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Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in Psichiatria e Psicoterapia

6 June 2022

PERFEZIONISMO: INTERVISTA A VERONICA CAVALLETTI (CENTRO TAGES ONLUS)

di Raffaele Avico

Del Centro Tages Onlus di Firenze, su questo blog abbiamo in passato già intervistato Simone Cheli, qui.

In questa intervista, Veronica Cavalletti (direttrice del suddetto centro) fornisce alcune delucidazioni a proposito del cosiddetto “perfezionismo clinico“, un tratto di personalità caratterizzato da standard elevati richiesti a sè e agli altri, fonte di notevoli problematiche dal momento che questi standard appaiono per lo più irraggiungibili.

Il Centro Tages Onlus ha avviato un progetto di ricerca, studio e trattamento del perfezionismo, qui raggiungibile.

Vengono citati autori di punta, riferimenti bibliografici, modelli di concettualizzazione del problema, e molto altro.

Qui l’intervista:

  • Buongiorno Veronica, cosa si intende con perfezionismo clinico? Cosa lo distingue da quello “sano”?

Per quanto alcuni autori abbiano suggerito l’idea di poter distinguere tra perfezionismo sano e patologico, le ricerche condotte da quello che da molti è considerato il massimo esperto mondiale sul tema, ovvero Paul Hewitt, sembrano avvalorare l’idea che il perfezionismo sia sempre patologico. In tal senso possiamo avere manifestazioni subcliniche, ma mai una condizione sana e adattativa come ad esempio postulata per i tratti di personalità del Big Five.

Nei lavori di Paul Hewitt, Gordon Flett, Samuel Mikail e colleghi, il perfezionismo è un tratto o stile interpersonale caratterizzato dalla ricerca per sé o per gli altri di standard elevati irraggiungibili. Nella ricerca di questi standard le persone possono sperimentare varie forme di sofferenza, in particolare nei termini di criticismi inter- e intra-personali. Più specificamente, il Modello Comprensivo del Comportamento Perfezionistico (nella versione originale inglese “Comprehensive Model of Perfectionistic Behavior” – CMPB) descrive le manifestazioni del perfezionismo attraverso tre elementi: le componenti di tratto che spiegano come si orienti tale perfezionismo (auto-diretto; etero-diretto; socialmente prescritto); le componenti interpersonali di autopresentazione (autopromozione perfezionistica; non esposizione dell’imperfezione; non disvelamento dell’imperfezione); e le componenti intrapersonali (ovvero le cognizioni automatiche perfezionistiche).

Tutte queste complesse manifestazioni sono appunto sempre fonte di sofferenza per la persona, anche se a livelli diversi. Pertanto, Hewitt e colleghi non individuano mai una forma sana di perfezionismo.

  • Veronica, come si manifesta nella vita di un individuo, il perfezionismo? Può essere considerato un tratto di personalità?

Nella formulazione originaria fatta da Hewitt e Flett il perfezionismo era definito come una dimensione di tratto. Successivamente tale definizione si è ampliata includendo, come dicevo, nel CMPB anche componenti interpersonali e intrapersonali. Riassumendo possiamo considerare il perfezionismo come un complesso stile di personalità che può esporre la persona a forme anche molto gravi di sofferenza. Secondo una classica prospettiva diatesi-stress, l’interazione tra eventi di vita e vulnerabilità soggettiva possono portare a quello che definiamo psicopatologia. È a mio avviso importante sottolineare come le manifestazioni del perfezionismo (che ricordo abbiamo definito sempre problematico) siano assai difformi e spesso gravi. Da un lato, un recentissimo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Clinical Psychology Review da parte di Flett e Hewitt, suggerisce come il perfezionismo rappresenti una sorta di emergenza sanitaria della nostra società. Percepiamo infatti costantemente una pressione ad adeguarci a standard elevati e a mascherare la nostra identità. Dall’altro lato, il medesimo gruppo di ricerca ha pubblicato una mole impressionante di dati che evidenziano come il perfezionismo possa portare a gravi manifestazioni psicopatologiche e di sofferenza, fra cui anche il suicidio.

Le caratteristiche stesse del perfezionismo, basate sulla tendenza a percepire forti pressioni intra- e inter-personali e a mascherare la sofferenza che ne deriva, lo rendono estremamente “pericoloso” da un punto di vista clinico. Nel caso ad esempio del rischio suicidario, le persone con tratti perfezionistici mostrano un’alta letalità connessa alla loro ideazione. I tratti che generano in esse sofferenza, sono gli stessi che le portano a mascherare l’ideazione e a percepire come intollerabile il fallimento di un agito suicidario.

  • Veronica, la psicologia clinica ha spiegato in che modo nasce il perfezionismo?

Devo nuovamente fare riferimento al modello di Hewitt e colleghi per questo. Se infatti altri autori hanno riportato alcuni studi che correlano fattori prossimali e distali con l’insorgenza del perfezionismo, il gruppo canadese è l’unico ad aver integrato tali dati in un modello coerente, che hanno poi successivamente testato in numerosi studi su campioni clinici e non.

Il Modello della Disconnessione Sociale del Perfezionismo (“Perfectionism Social Disconnection Model” – PSDM) aiuta il clinico ad orientarsi nella comprensione del caso integrando elementi evolutivi su come sia emerso questo tratto di personalità e strategie terapeutiche per una concettualizzazione condivisa con il paziente. Il modello è particolarmente complesso e dettagliato. Riassumendo possiamo dire che il perfezionismo emerge a partire dalle prime interazione con il caregiver o altre figure significative. Senza offrire semplicistiche spiegazioni (es. “è tutta colpa dei genitori”), Hewitt e colleghi evidenziano come vi siano dei bisogni non soddisfatti – a causa delle asincronie nel rapporto con il caregiver – che divengono eccessivi e nel tempo portano alla manifestazione di comportamenti perfezionistici, nonché a svariate forme di sofferenza psicologica e ad una generale disconnessione sociale. Nel perfezionismo diviene evidente il ben noto paradosso nevrotico: per cercare di essere accettata e riconosciuta, la persona sviluppa strategie perfezionistiche rigide e immodificabili che in realtà la allontanano sempre più dagli altri.

  • Veronica, quali sono le forme di trattamento più efficaci? Si basano su quale razionale clinico?

I protocolli con maggiori evidenze sono sicuramente la Cognitive Behavioral Therapy (CBT) per il perfezionismo di Roz Shafran e la Dynamic Relational Therapy (DRT) di Hewitt e colleghi. Durante un recente simposio tenutosi a Losanna, per il congresso del SEPI (Society for the Exploration fo Psychotherapy Integration), David Kealey ha mostrato i dati preliminari di una recente meta-analisi in cui emerge come la CBT per il perfezionismo riveli ad oggi un’efficacia assai limitata. I dati invece a favore del DRT sembrano sottolineare l’importanza di tale protocollo. Il DRT è la declinazione pratica e clinica di quanto ho detto sinora in riferimento al CMPB e al PSDM. Integrando una prospettiva dinamica interpersonale con componenti cognitive, Hewitt e colleghi partono da una concettualizzazione condivisa del modello di sviluppo per poi individuare e trattare tutte le componenti inter- e intra-personali attraverso cui il perfezionismo si manifesta.

Negli ultimi due anni io e il dott. Simone Cheli (dei Centri Clinici Tages) abbiamo avviato una stretta collaborazione tra il “Centro per lo Studio e il Trattamento del Perfezionismo” di Tages Onlus e il “Perfectionism and Psychopathology Lab” fondato e diretto da Paul Hewitt. Da questa collaborazione, è nato un protocollo di gruppo che integra il DRT con le pratiche e il razionale evoluzionistico della Compassion-Focused Therapy (CFT). L’intervento (Mindful Compassion for Perfectionism – MCP) è stato oggetto di due pubblicazioni preliminari e sarà oggetto di un futuro trial clinico randomizzato controllato.

  • Veronica, ritieni che il perfezionismo rappresenti per il paziente un sintomo con dei vantaggi secondari per gestire altri problemi, per esempio l’ansia?

Diciamo che il perfezionismo instaura frequentemente un ciclo interpersonale maladattivo e autoperpetuantesi. Gli enormi sforzi a cui si sottopone la persona e il costante mascheramento della sofferenza che ne deriva, vengono spesso interpretati dagli altri come un limitato bisogno di supporto e una sorta di chirurgica freddezza. Secondo il paradosso nevrotico che citavo prima, la persona può arrivare ad esasperare ulteriormente tali manifestazioni nell’erronea convinzione che così facendo l’altro la accetterà e apprezzerà.

Nello studio che abbiamo condotto per validare gli strumenti di assessment di Hewitt e colleghi, abbiamo ad esempio evidenziato una elevata correlazione tra tutte le componenti perfezionistiche e la cosiddetta distress overtolerance, ovvero la convinzione di dover sopprimere e accettare la propria sofferenza. Tornando alla tua domanda, direi che le persone possono, attraverso il perfezionismo, rinforzare una credenza disfunzionale sulla necessità di sperimentare costantemente ansia, piuttosto che gestirla o ridurla in alcun modo!

Oltre a ciò, se vogliamo parlare di vantaggi secondari, mi verrebbe da dire che il perfezionismo – almeno in alcuni contesti (come performance, lavoro etc.) – è un atteggiamento socialmente rinforzato o comunque citato nel linguaggio comune come qualcosa di positivo, ma ciò non significa che permetta ‘davvero’ alla persona di funzionare meglio, anzi.

  • Veronica, ci consigli qualche spunto teorico? Nei vostri Centri Clinici Tages come ci lavorate?

Sicuramente consiglio a chi sia interessato all’argomento la lettura del manuale di Hewitt, Flett e Mikail (la traduzione italiana è pubblicata da Fioriti Editore). Nel libro trovate anche i riferimenti ai due Centri sul perfezionismo che citavo, quello canadese di Hewitt e quello di Tages Onlus.

Nei nostri Centri Clinici Tages cerchiamo di offrire, come per le altre problematiche, un intervento integrato e modulare. Utilizziamo dunque approcci diversi cercando di adattare le strategie più efficaci ai problemi presentati dal paziente, e lo facciamo lungo un percorso che può alternare professionisti e percorsi diversi. Per quanto riguarda nello specifico il trattamento del perfezionismo, nei due articoli che citavo abbiamo descritto quello che solitamente facciamo, ovvero un’integrazione tra la DRT, la Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) e la CFT. Ad esempio, in un recente case study descriviamo una paziente con tendenza al mascheramento perfezionistico trattata prima attraverso una terapia individuale in cui abbiamo integrato la TMI con il modello di concettualizzazione della DRT, e poi tramite il percorso di gruppo della MCP.

In altri percorsi, il perfezionismo emerge durante l’assessment come uno dei diversi tratti presenti, ma non necessariamente il più prominente. In tal caso, valutiamo in sede di équipe come trattare questo aspetto alla luce della concettualizzazione complessiva del caso, ad esempio decidendo se affrontarlo specificamente nel percorso individuale (ad esempio perché rinforza o mantiene la problematica principale etc.) o valutando l’utilità di un gruppo MCP che supporti il percorso individuale del paziente.


Ps su questo blog le interviste possono essere aggregate a partire dal pulsante “interviste” nel menù principale, oppure da qui

Article by admin / Formazione / interviste, psicologia, psicoterapiacognitivocomportamentale

21 May 2022

GARBAGE IN, GARBAGE OUT.  INTERVISTA FIUME A ZIO HACK

di Raffaele Avico

In questa intervista “fiume” a Francesco, in arte “Zio Hack”, vengono introdotte alcuni temi a riguardo del biohacking, della produttività, della crescita personale.

La letteratura a proposito della crescita e del miglioramento personale è molto vasta, e si configura come una costola del corpus teorico psicologico “applicato”, a metà tra la clinica e la psicologia sperimentale/generale, nel tentativo di capire come funziona la mente umana per “agire” in modo pragmatico, con l’obiettivo di auto-migliorarsi. Questo modo di intervenire sulla psicologia individuale esclude la collettività e l’ambiente di sviluppo, i primi anni di vita e il “problema del trauma”, riducendo per così dire il lavoro terapeutico al momento presente e al “funzionamento dell’Io”.

Per questo, in ambito di letteratura sulla crescita personale ci troviamo spesso ad avere a che fare con testi estremamente pragmatici, applicati, procedurali, pervasi da un assunto di fondo comune a tutti, ovvero: “la tua vita dipende da ciò che sei, e ciò che sei dipende da ciò che fai”. Ne consegue che modificando il proprio comportamento, si dovrebbe arrivare a modellare la propria realtà e il proprio “stare nel mondo”. C’è inoltre, costante, l’invito a “internalizzare” il locus of control, ovvero ad assumersi la “totale responsabilità” di ciò che si è (pensiamo per esempio a derive estreme -molto “americane”- come il progetto “extreme ownership”).

Zio Hack è uno dei precursori in Italia della divulgazione in ambito di crescita personale, già presente in rete dalla fine degli anni ‘90 (1998). Siamo al punto più alto dell’attuale panorama underground sullo sviluppo personale in Italia.

In questa intervista parla di biohacking, time-management e produttività, raccontando del suo stesso percorso di crescita e soprattutto delle sue fonti.

Il punto centrale del suo lavoro, come emerge dall’intervista, è rappresentato dal concetto di piramide. Le piramidi rappresentano il risultato finale di un lungo lavoro di sistematizzazione di fonti a riguardo della crescita personale, divisi per area. Troviamo dunque la “piramide del benessere”, o la “piramide successo personale”, strutturate per “piani sovrapposti” organizzati secondo una logica gerarchica.

Prendendo per esempio la piramide del benessere, osserviamo vari livelli di intervento progressivo, partendo dall’abbandono delle dipendenze, proseguendo attraverso il “problema della gestione della stress”, per poi andare alla qualità del sonno, etc. Le piramidi rappresentano una sintesi del molto materiale raccolto da Francesco nel corso del tempo.

Qui l’intervista, editata in una forma piuttosto grezza, senza tagli.

Zio Hack rappresenta un “aggregatore” di fonti, che lui stesso sostiene aver raffinato nel tempo, attraverso un lavoro progressivo di “setaccio” e potatura di ciò che storicamente si rivelò “fuffa”.

Alcune fonti/spunti/takeaways presenti nel video:

  • portale MOM di Franco Fabbro (meditazione orientata alla mindfulness): http://www.medita-mom.it/
  • Rhonda Patrick e il portale FOUND MY FITNESS (divulgazione scientifica e biohacking di altissima qualità
  • il lavoro di David Sinclair a proposito della biotecnologia usata per contrastare l’invecchiamento
  • il lavoro di Derek Siver, a proposito del “decluttering”, della ripulitura del segnale (“se non è un super-sì, è un super-no”) →https://sive.rs/
  • l’incredibile lavoro di divulgazione di Huberman (professore a Stanford School of Medicine)
  • ambito crescita finanziaria→ Dave Ransey https://www.ramseysolutions.com/
  • ambito nutrizione: https://examine.com/ e Stefano Vendrame (miglior divulgazione in ambito nutrizione in Italia)
  • a proposito della scrittura espressiva, ZIo Hack cita gli studi e i lavori di Pennabeker (qui per approfondire). Scrivere ha il doppio beneficio di ridare una forma narrativa (consequenziale, con un prima, un durante e un dopo) a un pensiero eventualmente disorganizzato, e di aiutare nel processo di simbolizzazione di materiale emotivo “grezzo” (ne avevamo scritto qui a proposito del concetto di affect labeling ). É di fatto uno strumento di regolazione dell’emotività, che viene usato in senso terapeutico in moteplici ambiti, per esempio per il PTSD, per modulare la rabbia (soprattutto in psicoterapia strategica), o per consolidare l’identità (attraverso per esempio la scrittura di un’autobiografia)
  • il lavoro di Connirae Andreas e Steve Andreas come precursori del metodo PNL e della tecnica EMDR (havening.org, che nel protocollo EMDR viene chiamato butterfly hug, qui descritto in modo approfondito, e qui); sempre a proposito della psicolinguistica, interessante il passaggio a proposito delle strutture progressive attraverso cui “intervenire” nel lavoro sul cambiamento: 1) linguaggio 2) visione 3) corpo, che in effetti ricapitolano le fasi progressive dello sviluppo umano (nasciamo cinestesici, corporei, preverbali e precognitivi, tutto quello che esiste di “ulteriore”, come il linguaggio, viene dopo -come dire che un reale cambiamento, per essere veramente tale, deve essere incarnato, “ingrained” in inglese)

La visione di Zio Hack è pragmatica, utilitaristica, empirica, americana con però un sano, più che mai necessario scetticismo europeo, all’insegna del “va bene purchè funzioni”. Chiude l’intervista con 3 pratiche per la crescita personale, indiscutibilmente virtuose: “una pratica meditativa qualunque”, la lettura di qualità (dato che “garbage in, garbage out”) e il movimento/attività fisica, propedeutico agli altri due.

Qui il suo sito: migliorati.org


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

Article by admin / Formazione / interviste, neuroscienze, psichiatria, psicologia, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale

25 March 2022

L’APPROCCIO “OPEN DIALOGUE”. INTERVISTA A RAFFAELLA POCOBELLO (CNR)

di Raffaele Avico

L’Open Dialogue è un modello di intervento in ambito di salute mentale, di derivazione scandinava. Viene usato con pazienti psicotici (ma non solo) coinvolgendo molte persone in contemporanea in una sola stanza, per un tempo di massimo un’ora e mezza. Può essere usato -come tipologia di colloquio- “al bisogno” o in modo maggiormente strutturato. Permette una trasparenza totale del “pensiero” dei curanti di fronte al paziente e alla sua famiglia, fornendo agli utenti un affaccio sul perchè si decida di adottare quale strategia terapeutica, e con quali obiettivi.

Raffaella Pocobello coordina un progetto di ricerca multicentrico internazionale focalizzato sull’efficacia dell’Open Dialogue per il CNR. Qui alcune sue riflessioni e indicazioni utili per chi voglia approfondire il tema.

Buongiorno Raffaella, ci dà una breve definizione dell’Open Dialogue, per comprendere meglio di cosa si tratti?

Il Dialogo Aperto è un approccio terapeutico centrato sulla rete sociale e familiare sviluppato nel contesto dei servizi psichiatrici pubblici della Lapponia, che si caratterizza per due aspetti:

  • Organizzativo: i servizi di salute mentale sono organizzati in modo garantire una risposta tempestiva, flessibilità dell’intervento e continuità terapeutica;
  • Clinico: incontri terapeutici di rete che coinvolgono tutte le persone significative fin dalla prima richiesta di aiuto hanno l’obiettivo di migliorare la comprensione e la risoluzione della situazione critica attraverso il dialogo.

A partire dagli anni ‘90 questo approccio è stato studiato in modo sistematico, sia nei suoi aspetti di processo che di esito. La valutazione di processo ha permesso di individuare sette principi chiave che descrivono il dialogo aperto:

  1. Aiuto immediato: l’intervento avviene entro le 24 ore dalla richiesta di aiuto in caso di crisi;
  1. Prospettiva orientata alla rete sociale: i membri della rete sociale della persona in difficoltà e tutti i professionisti dei servizi coinvolti nella crisi sono invitati a partecipare agli incontri;
  1. Flessibilità e mobilità della equipe: gli incontri sono pianificati in base ai bisogni unici di ogni persona, famiglia e contesto. Questo implica che l’equipe è disponibile e pronta a spostarsi sul territorio e che molti interventi sono domiciliari;
  1. Responsabilità: chi riceve la richiesta di aiuto che ha il compito di organizzare il primo incontro, fino al quale non sarà presa nessuna decisione relativa al trattamento. Inoltre, la responsabilità è condivisa all’interno del team;
  1. Continuità psicologica: la stessa equipe integrata segue la rete sociale nel tempo. Almeno alcuni componenti del team rimangono gli stessi, mentre altri professionisti possono intervenire occasionalmente, se utile;
  1. Tollerare l’incertezza: si costruisce uno spazio “sicuro” in cui discutere apertamente anche delle proposte di trattamento ed evitando decisioni affrettate;
  1. Dialogismo: nel facilitare gli incontri, i terapeuti invitano tutte le “voci” a contribuire al dialogo. Per voci si intende sia quelle delle diverse persone che partecipano all’incontro (polifonia orizzontale), sia le voci interne e multiple evocate dalla conversazione in ogni singolo partecipante (polifonia verticale). Per esempio, il terapeuta partecipa al dialogo attraverso le voci che derivano dalle sue competenze professionali (come essere un medico o un assistente sociale o uno psicologo, seguire un certo orientamento, etc.), ma anche con quelle relative alla sua vita personale e il suo mondo interiore. Non nel senso di raccontare la propria vita, ma nel modo in cui risponde alla situazione presente (per esempio nel tono, nella postura, nei commenti). Questo ultimo aspetto, il dialogismo, è quello su cui più si concentra la formazione degli operatori.

Il razionale clinico di intervento: per quale motivo viene applicato e ponendosi quali obiettivi?

La prima volta che ho ascoltato Jaakko Seikkula, il principale referente del Dialogo Aperto, mi hanno colpito due concetti della sua presentazione:

  • l’obiettivo principale del Dialogo Aperto non è produrre un cambiamento, né dirigerlo, ma promuovere il dialogo. Attraverso il dialogo, emergeranno e si mobilizzeranno le risorse della persona in crisi, della sua rete sociale e dei servizi di salute mentale a supporto. Questo obiettivo secondo me è alla base anche del clima partecipato ed egualitario che si crea negli incontri, e che è forse l’aspetto che più mi ha motivato a studiare questo approccio;
  • non c’è una selezione delle persone per cui il dialogo Aperto è adatto, né altri servizi ai quali inviare persone con questo o quel disagio. Quando la persona chiama, se nella conversazione emerge un problema specifico, per esempio uso di alcol, si chiede se il servizio può invitare professionisti che sono esperti di questo problema a unirsi al team. Non c’è mai qualcuno a cui viene detto di chiamare altrove. Ricordo lo stupore in aula dei colleghi che raccontavano quanto invece nei servizi di salute mentale si faccia l’opposto, e quanto l’intervento sia spesso frammentato.

Steve Pilling (UCL), che ora sta sperimentando il Dialogo Aperto in UK, per esempio dice che in Inghilterra hanno servizi per tutti e posto per nessuno.

Come si svolge, in concreto, un colloquio svolto con un paziente usando il metodo Open Dialogue?

Più che un metodo, il Dialogo Aperto è un approccio, complesso e a molti livelli. Queste le fasi di un incontro:

  1. In un tipico incontro di Dialogo Aperto, la persona in crisi, alcune persone della sua rete sociale e almeno due professionisti della salute mentale si siedono in cerchio.
  2. Di solito, comincia a parlare il professionista che ha risposto alla richiesta di aiuto e ha organizzato l’incontro, che racconta l’idea dell’incontro, chi ha chiamato e chi è stato invitato e (spesso) chiede ai presenti come propongono di usare il tempo dell’incontro.
  3. Chi facilita l’incontro (ci sono diversi approcci) fa in modo che tutti possano essere ascoltati, facendo domande prevalentemente aperte, invitando i partecipanti a parlare di ciò che ritengono più rilevante in quel momento. I professionisti non preparano alcun piano/agenda per l’incontro e il loro compito è quello di adattare le loro domande e affermazioni a quello che è stato detto, riprendendo le parole usate e promuovendone un approfondimento, evitando interventi su temi non emersi e interpretazioni. Durante l’incontro possono avvenire una o più conversazioni riflessive, in cui i professionisti discutono tra loro (anche su questo ci sono diversi approcci, più o meno strutturati), utilizzando un linguaggio semplice e rispettoso. Durante il dialogo tra gli operatori, il paziente e la rete sociale rimangono in ascolto.
  4. Sebbene le parole rivestano un ruolo importante, una parte significativa del dialogo avviene senza parole, nella espressione delle sensazioni e delle reazioni che emergono spontaneamente, in particolare quelle che precedono le parole. Per questo la ricerca più recente di Seikkula si è focalizzata sull’embodiment, e nell’insegnamento del Dialogo Aperto in alcuni programmi è presente una componente di mindfulness. Infatti, una delle sfide principali del terapeuta è quella di essere presente nel qui e ora, in ascolto e responsivo del dialogo che avviene ma anche del proprio dialogo interno.
  5. Prima di chiudere l’incontro, si chiede ai partecipanti se ci sono questioni importanti che vorrebbero che emergessero prima della fine e se, quando e dove fissare un nuovo appuntamento. A questo punto, i contenuti più significativi dell’incontro vengono sintetizzati, soprattutto se ci sono decisioni importanti che sono state prese o da prendere. La durata dell’incontro è variabile, anche se viene indicato che di solito 90 minuti sono un tempo adeguato.

Negli ultimi anni, la pandemia ci ha spinto a sperimentare il Dialogo Aperto anche online. Anche se non ci sono ancora studi a riguardo, chi ha fatto questa esperienza è sorpreso che l’approccio sembri adattabile, e i feedback sono positivi.

Quali sono i riferimenti teorici di questa pratica, e quali i testi dove, volendo, approfondire il tema?

Il Dialogo Aperto è caratterizzato da un certo eclettismo.

Alle sue origini c’è il Need-Adapted Approach (approccio adattato al bisogno), il cui principale referente è Alanen. Negli Settanta lui e il suo team a Turku si dedicarono in particolare alla esperienza psicotica, proponendo interventi che integravano diversi modelli terapeutici (psicologici, psicodinamici, sistemici e psichiatrici, sociali e riabilitativi) a seconda delle esigenze del paziente.

Anche la scuola sistemica, in particolare l’approccio di Boscolo e Cecchin, hanno avuto una influenza nello sviluppo del Dialogo Aperto.

Ma l’influenza a mio avviso più significativa è quella del norvegese Tom Andersen, che si ritrova in due pratiche fondamentali:

  • Il rispetto della regola semplice ma rivoluzionaria, che a partire dal 1984 è stata adottata anche in Lapponia, di non parlare del paziente e della famiglia in loro assenza.
  • dalla applicazione di questa regola, deriva la pratica della “conversazione riflessiva” (o gruppo riflessivo, reflective team), in cui i professionisti parlano tra loro durante gli incontri terapeutici, dando sempre la possibilità ai pazienti e alla famiglia di ascoltare e rispondere a quanto detto.

Infine, il riferimento filosofico principale è quello del filosofo russo Mikhail Bakhtin sulla polifonia e il dialogismo. Un altro riferimento importante è Dostoevskij: cosi come il narratore non può fare altro che mettersi in relazione con le voci dei diversi protagonisti, modificando la trama del romanzo in base al loro contributo, così il terapeuta ha la responsabilità di fare emergere risorse e soluzioni dai partecipanti all’incontro, rinunciando a dirigerlo e ad avere un piano predefinito.

Tra le letture consigliate per saperne di più ci sono due libri in italiano:

  • Il dialogo aperto. L’approccio finlandese alle gravi crisi psichiatriche, del 2016. Di Jaakko Seikkula e curato da Chiara Tarantino, edito da Fioriti
  • Metodi dialogici nel lavoro di rete, di Tom Arkil e Jaakko Seikkula, del 2013, edito da Erickson.

Presto ne uscirà anche un nuovo sull’utilizzo del Dialogo Aperto nel trattamento della psicosi, in lingua inglese edito da Routledge, che sarà edito in Italia da Fioriti.

Una bibliografia estesa in lingua inglese è consultabile sul sito del progetto internazionale HOPEnDialogue, a questo link.

HOPEnDialogue è il primo studio multicentrico internazionale sul Dialogo Aperto, coordinato dal CNR.


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  • CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA: UN CONVEGNO GRATUITO ONLINE (21 MAGGIO)
  • BALBUZIE: COME USCIRNE (il metodo PSICODIZIONE)
  • PANICO: INTERVISTA AD ANDREA IENGO (PANICO.HELP)
  • Psicologia digitale e pandemia COVID19: il report del Centro Medico Santagostino di Milano dall’European Conference on Digital Psychology (ECDP)
  • SOLCARE IL MARE ALL’INSAPUTA DEL CIELO. Liberalizzare come terapia: il problema dell’autocontrollo in clinica
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO”
  • La psicologia fenomenologica nelle comunità terapeutiche
  • 3 STRUMENTI CONTRO IL TRAUMA (IN BREVE): TAVOLA DISSOCIATIVA, DISSOCIAZIONE VK E CAMBIO DI STORIA
  • IL MALADAPTIVE DAYDREAMING SPIEGATO PER PUNTI
  • UN VIDEO PER CAPIRE LA DISSOCIAZIONE
  • CORRELATI MORFOLOGICI E FUNZIONALI DELL’EMDR: UNA PANORAMICA SULLA NEUROBIOLOGIA DEL TRATTAMENTO DEL PTSD
  • TRAUMA E DISSOCIAZIONE IN ETÁ EVOLUTIVA: (VIDEO)INTERVISTA AD ANNALISA DI LUCA
  • GLI EFFETTI POLARIZZANTI DELLA BOLLA INFORMATIVA. INTERVISTA A NICOLA ZAMPERINI DEL BLOG “DISOBBEDIENZE”
  • SVILUPPARE IL PENSIERO LATERALE (EDWARD DE BONO) – RECENSIONE
  • MDMA PER IL POST-TRAUMA: BEN SESSA E ALTRI RIFERIMENTI IN RETE
  • 8 LIBRI FONDAMENTALI SU TRAUMA E DISSOCIAZIONE
  • VIDEOINTERVISTA A CATERINA BOSSA: LAVORARE CON IL TRAUMA
  • PRIMO SOCCORSO PSICOLOGICO E INTERVENTO PERI-TRAUMATICO: IL LAVORO DI ALAIN BRUNET ED ESSAM DAOD
  • “SHARED LIVES” NEL REGNO UNITO: FORME DI PSICHIATRIA D’AVANGUARDIA
  • IL TRAUMA (PTSD) NEGLI ANIMALI (PARTE 1)
  • FLOW: una definizione
  • NEUROBIOLOGIA DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO (PTSD)
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE (SECONDA PARTE): FINE PENA MAI
  • INTERVISTA A COSTANZO FRAU: DISSOCIAZIONE, TRAUMA, CLINICA
  • LO SPETTRO IMPULSIVO COMPULSIVO. I DISTURBI OSSESSIVO COMPULSIVI SONO DISTURBI DA ADDICTION?
  • PSICOFARMACOLOGIA STRATEGICA: L’UTILIZZO DEGLI PSICOFARMACI IN PSICOTERAPIA (FORMAZIONE ONLINE)
  • ANATOMIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (E PSICOTERAPIA)
  • LA STRANGE SITUATION IN BREVE e IL TRAUMA COMPLESSO
  • GIORNALISMO = ENTERTAINMENT
  • SIMBOLIZZARE IL TRAUMA: IL RUOLO DELL’ATTO ARTISTICO
  • PSICHIATRIA: IL MODELLO DE-ISTITUZIONALIZZANTE DI GEEL, BELGIO (The Openbaar Psychiatrisch Zorgcentrum)
  • STABILIZZARE I SINTOMI POST TRAUMATICI: ALCUNI ASPETTI PRATICI
  • Psicoterapia breve strategica del Disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Intervista ad Andrea Vallarino e Luca Proietti
  • CRONOFAGIA DI DAVIDE MAZZOCCO: CONTRO IL FURTO DEL TEMPO
  • PODCAST: SPECIALIZZAZIONE IN PSICHIATRIA E CLINICA A CHICAGO, con Matteo Respino
  • COME GESTIRE UNA DIPENDENZA? 4 PIANI DI INTERVENTO
  • INTRODUZIONE A JAAK PANKSEPP
  • INTERVISTA A DANIELA RABELLINO: LAVORARE CON RUTH LANIUS E NEUROBIOLOGIA DEL TRAUMA
  • MDMA PER IL TRAUMA: VIDEOINTERVISTA A ELLIOT MARSEILLE (A CURA DI JONAS DI GREGORIO)
  • PSICHIATRIA E CINEMA: I CINQUE MUST-SEE (a cura di Laura Salvai, Psychofilm)
  • STRESS POST TRAUMATICO: una definizione e alcuni link di approfondimento
  • SCOPRIRE IL FOREST BATHING
  • IL TRAUMA COME APPRENDIMENTO A PROVA SINGOLA (ONE TRIAL LEARNING)
  • IL PANICO COME ROTTURA (RAPPRESENTATA) DI UN ATTACCAMENTO? da un articolo di Francesetti et al.
  • LE PENSIONI DEGLI PSICOLOGI: INTERVISTA A LORENA FERRERO
  • INTERVISTA A JONAS DI GREGORIO: IL RINASCIMENTO PSICHEDELICO
  • IL RITORNO (MASOCHISTICO?) AL TRAUMA. Intervista a Rossella Valdrè
  • ASCESA E CADUTA DEI COMPETENTI: RADICAL CHOC DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA
  • L’EMDR: QUANDO USARLO E CON QUALI DISTURBI
  • FACEBOOK IS THE NEW TOBACCO. Perchè guardare “The Social Dilemma” su Netflix
  • SPORT, RILASSAMENTO, PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA: oltre la parola per lo stress post traumatico
  • IL MODELLO TRIESTINO, UN’ECCELLENZA ITALIANA. Intervista a Maria Grazia Cogliati Dezza e recensione del docufilm “La città che cura”
  • IL RITORNO DEL RIMOSSO. Videointervista a Luigi Chiriatti su tarantismo e neotarantismo
  • FARE PSICOTERAPIA VIAGGIANDO: VIDEOINTERVISTA A BERNARDO PAOLI
  • SUL MERCATO DELLA DOPAMINA: INTERVISTA A VALERIO ROSSO
  • TARANTISMO: 9 LINK UTILI
  • FRANCESCO DE RAHO SUL TARANTISMO, tra superstizione e scienza
  • ATTACCHI DI PANICO: IL MODELLO SUL CONTROLLO
  • SHELL SHOCK E PRIMA GUERRA MONDIALE: APPORTI VIDEO
  • LA LUNA, I FALÒ, ANGUILLA: un romanzo sulla melanconia
  • VIDEOINTERVISTA A FERNANDO ESPI FORCEN: LAVORARE COME PSICHIATRA A CHICAGO
  • ALCUNI ESTRATTI DALLA RUBRICA “GROUNDING” (PDF)
  • STRESS POST TRAUMATICO: IL MODELLO A CASCATA. Da un articolo di Ruth Lanius
  • OTTO KERNBERG SUGLI OBIETTIVI DI UNA PSICOANALISI: DA UNA VIDEOINTERVISTA
  • SONNO, STRESS E TRAUMA
  • Il SAFE AND SOUND PROTOCOL, UNO STRUMENTO REGOLATIVO. Videointervista a GABRIELE EINAUDI
  • IL CONTROLLO CHE FA PERDERE IL CONTROLLO: UNA VIDEOINTERVISTA AD ANDREA VALLARINO SUL DISTURBO DI PANICO
  • STRESS, RESILIENZA, ADATTAMENTO, TRAUMA – Alcune definizioni per creare una mappa clinicamente efficace
  • DA “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE”: COS’É LA NEUROCEZIONE
  • AUTO-TRADIRSI. UNA DEFINIZIONE DI MORAL INJURY
  • BASAGLIA RACCONTA IL COVID
  • FONDAMENTI DI PSICOTERAPIA: LA FINESTRA DI TOLLERANZA DI DANIEL SIEGEL
  • L’EBOOK AISTED: “AFFRONTARE IL TRAUMA PSICHICO: il post-emergenza.”
  • NOI, ESSERI UMANI POST- PANDEMICI
  • PUNTI A FAVORE E PUNTI CONTRO “CHANGE” di P. Watzlawick, J.H. Weakland e R. Fisch
  • APPORTI VIDEO SUL TARANTISMO – PARTE 2
  • RISCOPRIRE L’ARCHIVIO (VIDEO) DI PSYCHIATRY ON LINE PER I SUOI 25 ANNI
  • SULL’IMMOBILITÀ TONICA NEGLI ANIMALI. Alcuni spunti da “IPNOSI ANIMALE, IMMOBILITÁ TONICA E BASI BIOLOGICHE DI TRAUMA E DISSOCIAZIONE”
  • FOBIE SPECIFICHE IN BREVE
  • JEAN PIAGET E LA SHARING ECONOMY
  • LO STATO DELL’ARTE INTORNO ALLA DIMENSIONE SOCIALE DELLA MEMORIA: SUL MODO IN CUI SI E’ ARRIVATI ALLA CREAZIONE DEL CONCETTO DI RICORDO CONGIUNTO E SU QUANTO LA VITA RELAZIONALE INFLUENZI I PROCESSI DI SVILUPPO DELLA MEMORIA
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.3 – MODELLO ITALIANO E MODELLO BELGA A CONFRONTO, CON GIOVANNA JANNUZZI!
  • RISCOPRIRE PIERRE JANET: PERCHÉ ANDREBBE LETTO DA CHIUNQUE SI OCCUPI DI TRAUMA?
  • AGGIUNGERE LEGNA PER SPEGNERE IL FUOCO. TERAPIA BREVE STRATEGICA E DISTURBI FOBICI
  • INTERVISTA A NICOLÓ TERMINIO: L’UOMO SENZA INCONSCIO
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.3
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.2 – MODELLO ITALIANO E MODELLO SVIZZERO A CONFRONTO, CON OMAR TIMOTHY KHACHOUF!
  • ANTONELLO CORREALE: IL QUADRO BORDERLINE IN PUNTI
  • 10 ANNI DI E.J.O.P: DOVE SIAMO?
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.2
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE: RISTRETTI.IT
  • NELLE CORNA DEL BUE LUNARE: IL LAVORO DI LIDIA DUTTO
  • LA COLPA NEL DOC: LA MENTE OSSESSIVA DI FRANCESCO MANCINI
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.1
  • PREFAZIONE DI “PTSD: CHE FARE?”, a cura di Alessia Tomba
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO”: EP.1 – FERNANDO ESPI FORCEN
  • NERVATURE TRAUMATICHE E PREDISPOSIZIONE AL PTSD
  • RIMOZIONE E DISSOCIAZIONE: FREUD E PIERRE JANET
  • TEORIA DEI SISTEMI COMPLESSI E PSICOPATOLOGIA: DENNY BORSBOOM
  • LA CULTURA DELL’INDAGINE: IL MASTER IN TERAPIA DI COMUNITÀ DEL PORTO
  • IMPATTO DELL’ESERCIZIO FISICO SUL PTSD: UNA REVIEW E UN PROGRAMMA DI ALLENAMENTO
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI GIULIO TONONI
  • THOMAS INSEL: FENOTIPI DIGITALI IN PSICHIATRIA
  • HPPD: HALLUCINOGEN PERCEPTION PERSISTING DISORDER
  • SU “LA DIMENSIONE INTERPERSONALE DELLA COSCIENZA”
  • INTRODUZIONE AL MODELLO ORGANODINAMICO DI HENRY EY
  • IL SIGNORE DELLE MOSCHE letto oggi
  • PTSD E SLOW-BREATHING: RESPIRARE PER DOMINARE
  • UNA DEFINIZIONE DI “TRAUMA DA ATTACCAMENTO”
  • PROCHASKA, DICLEMENTE, ADDICTION E NEURO-ETICA
  • NOMINARE PER DOMINARE: L’AFFECT LABELING
  • MEMORIA, COSCIENZA, CORPO: TRE AREE DI IMPATTO DEL PTSD
  • CAUSE E CONSEGUENZE DELLO STIGMA
  • IMMAGINI DEL TARANTISMO: CHIARA SAMUGHEO
  • “LA CITTÀ CHE CURA”: COSA SONO LE MICROAREE DI TRIESTE?
  • LA TRASMISSIONE PER VIA GENETICA DEL PTSD: LO STATO DELL’ARTE
  • IL LAVORO DI CARLA RICCI SUL FENOMENO HIKIKOMORI
  • QUALI FONTI USARE IN AMBITO DI PSICHIATRIA E PSICOLOGIA CLINICA?
  • THE MASTER AND HIS EMISSARY
  • PTSD: QUANDO LA MINACCIA É INTROIETTATA
  • LA PSICOTERAPIA COME LABORATORIO IDENTITARIO
  • DEEP BRAIN REORIENTING – IN CHE MODO CONTRIBUISCE AL TRATTAMENTO DEI TRAUMI?
  • STRANGER DREAMS: STORIE DI DEMONI, STREGHE E RAPIMENTI ALIENI – Il fenomeno della paralisi del sonno nella cultura popolare
  • ALCUNI SPUNTI DA “LA GUERRA DI TUTTI” DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA
  • Psicopatologia Generale e Disturbi Psicologici nel Trono di Spade
  • L’IMPORTANZA DEGLI SPAZI DI ELABORAZIONE E IL “DEFAULT MODE”
  • LA PEDAGOGIA STEINER-WALDORF PER PUNTI
  • SOSTANZE PSICOTROPE E INDUSTRIA DEL MASSACRO: LA MODERNA CORSA AGLI ARMAMENTI FARMACOLOGICI
  • MENO CONTENUTO, PIÙ PROCESSI. NUOVE LINEE DI PENSIERO IN AMBITO DI PSICOTERAPIA
  • IL PROBLEMA DEL DROP-OUT IN PSICOTERAPIA RIASSUNTO DA LEICHSENRING E COLLEGHI
  • SUL REHEARSAL
  • DUE PROSPETTIVE PSICOANALITICHE SUL NARCISISMO
  • TERAPIA ESPOSITIVA IN REALTÀ VIRTUALE PER IL TRATTAMENTO DEI DISTURBI D’ANSIA: META-ANALISI DI STUDI RANDOMIZZATI
  • DISSOCIAZIONE: COSA SIGNIFICA
  • IVAN PAVLOV SUL PTSD: LA VICENDA DEI “CANI DEPRESSI”
  • A PROPOSITO DI POST VERITÀ
  • TARANTISMO COME PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA?
  • R.D. HINSHELWOOD: DUE VIDEO DA UN CONVEGNO ORGANIZZATO DA “IL PORTO” DI MONCALIERI E DALLA RIVISTA PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE
  • EMDR = SLOW WAVE SLEEP? UNO STUDIO DI MARCO PAGANI
  • LA FORMA DELL’ISTITUZIONE MANICOMIALE: L’ARCHITETTURA DELLA PSICHIATRIA
  • PSEUDOMEDICINA, DEMENZA E SALUTE CEREBRALE
  • FARMACOTERAPIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (DOC) DAL PRESENTE AL FUTURO
  • INTERVISTA A GIOVANNI ABBATE DAGA. ALCUNI APPROFONDIMENTI SUI DCA
  • COSA RENDE LA KETAMINA EFFICACE NEL TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE? UN PROBLEMA IRRISOLTO
  • CONCETTI GENERALI SULLA TEORIA POLIVAGALE DI STEPHEN PORGES
  • UNO SGUARDO AL DISTURBO BIPOLARE
  • DEPRESSIONE, DEMENZA E PSEUDODEMENZA DEPRESSIVA
  • Il CORPO DISSIPA IL TRAUMA: ALCUNE OSSERVAZIONI DAL LAVORO DI PETER A. LEVINE
  • IL PTSD SOFFERTO DAGLI SCIMPANZÈ, COSA CI DICE SUL NOSTRO FUNZIONAMENTO?
  • QUANDO IL PROBLEMA È IL PASSATO, LA RICERCA DEI PERCHÈ NON AIUTA
  • PILLOLE DI MASTERY: DI CHE SI TRATTA?
  • C’È UN EFFETTO DEL BILINGUISMO SULL’ESORDIO DELLA DEMENZA?
  • IL GORGO di BEPPE FENOGLIO
  • VOCI: VERSO UNA CONSIDERAZIONE TRANSDIAGNOSTICA?
  • DALLA SCUOLA DI NEUROETICA 2018 DI TRIESTE, ALCUNE RIFLESSIONI SUL PROBLEMA ADDICTION
  • ACTING OUT ED ENACTMENT: UN ESTRATTO DAL LIBRO RESISTENZA AL TRATTAMENTO E AUTORITÀ DEL PAZIENTE – AUSTEN RIGGS CENTER
  • CONCETTI GENERALI SUL DEFAULT-MODE NETWORK
  • NON È ANORESSIA, NON È BULIMIA: È VOMITING
  • PATRICIA CRITTENDEN: UN APPROFONDIMENTO
  • UDITORI DI VOCI: VIDEO ESPLICATIVI
  • IMPUTABILITÀ: DA UN TESTO DI VITTORINO ANDREOLI
  • OLTRE IL DSM: LA TASSONOMIA GERARCHICA DELLA PSICOPATOLOGIA. DI COSA SI TRATTA?
  • LIMITARE L’USO DEI SOCIAL: GLI EFFETTI BENEFICI SUI LIVELLI DI DEPRESSIONE E DI SOLITUDINE
  • IL PTSD IN VIDEO
  • PILLOLE DI EMPOWERMENT
  • COME NASCE LA RAPPRESENTAZIONE DI SÈ? UN APPROFONDIMENTO
  • IL CAFFÈ CI PROTEGGE DALL’ALZHEIMER?
  • PER AVERE UNA BUONA AUTISTIMA, OCCORRE ESSERE NARCISISTI?
  • LA MENTE ADOLESCENTE di Daniel Siegel
  • TALVOLTA È LA RASSEGNAZIONE DEL TERAPEUTA A RENDERE RESISTENTE LA DEPRESSIONE NEI DISTURBI NEURODEGENERATIVI – IMPLICAZIONI PRATICHE
  • Costruire un profilo psicologico a partire dal tuo account Facebook? La scienza dietro alla vittoria di Trump e al fenomeno Brexit
  • L’effetto placebo nel Morbo di Parkinson. È possibile modificare l’attività neuronale partendo dalla psiche?
  • I LIMITI DELL’APPROCCIO RDoC secondo PARNAS
  • COME IL RICORDO DEL TRAUMA INTERROMPE IL PRESENTE?
  • SISTEMI MOTIVAZIONALI INTERPERSONALI E TEMI DI VITA. Riflessioni intorno a “Life Themes and Interpersonal Motivational Systems in the Narrative Self-construction” di Fabio Veglia e Giulia di Fini
  • IL SOTTOTIPO “DISSOCIATIVO” DEL PTSD. UNO STUDIO DI RUTH LANIUS e collaboratori
  • “ALCUNE OSSERVAZIONI SUL PROCESSO DEL LUTTO” di Otto Kernberg
  • INTRODUZIONE ALLA MOVIOLA DI VITTORIO GUIDANO
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI DANIEL SIEGEL
  • DALL’ADHD AL DISTURBO ANTISOCIALE DI PERSONALITÀ: IL RUOLO DEI TRATTI CALLOUS-UNEMOTIONAL
  • UNO STUDIO SUI CORRELATI BIOLOGICI DELL’EMDR TRAMITE EEG
  • MULTUM IN PARVO: “IL MONDO NELLA MENTE” DI MARIO GALZIGNA
  • L’EFFETTO PLACEBO COME PARADIGMA PER DIMOSTRARE SCIENTIFICAMENTE GLI EFFETTI DELLA COMUNICAZIONE, DELLA RELAZIONE E DEL CONTESTO
  • PERCHÈ L’EFFETTO PLACEBO SEMBRA ESSERE PIÙ DEBOLE NEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO: UN APPROFONDIMENTO
  • BREVE REPORT SUL CONCETTO CLINICO DI SOLITUDINE E SUL MAGNIFICO LAVORO DI JT CACIOPPO
  • SULL’USO DEGLI PSICHEDELICI IN PSICHIATRIA: L’MDMA NEL TRATTAMENTO DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO
  • LA LENTE PSICOTRAUMATOLOGICA: GLI ASSUNTI EPISTEMOLOGICI
  • PREVENIRE LE RECIDIVE DEPRESSIVE: FARMACOTERAPIA, PSICOTERAPIA O ENTRAMBI?
  • YOUTH IN ICELAND E IL COMUNE DI SANTA SEVERINA IN CALABRIA
  • FILTRO AFFETTIVO DI KRASHEN: IL RUOLO DELL’AFFETTIVITÀ NELL’IMPARARE
  • DIFFIDATE DELLA VOSTRA RAGIONE: LA PATOLOGIA OSSESSIVA COME ESASPERAZIONE DELLA RAZIONALITÀ
  • BREVE STORIA DELL’ELETTROSHOCK
  • TALVOLTA É LA RASSEGNAZIONE DEL TERAPEUTA A RENDERE RESISTENTE LA DEPRESSIONE NEI DISTURBI NEURODEGENERATIVI
  • LO STATO DELL’ARTE SUGLI EFFETTI DELL’ATTIVITÀ FISICA NEL PTSD (disturbo da stress post-traumatico)
  • DIPENDENZA DA INTERNET: IL RITORNO COMPULSIVO ON-LINE
  • L’EVOLUZIONE DELLE RETI NEURALI ASSOCIATIVE NEL CERVELLO UMANO: report sullo sviluppo della teoria del “tethering”, ovvero di come l’evoluzione di reti neurali distribuite, coinvolgenti le aree cerebrali associative, abbia sostenuto lo sviluppo della cognizione umana
  • COMMENTO A “PSICOPILLOLE – Per un uso etico e strategico dei farmaci” di A. Caputo e R. Milanese, 2017
  • L’ERGONOMIA COGNITIVA NEL METODO DI MARIA MONTESSORI
  • SUL COSTRUTTIVISMO: PERCHÉ LA SCIENZA DEVE RICERCARE L’UTILE. Un estratto da Terapia Breve Strategica di Paul Watzlawick e Giorgio Nardone
  • IN MORTE DI GIOVANNI LIOTTI
  • ALL THAT GLITTERS IS NOT GOLD. APOLOGIA DELLA PLURALITÀ IN PSICOTERAPIA ATTRAVERSO UN ARTICOLO DI LEICHSERING E STEINERT
  • COMMENTO A:  ON BEING A CIRCUIT PSYCHIATRIST di JA Gordon
  • KERNBERG: UN AUTORE IMPRESCINDIBILE, PARTE 2
  • IL PRIMATO DELLA MANIA SULLA DEPRESSIONE: “LA MANIA È IL FUOCO E LA DEPRESSIONE LE SUE CENERI”.
  • IL CESPA
  • COMMENTO A LUTTO E MELANCONIA DI FREUD
  • LA DEFINIZIONE DI SOTTOTIPI BIOLOGICI DI DEPRESSIONE FONDATA SULL’ATTIVITÀ CEREBRALE A RIPOSO
  • BORSBOOM: PER LA SEPARAZIONE DEI MODELLI DI CAUSALITÀ RELATIVI AL MODELLO MEDICO E AL MODELLO PSICHIATRICO, E SULLA CAUSALITÀ CIRCOLARE CHE REGOLA I RAPPORTI TRA SINTOMI PSICOPATOLOGICI
  • IL LAVORO CON I PAZIENTI GRAVI: IL QUADRO BORDERLINE E LA DBT
  • INTERNET ADDICTION, ALCUNI SPUNTI DAL LAVORO DI KIMBERLY YOUNG
  • EMDR: LO STATO DELL’ARTE
  • PTSD, UNA DEFINIZIONE E UN VIDEO ESPLICATIVO
  • FLASHBULB MEMORIES E MEMORIE TRAUMATICHE, UN APPROFONDIMENTO
  • NUOVA PSICHIATRIA, RDoC E NEUROPSICOANALISI
  • JACQUES LACAN, LA CLINICA PSICOANALITICA: STRUTTURA E SOGGETTO di Massimo Recalcati, 2016
  • DGR 29: alcune riflessioni su quello che sembra un passo indietro in termini di psichiatria pubblica
  • L’ATTUALITÀ DI PIERRE JANET: “La psicoanalisi”, di Pierre Janet
  • PSICOPATIA E AGGRESSIVITÀ PREDATORIA, LA VERSIONE DI GIOVANNI LIOTTI (da “L’evoluzione delle emozioni e dei Sistemi Motivazionali”, 2017)
  • LA GESTIONE DEL CONTATTO OCULARE IN PAZIENTI CON PTSD
  • MARZO 2017: IL CONSENSUS STATEMENT SULL’UTILIZZO DI KETAMINA NEI CASI DI DISORDINI DELL’UMORE APPARENTEMENTE NON TRATTABILI
  • IL CERVELLO TRIPARTITO: LA TEORIA DI PAUL MACLEAN
  • IL CIRCUITO DI RICOMPENSA NELL’AMBITO DEI PROBLEMI DI DIPENDENZA
  • OTTO KERNBERG: UN AUTORE IMPRESCINDIBILE
  • TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SULLE MNEMOTECNICHE (MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE)
  • LA CURA DEL SE’ TRAUMATIZZATO di Lanius e Frewen, 2017
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IL BLOG

Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

A CURA DI:

  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
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