di Luca Proietti
La Preventive Cognitive Therapy (PCT) è spesso proposta come alternativa alla terapia antidepressiva per prevenire le ricadute o le recidive del Disturbo Depressivo Maggiore, ma la sua efficacia non è ancora chiara. La Dott.ssa Bockting ed i colleghi, con uno studio condotto in Olanda, hanno tentato di rispondere alle seguenti domande: la PCT potenzia effettivamente l’efficacia profilattica della terapia antidepressiva? Con la PCT è possibile di scalare e terminare la terapia antidepressiva di mantenimento?
Questo è un breve report sui risultati di un Clinical Trial multicentrico olandese pubblicato sul Lancet Psychiatry di Aprile 2018 con il titolo “Effectiveness of preventive cognitive therapy while tapering antidepressants versus maintenance antidepressant treatment versus their combination in prevention of depressive relapse or recurrence (DRD study): a three-group, multicentre, randomised controlled trial”.
Link alla pagina pubmed https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29625762
Sono stati inclusi nello studio pazienti in fase di recupero o remissione ma ad altro rischio di recidiva depressiva secondo i criteri NICE ed APA (avere sintomi residui, aver avuto almeno 2 episodi depressivi, essere in recupero da almeno 2 mesi ma non più di 2 anni). Sono stati esclusi pazienti con sintomi ipomaniacali o maniacali, storia di disturbo bipolare, psicosi, depressione psicotica, abuso di alcol o droghe, importanti comorbidità con disturbi ansiosi, patologie cerebrali organiche e infine coloro che ricevevano un trattamento psicologico più di tre volte al mese.
Sono stati reclutati 289 pazienti, poi divisi tramite randomizzazione in tre gruppi con differente terapia di mantenimento per la profilassi delle ricadute o recidive depressive:
1° Gruppo: esclusivamente antidepressivi (Solo AD)
2° Gruppo: combinazione di antidepressivi e PCT (AD+PCT)
3° Gruppo: PCT e contemporanea riduzione graduale, fino alla sospensione, degli antidepressivi (Solo PCT)
Dopo due anni di follow-up la percentuale cumulativa di ricadute era stata del 55.1% per la globalità dei pazienti reclutati; del 60% per il gruppo Solo AD; del 63.3% per il gruppo Solo PCT e del 42.6% per il gruppo AD+PCT. Le curve di sopravvivenza dei gruppi Solo AD e Solo PCT nel complesso sono simili tranne durante i primi 140 giorni di follow-up, in cui si osserva una maggiore recidiva per il gruppo con solo PCT. Un’analisi di regressione ha dimostrato che, al netto di fattori confondenti, il mantenimento con Solo AD non è superiore a quello con Solo PCT. Inoltre si è dimostrato che aggiungendo la PCT (gruppo AD+PCT) alla farmacoterapia di mantenimento (gruppo solo AD) il rischio di ricaduta si riduce del 41%.
Con i risultati dello studio gli autori affermano che la sola PCT, con la sospensione progressiva degli antidepressivi, può essere una valida alternativa al mantenimento con terapia psicofarmacologia, indipendentemente dal tipo di farmaci antidepressivi assunti e dal numero di episodi depressivi precedenti. Dopo due anni infatti le due terapie (solo PCT e solo AD) dimostrano efficacia equivalente. Pertanto, la PCT potrebbe essere proposta a tutti quei pazienti che manifestano effetti collaterali o che vorrebbero sospendere gli antidepressivi.
Aggiungere la PCT alla terapia di mantenimento con antidepressivi, oltre a ridurre il rischio di recidiva del 41%, riduce la durata e il numero delle recidive depressive. L’aggiunta della PCT alla terapia farmacologica dunque ha prodotto notevoli benefici nella profilassi delle recidive. Gli autori si domandano allora perché ricevere la PCT negli individui che stavano scalando gli antidepressivi non abbia ridotto il rischio di recidiva (gruppo solo PCT) rispetto a quelli che assumevano solo antidepressivi (gruppo solo AD).
Una possibile risposta, avanzata dagli autori, è che i pazienti potrebbero beneficiare meno della PCT durante la fase di riduzione graduale degli antidepressivi. Durante questa fase in molti pazienti si verifica una sindrome da sospensione, associata inoltre ad un aumento comprensibile della paura di ricadute, che potrebbe contribuire ad una minore efficacia di trattamenti psicoterapici. Questo studio conferma l’importanza della ricerca in psicoterapia (Leichsenring & Steinert 2017), per validare protocolli con approccio integrato, i quali oggi sembrano i migliori da offrire ai pazienti in termini di costi, efficienza ed efficacia (Castelnuovo et al., 2016).
BIBLIOGRAFIA
Leichsenring e Steinert, Is Cognitive Behavioral Therapy the Gold Standard for Psychotherapy? The Need for Plurality in Treatment and Research, JAMA 2017
Castelnuovo et al., Not Only Clinical Efficacy in Psychological Treatments: Clinical Psychology Must Promote Cost-Benefit, Cost-Effectiveness, and Cost-Utility Analysis, Frontiers in Psychology 2016; 7: 563.