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Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in psichiatria e psicoterapia

27 February 2024

BRESCIA, FEBBRAIO 2024: DUE ESTRATTI DALLA MASTERCLASS “VERSO UNA NUOVA TERAPIA ESPOSITIVA DI PRECISIONE”

di Raffaele Avico

A febbraio 2024, a Brescia, Massimo Agnoletti ed Emiliano Toso hanno tenuto una masterclass che aveva come tema centrale la terapia espositiva, che abbiamo su questo blog approfondito in molteplici post.

Il corso si è svolto nel corso di un’intera giornata, e ha avuto come temi centrali la “visione” sulla psicoterapia portata da Agnoletti -ricercatore psicologo esperto di gestione dello stress e “psicoterapia d’avanguardia”-, insieme ad un approfondimento verticale sulla terapia espositiva portato da Toso, che su questo tema scrive e studia da molti anni.

Agnoletti ha parlato di microbiota, visione olistica della salute mentale ed epigenetica, citando molti studi di ricerca (attingendo anche dalla sua vasta produzione in letteratura, accessibile da qui).

Toso ha indagato invece il paradigma inibitorio dell’esposizione formalizzato da Michelle Craske, aggiungendo alcuni aspetti “suoi”: i fattori estrinseci ed intrinseci a una migliore implementazione della terapia espositiva in psicoterapia (si veda qui).

Qui di seguito due estratti del corso, visibili in chiaro sul canale di Psychiatry On Line.


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

Article by admin / Generale, Formazione / psichiatria, psicoterapia

5 February 2024

POPMED TALKS

di Raffaele Avico

POPMed è una newsletter a tema salute mentale, a pagamento. Costa 9,90€ al mese, e per ora consta di una mail mensile con riassunti 10 articoli di letteratura scientifica inerenti il lavoro da terapeuta, e di un podcast (ogni 1 del mese) con interviste a esperti di settore e clinici.

La prima puntata di POPMed Talks è di questo febbraio, e ha come protagonista Daniele Bruzzone, docente universitario e presidente dell’Associazione di Logoterapia e Analisi Esistenziale Frankliana (qui il sito).

Bruzzone ci ha parlato di Viktor Frankl, della realtà della logoterapia in senso europeo, dei lavori migliori per approcciarsi all’autore, della portata “umana” di una terapia basata sul “senso”.

Frankl fu anche un grande psicoterapeuta: per chi volesse alcuni spunti in più da consultare (anche in senso “clinico”), qui un approfondimento.

A Marzo, uscirà un’intervista a Matteo Buonarroti, medico psichiatra in formazione, uno dei due italiani ad aver svolto questo corso sulla psicoterapia assistita da psichedelici.

Cliccando sull’immagine, il link all’episodio:

 

Article by admin / Formazione / neuroscienze, psicoterapiacognitivocomportamentale

1 February 2024

NASCE L’ASSOCIAZIONE COALA (TORINO)

di Raffaele Avico, Caterina Bossa

A Torino nasce l’Associazione Coala, partner di questo blog, orientata a fornire prevenzione e cura riguardante gli “esiti del legame di attaccamento insicuro e disorganizzato in ambito perinatale“.

Riportiamo qui il manifesto dell’Associazione, a cura di Caterina Bossa (che già intervistammo):

“L’associazione Coala nasce il 10 novembre 2023 dall’esperienza decennale della dott sa Bossa Caterina e Federica Paschetta; altri colleghi e colleghe esperti di perinatale e infanzia si sono in seguito uniti al progetto.

Sappiamo quanto l’attaccamento sia vitale per un cucciolo e quanto la sicurezza sia preventiva di future traiettorie disfunzionali patologiche. Un attaccamento sicuro è come un mantello protettivo che ti tiene al sicuro durante una bufera, che purtroppo può accadere.

Il gruppo di lavoro vuole formare psicologi e psicologhe capaci di osservare le dinamiche relazionali tra genitori e bambini, riconoscere segnali di attaccamento insicuro o disorganizzato e porsi come base sicura per l’aiuto, il sostegno e l’accompagnamento della relazione.

Crediamo nell’importanza del confronto e del gruppo,  avere una cornice teorica di riferimento come la teoria dell’attaccamento di Bowlby, ci permette di costruire un linguaggio chiaro e un approccio condiviso oltre che un contenitore forte.

In questi anni le ricerche sul trauma e sulla disorganizzazione dell’attaccamento si sono concentrate sulla diagnosi e sul trattamento ma riteniamo che si può prevenire, evitando MOI insicuri.

La prevenzione passa attraverso lo screening in gravidanza o in fase pre-adottiva, continua con l’accompagnamento al parto in gruppo,  osservazione della diade o triade, coparenting, family home visiting e circolo della sicurezza.

In questo percorso diventa fondamentale la collaborazione con gli asili nido e le scuole, i consultori e le Asl.

Creare un contesto sicuro farà sentire la fda un po’ più al sicuro, e questo le permetterà di sperimentare un nuovo modello relazionale.

Il nostro obbiettivo è creare sicurezza per garantire l’esplorazione:

  • CO sta per fare insieme
  • ALA per permettere il volo sicuro

Se siete interessati a saperne di più consultate il sito www.associazionecoala.it“


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

Article by admin / Formazione / psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia, PTSD

22 January 2024

Offline is the new luxury, un documentario

di Raffaele Avico

Un documentario neo-luddista citato da Beppe Grillo in questo post, sufficientemente distopico, poco distante dalla realtà in cui viviamo immersi. Vi si constata una certa amarezza dei soggetti intervistati, consapevoli di come internet ai suoi primordi fosse stato ideato e pensato per essere un’arma di libertà e democrazia, non un enorme centro commerciale costruito per estrarre dati psicometrici dal comportamento dei suoi utenti.

A proposito dei movimenti neo-luddisti, interessante anche questa intervista a Logan Lane, di Brooklyn, fondatrice del cosiddetto Luddite Club, ragazzi adolescenti che decidono di disconnettersi usando dumb-phones e organizzando ritrovi “dal vivo”: Logan ragiona su quanto, nella sua stessa scuola, avesse osservato un inquietante modellamento della realtà sui contenuti di Instagram, come se il permanere costantemente immersi nella realtà dei social avesse il potere di riversarsi nella quotidianità del suo liceo, con ragazzi e ragazze vestiti/e “come se” fossero su Instagram, con modalità relazionali in linea con quelle virtuali, e altri segnali che la stessa Logan guardava con sospetto prima di creare il Club.

Il messaggio neo-luddista è inoltre sempre più al centro del lavoro di Mangiasogni, che nella sua ultima striscia animata ambienta in una Venezia del 2050 una lotta tra le “nuovissime” generazioni e quella dei millennials (la striscia si chiama appunto Death to millennials). Mangiasogni definisce i prosumer dei social di oggi e del futuro, ortaggi coltivati dagli “estrattori” di dati. La si può reperire qui.

Qui il documentario:

Article by admin / Formazione / recensioni

8 January 2024

La terapia espositiva enterocettiva (per il disturbo di panico) – di Emiliano Toso

PREMESSA: sempre in tema “esposizione” e intorno al lavoro di Emiliano Toso, si vedano anche:

  • TRATTAMENTO INTEGRATO DELL’ANSIA: INTERVISTA A MASSIMO AGNOLETTI ED EMILIANO TOSO
  • LE FRONTIERE DELLA TERAPIA ESPOSITIVA. INTERVISTA A EMILIANO TOSO
  • TERAPIA ESPOSITIVA: INTERVISTA A EMILIANO TOSO (PARTE SECONDA)
  • TERAPIA ESPOSITIVA (IN PODCAST)
  • VERSO UNA TERAPIA ESPOSITIVA DI PRECISIONE: PREFAZIONE
  • SULLA TERAPIA ESPOSITIVA PER I DISTURBI FOBICI: IL MODELLO DI APPRENDIMENTO INIBITORIO DI MICHELLE CRASKE

Come si nota dalla lettura del caso clinico, il punto centrale dell’esposizione (per come la intende Toso) è la violazione delle aspettative, tanto da rendere controproducente lavorare con il paziente in senso psicoterapico prima dell’esposizione stessa. Il caso clinico mette insieme diversi temi e aspetti collaterali all’esposizione stessa, come il sonno, l’alimentazione, l’interferenza dei farmaci nella psicoterapia (con il rischio che inibiscano l’apprendimento inibitorio). É opportuno ricordare che quando si abbia a che fare con disturbi psichici incentrati sulla paura patologica, la terapia espositiva è LA terapia elettiva, e molte forme di terapia “altra” (compresi alcuni interventi di psicoterapia psicodinamica, l’EMDR o gli esercizi di scrittura o incentrati sulla peggiore fantasia degli strategici, etc.) sono forme di terapia espositiva “sotto mentite spoglie”. (R. Avico)

VERSO UNA NUOVA ESPOSIZIONE ENTEROCETTIVA DI PRECISIONE PER IL DISTURBO DI PANICO

di Emiliano Toso (emiliano_toso@yahoo.it)

Il disturbo di panico è dato da esperienze di attacchi di panico inaspettati e ricorrenti, cui fanno seguito, per un periodo non inferiore ad un mese, persistenti preoccupazioni di poter avere nuovi attacchi e significative alterazioni del proprio comportamento in rapporto a detta preoccupazione.

I modelli eziopatogenetici del disturbo di panico non si differenziano nella sostanza da quelli che riguardano lo sviluppo di paure e fobie secondo l’approccio delle teorie dell’apprendimento. Il modello di Goldstein e Chambless (1978) si basa sulle teorie dell’apprendimento ed enfatizza il ruolo della “paura della paura”, simile al condizionamento enterocettivo di Razran (1961), in cui le sensazioni somatiche divengono stimoli condizionati di panico capaci di elicitare ansia.

I trattamenti che risultano efficaci per il disturbo di panico enfatizzano proprio  l’esposizione a tutte quelle sensazioni somatiche  che, a causa di apprendimento per condizionamento classico, cominciano ad essere temute ed evitate. Questi interventi sono attualmente molto diffusi presso i terapeuti cognitivo – comportamentali, poichè mirano direttamente al cuore del problema, ossia all’associazione tra la sensazione fisica e l’ansia, riducendo così la paura della paura e il rischio di agorafobia.

Da un punto di vista pratico gli esercizi espositivi mirano a indurre nel paziente le sensazioni corporee temute come, ad esempio l’aumento del battito cardiaco o della temperatura corporea. Gli esercizi espositivi prevalentemente utilizzati sono quelli di iperventilazione e le diverse prove di Andrews.

L’esposizione enterocettiva, così com’è stata usata sino ad oggi, si basa prevalentemente su due meccanismi di funzionamento: 1) favorire l’abituazione nei confronti dell’ansia associata alle sensazioni corporee; 2) confutare le convinzioni catastrofiche nei confronti delle sensazioni corporee. Entrambe le ipotesi hanno un denominatore comune ossia che sia possibile cancellare l’apprendimento eccitatorio alla base del disturbo.

Negli ultimi due decenni la ricerca ha evidenziato però (Toso, 2021, 2023) che la terapia di esposizione,  non comporterebbe una vera e propria cancellazione della memoria di paura bensì “darebbe vita” ad un nuovo apprendimento, capace di interferire con essa e con la sua espressione: un apprendimento, dunque, “inibitorio”- (Fig.1).

Nello specifico, sintetizzando, sta emergendo che durante il sistematico confronto con uno stimolo condizionato eccitatorio, sia esso esterno o interno (come nel caso delle sensazioni somatiche nel disturbo di panico), l’innesco del processo di “creazione inibitoria” dipenderebbe oltre che da aspetti intrinseci al processo stesso (errore predittivo, dipendenza dal contesto e ricompensa gratificante), anche da aspetti estrinseci ad esso, (capaci di modulare i primi, come ad esempio il sonno, l’attività fisica, il benessere del microbiota intestinale ). Sulla base di talI novità concettualI stanno nascendo nuove modalità operative, molto più articolate, intense, ricche e precise, che sembrano rendere l’intervento espositivo più parsimonioso ed efficace rispetto al passato (fig, 2).

Studi clinici pionieristici stanno evidenziando questi entusiasmanti risultati per numerosi tipi di disordini d’ansia, compreso il disturbo di panico (ad es. Diacono et al. 2013 – Massimizzare l’efficacia dell’esposizione interocettiva ottimizzando l’apprendimento inibitorio: uno studio randomizzato controllato).

Caso clinico esemplificativo

(fonte Toso 2023)

Ermanno è un quarantacinquenne, sposato e con due figli rispettivamente di 4 e 7 anni. Lavora come impiegato in una famosa azienda da circa 10 anni e finalmente, circa tre mesi fa, gli è stata proposta l’offerta di responsabile dell’ufficio amministrativo. Se da una parte la promozione è stata molto gradita e quindi accettata, dall’altra ha comportato sin da subito una “bella” dose di stress, sia per quanto riguarda l’enorme mole di lavoro (e la conseguente responsabilità) sia per quanto concerne il rapporto con i diversi impiegati che sembravano non gradirne la presenza al posto del precedente responsabile. “In particolare, ci sono due persone, che poi sono quelle in grado di influenzare anche tutti gli altri, che fanno in modo di farmi sentire sempre inadatto al mio ruolo. Questa cosa mi sta facendo soffrire molto, anche perché io sono una persona che ha difficoltà nell’esprimere le emozioni e dunque non riesco a chiarirmi con loro”. Il primo segno serio del suo malessere si è manifestato con l’insonnia, dapprima solo qualche notte a settimana ma poi quasi tutte le notti. A causa del senso continuo di stanchezza Ermanno ha smesso di andare a correre, come era solito fare due/tre volte alla settimana, e nonostante l’aumento della sedentarietà ha cominciato a mangiare molto cibo spazzatura e a bere alcol più del solito. In breve tempo anche la salute e la regolarità del suo intestino sono peggiorate con un senso di gonfiore costante e stitichezza.

All’interno di questo vortice di disagio interpersonale, insonnia, stanchezza, e malessere fisico una sera, mentre stava rientrando dal lavoro in auto Ermanno ha accusato un improvviso e duraturo capogiro, accompagnato da mancanza di respiro e tachicardia. A questo punto, spaventatissimo, accostò immediatamente con l’auto e chiamò la moglie con il cellulare. Accompagnato d’urgenza al pronto soccorso venne subito assistito dai sanitari con tutte le dovute indagini del caso; nel frattempo, vista l’agitazione, gli venne somministrato un tranquillante. Alla fine gli venne spiegato che il suo era stato un forte attacco di panico e che molto probabilmente esso era la conseguenza di un periodo di stress. Gli venne consigliato dunque di ridurre la mole dei suoi impegni e di assumere per una decina di giorni i tranquillanti benzodiazepinici che gli vennero prescritti. Nonostante avesse preso qualche giorno di riposo e assumesse i farmaci, dopo quell’esperienza, le cose andarono peggiorando ed Ermanno continuò ad avere altri attacchi con una frequenza di una o due volte alla settimana, intervallati da una forte ansia anticipatoria. “Ero sempre più preoccupato e temevo che questi sintomi fossero la spia di un grave problema di salute”. Iniziò così a far visita a vari medici e, nonostante gli esiti negativi delle loro indagini, si convinse che tali malesseri potessero essere di natura cardiaca. Viveva continuamente con l’ansia e la paura di avere l’attacco decisivo e questo stava stravolgendo completamente la sua vita. Smise completamente di praticare attività fisica, anche la più leggera, spesso non andava al lavoro e chiedeva continuamente rassicurazioni alla moglie e al proprio medico. Quest’ultimo, visto l’aggravarsi delle condizioni emotive del suo assistito, gli consigliò vivamente di intraprendere un trattamento psicologico.

Le prime due sessioni sono consistite in una fase di psicoeducazione e di pianificazione del trattamento. Il terapeuta ha discusso circa le origini ed i fattori di mantenimento del disturbo di panico, in particolare del fatto che per il paziente, le specifiche sensazioni fisiche avevano acquisito capacità predittiva di un possibile attacco di cuore. Inoltre, ad Ermanno venne spiegato che i numerosi comportamenti di protezione ed evitamento usati, non permettevano la violazione delle aspettative temute, mantenendo il disturbo, e per tali motivi è emersa l’importanza di eliminarli. Prima di procedere con i vari esercizi di esposizione ad Ermanno sono state evidenziati due aspetti rilevati durante la fase di assesment; il primo era l’insonnia ed il secondo il suo stato di malessere intestinale. Dopo avergli spiegato l’importanza di questi due fattori nei confronti del processo di creazione inibitoria, è stato invitato a consultare gli opportuni specialisti i quali avrebbero agito con interventi adeguati promuovendo un buon sonno e ripristinando il benessere dell’intestino. Considerando inoltre che anche le benzodiazepine prescritte al paziente avevano la capacità di ostacolare il processo di creazione inibitoria, in questa fase il terapeuta ha consultato il medico per concordarne la sospensione. Le sessioni dalla 3 alla 15 (eseguite due volte a settimana) si sono concentrate prevalentemente sulle esposizioni enterocettive mediante l’utilizzo di esercizi fisici capaci di indurre rispettivamente vertigini, mancanza di respiro e tachicardia. Per indurre i capogiri (primo sintomo percepito nella sequenza del panico), Ermanno doveva posizionarsi al centro dello studio del terapeuta e girare in cerchio su se stesso. Poiché egli credeva che ci fosse una probabilità dell’90% di avere un infarto dopo 30 secondi di esposizione a tali sensazioni, venne concordato con lui di prolungare l’esercizio per una durata di almeno un minuto. Questo aumento temporale aveva il fine di massimizzare la probabilità percepita di pericolo e quindi la violazione delle aspettative. Nelle sessioni dalla 5 alla 10 per indurre la mancanza di respiro il paziente è stato invitato a respirare attraverso una cannuccia tenendo contemporaneamente chiuso il naso oppure trattenendo il respiro. Anche queste esposizioni sono state progettate in modo da oltrepassare il punto in cui il paziente credeva di avere un attacco cardiaco, ossia 20 secondi. Infine, per provocarsi le palpitazioni, egli fu invitato nelle successive 5 sessioni a correre sul posto oppure a salire e scendere su di un cubo predisposto in studio. Al fine di amplificare il sintomo tachicardia e aumentare l’aspettativa temuta, ad Ermanno fu chiesto di assumere della caffeina (bevendo un caffè), poco prima degli esercizi, e di guardare assieme al terapeuta alcuni documentari sull’ infarto. Tale strategia ebbe un effetto immediato sulle aspettative del paziente, aumentando la sua ansia e paura ma massimizzando, al contempo, l’errore predittivo e la sorpresa. Come compiti per casa (tra una seduta e l’altra), il paziente è stato invitato a esercitarsi con gli stessi esercizi svolti in studio con l’aggiunta dei seguenti: frequentare ambienti affollati (per le vertigini), usare un colletto stretto ed entrare in ambienti caldi (senso di soffocamento) e riprendere a fare running (tachicardia). Gli è stato inoltre raccomandato di eseguire le esposizioni variando i contesti (spazio/tempo e interni/esterni). Le esposizioni dovevano quindi essere eseguite in vari momenti della giornata, e nel maggior numero di luoghi da lui solitamente frequentati. Questo avrebbe permesso di favorire il recupero di ciascun nuovo apprendimento inibitorio svincolandolo dal contesto specifico. Al termine di ogni sessione di esposizione Emanuele è stato invitato a compilare una scheda finalizzata a consolidare il lavoro svolto mettendo in evidenza l’errore di predizione e la gratificazione che ne consegue. In questa fase è risultata utile anche una discussione con il terapeuta sull’esperienza fatta, sulle domande della scheda (ad es. Hai dei pensieri che tendono a sminuire i risultati ottenuti? Se si quali?) e sulle difficoltà incontrate. Come è possibile notare le esposizioni enterocettive usate con Ermanno e basate sul modello di apprendimento inibitorio, differiscono da quelle finalizzate all’abituazione. Nel primo caso, infatti, ogni esercizio non ha lo scopo di ridurre l’ansia nel paziente bensì il fine è quello di aumentare la probabilità dell’aspettativa temuta e dunque l’ansia e la paura. Questo approccio differisce anche dai modelli cognitivi che enfatizzano la messa in discussione di errate interpretazioni e l’attenzione ai possibili segnali di sicurezza prima o durante l’esposizione. Tali interventi, eseguiti nei tempi solitamente indicati, riducendo significativamente l’aspettativa di minaccia comprometterebbero l’errore predittivo e di conseguenza anche la gratificazione. Per tali ragioni l’azione sui pensieri relativi alla minaccia sono sempre stati eseguiti alla fine di ogni esposizione in modo da consolidarne gli effetti. Le sessioni dalla 15 alla 20 sono state focalizzate sulla strategia di estinzione approfondita, che è consistita in esposizioni a diversi stimoli combinati dopo che essi erano stati estinti isolatamente. Tale strategia agisce prevalentemente ostacolando il naturale processo di abituazione allo stimolo temuto, mantenendo elevata l’aspettativa di minaccia. Dal punto di vista pratico per il paziente questo ha comportato il compito di unire nella stessa sessione esercizi di esposizione alla mancanza di respiro con altri per affrontare il battito cardiaco accelerato, dopo averli eseguite separatamente. Una volta completata questa combinazione, il terapeuta ha proposto esposizioni aggiungendo le vertigini. In questo modo, tutti e tre i sintomi temuti da Ermanno, dopo essere stati affrontati singolarmente, sono stati inclusi in un’unica esposizione per massimizzare la violazione delle aspettative. In questa fase il terapeuta ha preferito distribuire il carico di lavoro in più incontri, piuttosto che eseguire esposizioni in poche sedute. Tutto questo al fine di favorire un maggior consolidamento di quanto veniva appreso durante ogni esposizione. In un’ottica di prevenzione delle ricadute, considerando infine le difficoltà riferite dal paziente in fase di assessment, ossia quelle relative alla sue abilità assertive (“Questa cosa mi sta facendo soffrire molto anche perché io sono una persona che ha difficoltà nell’esprimere le emozioni e dunque non riesco a chiarirmi con loro”), al fine di ridurre lo stress con i colleghi e prevenire un recupero delle memorie eccitatorie ad Ermanno è stato proposto di partecipare ad un training di gruppo sull’assertività.

———–

Fig. 1 (sotto) La figura rappresenta la sintesi del processo di apprendimento inibitorio. Viene descritta la formazione di un nuovo apprendimento (SC – no SI) come conseguenza di un sistematico confronto con lo SC. Viene evidenziata la sua azione competitiva e bloccante nei confronti dell’associazione eccitatoria (SC – no SI). Infine viene descritta l’azione “frenante” della corteccia prefrontale ventromediale rispetto all’amigdala (PFCVM). I nuovi schemi di connessioni sinaptiche, tra i vari neuroni forgianti il metaforico freno, rappresentano la nuova memoria inibitoria (fonte Toso 2023).

 

Fig. 2 (sotto) Nella figura troviamo in grigio, in alto a destra, la rappresentazione del nuovo meccanismo ritenuto alla base del processo di estinzione della paura definito come “apprendimento inibitorio”. Nei riquadri blu, sono elencati gli aspetti modulatori intrinseci al processo stesso (errore predittivo, dipendenza dal contesto e ricompensa gratificante) e le strategie proposte per sfruttarli al meglio.Nei riquadri in rosso, invece i principali fattori estrinseci al processo (biologici, psicologici e ambientali) ed altrettante strategie d’intervento. Fattori intrinseci ed estrinseci agiscono sinergicamente durante il confronto con lo SC eccitatorio (Fonte Toso e Chiaravalle 2023);

Bibliografia

Toso E., Craske M.G., Treanor M., Conway C., Zbozinek T., Vervliet B. (2016). Massimizzare la terapia di esposizione: Un approccio basato sull’apprendimento inibitorio. Cognitivismo Clinico 13, 2, 103-133. Tr. it. Craske M.G., Treanor M., Conway C., Zbozinek T., Vervliet B. (2014). Maximizing exposure therapy: an inhibitory learning approach. Behaviour Research and Therapy 50, 10 – 23.

Toso, E. (2021). La seconda giovinezza dell’esposizione. Modello concettuale e modalità operative. Giovanni Fioriti Editore, Roma.

Toso, E. (2023). Verso una terapia espositiva di precisione. Dalla scienza dell’estinzione della paura alla clinica. Giovanni Fioriti Editore, Roma.

Article by admin / Formazione, panico / psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale

27 December 2023

INTRODUZIONE A VIKTOR FRANKL

di Raffaele Avico

Viktor Frankl è stato uno psichiatra austriaco di origine ebraica, internato per più di 3 anni ad Auschwitz. Frankl affrontò gli anni della prigionia con uno spirito da ricercatore, un po’ come il nostrano Primo Levi, con un approccio però più incentrato sugli stati interni dei deportati, come traiamo dalla lettura del suo famoso “Uno psicologo nei lager”.
Frankl, nel riferirsi alla sua logoterapia (una terapia basata sul senso), cita la famosa massima di Nietzsche “Chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni come”. Negli anni del secondo dopoguerra la logoterapia trovò tantissimi seguaci, ed è ancora oggi viva e vitale (pensiamo all‘Alaef – Associazione di Logoterapia e Analisi Esistenziale Frankliana, qui il sito).
Nel saggio “Uno psicologo nei lager” Frankl descrive la reazione degli individui alle condizioni di vita estreme del campo, traendone importanti conclusioni in termini di psicologia individuale (soprattutto relative alla ricerca e al bisogno di senso e significato, e alla possibilità di trascendere il quotidiano).

L’intelligenza artificiale ci aiuta a elencare i 7 principi fondanti della logoterapia, come segue:

  1. Volontà di significato (Will to Meaning): Il principio fondamentale della logoterapia è che la forza motivante primaria nella vita umana è la ricerca di significato. Frankl afferma che anche nelle circostanze più difficili, gli individui possono trovare un senso e un significato alla propria esistenza.
  2. Libertà di volontà (Freedom of Will): La logoterapia sottolinea la libertà individuale di scelta. Gli individui hanno la capacità di scegliere la propria attitudine nei confronti delle circostanze, anche quando non possono controllare gli eventi stessi.
  3. Volontà di potenza (Will to Power): Frankl non si riferisce al concetto di “volontà di potenza” come una ricerca di dominio sugli altri, ma piuttosto come una spinta interiore a realizzare il proprio potenziale e a perseguire obiettivi significativi nella vita.
  4. La triade noetica (Noetic Triad): Frankl distingue tre dimensioni del significato: il significato creativo (realizzare il proprio potenziale), il significato esperienziale (trarre significato dalle esperienze della vita) e il significato attitudinale (affrontare la sofferenza con una prospettiva positiva).
  5. Sofferenza inevitabile e sofferenza senza significato (Inevitable Suffering and Meaningless Suffering): Frankl riconosce che la sofferenza fa parte della vita, ma sottolinea che anche nella sofferenza più profonda, è possibile trovare significato. La sofferenza diventa insensata solo quando non viene accompagnata dalla ricerca di un significato 
  6. Attitudine nei confronti della sofferenza (Attitude Toward Suffering): Gli individui hanno il potere di scegliere la propria attitudine nei confronti della sofferenza. La logoterapia promuove la resilienza e la crescita personale attraverso la scelta di affrontare le sfide con una prospettiva positiva.
  7. Realizzazione attraverso l’amore e il servizio (Achievement Through Love and Service): La logoterapia sottolinea l’importanza dell’amore e del servizio agli altri come vie significative per realizzare il proprio scopo nella vita.

In questo articolo troviamo altri punti che riguardano la logoterapia: vi si introduce il concetto frankliano di nevrosi noogena, ovvero inerente l’aspetto noetico, derivante “dallo spirito”, cioè dagli aspetti più alti dell’esperienza umana, concernenti il senso e il significato. Frankl, in quanto psichiatra, sembra confrontarsi con problematiche ai limiti dell’esperienza umana, soprattutto quando alcuni fattori contingenti all’uomo nel suo vivere siano spinti agli estremi: come trovare un senso alla propria vita dopo la perdita di 6 figli nelle camere a gas (nel caso di un rabbino seguito come psichiatra dallo stesso Frankl)? Come arrivare a un significato e a un senso di pienezza esistenziale, quando sia soddisfatta ogni pulsione alla sopravvivenza e quando si permanga in una zona di assoluto comfort, evento pressoché quotidiano per ogni cittadino europeo moderno? Frankl risponde consigliando l’auto-trascendenza e il lavoro sul significato; non tutte le sofferenze umane devono essere quindi spiegate in termini di pulsioni da scaricare, o da conflitti difficilmente integrabili: alcune forme di sofferenza deriveranno da un’assenza di tensione al significato, tensione in grado di giovare ad altre “aree di vita” del paziente stesso. Lo stesso Frankl usa il termine noodinamica per indicare quel gioco di spinte inerenti il significato in grado di influenzare l’esperienza dell’individuo.

FRANKL PSICOTERAPEUTA

Frankl diede però anche molti altri spunti alla psicoterapia, prendiamo per esempio questo articolo, scritto a proposito di quella che Frankl chiamò intenzione paradossa, di fatto parente (parliamo di 100 anni fa) delle moderne tecniche controparadossali della psicoterapia strategica nardoniana.

Il principio che sta alla base di questa metodologia psicoterapeutica è più volte chiamato da Nardone “saturazione transmarginale“, che Nardone stesso riferisce essere un principio cardine della psicologia, anche se in effetti non se ne trova traccia in rete. L’idea è che esista un meccanismo di “implosione” delle emozioni, e in particolare della paura patologica, in effetti molto simile a quello che su questo blog abbiamo più volte citato, il modello a dente di sega o a cascata (in riferimento però al trauma), differente però nella sua espressione (dato che nella formulazione di Nardone non vengono citati i sintomi dissociativi, frequenti nel trauma). Dicevamo, il principio che sta alla base di questo esercizio terapeutico, è quello di portare l’espressione di un’emozione a un livello più alto di quanto la sua stessa espressione, di per sé, implichi. Si tratterebbe di autoprescriversi uno stato di sofferenza superiore rispetto a quello che già non si sperimenti, con il fine paradossale di procurare una saturazione e un successivo collasso dell’emozione stessa. Queste tecniche sono chiamate da Nardone e dagli psicoterapeuti strategici “paradossali”, e sono mutuate da vecchi (ma attuali) principi della psicologia aderente alla scuola di Palo Alto (dove usavano appunto la “prescrizione del sintomo”).

Ma: perchè funzionano? Per tre ordini di motivi:

  1. auto-prescriversi un sintomo sposta il paziente dalla posizione di voler controllarlo: si passa da una logica di conflitto, a una logica di scelta. Molti disturbi sono mantenuti in vita dal tentativo che fa il paziente di controllare le emozioni a esso soggiacenti. Pensiamo per esempio al panico. È il tentativo di controllare la paura e le sensazioni corporee a essa connesse, che aumenta la paura stessa, proprio perché stiamo tentando di controllare razionalmente qualcosa che fisiologicamente è alle “dipendenze” del sistema nervoso autonomo, che non risponde alla volontà cosciente dell’individuo. Aumentare di proposito un sintomo, porta il paziente a smettere istantantaneamente di controllarlo, e questo toglie potere al sintomo stesso
  2. auto-evocare il sintomo, porta il paziente a passare attraverso l’oggetto che più teme: parliamo dunque di un atto di esposizione estrema, una sorta di terapia d’urto. Il fatto che questo esercizio di esposizione avvenga nel contesto di un rapporto solido con il terapeuta, entro un protocollo “regolamentato”, crea quello spazio “sicuro” utile al paziente per esporsi. Nelle parole di Robert Frost: “la via d’uscita è attraverso”.
  3. predisporsi al sintomo, auto-evocando scenari di fallimento o di rischio, produce una ristrutturazione cognitiva che permette al paziente di relativizzare il rischio stesso, mettendolo maggiormente in prospettiva, de-assolutizzandolo

Riprendendo l’articolo prima citato, Frankl definisce così l’intenzione paradossa: “Bene, questo è precisamente quello che deve fare l’intenzione paradossa, la quale può essere definita come e un processo dal quale il paziente è incoraggiato a fare o a desiderare le cose di cui egli ha paura (la prima cosa si applica a paziente fobico, la seconda quello ossessivo-compulsivo)”.

Frankl continua citando due ulteriori aspetti correlati al tema dell’interazione paradossa, che in effetti rappresentano due dei punti centrali della logoterapia stessa:

  1. auto-distanziamento, che Frankl definisce come la capacità di prendere distanza dai propri contenuti di pensiero e comportamento, per mezzo  -anche- del senso dello humor
  2. auto-trascendenza, che l’autore definisce come la capacità di trovare uno scopo superiore. Nel suo famoso “uno psicologo nei lager”, Frankl diverse volte cita la possibilità di trascendere dall’esperienza quotidiana, in quel caso rappresentata dal terribile periodo di internamento: il suo scopo divenne quello di testimoniare e di indagare, come -di nuovo- il nostro Primo Levi.

Nel 1947 Frankl propone una visione “strategica” della psicoterapia, assolutamente moderna:

“Tutte le psicoterapie di orientamento psicoanalitico sono principalmente interessate a scoprire le condizioni originarie del «riflesso condizionato », in base al quale è possibile capire anche il tipo di nevrosi e, cioè, la situazione, interna ed esterna, in cui un dato sintomo nevrotico è insorto la prima volta. Chi scrive sostiene, tuttavia, che la nevrosi, ormai giunta a piena maturazione, è causata non soltanto dalle condizioni originarie, ma anche da condizionamenti secondari. Questo rinforzo a sua volta, è causato dal meccanismo di feedback, chiamato ansietà anticipatoria. Perciò, se vogliamo condizionare ulteriormente un riflesso condizionato, dobbiamo scardinare il circolo vizioso formato dall’ansia anticipatoria ed è questo il vero lavoro compiuto dalla nostra tecnica dell’intenzione paradossa.“

Se pensiamo all’origine di un attacco di panico e a come quest’ultimo venga mantenuto vivo e vitale da un processo di feedback, possiamo facilmente comprendere come la sua visione sia di fatto la stessa che oggi viene adottata contro la paura patologica nella scuola di Nardone, come esposto nel video seguente:


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

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14 December 2023

UN APPROFONDIMENTO DI MAURIZIO CECCARELLI SULLA CONCEZIONE NEO-JACKSONIANA DELLE FUNZIONI MENTALI

di Raffaele Avico

Da poco è stato pubblicato sulla pagina di AISTED dedicata al gruppo di interesse sulla psicopatologia, un intervento approfondito e gratuito di Maurizio Ceccarelli a proposito della prospettiva neo-jacksoniana a riguardo della psicopatologia. Ceccarelli parte con una chiara introduzione teorica a proposito delle teorie di Jackson, Edelman, Damasio e di Bergson (autori tutti allineati nell’idea di una concezione “gerarchica e dinamica“ delle funzioni mentali umane), per poi spingersi verso aspetti più clinici, relativa alla concezione di psicopatologia in ottica neo-jacksoniana.

In precedenza il gruppo di interesse sulla psicopatologia aveva intervistato Giuseppe Craparo sull’attualità dei contributi teorici di Pierre Janet.

Il video è visibile qui:

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12 December 2023

3 MODI DI INTENDERE LA DISSOCIAZIONE: DA UN INTERVENTO DI BENEDETTO FARINA

di Raffaele Avico

Qualche mese fa FCP ha organizzato un incontro corale per tracciare i confini dell’eredità teorica di Giovanni Liotti.

Durante questo incontro sono stati interpellati diversi studiosi del lavoro di Giovanni, di cui abbiamo spesso scritto su questo blog e che è senza dubbio stato uno dei più grandi terapeuti che l’Italia abbia conosciuto, in particolare in relazione agli studi sull’origine traumatica della dissociazione.

Liotti è stato un vero punto di riferimento per la teoria sulla dissociazione traumatica. In questo incontro corale vediamo Bruno Bara (purtroppo anche lui mancato pochi giorni fa), Lucia Tombolini (allieva di Liotti, curatrice di questa rubrica su Psychiatry on Line), Antonio Onofri, Monticelli: tutti nomi conosciuti da chi frequenti gli ambienti della psicoterapia cognitivo costruttivista/evoluzionista di “terza onda”; in particolare vogliamo qui riprendere l’intervento di Benedetto Farina, autore insieme a Liotti del famoso Sviluppi traumatici.

L’intervento di Farina lo si può ascoltare qui, in formato podcast.

Cerchiamo di estrapolare alcuni punti di interesse:

  • Farina distingue nel percorso di Liotti due grandi fasi, due periodi del suo lavoro di ricerca: prima e dopo il 2007/2008. Farina fa notare come nella prima fase del suo lavoro di ricerca, Liotti si spese per diffondere una delle sue idee più centrali e illuminanti, l’origine cioè traumatica dei disturbi dissociativi in seno al tema dell’attaccamento. Come su questo blog già approfondito (si veda per esempio qui), Liotti sosteneva (per esempio nel suo La dimensione interpersonale della coscienza) che la compresenza di sistemi motivazionali opposti e tra di loro incompatibili nel corso dei primi anni della vita di un individuo in relazione al suo caregiver (attaccamento + difesa, nei casi in cui il caregiver si dimostrasse spaventante), fosse la causa prima della creazione di modelli operativi interni incompatibili e multipli nella mente del bambino, che in seguito avrebbe sviluppato una dissociazione strutturale della personalità, la compresenza di aspetti di sé inconciliabili e riproposti all’interno delle relazioni per lui/lei significative. Nel secondo periodo di Liotti, Farina ci insegna, questo si spese per ampliare e complessificare il concetto di dissociazione, arrivando insieme ad altri autori a ipotizzare la presenza di una dimensione dissociativa, un gradiente relativo alla dissociazione, con modi di esprimersi diversi, e diversi approcci clinici
  • Farina a proposito di questo parla della complessità del costrutto teorico dissociativo, e porta un modello triplice della dissociazione, una tripla modalità di concettualizzare la “patogenesi dissociativa”.

Farina, riprendendo Liotti, parla di 3 processi patogenetici in grado di innescare sintomi dissociativi: 1) la disintegrazione post-traumatica, 2) i fenomeni di distacco/detachment (che di solito chiamiamo depersonalizzazione e derealizzazione) e 3) la dissociazione vera e propria, caratterizzata da fenomeni di segregazione di contenuti e modi del pensiero, affine al concetto di dissociazione strutturale della personalità per come la intende Van Der Hart.

Su questo è di recentissima pubblicazione questo articolo, che illustra e approfondisce i 3 “modi” di espressione della dissociazione.

Vediamoli un po’ più nel dettaglio.

  1. Desagregation / DISINTEGRAZIONE POST-TRAUMATICA: la disaggregazione o disgregazione post traumatica rimanda al concetto janettiano di desagregation, un deficit delle funzione mentali superiori atte a sintetizzare i contenuti di pensiero e le emozioni veementi, in particolare quando il soggetto sia colpito da una sindrome post traumatica. I sintomi dissociativi si presentano in questo caso come increspature, discontinuità dello stato della coscienza, oppure prendono una forma somatica non collegata a un problema medico di origine organica. Il punto centrale in questo primo aspetto relativo alla patogenesi dissociativa, è che la disaggregazione interviene ad alterare in modo generico le funzioni integrative del cervello, diffondendosi in modo dimensionale in molti altri quadri clinici, e prendendo forme diverse (Farina elenca: “disregolazione delle emozioni e del comportamento, discontinuità del sé, fallimenti del monitoraggio metacognitivo, emersione di memorie traumatiche non controllate”).
  2. REAZIONI DI DISTACCO: come introdotto da Farina nel suo intervento, esiste una seconda forma dissociativa, che conosciamo comunemente come depersonalizzazione/ derealizzazione, che riguarda lo schema corporeo e la percezione. Nell’intervento prima citato di FCP, Farina le chiama “reazioni di distacco“. Farina le spiega come reazioni “comuni” volte a “minimizzare gli effetti emotivi nelle situazioni di minaccia estrema”. Per capire come possa intervenire una reazione di distacco, è utile rifarsi al “modello a cascata” di cui abbiamo qui scritto, che spiega l’andamento delle reazioni dissociative “peri-traumatiche”. L’idea è che la mente tenti di elaborare i percetti post-traumatici o “difficili” fino a una certa soglia, e che in seguito produca una reazione di “collasso” (da qui l’immagine della cascata o del “dente di sega”, nel senso che c’è un innalzamento della soglia dell’arousal, e un collasso seguente, uno “spegnimento” del sistema di difesa o una sua “implosione”, che nell’esperienza del soggetto equivale appunto all’esperienza di “distacco”/ depersonalizzazione/ detachment).
  3. VERA E PROPRIA DISSOCIAZIONE (STRUTTURALE DELLA PERSONALITÁ): Liotti () ipotizzò che la compresenza “nefasta” di sistemi motivazionali antagonisti e attivati contemporaneamente nei confronti della figura di attaccamento, porterebbe alla creazione di sotto-personalità e modelli operativi interni separati, “compartimentalizzati” all’interno della psicologia dell’individuo. Questo equivale ad una spaccatura verticale della personalità, e porta a una compresenza di “modi” del Sè, modalità di pensiero ed emozioni diversificate, così come teorizzato da Liotti stesso e in seguito da Van Der Hart (teoria della dissociazione strutturale della personalità).

Il fatto che esistano delle modalità differenti di sviluppare ed esprimere sintomi dissociativi, ci invita a riflettere sul fatto che debbano esistere tre processi patogenetici distinti alla base della dissociazione, e diverse modalità di intervenire in senso clinico, come illustrato nella seguente immagine.

Altro su trauma e dissociazione.

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23 November 2023

Il burnout oltre i luoghi comuni (DI RICCARDO GERMANI)

PREMESSA: su concessione dell’autore, pubblichiamo questo lavoro di approfondimento sul concetto di burnout. Riccardo Germani si occupa di benessere aziendale e psicoterapia, qui il suo sito, e qui il link all’articolo originale. Come approfondito di seguito, il burnout è una risposta problematica a uno stato di stress protratto, che si manifesta come una condizione mentale di esaurimento energetico. Potremmo definirla una forma di disturbo dell’adattamento (si veda per esempio questo approfondimento sulla vicenda dei cani depressi di Pavlov). Al di là degli aspetti strettamente “lavorativi”, gli elementi di disturbo, chiamati microstressor, sono ovunque intorno a noi: la tecnologia li sta facendo aumentare in modo esponenziale, sottoponendo il nostro sistema nervoso a sollecitazione insostenibili, proponendoci continue distrazioni, forzandoci alla necessità continua di re-indirizzare il focus, con un carico cognitivo invisibile ma sempre più pesante da reggere. Ne abbiamo scritto qui a proposito del concetto di “diffusione patologica dell’attenzione”. Nell’articolo qui di seguito, Riccardo Germani si focalizza sul tema burnout in ambito lavorativo. Buona lettura! (R. Avico)

Il burnout oltre i luoghi comuni

di Riccardo Germani

Ho paura che l’argomento burnout stia diventando l’ennesimo trend linguistico che ha coinvolto le “relazioni tossiche”, i “narcisisti tossici”, gli “ambienti di lavoro tossici” e via dicendo. Quindi ho sentito il bisogno di scrivere qualcosa per mettere in ordine le idee (le mie, le vostre, le nostre) su questo tema, perché penso possa essere utile.

Spesso utilizziamo la parola “burnout” come sinonimo di stress, anche se in realtà i due concetti sono nettamente diversi. Se lo stress rappresenta una risposta fisiologica e può essere positivo, infatti, il burnout è sempre una risposta negativa alle richieste di adattamento, perché degrada il benessere psicofisico e interpersonale, sul lavoro e fuori da esso.

Potreste trovare questo episodio della newsletter un po’ didascalico e “alla Wikipedia”, ma credo possa essere utile in questa fase di diffusione popolare di questo concetto. Nelle righe finali aggiungo qualche considerazione un po’ più personale.

Cos’è il burnout

La “sindrome da burnout” è una risposta individuale allo stress lavorativo, che si sviluppa progressivamente e può diventare cronico, causando alterazioni della salute. Da un punto di vista psicologico, questa sindrome provoca danni a livello cognitivo, emotivo e attitudinale, che si traducono in comportamenti negativi nei confronti del lavoro, dei colleghi, degli utenti e del ruolo professionale stesso. Non si tratta però (solo) di un problema personale di tolleranza allo stress e gestione di questo, ma anche e soprattutto di una conseguenza di alcune caratteristiche dell’attività lavorativa e quindi della responsabilità dei manager e delle aziende su un tema fondamentale di salute del personale.

Le teorie sul burnout

Dalla comparsa del termine nella letteratura scientifica sono emersi diversi approcci che hanno tentato di spiegare in che modo il burnout nasce e si sviluppa. Le teorie empiricamente supportate sono principalmente 6:

  1. teoria cognitiva sociale;
  2. teoria dello scambio sociale;
  3. teoria organizzativa;
  4. teoria strutturale;
  5. teoria del rapporto richieste-risorse lavorative
  6. teoria del contagio emotivo.

Senza entrare nel dettaglio di ognuna, fornirò qui una panoramica sintetica di queste teorie, perché ognuno può capire meglio la propria situazione (o quella dell’azienda) grazie a una o più di queste ipotesi esplicative.

1. Teoria Cognitiva Sociale: Concentrandosi sui processi cognitivi disfunzionali, questa teoria suggerisce che il burnout si sviluppa in risposta a pensieri negativi, come il pensiero catastrofico legato al lavoro. Immaginiamo ad esempio un insegnante alle prese con una classe molto difficile. Questo insegnante ogni giorno pensa che non sia in grado di gestire la situazione e che i suoi sforzi siano inutili. Di conseguenza, i pensieri negativi e catastrofici si accumulano generando un senso di disperazione e distacco dal lavoro che porta l’insegnante a sentirsi demoralizzato e logorato.

2. Teoria dello Scambio Sociale: In questa prospettiva, il burnout emerge dalla mancanza di equità nella relazione tra l’organizzazione e i dipendenti, dove il lavoro fornito non viene adeguatamente ricompensato. Supponiamo un dipendente che lavora molte ore straordinarie senza ricevere una compensazione adeguata o il riconoscimento del suo sforzo. Questo squilibrio tra sforzo e ricompensa potrebbe portare a un sentimento di ingiustizia e contribuire al suo burnout.

3. Teoria Organizzativa: L’organizzazione stessa gioca un ruolo chiave nel causare il burnout secondo questa teoria. Le strutture organizzative stressanti e la cultura aziendale possono contribuire al suo sviluppo. In un’azienda in cui la gerarchia è molto rigida e le decisioni vengono prese dall’alto senza consultare i dipendenti, ad esempio, questi ultimi potrebbero sentirsi sopraffatti e impotenti, in alcuni casi arrivando al burnout.

4. Teoria Strutturale: Qui, i fattori strutturali come il carico di lavoro e la mancanza di controllo sul lavoro sono identificati come le principali cause del burnout. Pensiamo a un infermiere che lavora in un reparto con carenza di personale. Ogni giorno è sovraccaricato di pazienti e non ha il controllo sulla sua carica di lavoro. Questa situazione strutturale può portare al suo burnout.

5. Teoria del Rapporto Richieste-Risorse Lavorative: Questa prospettiva enfatizza il disequilibrio tra le richieste del lavoro (stress) e le risorse a disposizione per farvi fronte, come il supporto sociale, come un fattore chiave nel determinare il burnout. Un impiegato che lavora in un ambiente altamente competitivo potrebbe essere costantemente sotto pressione per raggiungere obiettivi irrealistici senza alcun supporto da parte dei colleghi o del datore di lavoro. Questo squilibrio tra richieste e risorse può portare al burnout.

6. Teoria del Contagio Emotivo: Secondo questa teoria, il burnout può diffondersi tra i membri di un gruppo o un’organizzazione attraverso l’influenza delle emozioni negative degli altri. In un team di lavoro, un membro che è costantemente stressato e frustrato potrebbe influenzare negativamente l’umore degli altri colleghi. Il loro contagio emotivo potrebbe portare a un aumento complessivo del burnout nel gruppo.

I fattori comuni del Burnout e la loro incidenza nella vita lavorativa

La letteratura scientifica ha evidenziato la presenza di diversi fattori comuni nello sviluppo del burnout e il suo manifestarsi nella routine lavorativa. Questi fattori rappresentano anche segnali che possono essere utilizzati per monitorare sé stessi, i colleghi e persone a cui teniamo. Vediamoli.

Stress e Sovraccarico

Immagina di lavorare in un ufficio dove i progetti sembrano accumularsi senza tregua. Ogni giorno, ti senti sopraffatto da scadenze serrate, riunioni interminabili e responsabilità in continua crescita. Questo è uno scenario comune in cui lo stress e il sovraccarico lavorativo possono gettare le basi del burnout. Quando il tuo lavoro quotidiano inizia a pesare come un macigno, è facile sentirsi esausti e demotivati.

Mancanza di Risorse

Un altro aspetto rilevante è la mancanza di risorse. Immagina di lavorare in un ambiente in cui ti senti isolato/a e senza supporto. I tuoi superiori sembrano disinteressati alle tue preoccupazioni, e i colleghi non collaborano. Questo deficit di risorse sociali può alimentare il burnout, poiché ti trovi a gestire le sfide lavorative in solitaria, senza una rete di supporto adeguata.

Disconnessione Sociale

Nella vita lavorativa quotidiana le dinamiche sociali sono di fondamentale importanza. Immagina di lavorare in un team in cui il contagio emotivo negativo è all’ordine del giorno. Anche se all’inizio hai un’elevata motivazione, l’energia negativa dei tuoi colleghi può trascinarti giù.

Differenze Individuali

Le persone reagiscono in modo diverso allo stress e al burnout. Immagina due colleghi che affrontano lo stesso carico di lavoro intenso. Mentre uno sembra gestirlo con calma, l’altro mostra segni evidenti di stress. Queste differenze individuali sono cruciali e dimostrano che non esiste una misura unica per il burnout. Le tue caratteristiche personali, la tua capacità di adattamento e le risorse che possiedi possono influenzare la tua suscettibilità al burnout.

Mancanza di Controllo

La mancanza di controllo sul lavoro è spesso un fattore chiave. Immagina di dover seguire procedure e regole rigidamente, senza poter esprimere le tue idee o prendere decisioni. Questo può far sentire le persone impotenti e frustrate, contribuendo ad aumentare la vulnerabilità al burnout.

Mancanza di Significato

Infine, considera la mancanza di significato nel tuo lavoro. Se ogni giorno vai al lavoro senza sentirlo come una parte significativa della tua vita o se i compiti non si allineano ai tuoi valori personali, potresti sentirti svuotato emotivamente. Questo è un esempio di come la mancanza di significato può contribuire al burnout.

Questi fattori sono solo alcuni degli ingredienti che compongono il complesso fenomeno del burnout. Nell’affrontare il burnout nella tua carriera, è essenziale riconoscere come questi elementi possono manifestarsi nel contesto lavorativo e imparare a gestirli in modo proattivo per mantenere il tuo benessere e la tua soddisfazione sul lavoro.

Conseguenze del Burnout

Il burnout può avere un impatto profondo sulla vita delle persone, manifestandosi attraverso conseguenze psicologiche, emotive, fisiche e comportamentali. Ecco come queste conseguenze si sviluppano:

1. Conseguenze Psicologiche

Il burnout può minare la salute mentale. Le persone colpite possono sperimentare:

  • Ansia e depressione: Le continue pressioni sul lavoro possono scatenare ansia e depressione.
  • Riduzione dell’autostima: Il senso di inefficacia e la mancanza di successo possono erodere la fiducia in sé stessi.

2. Conseguenze Emotive

Il burnout può rendere difficile il controllo delle emozioni, portando a:

  • Irritabilità: Le persone bruciate possono diventare facilmente irascibili.
  • Carenza di empatia: La capacità di comprendere gli altri può diminuire a causa del crescente stress.

3. Conseguenze Fisiche

Le conseguenze fisiche del burnout possono includere:

  • Affaticamento cronico: La stanchezza persistente è comune tra coloro che soffrono di burnout.
  • Problemi di salute: L’indebolimento del sistema immunitario può aumentare il rischio di malattie fisiche.

4. Conseguenze Comportamentali

Il burnout può influenzare il comportamento in modi diversi:

  • Isolamento sociale: Le persone possono ritirarsi dal lavoro e dalla vita sociale.
  • Problemi lavorativi: La perdita di interesse e motivazione può influenzare negativamente le prestazioni sul lavoro.

Oltre ai problemi di salute fisica e psicologica, in generale, il burnout è direttamente correlato anche all’insoddisfazione lavorativa, al basso impegno organizzativo, all’aumento dell’assenteismo, all’intenzione di dimettersi e alle riduzioni delle prestazioni. D’altro canto, alcuni dipendenti con sindrome da burnout possono giustamente lasciare il lavoro, mentre altri decidono di continuare a lavorare. Ciò può portare al presenzialismo lavorativo (vale a dire, le persone vanno a lavorare anche se non adempiono realmente alle proprie responsabilità a causa di problemi di salute). Inoltre, il burnout può portare a comportamenti devianti e controproducenti nei lavoratori come il quiet quitting, aggressività tra colleghi e verso gli utenti, uso di alcol e sostanze psicotrope, uso improprio di materiale aziendale o addirittura furti.

Queste conseguenze possono variare in intensità da persona a persona, ma è fondamentale riconoscerle e affrontarle per prevenire un ulteriore peggioramento del burnout.

Come si affronta il burnout

La letteratura scientifica distingue gli interventi per la gestione e la prevenzione del burnout su due livelli:

  1. Interventi gestiti dall’azienda per il benessere dei dipendenti;
  2. Misure individuali di gestione del lavoro e dello stress.

Interventi per il Benessere dei Dipendenti

In un contesto aziendale, è fondamentale promuovere interventi finalizzati a migliorare il benessere dei dipendenti, con l’obiettivo di gestire lo stress sul lavoro e prevenire il burnout. Questi interventi possono essere suddivisi in diverse categorie:

Formazione

La formazione rappresenta un mezzo efficace per consentire ai dipendenti di acquisire nuove competenze e conoscenze, aumentando così le loro risorse per far fronte alle sfide del lavoro. Oltre alle abilità tecniche, è essenziale offrire formazione finalizzata allo sviluppo di competenze personali e sociali che aiutino i lavoratori a promuovere il proprio benessere e ad adattarsi al contesto lavorativo.

Interventi Basati sui Punti di Forza

Questo tipo di intervento parte dal presupposto che ogni individuo possieda risorse personali che possono essere sfruttate per superare le avversità. L’uso dei punti di forza è intrinsecamente motivante e gratificante, e questi interventi si sviluppano tipicamente in tre fasi.

Coaching e Orientamento

Il coaching e l’orientamento sono approcci non direttivi che incoraggiano i dipendenti a riprendere il controllo del proprio benessere emotivo. In questo caso, il coach o il consulente guida il dipendente nel processo di elaborazione di strategie di coping personali.

Creazione di Gruppi di Supporto

Il supporto dei colleghi è fondamentale per affrontare le sfide quotidiane. La creazione di gruppi di supporto, sia formali che informali, offre un ambiente in cui i professionisti possono condividere esperienze, ricevere riconoscimento per il loro lavoro e affrontare insieme le sfide.

Iniziative Individuali per il Benessere

Alcuni interventi per migliorare il benessere possono essere avviati direttamente dai dipendenti al di fuori dell’ambiente di lavoro. Questi includono l’attività fisica, la pratica della consapevolezza, l’autovalutazione e, in casi appropriati, la psicoterapia.

Esercizio Fisico

L’attività fisica è stata dimostrata come un modo efficace per moderare gli effetti del burnout sulla salute dei lavoratori.

Allenamento alla Consapevolezza

La pratica della consapevolezza è efficace nel ridurre la sindrome da burnout, migliorando l’empatia, la concentrazione e mitigando gli effetti negativi della sindrome.

Autovalutazione

L’autovalutazione prevede la registrazione dei sintomi dello stress e dei modi per affrontarli. È importante misurare il grado di burnout con strumenti validati e confrontare i risultati nel tempo.

Psicoterapia

La psicoterapia è una risorsa per i casi più gravi di burnout, in cui la sindrome è già presente. Questo trattamento mira a sviluppare competenze emotive, risoluzione dei problemi e autostima ed è basato sulla terapia cognitivo-comportamentale.

Questi interventi, quando adeguatamente applicati, possono contribuire a promuovere il benessere dei dipendenti e prevenire il burnout, migliorando la loro qualità di vita sia sul piano professionale che personale.

Considerazioni più personali per te, che sei rimasto fino alla fine

O magari hai saltato tutti i paragrafi precedenti per venire a leggere queste righe. Va bene lo stesso.

Allora, io credo che l’aspetto più insidioso del burnout al di là di tutti i fastidiosi sintomi manifesti, è che a volte non lo vedi arrivare. Mi spiego. Di solito una persona mediamente coscienziosa si impegna molto e tende a impegnarsi ancora di più quando ci sono problemi o bisogna raggiungere un obiettivo ambizioso. Quindi la nostra tolleranza allo stress aumenta sempre di più e in modo sempre più graduale. Questo fino a che improvvisamente si rompe qualcosa. Teniamo duro fino a quando all’improvviso non ce la facciamo più e scoppiamo in lacrime per la disperazione. Il burnout nasce e viene analizzato innanzitutto in ambito sanitario tra medici e infermieri. Queste figure professionali si trovano spesso di fronte a dilemmi morali, situazioni di vita o di morte, disorganizzazione e conflitti di potere. I carichi di lavoro sono alti e si cerca di fare del bene alle altre persone. È un contesto in cui è molto facile finire in burnout. Il burnout è tanto più probabile quanto più alti sono gli standard interni morali e/o di prestazioni e performance. Paradossalmente colpisce quindi molto più le persone che si impegnano molto e ci tengono particolarmente al lavoro che fanno. Le persone che vedono il lavoro come un mezzo sono – da questo punto di vista – forse un po’ più protette. Comunque dicevo, il burnout a volte non lo vedi arrivare perché quando ti impegni tendi a dissociare, ad allontanare ciò che non va. Come quando entri in trance agonistica durante una partita di qualsiasi sport che ti piace. L’adrenalina ti protegge dal dolore, ma appena torni a casa a rilassarti senti tutte le botte che hai preso. Il punto a cui voglio arrivare è che dobbiamo essere attenti ai segnali del corpo e della mente. È troppo importante intervenire prima che il forte stress faccia il tuffo nell’esaurimento, in modo da dover scontare minori conseguenze sul proprio benessere, sul rapporto con il lavoro e nelle relazioni interpersonali.

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Fonte (newsletter di Riccardo Germani su Linkedin)

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9 November 2023

TRATTAMENTO INTEGRATO DELL’ANSIA: INTERVISTA A MASSIMO AGNOLETTI ED EMILIANO TOSO

di Raffaele Avico, Emiliano Toso

Abbiamo ultimamente pubblicato su questo blog alcuni post a tema esposizione e disturbi di ansia/panico, che linkiamo in fondo.

L’esposizione (o terapia espositiva) è uno strumento psicoterapeutico pensato per chi soffre di problemi inerenti la paura (fobie, disturbo di panico, ptsd, DOC) ma anche per numerose altre condizioni cliniche di interesse generalmente medico (ad esempio nel dolore cronico e nell’obesità).
Il razionale che ha sorretto fino a poco tempo fa la terapia espositiva, era l’abituazione: l’idea era che esporsi in modo graduale allo stimolo fobico (per esempio in chi soffrisse appunto di fobie, ma anche per i pazienti con un disturbo di panico che volessero contrastare le loro naturali tendenze all’evitamento), producesse una reazione di abituazione e quindi di estinzione delle risposte di allarme. L’idea era quindi quella di costruire una piramide gerarchica di stimoli fobici da usare come guida per esporsi, in un processo di lavoro chiamato desensibilizzazione sistematica: si trattava di partire dalla più innocua di queste paure, da usare come oggetto di esposizione; quando ci si fosse “desensibilizzati” a proposito di quello stesso stimolo, si sarebbe passati al livello superiore della piramide, e così verso gli stimoli maggiormente disturbanti fino a “desensibilizzarsi” su tutto, estinguendo la paura. Problema: non funziona. Come osserva Emiliano Toso in questa intervista, la risposta di allarme ritorna anche dopo un processo di desensibilizzazione sistematica.
Gli studi a riguardo della terapia espositiva sono andati avanti, producendo un progressivo cambio di paradigma che abbiamo nei post precedenti illustrato, verso la concettualizzazione del più attuale paradigma inibitorio; si tratterebbe cioè non tanto di abituare il cervello a confrontarsi con stimoli fobici di sempre maggiore intensità, quanto di spiazzarlo attraverso un processo di aspettative di volta in volta deluse (mi espongo a qualcosa per cui temo una risposta fobica e di forte allarme, e questo poi non succede), attraverso la creazione di memorie inibitorie, “precedenti positivi” in grado di affiancarsi alle memorie problematiche, così facendo inibendo la risposta di paura e allarme.

Abbiamo fatto un’intervista su queste tematiche a Emiliano Toso e a Massimo Agnoletti, qui di seguito reperibile:

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Da questa intervista, alcuni spunti da tenere a mente sono (fig. 1):

  1. Le più recenti ricerche a proposito della terapia espositiva, si basano su studi di neuroscienze: tentare di creare risposte inibitorie che riescano a “competere” con quelle problematiche, implica fare i conti con molti fattori collaterali in grado di aiutare quello stesso processo di creazione, per esempio il momento della giornata in cui fare l’esposizione, la qualità del sonno, lo stato del microbiota;
  2. Il cervello non va “abituato”, ma “spiazzato”/deluso nelle aspettative negative, variando di volta in volta il contesto spazio/tempo;
  3. Ogni violazione della aspettative, rinforzante già di per sé, va rinforzata ulteriormente rendendola ancor più gratificante;
  4. Al fine di favorire la formazione, il consolidamento ed il recupero dell’apprendimento inibitorio occorre considerare e coltivare anche aspetti quali la qualità del sonno, l’attività fisica aerobica, l’alimentazione, il benessere intestinale, la gestione dello stress.
Fig.1

Gli altri post sull’esposizione:

  • LE FRONTIERE DELLA TERAPIA ESPOSITIVA. INTERVISTA A EMILIANO TOSO
  • TERAPIA ESPOSITIVA: INTERVISTA A EMILIANO TOSO (PARTE SECONDA)
  • TERAPIA ESPOSITIVA (IN PODCAST)
  • VERSO UNA TERAPIA ESPOSITIVA DI PRECISIONE: PREFAZIONE
  • SULLA TERAPIA ESPOSITIVA PER I DISTURBI FOBICI: IL MODELLO DI APPRENDIMENTO INIBITORIO DI MICHELLE CRASKE

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NB: “POPMED”, UNA NEWSLETTER DI AGGIORNAMENTO A TEMA “PSI”, A PAGAMENTO. Qui per iscriverti

Article by admin / Generale, Formazione / interviste, psicoterapiacognitivocomportamentale

6 November 2023

10 ARTICOLI SUL JOURNALING E SUI BENEFICI DELLO SCRIVERE

di redazione POPMed

PREMESSA: Questo articolo è un estratto da POPMed, una newsletter a cadenza bi-settimanale a proposito di psichiatria, psicologia clinica, neuroscienze, avanguardie di ricerca, salute mentale. Il tema è il journaling, ovvero il “tenere un diario”.

Scrivere aiuta la mente a digerire percetti/contenuti complessi (come i traumi), consente di lavorare sulla propria identità, sulla propria storia, aiuta a mettere in fila i pensieri. Rappresenta una pratica virtuosa, ottima da integrare al lavoro di psicoterapia. 

Ma partiamo subito con i 10 consueti “item”. 

Dobbiamo anticipare che questi lavori non vogliono “aggiornare” ma “approfondire”: sono quindi non necessariamente “recenti” o di ultima pubblicazione.

1. Per cominciare con il journaling

Partiamo con un articolo generico riguardante gli effetti mentali e fisici della scrittura “espressiva”. Uno psicoanalista di origine indiana e naturalizzato inglese, Wilfred Bion, parlava di “apparato per pensare i pensieri”, intendendo con questo una funzione della mente utile a “simbolizzare” i percetti sensoriali/emotivi più “grezzi” (che chiamava elementi beta). Partendo da questo spunto teorico (qui maggiormente approfondito), è utile pensare alla scrittura come a uno strumento funzionale a un lavoro di simbolizzazione di elementi emotivi “beta” complessi da digerire, come appunto ricordi traumatici o semplicemente spiacevoli. Questo articolo racconta la storia del paradigma della Scrittura espressiva ideato e divulgato da Pennebaker (che ritroveremo nell’ultimo articolo citato, quello storico), il primo a pensare alla scrittura in questo modo (come strumento di simbolizzazione di eventi problematici). L’articolo esplora la letteratura a riguardo citando i maggiori lavori sulla scrittura espressiva, elencando anche le ipotesi più probabili necessarie a spiegarne il funzionamento (le due più probabili, gli autori concludono, sono il “processamento cognitivo derivato dal narrare” – e quindi mettere in ordine – i percetti/pensieri, e la funzione espositiva dello scrivere). Ottimo per iniziare.

Eccovi l’articolo:

Emotional and physical health benefits of expressive writing

2. Simbolizzare un trauma scrivendone pt.1

Esiste un sotto-filone di studi riguardanti il journaling che tenta di chiarire come la scrittura possa aiutare nelle esperienze traumatiche.
In psicoterapia breve strategica si utilizza il romanzo del trauma come strumento creativo da usare per ri-significare e sgonfiare gli eventi più indigesti in senso psichico. Scrivere può aiutare nel lavoro di esposizione all’evento traumatico (una sorta di EMDR ma in “versione scritta”). Per introdurci al tema “trauma e journaling”, partiamo da questo articolo del 2002.

Eccovi l’articolo:

Journaling about stressful events: Effects of cognitive processing and emotional expression.

3. Simbolizzare un trauma scrivendone pt.2

Sulla scia di questo filone di studi, è stato da poco pubblicato su Jama un lavoro di approfondimento sulla scrittura a proposito del trauma: i ricercatori si sono chiesti se la scrittura espressiva a riguardo degli eventi del trauma fosse paragonabile all’esposizione prolungata, che è una tecnica espositiva specifica per gli stati post-traumatici. In questo articolo, che vale la pena approfondire (qui ne troviamo un commento in lingua inglese), un gruppo di 178 veterani di guerra fu sottoposto a un esperimento di confronto tra le due tipologie di intervento: il gruppo fu “mescolato casualmente” e gli individui divisi e assegnati al gruppo di scrittura espressiva e al gruppo di terapia espositiva prolungata. Partendo dal presupposto che tutti i soggetti partissero da uno stato clinico uniforme, a 10 settimane dall’intervento si osservò come i pazienti sottoposti a scrittura espressiva sembrassero stare meglio come (o addirittura di più di) quelli dell’altro gruppo; inoltre, va considerato che il percorso di scrittura sembrava essere stato molto più rapido e con minori tassi di abbandono. Questo articolo è ottimo per cominciare, per chi fosse interessato, un lavoro di esplorazione della letteratura a riguardo degli “effetti benefici della scrittura sul trauma”. Questo libro potrebbe essere un altro elemento da tenere in considerazione (a proposito del prima citato romanzo del trauma)

Eccovi l’articolo:

Written Exposure Therapy vs Prolonged Exposure Therapy in the Treatment of Posttraumatic Stress Disorder

4. Journaling e meme

Il journaling può prendere diverse forme. Nel contenitore del journaling scritto, che implica l’atto dello scrivere, troviamo due tipologie di journaling principali: il journaling “guidato” e quello a “flusso libero”.
Il “journaling guidato” impiega domande o schemi predefiniti per favorire l’auto-consapevolezza emotiva e personale, mentre il “journaling a flusso libero” permette di scrivere liberamente i pensieri senza una struttura predefinita, favorendo l’espressione spontanea.
Esistono però altre forme di journaling, che troviamo riassunte nell’articolo che qui sotto linkiamo. Gli autori, nel presentare il loro lavoro di ricerca, intendono allargare l’ambito di studio inerente il journaling scritto ad altre forme di espressione (sempre però con una funzione riflessiva, per esempio quello inerente le foto con didascalia, di cui troviamo un approfondimento qui). Questo articolo ipotizza che l’uso dei meme possa essere uno strumento multimediale e interessante da integrare o sostituire al journaling. Molto attuale.

Eccovi l’articolo:

MEMEories: Internet Memes as Means for Daily Journaling

5. Lo specchio di carta

Un articolo interessante e dal titolo suggestivo: il Paper mirror, ovvero un approfondimento sul concetto di reflective journal, un tipo particolare di diario che dovrebbe aiutare a sviluppare la capacità metacognitive, simile per certi versi agli esercizi consigliati da alcuni psicoterapeuti CBT (CESPA).
Si tratta di elaborare un’azione (what), le sue conseguenze (so what) e i suoi sviluppi (what next).

Eccovi l’articolo:

Paper Mirror: Understanding Reflective Journaling

6. Il journaling durante il Covid

Durante la pandemia di COVID-19 fu creato un sito sperimentale chiamato “The Pandemic Project” per aiutare le persone a gestire la situazione emergenziale. Il sito offriva esercizi di scrittura espressiva e journaling, con domande a riguardo di vari aspetti dell’impatto della pandemia sulla salute mentale come la solitudine, i cambiamenti nei rapporti interpersonali e le preoccupazioni economiche. Gli utenti ricevevano feedback tramite e-mail dopo aver completato gli esercizi, molto brevi (5/10 minuti ciascuno). Tra le altre cose, nel board di creazione di questo sito compare proprio Pennebaker, coinvolto in prima persona, e Laura Vergani, una ricercatrice nostrana

Eccovi l’articolo:

Feeling overwhelmed by the Pandemic? Expressive Writing can Help

7. Remember the days: mail e journaling

Un commovente lavoro a proposito dell’implementazione del metodo “Pennebaker” attraverso l’utilizzo della mail, uscito nel 2004. A quel tempo la mail era usata per lo più attraverso computer fissi e rappresentava un modo ufficiale/professionale di comunicare, non essendo ancora stato sdoganato attraverso i primi blackberry (per lo più posseduti da manager progressisti/illuminati/molto ricchi) e infine dagli Iphone a partire dal 2007. Implementare il metodo Pennebaker, gli autori si chiedono in questo lavoro, potrebbe prendere una forma “epistolare” virtuale? Concludono: “Technology will both enable and restrict interactions in new ways.”

Eccovi l’articolo:

Emotional Expression in Cyberspace: Searching for Moderators of the Pennebaker Disclosure Effect via E-Mail

8. Altre applicazioni della scrittura pt.1: lutto

The Conversation riporta un articolo che mette insieme diversi altri lavori a riguardo della scrittura. L’autrice osserva come, a partire da una ricerca sommaria della letteratura inerente il journaling e la scrittura espressiva, possiamo renderci conto di come scrivere possa aiutarci nel diventare più consapevoli sul nostro mondo interno, possa fornirci efficacia, ci possa aiutare nel lutto.
A proposito del journaling relativo al lutto, sempre su The Conversation troviamo un rimando a un articolo scritto dalla stessa autrice (Christina Thatcher) che tuttavia si focalizza sul “lutto causato da droga e de-legittimato”, non esprimibile/espresso, e su come la scrittura possa aiutare nel portarne alla luce l’emotività e il senso. Affascinante osservare come la scrittura (non in termini quindi di “semplice” scrittura di un diario) possa prendere molteplici forme ed essere usata in contesti differenziati.

Eccovi l’articolo:

In Dialogue: How Writing to the Dead and the Living Can Increase Self-Awareness in Those Bereaved by Addiction

9. Altre applicazioni della scrittura pt.2: autobiografia e Duccio Demetrio

Duccio Demetrio si occupa da tempo di autobiografia, filosofia e scrittura espressiva.
Sull’autobiografia ha fondato un movimento e un’università in Toscana, la LUA, Libera Università dell’Autobiografia (qui il sito). Scrivere un’autobiografia richiede un processo di rilettura e di riprocessamento di eventi passati, letti con il senno dell’”oggi”: rappresenta di fatto un lavoro di riconferma e “scrittura” dell’identità stessa, molto simile a quello che un paziente fa in psicoterapia.
La LUA propone corsi di formazione, online e dal vivo, e ha aperto un centro di ricerca a nome Athe Gracci.
Da questo centro ricaviamo l’indicazione per un articolo che raccoglie e riassume il “pensiero narrativo” e la “visione” di Demetrio stesso. Dall’articolo:
“D’altra parte, se l’esercizio autobiografico porta alla scoperta della dignità e dell’autostima di sé, conduce anche a una consapevolezza della “soggettività personale illusoria” nella misura in cui appare legata a una storia, una famiglia e un mondo in cui è immersa. Il soggetto finisce per espandere il proprio giardino per scoprire di far parte di uno più ampio in cui ci sono altri esseri umani. La consapevolezza di appartenere al mondo fa sì che la prima volta in cui ci si guarda sia combinata con una dimenticanza di sé verso gli altri. In questo modo, l’autobiografia inizia con un potenziamento obbligato del soggetto e fluisce paradossalmente nell’apertura agli altri, nell’ascolto delle storie degli altri. Si potrebbe dire che la narrazione dell’alterità viene a dissipare ogni tentazione ingannevole di soddisfazione autobiografica.L’esercizio autobiografico appare quindi nella proposta narrativa di Demetrio come un atto trasformativo, ed è questa la sua connessione radicale con l’educazione. Infatti, su una base educativa, è presente la curiosità che stimola la cura di sé”

Eccovi l’articolo:

The biographical approach of Duccio Demetrio

10. L’inizio di tutto: Pennebaker nel 1986

ARTICOLO STORICO! Il primo articolo di Pennebaker a proposito del journaling, riguardante in particolare il tema del journaling usato per lavorare sugli eventi stressanti. L’inizio del filone di ricerche inerenti il journaling, almeno in ambito di psicologia clinica. Sempre su Pennebaker, si veda questo.

Eccovi l’articolo:

Confronting a traumatic event: Toward an understanding of inhibition and disease.

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Article by admin / Generale, Formazione / psichiatria, psicologia

30 October 2023

UN’INTERVISTA A GIUSEPPE CRAPARO SU PIERRE JANET

di Raffaele Avico

Intervista a Giuseppe Craparo sul tema Janet, trauma e dissociazione, nel contesto del gruppo di discussione sulla psicopatologia di AISTED.

Questo incontro è stato pensato per divulgare il lavoro di Pierre Janet, autore obbligatorio per chi si interessi di trauma, sopravvivenza a traumi emotivi, disturbi dissociativi. Pierre Janet può essere considerato il padre dell’attuale psicotraumatologia, la quale trae da esso molteplici linee-guida e spunti, prima di tutto l’approccio trifasico alla sindrome post traumatica. L’approccio trifasico, di derivazione janettiana, è un canovaccio operativo usato in psicotraumatologia per approcciare le sindromi dissociative e post traumatiche, basato su tre momenti: stabilizzazione, lavoro sulle memorie traumatiche, integrazione.

Dobbiamo a Janet, insieme ad altri, modalità alternative di interpretazione del disturbo isterico per come fu concettualizzato agli “inizi”, una concettualizzazione gerarchica della mente nel suo funzionamento -attualissima-, un lavoro sostanziale sull’automatismo psicologico, e molto altro. Lo stesso Craparo ne ha scritto all’interno del fondamentale volume Riscoprire Pierre Janet (qui recensito). In ultimo, va ricordato l’impatto che Janet ebbe su uno dei più grandi psicoterapeuti italiani: Giovanni Liotti.

Le domande e di seguito il video.

  • Giuseppe, ci vuoi raccontarci un po’ chi sei e di cosa ti occupi?
  • Giuseppe, tu hai curato alcuni lavori a proposito dell’opera di Pierre Janet: ci vuoi raccontare da dove nasce questa passione per il suo lavoro, e come mai hai voluto divulgarne l’opera?
  • Giuseppe, quali sono state le intuizioni più geniali di Pierre Janet, e come mai sono ancora attuali?
  • Giuseppe, questa intervista si inserisce in un progetto di divulgazione a riguardo degli studi appartenenti al filone del neo-jacksonismo: molto sinteticamente, vuole essere un dialogo a proposito del principio di gerarchia delle funzioni mentali e a riguardo di un modello di mente che predisponga a far ragionare il clinico in termini di bottom-up e top-down. Ci dici cosa ne pensi, e se qualcosa nel pensiero di Janet ci può aiutare a “lavorarci”?
  • Giuseppe, cosa pensi della moderna psicotraumatologia? Vorremmo che ci aiutassi a capire come le teorie del passato stanno tornando nel presente, e come stanno trovando un’integrazione proficua al lavoro del clinico
  • Giuseppe, hai qualcosa da consigliarci per iniziare ad approfondire questi aspetti teorici?

Article by admin / Formazione / interviste, psicoterapia, PTSD

26 October 2023

CONTRASTARE IL DECADIMENTO COGNITIVO: ALCUNI SPUNTI PRATICI

di Raffaele Avico

Questo articolo apparso su Carlat, ci fornisce una visione ampia sul tema inerente il declino cognitivo che, come leggiamo nell’articolo, ha il suo inizio a partire dal 45esimo anno di età.

Inizialmente viene fatta una riflessione sulla distinzione che un medico dovrebbe fare tra i problemi di declino cognitivo fisiologici, e quelli conseguenti a qualche particolare patologia neurodegenerativa, come a sottolineare l’importanza di una eccellente diagnosi differenziale.

Le aree maggiormente esposte, in termini cognitivi, a questo declino, sono:

  • memoria episodica (che ci consente di ricordare specifici eventi)
  • memoria di lavoro (che un tempo si sarebbe chiamata memoria a breve termine, che ci consente di ricordare per un breve tempo alcuni dati, provenienti dal senso della vista o dell’udito, per compiere operazioni utili alla vita quotidiana)
  • attenzione, con un calo della capacità di mantenimento focalizzato dell’attenzione

Carlat ci racconta quindi di una serie di elementi da tenere in considerazione quando si debba valutare come poter contrastare il declino cognitivo (che come dicevamo inizia intorno ai 45 anni, ma raddoppia la sua velocità tra i 60 e i 70 anni).

Nell’articolo viene fatto un distinguo tra differenti tipologie di declino cognitivo, come rappresentato nell’immagine sottostante:

Come si osserva dall’immagine, l’articolo distingue tre tipologie di problema: un normale declino correlato all’età, un disturbo neurocognitivo moderato, e un disturbo neurocognitivo maggiore. Che differenza intercorre tra un “semplice” declino cognitivo conseguente il processo d’invecchiamento e un “neurocognitive disorder”?

Come prima cosa viene osservato che un disturbo neurocognitivo non ha un andamento progressivo, ma avviene in tempi rapidi e richiede da parte del soggetto l’adozione di “strategie di compensazione” per garantirsi una mantenuta qualità della vita; un disturbo di questo tipo non è collegato all’età, e può presentarsi in conseguenza di differenti problemi intercorsi come lo sviluppo di sintomi negativi nel quadro di un disturbo psichiatrico, oppure a seguito di un grave trauma cranico, un infarto o un ictus. Nella tabella sopra riportata vengono distinti i tre livelli di disturbo in base a età e strategie di compensazione.

Come si interviene in questi casi?

Carlat è una rivista di psichiatria: gli interventi consigliati sono dunque a favore di personale sanitario; tuttavia, l’articolo promuove alcuni interventi potenzialmente a beneficio di tutti.

Quindi, per intervenire in questi casi nel migliore dei modi, occorre:

  1. diminuire il numero di farmaci assunti dal soggetto che non siano strettamente necessari, per evitarne gli effetti collaterali
  2. approcciare il problema per via laterale, ponendo attenzione agli aspetti metabolici e cardiovascolari (quindi valutando obesità, circolazione, pressione del sangue, dispnee notturne, etc.)
  3. attuare alcuni cambiamenti nello stile di vita

A proposito dello stile di vita, vengono qui riportati alcune modificazioni da fare, all’apparenza semplici, che tuttavia hanno nel tempo raccolto una vasta mole di evidenze a riprova del loro potenziale di “freno” del processo di decadimento cognitivo. In particolare, leggiamo:

  1. dieta
  2. esercizio
  3. training cognitivo

DIETA

Per quanto riguarda la dieta, viene consigliata l’adozione della dieta definita MIND, ovvero una combinazione tra una dieta definita DASH (qui approfondita) e una dieta mediterranea. Vi si incentiva il consumo di verdure (a foglia) e frutti di bosco, frutta secca e olio di oliva, pesce e pollo. Sconsigliato invece il consumo di carni rosse, junk food, zucchero raffinato, burro e formaggi. Per chi fosse interessato a tematiche di questo tipo, nell’articolo viene citato un libro a tema, questo.

ESERCIZIO FISICO

Molteplici evidenze ci raccontano di come l’esercizio fisico conduca a un miglioramento in tutte le aree di funzionamento dell’individuo, comprese le performance cognitive. L’attività fisica ha raccolto prove di efficacia anche in ambito psicopatologico, come qui approfondito. In questo articolo viene in particolare sottolineato come, tra i diversi risultati ottenuti dalla ricerca a proposito della prevenzione del declino cognitivo in persone sopra i 50 anni, sembri essere maggiormente efficace combinare esercizi di natura aerobica e di resistenza per almeno 4 o 5 giorni la settimana (con sessioni di 45/50 minuti l’una). Viene inoltre segnalato questo articolo, con ulteriori evidenze a riguardo.

TRAINING COGNITIVO

Il tema del training cognitivo riguarda sia persone che subiscono un declino cognitivo connesso all’età, sia persone che manifestino compromissioni del funzionamento connesse a particolari eventi “non naturali”. Gli autori di questo articolo ragionano sulla potenziale sopravvalutazione di interventi di questo tipo, in particolare a riguardo degli interventi digitali. In termini generali, vengono citati alcuni potenziali esercizi di training cognitivo con effetti almeno similari (se non superiori) a quelli digitali:

  • lumosity (debole in termine di ricerca effettuata a proposito, addirittura multato -gli autori riportano- per falsa pubblicità a proposito dei potenziali effetti positivi sulle performance cognitive)
  • giochi di carte, di parole, sudoku, puzzle
  • uso di strumenti musicali
  • interazioni sociali (in generale, quindi dialogo e ragionamento congiunto)
  • Brain HQ

Concludendo, gli autori ragionano sulla necessità generale, da parte degli individui, di prendere in carico la salute del cervello inteso come organo, nell’ottica di prevenire il declino cognitivo, cercando dunque di raggiungere una buona igiene del sonno, curare la dieta, svolgere attività fisica per quanto si riesca e, se necessario, implementare l’attività cognitiva attraverso uso di training specifici (anche digitali) per 2 o 3 volte a settimana, della durata complessiva compresa tra i 30 e i 60 minuti a sessione.

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Article by admin / Formazione / psichiatria, psicoterapia

25 October 2023

PTSD (in podcast)

di Raffaele Avico

Vivere un trauma significa essere stati esposti a un evento che mette a rischio l’incolumità fisica o mentale di un individuo. Pensiamo per esempio a incidenti d’auto, episodi a forte impatto come una guerra civile, o ancora terremoti e rapine. Dobbiamo pensare quindi a un evento che irrompe nella vita del soggetto, creando uno spartiacque tra le esperienze della sua vita. A seguito di un trauma esisterà sempre un prima e un dopo, con la vita divisa in due parti, un libro diviso in due grandi capitoli, separati dal trauma.

A volte, poi, è sufficiente osservare le esperienze di qualcun altro perché in noi si produca una risposta post-traumatica.

L’elemento centrale, e più importante da tenere in mente, è che il trauma mette in crisi il senso di stabilità e sicurezza di un individuo, rendendolo meno saldo sui suoi piedi, per così dire, e creandogli uno stato di mancanza di sicurezza percepita in pratica costante, apparentemente invincibile. Il senso di non avere più luoghi protetti o sicuri dove poter riposare la mente e trovare ristoro, diventa in poco tempo talmente impegnativo da sopportare, da creare nel soggetto uno stato di esaurimento psichico spesso confuso con depressione.

Il PTSD è stato studiato in particolare su soggetti provenienti da contesti di guerra: pensiamo per esempio al film American Sniper, dove il protagonista al ritorno da condizioni di guerriglia civile e costretto in quell’ambito a eseguire molteplici omicidi per ragioni militari, precipita in una sorta di incubo a occhi aperti che lo porta lentamente a svuotare di significato le sue relazioni attuali e in pratica a una sorta di suicidio sociale. Lo possiamo però trovare in molteplici altri contesti: l’impatto di un trauma dipende da fattori soggettivi, e lo stesso evento potrà avere ripercussioni molto diverse.

Il PTSD è stato definito anche una patologia della memorizzazione. Perché? A seguito di un trauma, il meccanismo di elaborazione e di immagazzinamento dei ricordi si altera, ed è come se nel flusso dei ricordi della vittima si impiantassero ricordi vividi, che tenderanno a rimanere inalterati dal tempo e a ripresentarsi alla coscienza della persona senza perdere il proprio potere allarmante e attivante sul piano fisico. Per questo infatti si dice che il trauma non viene ricordato, ma rivissuto. Il concetto centrale, che permette tra l’altro di fare una sorta di diagnosi semplificata di PTSD, è che il ricordo traumatico mantiene la sua vividezza per molto tempo a seguito del trauma e che l’accedere a questi ricordi procura una forte attivazione a livello fisico attraverso palpitazioni, tachicardia, senso di panico, oppure senso di distacco e alterazione dello stato della coscienza, e in questo caso parliamo di tipologia di PTSD con sintomi dissociativi.

Un aspetto che andrebbe approfondito, è che il PTSD ha delle ripercussioni su tre aree del funzionamento della persona, principalmente.

La prima area è quella, come dicevamo prima, della memoria. In altre parole, alcuni ricordi rimangono come incagliati nel flusso di ricordi e pensieri, divenendo disturbanti e attivanti, non diventando mai cose passate, ma permanendo con il loro carico ingombrante nel presente dell’individuo, in questo modo eclissandone, per così dire, anche l’idea di futuro.

La seconda area, è quella della coscienza, intesa come capacità di vigilanza e orientamento, non sempre garantiti dal PTSD soprattutto se in presenza di sintomi, come dicevamo dissociativi. I Sintomi dissociativi sono il risultato di un’alterazione a scopo difensivo della coscienza che in qualche modo si restringe per evitare di consentire l’accedere delle memorie traumatiche, si deforma perché l’attenzione diviene un’attenzione selettivamente evitante di tutto ciò che potrebbe anche lontanamente ricondurre all’esperienza traumatica, e spesso in qualche modo si intorbidisce a seguito di un processo definito di detachement, ovvero di dissociazione leggera sempre a scopo di difesa dai percetti mnestici a contenuto traumatico. Mentalmente, a seguito di un trauma, diventiamo evitanti perfetti di tutto ciò che potrebbe triggerare il ricordo traumatico: non sarà quindi un evitamento di fotografie, strade, luoghi, persone, per fare esempi banali, ma saranno anche ricordi e luoghi della memoria a diventare per noi oggetto di evitamento, rendendoci di fatto discontinui e spesso deficitari (in apparenza) a livello cognitivo.

Terzo ambito, e più importante, l’area del corpo. Il trauma si incarna e diviene corpo a causa delle ripercussioni neurofisiologiche dello stesso evento traumatico sul corpo. Peter Levine sostiene che per esserci trauma, dovranno esserci insieme paura e immobilità. Questo significa che per essere veramente traumatico, un evento dovrà, oltre che terrorizzarci, impedirci una fuga reale o simbolica, obbligandoci di fatto a tenere “tutto dentro” di noi. Questo però vorrà dire vivere le ripercussioni del trauma in modo corporeo per molto tempo dopo l’evento. Non saremo cioè in grado di dissipare il trauma, come fanno gli animali più velocemente di noi, attraverso il corpo: anzi, il corpo “accuserà il colpo” riattivandosi in senso di allarme ogni volta che ripenseremo al trauma, alterandosi con più o meno violenza, in modo soggettivo. Spesso noteremo inoltre che il ricordo del trauma produrrà un’alterazione neurofisiologica a “dente di sega”: ovvero: fino a una certa soglia riusciremo a gestire un certo attivarsi del corpo impegnato nella gestione degli effetti allarmanti del tricordo del trauma: dopo una certa soglia, sarà possibile poi osservare una sorta di crollo e il precipitare del nostro stato di coscienza entro una sorta di zona grigia di numbing, di distacco dissociativo utile a proteggerci, ma in grado di alterare pesantemente il nostro stile di vita.

Abbiamo scritto di trauma su questo blog in molti post, raggruppabili da questo pulsante.

Qui di seguito un PODCAST pubblicato dal Centro Santagostino di Milano a proposito di PTSD.

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Article by admin / Formazione / psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia, PTSD

25 September 2023

GLI INCONTRI ORGANIZZATI DA AISTED, Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione

di Raffaele Avico

AISTED ha attivato da poco un gruppo di lavoro sulla psicopatologia in prospettiva neo-jacksoniana.
La prospettiva neo-jacksoniana, nel promuovere un certo modello di mente, è stata promossa dai lavori di Henri Ey, che questo gruppo di lavorò tenterà di mettere in luce e divulgare.

Per rendere vivo il lavoro del gruppo, AISTED ha organizzato degli incontri con esperti del settore. Il primo incontro sarà il 16 ottobre con Giuseppe Craparo, aperto a TUTTI previa iscrizione da qui. Sul lavoro di Craparo, si veda anche questo e questa rubrica su Psichiatry on line. Gli altri partecipanti agli incontri, per ora, saranno Antonio Onofri e Maurizio Ceccarelli (come in foto).

Article by admin / Formazione / psichiatria, psicologia, psicoterapia

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  • Psychedelic Science Conference 2023 – lo stato dell’arte sulle terapie psichedeliche  15 July 2023
  • RENDERE NON NECESSARIA LA DISSOCIAZIONE: DA UN ARTICOLO DI VAN DER HART, STEELE, NIJENHUIS 29 June 2023
  • EMBODIED MINDS: INTERVISTA A SARA CARLETTO 21 June 2023
  • Psychiatry On Line Italia: 10 rubriche da non perdere! 7 June 2023
  • CURARE LA PSICHIATRIA DI ANDREA VALLARINO (INTRODUZIONE) 1 June 2023
  • UN RICORDO DI LUIGI CHIRIATTI, STUDIOSO DI TARANTISMO 30 May 2023
  • PHENOMENAUTICS 20 May 2023
  • 6 MESI DI POPMED, PER TORNARE ALLA FONTE 18 May 2023
  • GLI PSICOFARMACI PER LO STRESS POST TRAUMATICO (PTSD) 8 May 2023
  • ILLUSIONI IPNAGOGICHE, SONNO E PTSD 4 May 2023
  • SI PUÓ DIRE MORTE? INTERVISTA A DAVIDE SISTO 27 April 2023
  • CENTRO SORANZO: INTERVISTA A MAURO SEMENZATO 12 April 2023
  • Laetrodectus, che morde di nascosto 6 April 2023
  • STABILIZZAZIONE E CONFINI: METTERE PALETTI PER REGOLARSI 4 April 2023
  • L’eredità teorica di Giovanni Liotti 31 March 2023
  • “UN RITMO PER L’ANIMA”, TARANTISMO E DINTORNI 7 March 2023
  • SUICIDIO: SPUNTI DAL LAVORO DI MAURIZIO POMPILI E EDWIN SHNEIDMAN 9 January 2023
  • SUPERHERO THERAPY. INTERVISTA A MARTINA MIGLIORE 5 December 2022
  • Allucinazioni nel trauma e nella psicosi. Un confronto psicopatologico 26 November 2022
  • FUGA DI CERVELLI 15 November 2022
  • PSICOTERAPIA DELL’ANSIA: ALCUNI SPUNTI 7 November 2022
  • LA Q DI QOMPLOTTO 25 October 2022
  • POPMED: UN ESEMPIO DI NEWSLETTER 12 October 2022
  • INTERVISTA A MAURO BOLOGNA, PRESIDENTE SIPNEI 10 October 2022
  • IL “MANUALE DELLE TECNICHE PSICOLOGICHE” DI BERNARDO PAOLI ED ENRICO PARPAGLIONE 6 October 2022
  • POPMED, UNA NEWSLETTER DI AGGIORNAMENTO IN AREA “PSI”. PER TORNARE ALLA FONTE 30 September 2022
  • IL CONVEGNO SIPNEI DEL 1 E 2 OTTOBRE 2022 (FIRENZE): “LA PNEI NELLA CLINICA” 20 September 2022
  • LA TEORIA SULLA NASCITA DEL PENSIERO DI WILFRED BION 1 September 2022
  • NEUROFEEDBACK: INTERVISTA A SILVIA FOIS 10 August 2022
  • La depressione come auto-competizione fallimentare. Alcuni spunti da “La società della stanchezza” di Byung Chul Han 27 July 2022
  • SCOPRIRE LA SIPNEI. INTERVISTA A FRANCESCO BOTTACCIOLI 6 July 2022
  • PERFEZIONISMO: INTERVISTA A VERONICA CAVALLETTI (CENTRO TAGES ONLUS) 6 June 2022
  • AFFRONTARE IL DISTURBO DISSOCIATIVO DELL’IDENTITÁ 28 May 2022
  • GARBAGE IN, GARBAGE OUT.  INTERVISTA FIUME A ZIO HACK 21 May 2022
  • PTSD: ALCUNE SLIDE IN FREE DOWNLOAD 10 May 2022
  • MANAGEMENT DELL’INSONNIA 3 May 2022
  • “IL LAVORO NON TI AMA”: UN PODCAST SULLA HUSTLE CULTURE 27 April 2022
  • “QUI E ORA” DI RONALD SIEGEL. IL LIBRO PERFETTO PER INTRODURSI ALLA MINDFULNESS 20 April 2022
  • Considerazioni sul trattamento di bambini e adolescenti traumatizzati 11 April 2022
  • IL COLLASSO DEL CONTESTO NELLA PSICOTERAPIA ONLINE 31 March 2022
  • L’APPROCCIO “OPEN DIALOGUE”. INTERVISTA A RAFFAELLA POCOBELLO (CNR) 25 March 2022
  • IL CORPO, IL PANICO E UNA CORRETTA DIAGNOSI DIFFERENZIALE: INTERVISTA AD ANDREA VALLARINO 21 March 2022
  • RECENSIONE: L’EREDITÁ DI BION (A CURA DI ANTONIO CIOCCA) 20 March 2022
  • GLI PSICHEDELICI COME STRUMENTO TRANSDIAGNOSTICO DI CURA, IL MODELLO BIPARTITO DELLA SEROTONINA E L’INFLUENZA DELLA PSICOANALISI 7 March 2022
  • FOTOTERAPIA: JUDY WEISER e il lavoro con il lutto 1 March 2022
  • PLACEBO E DOLORE: IL POTERE DELLA MENTE (da un articolo di Fabrizio Benedetti) 14 February 2022
  • INTERVISTA A RICCARDO CASSIANI INGONI: “Metodo T.R.E.®” E TECNICHE BOTTOM-UP PER L’APPROCCIO AL PTSD 3 February 2022
  • SPIDER, CRONENBERG 26 January 2022
  • LE TEORIE BOTTOM-UP NELLA PSICOTERAPIA DEL POST-TRAUMA (di Antonio Onofri e Giovanni Liotti) 17 January 2022
  • 24 MESI DI PSICOTERAPIA ONLINE 10 January 2022
  • LA TOSSICODIPENDENZA COME TENTATIVO DI AMMINISTRARE LA SINDROME POST-TRAUMATICA 7 January 2022
  • La Supervisione strategica nei contesti clinici (Il lavoro di gruppo con i professionisti della salute e la soluzione dei problemi nella clinica) 4 January 2022
  • PSICHEDELICI: LA SCIENZA DIETRO L’APP “LUMINATE” 21 December 2021
  • ASYLUMS DI ERVING GOFFMAN, PER PUNTI 14 December 2021
  • LA SINDROME DI ASPERGER IN BREVE 7 December 2021
  • IL CONVEGNO DI SAN DIEGO SULLA PSICOTERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI (marzo 2022) 2 December 2021
  • PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA E DEEP BRAIN REORIENTING. INTERVISTA A PAOLO RICCI (AISTED) 29 November 2021
  • INTERVISTA A SIMONE CHELI (ASSOCIAZIONE TAGES ONLUS) 25 November 2021
  • TRAUMA: IMPOSTAZIONE DEL PIANO DI CURA E PRIMO COLLOQUIO 16 November 2021
  • TEORIA POLIVAGALE E LAVORO CON I BAMBINI 9 November 2021
  • INTRODUZIONE A BYUNG-CHUL HAN: IL PROFUMO DEL TEMPO 3 November 2021
  • IT (STEPHEN KING) 27 October 2021
  • JUDITH LEWIS HERMAN: “GUARIRE DAL TRAUMA” 22 October 2021
  • ANCORA SU PIERRE JANET 15 October 2021
  • PSICONUTRIZIONE: IL LAVORO DI FELICE JACKA 3 October 2021
  • MEGLIO MALE ACCOMPAGNATI CHE SOLI: LE STRATEGIE DI CONTROLLO IN INFANZIA (PTSDc) 30 September 2021
  • OVERLOAD COGNITIVO ED ECOLOGIA MENTALE 21 September 2021
  • UN LUOGO SICURO 17 September 2021
  • 3MDR: UNO STRUMENTO SPERIMENTALE PER COMBATTERE IL PTSD 13 September 2021
  • UN LIBRO PER L’ESTATE: “COME ANNOIARSI MEGLIO” DI PIETRO MINTO 6 August 2021
  • “I fondamenti emotivi della personalità”, JAAK PANKSEPP: TAKEAWAYS E RECENSIONE 3 August 2021
  • LIFESTYLE PSYCHIATRY 28 July 2021
  • LE DIVERSE FORME DI SINTOMO DISSOCIATIVO 26 July 2021
  • PRIMO LEVI, LA CARCERAZIONE E IL TRAUMA 19 July 2021
  • “IL PICCOLO PARANOICO” DI BERNARDO PAOLI. PARANOIA, AMBIVALENZA E MODELLO STRATEGICO 14 July 2021
  • RECENSIONE PER PUNTI DI “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE” 8 July 2021
  • I VIRUS: IL LORO RUOLO NELLE MALATTIE NEURODEGENERATIVE 7 July 2021
  • LA PLUSDOTAZIONE SPIEGATA IN BREVE 1 July 2021
  • COS’É LA COGNITIVE PROCESSING THERAPY? 24 June 2021
  • SULLA TERAPIA ESPOSITIVA PER I DISTURBI FOBICI: IL MODELLO DI APPRENDIMENTO INIBITORIO DI MICHELLE CRASKE 19 June 2021
  • É USCITO IL SECONDO EBOOK PRODOTTO DA AISTED 15 June 2021
  • La psicologia fenomenologica nelle comunità terapeutiche -con il blog Psicologia Fenomenologica. 7 June 2021
  • PSICHIATRIA DI COMUNITÁ: LA SCELTA DI UN METODO 31 May 2021
  • PTSD E SPAZIO PERIPERSONALE: DA UN ARTICOLO DI DANIELA RABELLINO ET AL. 26 May 2021
  • CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA: UN CONVEGNO ONLINE CON VALERIO ROSSO, MARCO CREPALDI, LUCA PROIETTI, BERNARDO PAOLI, GENNARO ROMAGNOLI 22 May 2021
  • MDMA PER IL PTSD: NUOVE EVIDENZE 21 May 2021
  • MAP (MULTIPLE ACCESS PSYCHOTHERAPY): IL MODELLO DI PSICOTERAPIA AD APPROCCI COMBINATI CON ACCESSO MULTIPLO DI FABIO VEGLIA 18 May 2021
  • CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA: UN CONVEGNO GRATUITO ONLINE (21 MAGGIO) 13 May 2021
  • BALBUZIE: COME USCIRNE (il metodo PSICODIZIONE) 10 May 2021
  • PANICO: INTERVISTA AD ANDREA IENGO (PANICO.HELP) 7 May 2021
  • Psicologia digitale e pandemia COVID19: il report del Centro Medico Santagostino di Milano dall’European Conference on Digital Psychology (ECDP) 4 May 2021
  • SOLCARE IL MARE ALL’INSAPUTA DEL CIELO. Liberalizzare come terapia: il problema dell’autocontrollo in clinica 30 April 2021
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO” 25 April 2021
  • La psicologia fenomenologica nelle comunità terapeutiche 25 April 2021
  • 3 STRUMENTI CONTRO IL TRAUMA (IN BREVE): TAVOLA DISSOCIATIVA, DISSOCIAZIONE VK E CAMBIO DI STORIA 23 April 2021
  • IL MALADAPTIVE DAYDREAMING SPIEGATO PER PUNTI 17 April 2021
  • UN VIDEO PER CAPIRE LA DISSOCIAZIONE 12 April 2021
  • CORRELATI MORFOLOGICI E FUNZIONALI DELL’EMDR: UNA PANORAMICA SULLA NEUROBIOLOGIA DEL TRATTAMENTO DEL PTSD 4 April 2021
  • TRAUMA E DISSOCIAZIONE IN ETÁ EVOLUTIVA: (VIDEO)INTERVISTA AD ANNALISA DI LUCA 1 April 2021
  • GLI EFFETTI POLARIZZANTI DELLA BOLLA INFORMATIVA. INTERVISTA A NICOLA ZAMPERINI DEL BLOG “DISOBBEDIENZE” 30 March 2021
  • SVILUPPARE IL PENSIERO LATERALE (EDWARD DE BONO) – RECENSIONE 24 March 2021
  • MDMA PER IL POST-TRAUMA: BEN SESSA E ALTRI RIFERIMENTI IN RETE 22 March 2021
  • 8 LIBRI FONDAMENTALI SU TRAUMA E DISSOCIAZIONE 14 March 2021
  • VIDEOINTERVISTA A CATERINA BOSSA: LAVORARE CON IL TRAUMA 7 March 2021
  • PRIMO SOCCORSO PSICOLOGICO E INTERVENTO PERI-TRAUMATICO: IL LAVORO DI ALAIN BRUNET ED ESSAM DAOD 2 March 2021
  • “SHARED LIVES” NEL REGNO UNITO: FORME DI PSICHIATRIA D’AVANGUARDIA 25 February 2021
  • IL TRAUMA (PTSD) NEGLI ANIMALI (PARTE 1) 21 February 2021
  • FLOW: una definizione 15 February 2021
  • NEUROBIOLOGIA DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO (PTSD) 8 February 2021
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE (SECONDA PARTE): FINE PENA MAI 3 February 2021
  • INTERVISTA A COSTANZO FRAU: DISSOCIAZIONE, TRAUMA, CLINICA 1 February 2021
  • LO SPETTRO IMPULSIVO COMPULSIVO. I DISTURBI OSSESSIVO COMPULSIVI SONO DISTURBI DA ADDICTION? 25 January 2021
  • ANATOMIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (E PSICOTERAPIA) 15 January 2021
  • LA STRANGE SITUATION IN BREVE e IL TRAUMA COMPLESSO 11 January 2021
  • GIORNALISMO = ENTERTAINMENT 6 January 2021
  • SIMBOLIZZARE IL TRAUMA: IL RUOLO DELL’ATTO ARTISTICO 2 January 2021
  • PSICHIATRIA: IL MODELLO DE-ISTITUZIONALIZZANTE DI GEEL, BELGIO (The Openbaar Psychiatrisch Zorgcentrum) 28 December 2020
  • STABILIZZARE I SINTOMI POST TRAUMATICI: ALCUNI ASPETTI PRATICI 18 December 2020
  • Psicoterapia breve strategica del Disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Intervista ad Andrea Vallarino e Luca Proietti 14 December 2020
  • CRONOFAGIA DI DAVIDE MAZZOCCO: CONTRO IL FURTO DEL TEMPO 10 December 2020
  • PODCAST: SPECIALIZZAZIONE IN PSICHIATRIA E CLINICA A CHICAGO, con Matteo Respino 8 December 2020
  • COME GESTIRE UNA DIPENDENZA? 4 PIANI DI INTERVENTO 3 December 2020
  • INTRODUZIONE A JAAK PANKSEPP 28 November 2020
  • INTERVISTA A DANIELA RABELLINO: LAVORARE CON RUTH LANIUS E NEUROBIOLOGIA DEL TRAUMA 20 November 2020
  • MDMA PER IL TRAUMA: VIDEOINTERVISTA A ELLIOT MARSEILLE (A CURA DI JONAS DI GREGORIO) 16 November 2020
  • PSICHIATRIA E CINEMA: I CINQUE MUST-SEE (a cura di Laura Salvai, Psychofilm) 12 November 2020
  • STRESS POST TRAUMATICO: una definizione e alcuni link di approfondimento 7 November 2020
  • SCOPRIRE IL FOREST BATHING 2 November 2020
  • IL TRAUMA COME APPRENDIMENTO A PROVA SINGOLA (ONE TRIAL LEARNING) 28 October 2020
  • IL PANICO COME ROTTURA (RAPPRESENTATA) DI UN ATTACCAMENTO? da un articolo di Francesetti et al. 24 October 2020
  • LE PENSIONI DEGLI PSICOLOGI: INTERVISTA A LORENA FERRERO 21 October 2020
  • INTERVISTA A JONAS DI GREGORIO: IL RINASCIMENTO PSICHEDELICO 18 October 2020
  • IL RITORNO (MASOCHISTICO?) AL TRAUMA. Intervista a Rossella Valdrè 13 October 2020
  • ASCESA E CADUTA DEI COMPETENTI: RADICAL CHOC DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA 6 October 2020
  • L’EMDR: QUANDO USARLO E CON QUALI DISTURBI 30 September 2020
  • FACEBOOK IS THE NEW TOBACCO. Perchè guardare “The Social Dilemma” su Netflix 28 September 2020
  • SPORT, RILASSAMENTO, PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA: oltre la parola per lo stress post traumatico 21 September 2020
  • IL MODELLO TRIESTINO, UN’ECCELLENZA ITALIANA. Intervista a Maria Grazia Cogliati Dezza e recensione del docufilm “La città che cura” 15 September 2020
  • IL RITORNO DEL RIMOSSO. Videointervista a Luigi Chiriatti su tarantismo e neotarantismo 10 September 2020
  • FARE PSICOTERAPIA VIAGGIANDO: VIDEOINTERVISTA A BERNARDO PAOLI 2 September 2020
  • SUL MERCATO DELLA DOPAMINA: INTERVISTA A VALERIO ROSSO 31 August 2020
  • TARANTISMO: 9 LINK UTILI 27 August 2020
  • FRANCESCO DE RAHO SUL TARANTISMO, tra superstizione e scienza 26 August 2020
  • ATTACCHI DI PANICO: IL MODELLO SUL CONTROLLO 7 August 2020
  • SHELL SHOCK E PRIMA GUERRA MONDIALE: APPORTI VIDEO 31 July 2020
  • LA LUNA, I FALÒ, ANGUILLA: un romanzo sulla melanconia 27 July 2020
  • VIDEOINTERVISTA A FERNANDO ESPI FORCEN: LAVORARE COME PSICHIATRA A CHICAGO 20 July 2020
  • ALCUNI ESTRATTI DALLA RUBRICA “GROUNDING” (PDF) 14 July 2020
  • STRESS POST TRAUMATICO: IL MODELLO A CASCATA. Da un articolo di Ruth Lanius 10 July 2020
  • OTTO KERNBERG SUGLI OBIETTIVI DI UNA PSICOANALISI: DA UNA VIDEOINTERVISTA 3 July 2020
  • SONNO, STRESS E TRAUMA 27 June 2020
  • Il SAFE AND SOUND PROTOCOL, UNO STRUMENTO REGOLATIVO. Videointervista a GABRIELE EINAUDI 23 June 2020
  • IL CONTROLLO CHE FA PERDERE IL CONTROLLO: UNA VIDEOINTERVISTA AD ANDREA VALLARINO SUL DISTURBO DI PANICO 11 June 2020
  • STRESS, RESILIENZA, ADATTAMENTO, TRAUMA – Alcune definizioni per creare una mappa clinicamente efficace 5 June 2020
  • DA “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE”: COS’É LA NEUROCEZIONE 3 June 2020
  • AUTO-TRADIRSI. UNA DEFINIZIONE DI MORAL INJURY 28 May 2020
  • BASAGLIA RACCONTA IL COVID 26 May 2020
  • FONDAMENTI DI PSICOTERAPIA: LA FINESTRA DI TOLLERANZA DI DANIEL SIEGEL 20 May 2020
  • L’EBOOK AISTED: “AFFRONTARE IL TRAUMA PSICHICO: il post-emergenza.” 18 May 2020
  • NOI, ESSERI UMANI POST- PANDEMICI 14 May 2020
  • PUNTI A FAVORE E PUNTI CONTRO “CHANGE” di P. Watzlawick, J.H. Weakland e R. Fisch 9 May 2020
  • APPORTI VIDEO SUL TARANTISMO – PARTE 2 4 May 2020
  • RISCOPRIRE L’ARCHIVIO (VIDEO) DI PSYCHIATRY ON LINE PER I SUOI 25 ANNI 2 May 2020
  • SULL’IMMOBILITÀ TONICA NEGLI ANIMALI. Alcuni spunti da “IPNOSI ANIMALE, IMMOBILITÁ TONICA E BASI BIOLOGICHE DI TRAUMA E DISSOCIAZIONE” 30 April 2020
  • FOBIE SPECIFICHE IN BREVE 25 April 2020
  • JEAN PIAGET E LA SHARING ECONOMY 25 April 2020
  • LO STATO DELL’ARTE INTORNO ALLA DIMENSIONE SOCIALE DELLA MEMORIA: SUL MODO IN CUI SI E’ ARRIVATI ALLA CREAZIONE DEL CONCETTO DI RICORDO CONGIUNTO E SU QUANTO LA VITA RELAZIONALE INFLUENZI I PROCESSI DI SVILUPPO DELLA MEMORIA 25 April 2020
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.3 – MODELLO ITALIANO E MODELLO BELGA A CONFRONTO, CON GIOVANNA JANNUZZI! 22 April 2020
  • RISCOPRIRE PIERRE JANET: PERCHÉ ANDREBBE LETTO DA CHIUNQUE SI OCCUPI DI TRAUMA? 21 April 2020
  • AGGIUNGERE LEGNA PER SPEGNERE IL FUOCO. TERAPIA BREVE STRATEGICA E DISTURBI FOBICI 17 April 2020
  • INTERVISTA A NICOLÓ TERMINIO: L’UOMO SENZA INCONSCIO 13 April 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.3 10 April 2020
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.2 – MODELLO ITALIANO E MODELLO SVIZZERO A CONFRONTO, CON OMAR TIMOTHY KHACHOUF! 6 April 2020
  • ANTONELLO CORREALE: IL QUADRO BORDERLINE IN PUNTI 4 April 2020
  • 10 ANNI DI E.J.O.P: DOVE SIAMO? 31 March 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.2 27 March 2020
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE: RISTRETTI.IT 25 March 2020
  • NELLE CORNA DEL BUE LUNARE: IL LAVORO DI LIDIA DUTTO 16 March 2020
  • LA COLPA NEL DOC: LA MENTE OSSESSIVA DI FRANCESCO MANCINI 12 March 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.1 6 March 2020
  • PREFAZIONE DI “PTSD: CHE FARE?”, a cura di Alessia Tomba 5 March 2020
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO”: EP.1 – FERNANDO ESPI FORCEN 29 February 2020
  • NERVATURE TRAUMATICHE E PREDISPOSIZIONE AL PTSD 13 February 2020
  • RIMOZIONE E DISSOCIAZIONE: FREUD E PIERRE JANET 3 February 2020
  • TEORIA DEI SISTEMI COMPLESSI E PSICOPATOLOGIA: DENNY BORSBOOM 17 January 2020
  • LA CULTURA DELL’INDAGINE: IL MASTER IN TERAPIA DI COMUNITÀ DEL PORTO 15 January 2020
  • IMPATTO DELL’ESERCIZIO FISICO SUL PTSD: UNA REVIEW E UN PROGRAMMA DI ALLENAMENTO 30 December 2019
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI GIULIO TONONI 27 December 2019
  • THOMAS INSEL: FENOTIPI DIGITALI IN PSICHIATRIA 19 December 2019
  • HPPD: HALLUCINOGEN PERCEPTION PERSISTING DISORDER 12 December 2019
  • SU “LA DIMENSIONE INTERPERSONALE DELLA COSCIENZA” 24 November 2019
  • INTRODUZIONE AL MODELLO ORGANODINAMICO DI HENRI EY 15 November 2019
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  • PTSD E SLOW-BREATHING: RESPIRARE PER DOMINARE 29 October 2019
  • UNA DEFINIZIONE DI “TRAUMA DA ATTACCAMENTO” 18 October 2019
  • PROCHASKA, DICLEMENTE, ADDICTION E NEURO-ETICA 24 September 2019
  • NOMINARE PER DOMINARE: L’AFFECT LABELING 20 September 2019
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  • LA PEDAGOGIA STEINER-WALDORF PER PUNTI 14 May 2019
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  • SUL REHEARSAL 15 April 2019
  • DUE PROSPETTIVE PSICOANALITICHE SUL NARCISISMO 12 April 2019
  • TERAPIA ESPOSITIVA IN REALTÀ VIRTUALE PER IL TRATTAMENTO DEI DISTURBI D’ANSIA: META-ANALISI DI STUDI RANDOMIZZATI 3 April 2019
  • DISSOCIAZIONE: COSA SIGNIFICA 29 March 2019
  • IVAN PAVLOV SUL PTSD: LA VICENDA DEI “CANI DEPRESSI” 26 March 2019
  • A PROPOSITO DI POST VERITÀ 22 March 2019
  • TARANTISMO COME PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA? 19 March 2019
  • R.D. HINSHELWOOD: DUE VIDEO DA UN CONVEGNO ORGANIZZATO DA “IL PORTO” DI MONCALIERI E DALLA RIVISTA PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE 15 March 2019
  • EMDR = SLOW WAVE SLEEP? UNO STUDIO DI MARCO PAGANI 12 March 2019
  • LA FORMA DELL’ISTITUZIONE MANICOMIALE: L’ARCHITETTURA DELLA PSICHIATRIA 8 March 2019
  • PSEUDOMEDICINA, DEMENZA E SALUTE CEREBRALE 5 March 2019
  • FARMACOTERAPIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (DOC) DAL PRESENTE AL FUTURO 19 February 2019
  • INTERVISTA A GIOVANNI ABBATE DAGA. ALCUNI APPROFONDIMENTI SUI DCA 15 February 2019
  • COSA RENDE LA KETAMINA EFFICACE NEL TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE? UN PROBLEMA IRRISOLTO 11 February 2019
  • CONCETTI GENERALI SULLA TEORIA POLIVAGALE DI STEPHEN PORGES 1 February 2019
  • UNO SGUARDO AL DISTURBO BIPOLARE 28 January 2019
  • DEPRESSIONE, DEMENZA E PSEUDODEMENZA DEPRESSIVA 25 January 2019
  • Il CORPO DISSIPA IL TRAUMA: ALCUNE OSSERVAZIONI DAL LAVORO DI PETER A. LEVINE 22 January 2019
  • IL PTSD SOFFERTO DAGLI SCIMPANZÈ, COSA CI DICE SUL NOSTRO FUNZIONAMENTO? 18 January 2019
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  • PILLOLE DI MASTERY: DI CHE SI TRATTA? 12 January 2019
  • IL GORGO di BEPPE FENOGLIO 7 January 2019
  • VOCI: VERSO UNA CONSIDERAZIONE TRANSDIAGNOSTICA? 2 January 2019
  • DALLA SCUOLA DI NEUROETICA 2018 DI TRIESTE, ALCUNE RIFLESSIONI SUL PROBLEMA ADDICTION 21 December 2018
  • ACTING OUT ED ENACTMENT: UN ESTRATTO DAL LIBRO RESISTENZA AL TRATTAMENTO E AUTORITÀ DEL PAZIENTE – AUSTEN RIGGS CENTER 18 December 2018
  • CONCETTI GENERALI SUL DEFAULT-MODE NETWORK 13 December 2018
  • NON È ANORESSIA, NON È BULIMIA: È VOMITING 11 December 2018
  • PATRICIA CRITTENDEN: UN APPROFONDIMENTO 6 December 2018
  • UDITORI DI VOCI: VIDEO ESPLICATIVI 30 November 2018
  • IMPUTABILITÀ: DA UN TESTO DI VITTORINO ANDREOLI 27 November 2018
  • OLTRE IL DSM: LA TASSONOMIA GERARCHICA DELLA PSICOPATOLOGIA. DI COSA SI TRATTA? 23 November 2018
  • LIMITARE L’USO DEI SOCIAL: GLI EFFETTI BENEFICI SUI LIVELLI DI DEPRESSIONE E DI SOLITUDINE 20 November 2018
  • IL PTSD IN VIDEO 12 November 2018
  • PILLOLE DI EMPOWERMENT 9 November 2018
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Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

A CURA DI:

  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
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