ANNI DI E.J.O.P: DOVE SIAMO? 31 March 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.2 27 March 2020
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE: RISTRETTI.IT 25 March 2020
  • NELLE CORNA DEL BUE LUNARE: IL LAVORO DI LIDIA DUTTO 16 March 2020
  • LA COLPA NEL DOC: LA MENTE OSSESSIVA DI FRANCESCO MANCINI 12 March 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.1 6 March 2020
  • PREFAZIONE DI “PTSD: CHE FARE?”, a cura di Alessia Tomba 5 March 2020
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO”: EP.1 – FERNANDO ESPI FORCEN 29 February 2020
  • NERVATURE TRAUMATICHE E PREDISPOSIZIONE AL PTSD 13 February 2020
  • RIMOZIONE E DISSOCIAZIONE: FREUD E PIERRE JANET 3 February 2020
  • TEORIA DEI SISTEMI COMPLESSI E PSICOPATOLOGIA: DENNY BORSBOOM 17 January 2020
  • LA CULTURA DELL’INDAGINE: IL MASTER IN TERAPIA DI COMUNITÀ DEL PORTO 15 January 2020
  • IMPATTO DELL’ESERCIZIO FISICO SUL PTSD: UNA REVIEW E UN PROGRAMMA DI ALLENAMENTO 30 December 2019
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI GIULIO TONONI 27 December 2019
  • THOMAS INSEL: FENOTIPI DIGITALI IN PSICHIATRIA 19 December 2019
  • HPPD: HALLUCINOGEN PERCEPTION PERSISTING DISORDER 12 December 2019
  • SU “LA DIMENSIONE INTERPERSONALE DELLA COSCIENZA” 24 November 2019
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  • PTSD E SLOW-BREATHING: RESPIRARE PER DOMINARE 29 October 2019
  • UNA DEFINIZIONE DI “TRAUMA DA ATTACCAMENTO” 18 October 2019
  • PROCHASKA, DICLEMENTE, ADDICTION E NEURO-ETICA 24 September 2019
  • NOMINARE PER DOMINARE: L’AFFECT LABELING 20 September 2019
  • MEMORIA, COSCIENZA, CORPO: TRE AREE DI IMPATTO DEL PTSD 13 September 2019
  • CAUSE E CONSEGUENZE DELLO STIGMA 9 September 2019
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  • “LA CITTÀ CHE CURA”: COSA SONO LE MICROAREE DI TRIESTE? 8 August 2019
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  • IL LAVORO DI CARLA RICCI SUL FENOMENO HIKIKOMORI 24 July 2019
  • QUALI FONTI USARE IN AMBITO DI PSICHIATRIA E PSICOLOGIA CLINICA? 16 July 2019
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  • LA PSICOTERAPIA COME LABORATORIO IDENTITARIO 11 June 2019
  • DEEP BRAIN REORIENTING – IN CHE MODO CONTRIBUISCE AL TRATTAMENTO DEI TRAUMI? 6 June 2019
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  • LA PEDAGOGIA STEINER-WALDORF PER PUNTI 14 May 2019
  • SOSTANZE PSICOTROPE E INDUSTRIA DEL MASSACRO: LA MODERNA CORSA AGLI ARMAMENTI FARMACOLOGICI 7 May 2019
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  • SUL REHEARSAL 15 April 2019
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  • TERAPIA ESPOSITIVA IN REALTÀ VIRTUALE PER IL TRATTAMENTO DEI DISTURBI D’ANSIA: META-ANALISI DI STUDI RANDOMIZZATI 3 April 2019
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  • IVAN PAVLOV SUL PTSD: LA VICENDA DEI “CANI DEPRESSI” 26 March 2019
  • A PROPOSITO DI POST VERITÀ 22 March 2019
  • TARANTISMO COME PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA? 19 March 2019
  • R.D. HINSHELWOOD: DUE VIDEO DA UN CONVEGNO ORGANIZZATO DA “IL PORTO” DI MONCALIERI E DALLA RIVISTA PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE 15 March 2019
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IL BLOG

Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

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  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
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