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Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in psichiatria e psicoterapia

1 April 2025

RICERCA E DIVULGAZIONE IN AMBITO DI PSICHEDELICI: 10 LINK

di Raffaele Avico


Raccogliamo qui una decina di link “strategici” per avventurarsi in questa “età dell’oro” della ricerca e dello studio sugli effetti delle sostanze psichedeliche, e per capire come questo lavoro di riscoperta impatterà il mondo della nuova psicoterapia e della psichiatria.
Eccoli.

  1. una selezione di documentari video accurata ed esaustiva sulla psichedelia mondiale
  2. l’incredibile lavoro di Andrew Gallimore sulla DMT. Gallimore ha tentato di “mappare” il mondo “creato” dall’utilizzo di DMT attraverso diversi libri; in questi anni si sta in particolare dedicando allo studio della DMT infusa in modo prolungato (si veda questo studio). Qui un’intervista significativa
  3. un ricercatore e divulgatore che sta imponendosi sulla scena psichedelica italiana, lavorando però da Londra -con David J. Nutt-, Tommaso Barba
  4. l’ecosistema dei contenuti emanati dal lavoro dell’Associazione Luca Coscioni, dal podcast Illuminismo psichedelico ai cerchi di integrazione psichedelica (fortemente avanguardistici in Italia). In particolare questo video uscito di recente a proposito del fine vita. 
  5. un blog di nicchia di cui abbiamo già parlato: le impressioni di un ricercatore che su di sé sperimenta sostanze psichedeliche, riportando fedelmente le sensazioni e il suo vissuto; scritto in modo magistrale: Phenomenautics
  6. Jon Hopkins ha pubblicato un disco (“Music for Psychedelic Therapy”) di musica elettronica pensato per fare da sottofondo a un’esperienza con psilocibina, avventurandosi in luoghi “selvaggi” per campionare suoni; il risultato è impressionante, lo si recupera qui
  7. la Svizzera è vicina all’italia ed è attualmente in Europa il luogo più avanzato in termini di studio, ricerca e utilizzo di sostanze psichedeliche in ambito psichiatrico. Ne abbiamo scritto qui e in precedenza avevamo intervistato Federico Seragnoli che segue percorsi di PAP (Psicoterapia Assistita da Psichedelici) in Svizzera
  8. la (relativamente) neonata SIMEPSI, Società Italiana di Medicina Psichedelica, già molto attiva -e già molto autorevole
  9. negli anni ‘90 una coppia di ricercatori indipendenti californiani, i coniugi Shulgin, sintetizzarono e provarono su loro stessi centinaia di molecole psichedeliche: i risultati di questi studi sono raccolti in due libri contigui, PiHKAL e TiHKAL. Qui il profilo Wikipedia dei coniugi, qui invece un video pubblicato anni fa da Vice con un’intervista alla coppia, e qui archiviati i diari scritti a mano dallo stesso Alexander Shulgin
  10. in ultimo, il pezzo forte, una selezione di 10 articoli “fondamentali” e solidi in senso statistico a cura di Studio Aegle, per POPMed.

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Article by admin / Generale, Formazione / neuroscienze, psicoterapia

28 March 2024

GLI INCONTRI DI AISTED: LA PSICOTERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI A GINEVRA (16 APRILE 2024)

di Raffaele Avico

Il 16 aprile 2024 alle 19 via Zoom e accessibile a tutti, AISTED ha organizzato un incontro con Federico Seragnoli, psicologo e dottorando presso Hôpitaux Universitaires de Genève (HUG), a proposito dell’uso terapeutico delle sostanze psichedeliche.

Attualmente in Svizzera (e in pochi altri luoghi in Europa) viene usata la psicoterapia assistita da psichedelici: come sappiamo l’MDMA è studiato da anni come possibile aiuto farmacologico nel contesto della cosiddetta “fase 2” del trattamento delle sindromi post-traumatiche, essendo in grado di predisporre la mente a un miglior lavoro di esposizione ai ricordi traumatici, mitigando le risposte di allarme.

Federico ci racconterà della sua esperienza in Svizzera, delle sue osservazioni a riguardo, del suo lavoro come psicologo in quel contesto.

L’incontro verterà sulle seguenti domande:

  • Federico, ci racconti chi sei e di cosa ti occupi? Quali sono i progetti che porti avanti con il tuo gruppo di lavoro?
  • Parliamo del tuo lavoro in ambito psichedelico: Ginevra sembra essere l’unico luogo in Europa dove la psicoterapia assistita da psichedelici è erogata al pubblico. Ci spieghi com’è possibile e come funziona l’iter?
  • Come si svolge, nel concreto, una sessione? Ci racconteresti qualcosa di un caso da te seguito?
  • Quali sono i professionisti coinvolti in un percorso di psicoterapia assistita, e quali sono i razionali di intervento (disturbi-target, principio di funzionamento della PAP, e risultati attesi?)
  • Ci daresti un parere personale sulla psicoterapia assistita da psichedelici, e sul rinascimento psichedelico in generale?
  • Spunti di approfondimento (siti, film, libri, articoli, gruppi di lavoro in ambito di ricerca, etc.)?

Qui la pagina per iscriversi sul sito AISTED.


Altro su questo blog a proposito di psichedelia e psichedelici:

  • MDMA PER IL POST-TRAUMA: BEN SESSA E ALTRI RIFERIMENTI IN RETE
  • MDMA PER IL TRAUMA: VIDEOINTERVISTA A ELLIOT MARSEILLE (A CURA DI JONAS DI GREGORIO)
  • VERSO L’MDMA NEL TRATTAMENTO DEL PTSD
  • RUBRICA: TERAPIE PSICHEDELICHE
  • PHENOMENAUTICS

Article by admin / Formazione / neuroscienze, psichiatria

5 February 2024

POPMED TALKS

di Raffaele Avico

POPMed è una newsletter a tema salute mentale, a pagamento. Costa 9,90€ al mese, e per ora consta di una mail mensile con riassunti 10 articoli di letteratura scientifica inerenti il lavoro da terapeuta, e di un podcast (ogni 1 del mese) con interviste a esperti di settore e clinici.

La prima puntata di POPMed Talks è di questo febbraio, e ha come protagonista Daniele Bruzzone, docente universitario e presidente dell’Associazione di Logoterapia e Analisi Esistenziale Frankliana (qui il sito).

Bruzzone ci ha parlato di Viktor Frankl, della realtà della logoterapia in senso europeo, dei lavori migliori per approcciarsi all’autore, della portata “umana” di una terapia basata sul “senso”.

Frankl fu anche un grande psicoterapeuta: per chi volesse alcuni spunti in più da consultare (anche in senso “clinico”), qui un approfondimento.

A Marzo, uscirà un’intervista a Matteo Buonarroti, medico psichiatra in formazione, uno dei due italiani ad aver svolto questo corso sulla psicoterapia assistita da psichedelici.

Cliccando sull’immagine, il link all’episodio:

 

Article by admin / Formazione / neuroscienze, psicoterapiacognitivocomportamentale

21 June 2023

EMBODIED MINDS: INTERVISTA A SARA CARLETTO

di Raffaele Avico

In questa breve intervista a Sara Carletto viene descritto il lavoro del gruppo di ricerca Embodied Minds, del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche dell’Università di Torino, coordinato da Luca Ostacoli. Il gruppo ha anche una pagina Facebook (raggiungibile da qui) e una pagina istituzionale che raccoglie gli ultimi lavori di ricerca, da cui traiamo uno degli obiettivi:

“In particolare, ci concentriamo sull’integrazione all’interno della psicoterapia di tecniche a mediazione corporea come l’EMDR e la Mindfulness. Infine, in Embodied Minds ci dedichiamo allo studio di uno degli elementi intrinseci alla sfera relazionale: la comunicazione. L’obiettivo è studiare e promuovere efficaci forme di comunicazione, soprattutto nel contesto terapeutico (che sia medico o psicologico). Comunicando modifichiamo il mondo intorno a noi e le relazioni in cui siamo immersi. Per comprendere come la relazione moduli il nostro modo di stare, di emozionarci, di funzionare, il nostro gruppo porta avanti le proprie attività di ricerca sviluppando tecnologie innovative e integrando continuamente dati clinici e neurobiologici e lavorando in reti multidisciplinari e internazionali.“

Uno dei temi approfonditi dal gruppo è la depressione, in particolare studiata nelle sue ricadute corporee. Da alcuni componenti del gruppo Embodied Minds è stato pubblicato a questo proposito un lavoro su The Lancet per presentare il progetto Nevermind, rivolto a persone sofferenti di gravi patologie in senso medico, a cui fu chiesto di indossare una maglietta dotata di sensori collegati a un’app da usare su smartphone, in grado di monitorare alcuni parametri inerenti lo stile di vita.
La pagina del progetto Nevermind è questa: come si può osservare il progetto è in linea con un grosso filone di ricerche orientato all’indagine a proposito dei cosiddetti “wearables“, in grado di rilevare dati antropometrici da usare in senso clinico.

Qui l’intervista:
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Article by admin / Generale, Formazione / interviste, neuroscienze, psicotraumatologia, PTSD

7 June 2023

Psychiatry On Line Italia: 10 rubriche da non perdere!

di Raffaele Avico

Per POPMed in collaborazione con Psychiatry On Line, abbiamo scelto dall’archivio della rivista alcune rubriche meritevoli di essere “poste sotto osservazione”, particolarmente brillanti nei contenuti portati.

Le rubriche della rivista sono dei “blog interni“, verticali su un solo tema, che raccontano dal punto di vista peculiare di quel particolare esperto, sulla “sua” tematica elettiva: raccolgono alcuni dei nomi/gruppi più autorevoli dell’area “psichiatria/psicoterapia” italiana.

Buona lettura!

  1. CUORE DI TENEBRA a cura di Gilberto Di Petta. Non ha bisogno di presentazioni: uno dei più grandi fenomenologi della scena odierna, racconta la quotidianità di un SPDC della periferia napoletana. In assoluto la rubrica più letta su Psychiatry On Line.
  2. NON SOLO CARTESIO, a cura di Francesco Bottaccioli. Bottaccioli, socio onorario e fondatore della SIPNEI, approfondisce tematiche relative alla socio-psiconeuroendocrinoimmunologia, dettagliando risultati di ricerca e chiarificando il razionale che sta dietro al lavoro della SIPNEI stessa.
  3. FAST FOOD, a cura di Giovanni Abbate Daga. Il prof. Daga dirige il reparto per i DCA delle Molinette di Torino, considerato un centro d’eccellenza per la gestione dei disturbi alimentari in tutta Italia. In questa rubrica tiene insieme gli aspetti più innovativi relativi alla ricerca, e l’elemento umano necessario a gestire problematiche così complesse.
  4. LA FORMAZIONE E LA CURA. Galzigna è stato uno dei fondatori di Psychiatry on Line, epistemologo e fine osservatore della realtà del dibattito scientifico (qui un approfondimento su un suo lavoro).
  5. LA PSICHIATRIA PER BENE. Gerardo Favaretto in questa rubrica intervista molti nomi di punta della psichiatria nostrana, e apre un “diario” a proposito dei servizi di salute mentale in corrispondenza della pandemia da Covid19, nella prima metà del 2020.
  6. I MEDICI-GAY ed i pazienti LGBT di ogni medico!. Abbiamo già citato su POPMed Manlio Converti, che da tempo si spende (e lo fa anche in questa rubrica) per divulgare le tematiche LGBTQIA+, inserendole nella cornice “salute mentale”. Particolarmente interessante vista la preparazione dello stesso Converti.
  7. I PORTI APERTI. Una rubrica che illustra dall’interno il lavoro degli operatori IESA di Collegno. IESA è un servizio di accoglienza per pazienti psichiatrici, nel contesto di famiglie normali, diffuso in tutta Europa e in Italia (ma la rubrica è scritta dal primo nucleo operativo italiano, quello di Collegno appunto).
  8. Riflessioni (in)attuali. Una rubrica (sempre molto aggiornata e attuale) a cura di Sarantis Thanopulos, presidente della Società Psicoanalitica Italiana (SPI).
  9. PSICOANALISI AL PRESENTE. Una rubrica di Alex Pagliardini (stimato lacanista) su Lacan, ripensato nel modo più attuale possibile. Nutrita e ricca.
  10. NOI DUE. Una rubrica a proposito dei gruppi di uditori di voci, strumento terapeutico per pazienti “vociferati”, che rappresenta una grande risorsa per riconsegnare un senso e un possibile significato al sintomo voce. A cura dell’Associazione Italiana Noi e le Voci.

Qui, infine, alcuni spunti sul materiale video di Psychiatry On Line!


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Article by admin / Formazione / neuroscienze, psicoanalisi

1 June 2023

CURARE LA PSICHIATRIA DI ANDREA VALLARINO (INTRODUZIONE)


di Andrea Vallarino

PREMESSA: riportiamo su questo blog l’introduzione di “Curare la psichiatria” di Andrea Vallarino, di recente pubblicazione. Vallarino è uno psicoterapeuta strategico-breve di Genova, e in passato ha in passato già collaborato con questo blog (qui per aggregare i suoi contributi).

Curare la psichiatria: introduzione

Perché curare la psichiatria? È un’ammalata? E, se malata, di quali malattie possiamo considerarla malata? La psichiatria è uno dei pazienti più difficili da trattare e con questo sono sicuro di introdurre una contraddizione, perché quella che è una disciplina che dovrebbe curarci quando siamo in difficoltà, in realtà da più parti viene detto che si è ammalata. Non lo dico solo io, lo dicono persone molto più autorevoli, lo dicono gli psichiatri che hanno curato le precedenti edizioni del DSM, se ne sono accorti i pazienti da sempre, se ne stanno accorgendo, vedo, anche molti giornalisti e stanno fioccando i titoli di giornale e gli articoli su questo tema: sembra proprio che la psichiatria stia diventando inadatta a curare tutti problemi che abbiamo. Dico queste cose con molto amore verso questa disciplina, che mi ha affascinato sin da giovane, quindi lo dico perché gli voglio bene, non per polemizzare o per criticare o in maniera arrogante, però sicuramente, proprio perché gli vogliamo bene dobbiamo mettere in luce le difficoltà che in questo momento ci sono e le malattie che sta attraversando. Qui ne elencheremo soltanto alcune, la prima, che per me è la più importante è la diagnosi. Come diceva Karl Kraus, un giornalista austriaco, lui lo diceva per la medicina austriaca, noi lo diciamo per la psichiatria europea e anche americana, la diagnosi è una malattia di cui si ammala il medico che poi contagia il paziente. La psichiatria me ne ero già accorto da giovane, sin da quando studiavo all’Università, vive di un senso di inferiorità rispetto alla medicina e per mettersi alla pari ne ha copiato i criteri diagnostici ed è qui che sorge il primo problema: mentre in medicina la diagnosi descrive una malattia, in psichiatria, la diagnosi crea la malattia. In medicina, se vedo che uno ha la tosse, la febbre, il catarro, lo ausculto con il fonendoscopio, posso dire che abbiamo di fronte una persona con una bronchite, in medicina questa è una diagnosi che dà sicurezze che dà garanzie perché descrive una patologia ed indica una terapia, in psichiatria la diagnosi crea il labeling, l’etichettamento. Potrei fare mille esempi, quanti pazienti ho avuto che mi hanno detto “vengo da te perché soffro di una sindrome depressiva che ultimamente si è aggravata”, se tu gli chiedi da quando si è aggravata, “da quando un tuo collega mi ha detto che soffro di una depressione particolarmente grave, a me quel particolarmente grave, mi ha aggravato”. Uno degli esempi più fulminei di questo lo si ha in una ricerca fatta da David L. Rosenham. Un gruppo di  otto pseudopazienti, tra cui psicologi e psichiatri, che decisero segretamente, a scopo di ricerca, di presentarsi in vari ospedali lamentando sintomi e disturbi di natura psichiatrica (sentivano delle voci). Furono tutti quanti ricoverati in reparti di psichiatria.

Dopo qualche giorno di ricovero avrebbero dovuto mostrarsi per quello che erano e cioè persone “sane”. Tutte le volte che gli veniva chiesto come stavano esibivano la loro salute mentale, dicendo come d’altra parte era vero, che si sentivano bene, che non sentivano le voci, che non avevano più nessuno dei sintomi psichiatrici per cui erano stati ricoverati con la diagnosi di “schizofrenia”, né avevano alcun altro sintomo. Non ci fu verso perché tutti vennero dimessi dopo altri lunghi giorni e settimane di ricovero con la diagnosi confermata di “schizofrenia” anche se in remissione. Gli unici che si accorsero del ‘gioco’ furono gli altri pazienti che individuarono gli ‘infiltrati’, dicendo: ‘…tu non sei pazzo, tu sei un professore universitario; …tu un giornalista…, etc.’. Una falsa etichetta crea una realtà vera: il ricovero in psichiatria. Dobbiamo sempre tenere presente questo lavoro. La cosa incredibile è che questa diagnosi ha creato una malattia cronica, e questo è un altro dei motivi di malattia della psichiatria: quando viene formulata una diagnosi, non viene mai “concessa” la guarigione, tutt’al più si ha una sindrome in fase di remissione. E questo rende ulteriormente malata la psichiatria: la diagnosi, una volta scritta, non viene più verificata, non viene più messa in discussione. Ci sono alcuni dati riportati da Allen Frances, una voce autorevole al di sopra di ogni sospetto, perché è stato il capostruttura dell’edizione del DSM 4. Gli studi epidemiologici in psichiatria in questo momento stanno dicendo che il 20% della popolazione americana ed europea ha un disturbo mentale attuale, il 50% quindi metà della popolazione almeno una volta ha avuto un disturbo mentale, secondo altri studi prospettici sembra che questi dati debbano essere raddoppiati, ma se voi raddoppiate il 50% diventa il 100%, quindi non si sta salvando più nessuno. Sembra che siamo tutti un popolo di ammalati e che dobbiamo poi ovviamente prendere farmaci per tutta la vita. Un altro problema serio, segnalato ancora da Allen Frances, nato col DSM 5, l’ultimo manuale di diagnosi cui fanno riferimento i medici, gli psichiatri e gli psicologi di tutto il mondo, è il concetto di spettro. Quante persone mi vengono a chiedere, gente di 40 e 50 anni, se gli confermo la diagnosi di autismo, perché facendo dei test sono emersi  punteggi che li segnalano nello spettro dell’autismo. Questo concetto di spettro ha allargato le maglie della diagnosi. È come se un chirurgo dicesse questo paziente ha un mal di pancia che rientra nello spettro di un’appendicite, la diagnosi di appendicite si gonfierebbe a dismisura. Un chirurgo direbbe: “insomma l’appendicite c’è o non c’è , perché se non c’è è inutile parlarne”. Questo concetto dello spettro ha aumentato la diagnosi di autismo di 20 volte, quindi c’è un’epidemia di malattie che non esistono. Il disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività è triplicato, già i dati erano gonfiati, adesso è triplicato. I disturbi bipolari e anche qui ce ne sarebbe da dire sul disturbo bipolare, quello vero che non è così diffuso come viene detto, sono addirittura raddoppiati. Con le nuove linee diagnostiche non ci siamo fermati agli adulti, stiamo creando tanti problemi ai bambini, per esempio il disturbo bipolare del bambino è cresciuto di 40 volte in pochissimo tempo. Allen Frances segnala ancora che il 20% della popolazione americana assume psicofarmaci, il 7% ne è dipendente proprio a causa dell’inflazione diagnostica. I ricoveri per overdose da sostanze legali, quindi da psicofarmaci, ha superato il numero di ricoveri da overdose da sostanze illegali, quindi dalle droghe. Questi sono fenomeni che rendono problematico e patologico lo strumento principale che abbiamo per guarire la gente. C’è un altro aspetto che rende ancora più problematica la questione: molte persone e molte famiglie stanno diventando conniventi con gli psichiatri nel creare diagnosi, per esempio nell’ambito scolastico. Una delle esplosioni diagnostiche, che sta condannando intere popolazioni giovanili, è rappresentata dai disturbi specifici dell’apprendimento che sono molto gettonati e hanno creato un mercato florido e che hanno molto spesso la connivenza delle famiglie perché sappiamo che se ad un giovane viene diagnosticato un DSA può avere un percorso scolastico facilitato. L’incidenza dei DSA dovrebbe essere dello 0,4%, 0,5%, ma ormai in tutte le classi, mi dicono gli insegnanti, c’è un 30, 40% di DSA. Sembrerebbe un beneficio l’avere un percorso facilitato. C’è un problema però, l’aveva ben illustrato un neurologo americano che si chiamava Oliver Sacks, scomparso recentemente, ha scritto dei bellissimi libri. Uno dei suoi migliori libri riporta  il titolo “Awakenings”, in italiano “Risvegli”, da cui è tratto un bel film di successo con Robin Williams e Robert De Niro. Questo neurologo era stato impiegato dal regista sul set del film con il compito di spiegare agli attori le varie sindromi neurologiche che loro dovevano impersonare e Oliver Sacks  aveva istruito De Niro a comportarsi da paziente parkinsoniano. Coloro che hanno visto il film sanno che De Niro aveva interpretato benissimo la parte. Oliver Sacks in un successivo libro descrive di essere andato a pranzo con De Niro durante una pausa di lavorazione del film e che durante il pranzo a De Niro era caduto a terra il tovagliolo. Il neurologo descrive di essere rimasto impressionato da come l’attore si fosse chinato a raccogliere il tovagliolo esattamente come avrebbe fatto un paziente parkinsoniano: era entrato così bene nella parte da non riuscire ad uscirne neanche nelle pause di lavorazione del film. Se io comincio a trattare un ragazzo da disturbato dell’apprendimento, rischio che alla fine la finzione diventi realtà, che il ragazzo caschi dentro la credenza di esserlo realmente: di nuovo la diagnosi finta può produrre una realtà vera. Dobbiamo quindi rivedere gli schemi diagnostici per evitare che la psichiatria, oltre a non curare i malati, crei anche problemi ai sani.

Ci sono almeno altri due condizionamenti patologici subiti dalla psichiatria. Una cosa che pochi sanno è che l’insegnamento di psichiatria nella facoltà di medicina è abbastanza recente. L’insegnamento autonomo di clinica psichiatrica nasce nel 1975, perché fino a quell’anno, quindi non tantissimo tempo fa, l’insegnamento di clinica psichiatrica era accorpato alla neurologia nella disciplina che veniva definita “Clinica delle malattie nervose e mentali”. Questo aveva creato tantissimi problemi soprattutto a livello di credenze. Ne dico una su tutte: perché la gran parte degli psicofarmaci viene data dai neurologi? Perché è ancora viva l’idea che siano i neurologi ad occuparsi delle malattie mentali. Un neurologo, uno specialista in neurologia dovrebbe occuparsi dei problemi biologici dell’encefalo, delle emorragie cerebrali, delle paralisi, degli infarti cerebrali, di tutto ciò che è medico, strettamente medico e non psichiatrico ed invece la gran parte degli psicofarmaci viene data dai neurologi che non hanno una preparazione specifica psichiatrica a meno che non se la siano fatta per conto loro ed è lì che nasce una delle credenze meno scientifiche che io conosca, che però ha condizionato e tuttora condiziona la psichiatria e cioè l’analogia tra il diabete e le malattie mentali: come nel diabete dobbiamo dare insulina per tutta la vita alla persona, così nelle malattie mentali dobbiamo dare psicofarmaci per tutta la vita. Questa credenza che non è scientifica sta condizionando tutte le cronicizzazioni che avvengono nelle cliniche, nei reparti psichiatrici di diagnosi e cura, nei servizi pubblici di salute mentale ma anche negli studi medici privati e soprattutto sta condizionando il paziente a pensare: mi ha lasciato la fidanzata, sono depresso, quindi mi mancano delle catecolamine nel cervello e devo prendere farmaci per tutta la vita, come se fosse normale essere allegri quando si perde un lavoro, una fidanzata, quando non si passano gli esami all’università. Nel DSM 5, quindi nel manuale psichiatrico più recente,  due settimane di lutto vengono considerate una depressione maggiore per cui occorre prendere farmaci per tutta la vita. Poi ce n’è un’altra credenza di cui io mi ero accorto già quando andavo all’università nel ’76, quindi subito dopo che avevano diviso la psichiatria dalla neurologia. In quell’epoca la gran parte delle cliniche psichiatriche era in mano a psichiatri psicoanalisti, che devo dire rimpiango perché adesso sono in mano a psichiatri biologisti. Si facevano lezioni sulle nevrosi, le psiconevrosi, le psicosi, le nevrosi del carattere, erano le definizioni psicoanalitiche dell’epoca. Ricordo un professore che, parlando delle nevrosi del carattere, cioè di quelli che stanno male, ma non hanno sintomi psichiatrici definiti, aveva detto che la nevrosi del carattere è l’equivalente del raffreddore per la pneumologia, quindi una sindrome tendenzialmente lieve e con una buona prognosi. Qualcuno chiese quale doveva essere la terapia di una nevrosi del carattere. Lui rispose la psicoterapia psicoanalitica che deve durare almeno quattro anni. Eravamo giovani e anche un po’ sfrontati. Possibile professore che per un raffreddore ci vogliano quattro anni? Lui diede una risposta molto seccata, molto arrabbiata, che non mi sarei aspettato, perché era una persona in genere molto raffinata, molto calma, molto serena e disponibile al dialogo. Ribadì indispettito che per cambiare un carattere ci vuole molto tempo e chiuse la lezione. Io da buon ossessivo quale sono mi sono sempre chiesto: “ma perché si è arrabbiato”. Se io avessi chiesto ad un chirurgo come mai quell’intervento richiedeva dieci ore di lavoro in sala operatoria, lui mi avrebbe probabilmente risposto che al momento la tecnologia non permetteva di fare più velocemente, ma che il giorno che la tecnologia evolvendo ci avrebbe permesso di metterci di meno, ne sarebbe stato felice e non si sarebbe arrabbiato. E in chirurgia effettivamente è andata così, perché tanti interventi che duravano ore in sala operatoria sono stati sostituiti da piccoli interventi con la chirurgia laser che durano minuti, addirittura in chirurgia si è passati da avere una sala operatoria grande a creare una piccola sala operatoria dentro la pancia del paziente con due forellini con dentro piccoli bisturi manovrati da computer a distanza, quindi delle evoluzioni incredibili per l’epoca. Perché invece lo psichiatra si era arrabbiato? Mi portai dietro la domanda per un bel po’ finché poi ho letto un libro di Milton Erickson, famoso ipnotista, che era stato uno psicoanalista, che poi si è evoluto, aveva creato le terapie non comuni che poi avevano dato avvio alle terapie brevi, alla terapia strategica e al Mental Research Institute di Palo Alto in California. Erickson aveva detto: gli psichiatri sono molto permalosi e si arrabbiano molto quando gli vengono toccati gli assiomi, perché in psichiatria, diceva, ci sono tre assiomi, si cambia dopo molto tempo, molte sofferenze e spendendo molti soldi. Questi però non  sono dimostrati scientificamente sono assiomi ed infatti lui aveva postulato altri assiomi: si può cambiare in poco tempo e quindi spendendo pochi soldi e anche senza dolore, facendo anche delle terapie giocose. D’altra parte non si capisce perché la psichiatria debba aggiungere dolore artificiale all’inevitabile dolore che già la vita dà. Queste credenze e questi assiomi impediscono l’evoluzione della psichiatria in un senso più umano, come invece sta avvenendo in tante altre discipline.

Cosa altro impedisce alla psichiatria di guarire? Gli psicofarmaci. Sgomberiamo il campo da ogni pregiudizio, io non sono ideologicamente contrario agli psicofarmaci, Su questo argomento il mondo si divide in due categorie, quelli che ideologicamente come ho descritto finora escludono la psicoterapia e dicono che la terapia è solo farmacologica, ma ci sono anche molti colleghi psicoterapeuti che sostengono che con la psicoterapia si riesce a fare tutto e si devono escludere gli psicofarmaci. Io non credo, ci sono delle situazioni psichiatriche in cui gli psicofarmaci vanno utilizzati e devono essere utilizzati bene. Quindi bando a tutte le ideologie estreme. È evidente in ogni caso che gli psicofarmaci stanno cronicizzando la psichiatria come stanno cronicizzando i pazienti.  Soprattutto perché il campo della psicofarmacologia è molto investito dal marketing delle aziende farmaceutiche. Basta prendere la storia dei DSM. Negli anni ’80 compare sulla scena il DSM III, il manuale statistico e diagnostico delle malattie mentali. I suoi predecessori DSM  I, comparso nel 1952 ed il II, del 1968, praticamente non li aveva letti nessuno. Il III, invece, ha un incredibile successo e le diagnosi psichiatriche cominciano ad essere effettuate sulla base di questo manuale attraverso un metodo descrittivo statistico. Vengono analizzati i sintomi e correlati al fattore tempo. E l’approccio terapeutico è quello di prescrivere farmaci a seconda della prevalenza dei sintomi. Si curano le malattie a prescindere della personalità e dell’originalità del paziente. Già Ippocrate ammoniva che si devono curare i malati e non le malattie. Inoltre il DSM da quando è uscito nella prima edizione nel 1952 ad oggi ha triplicato il numero delle malattie mentali descritte. Un grande salto è stato effettuato nell’ultima edizione, la quinta del 2013, dove molte delle malattie del bambino sono diventate anche malattie dell’adulto e molte malattie dell’adulto sono diventate anche malattie del bambino. Un’operazione di lievitazione diagnostica senza precedenti, che ha portato Allen Frances, già citato prima, psichiatra, capostruttura della IV edizione del DSM, a mettere in discussione anche il suo stesso lavoro. Col DSM si pensava di salvare la psichiatria ed invece ne è stato fatto un uso distorto. Nel suo libro “Saving the normal”, tradotto in Italiano con “Primo, non curare chi è normale”, lamenta come l’inflazione diagnostica in psichiatria abbia creato vere e proprie epidemie di malattie inesistenti, con l’intento di far aumentare le vendite di psicofarmaci.

Nell’analizzare 143 molecole usate in Europa e in America per verificarne il corretto uso, mi sono già accorto ad un primo sguardo che ci sono svariate influenze del marketing. Per esempio mi sono accorto che molte molecole commerciali hanno la x nel nome. Come mai? Perché, lo sanno tutti i pubblicitari, la x ha un potere seduttivo sull’acquirente. E quindi molti psicofarmaci riportano la x. Se fate conto delle molecole che ricordate, ricordate quasi esclusivamente quelle con la x. Sono tutte modalità che i settori commerciali delle aziende utilizzano per imprimere queste molecole nella mente del medico e per sedurre il povero paziente. Possiamo citarne una per tutte, lo xanax, che di x ne ha due ed è un nome che può essere letto anche al contrario, palindromo. Non dico che sia un farmaco funzionale o non sia funzionale, persone molto più autorevoli di me hanno detto che non è funzionale, ma non voglio dire questo, però c’è questo inghippo della pubblicità. Quante case automobilistiche hanno la serie x, perché ci sono delle lettere che hanno questo potere seduttivo, la x, la y.

Un altro esempio di condizionamento che non è di marketing ma ne è abbastanza vicino, sono le teorie psichiatriche vendute come scientifiche. Per esempio, se io parlo di depressione tutti ormai sanno che la molecola implicata nella depressione è la serotonina e tutti, proprio tutti, quelli con la laurea in medicina e quelli con la laurea in psicologia, ma anche il paziente che non ha nozioni di neuroscienze, dicono che se uno è un po’ giù di morale è perché ha la serotonina bassa. Un ricercatore inglese, Irving Kirsch, psicologo, ha fatto degli esperimenti dimostrando che lui otteneva gli stessi effetti antidepressivi sia aumentando la serotonina che abbassandola. Ora se io ottengo gli stessi effetti sia alzando che abbassando la stessa molecola, vuol dire che quella molecola non è implicata in quel processo. Lui ha abbassato la serotonina somministrando una molecola ai pazienti che si chiama tianeptina. Le aziende farmaceutiche sono intervenute dicendo che sì forse la serotonina non c’entra, ma che ad ogni modo il farmaco agisce sulla plasticità del cervello. Gli antidepressivi vanno usati, bisogna usarli, ma l’invito a tutti è a fidarsi molto meno e continuare a fare ricerca e a studiare perché le neuroscienze moderne fanno continuamente emergere dati che non conoscevamo anche sui recettori della serotonina. Non sono contrario all’uso di antidepressivi quando servono, ma dietro a queste vendite incredibili di psicofarmaci ci sono dei meccanismi che non sono tanto scientifici, da qui l’invito a tutti gli addetti ai lavori a studiare ancora di più per divulgare invece le teorie scientifiche.

La lotta contro l’ideologia psichiatrica ed il marketing delle aziende farmaceutiche è una lotta impari e destinata all’insuccesso, però mi sembra giusto provare lo stesso a seguire i dettami di un noto psichiatra, Viktor Emil Frankl, il fondatore della logoterapia, medico austriaco, che aveva conosciuto i campi di concentramento dove era stato internato per due anni e mezzo. Lui scrive:

“… Non convince l’opinione che la psichiatria sia in grado di risolvere tutti i problemi. Fino ad oggi noi psichiatri non conosciamo, ad esempio, quale sia la reale causa della schizofrenia e men che meno sappiamo come curarla. Gli psichiatri non sono né onniscienti, né onnipotenti. Un unico attributo divino si addice loro: quello di essere onnipresenti. Ad ogni simposio si trova uno psichiatra, lo si ascolta in ogni discussione e lo si incontra ad ogni convegno… Parlando ora seriamente, ritengo sia giunto il momento di smetterla nell’idolatrare la psichiatria: tanto meglio sarebbe intraprendere la sua umanizzazione.”

Bibliografia di riferimento

  1. Frances, Saving normal. An insider’s revolt against out-of-control psychiatric diagnosis, “DSM-5, Big Pharma, and the medicalization of ordinary life; trad. it. Primo, non curare chi è normale, Bollati Boringhieri, Milano, 2013
  2. Frances, Essentials of psychiatric diagnosis; trad. it. La diagnosi in psichiatria, Raffaello Cortina, Milano, 2013
  3. V.E. Frankl, Das Leiden am sinnlosen Leben. Psychotherapie fur heute, trad. it: La sofferenza di una vita senza senso – Psicoterapia per l’uomo d’oggi, Mursia, Milano, 2013
  4. Kirsch, I farmaci antidepressivi, il crollo di un mito, Tecniche Nuove, Milano, 2012

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20 May 2023

PHENOMENAUTICS

di Raffaele Avico

Abbiamo su questo blog già parlato altrove di psichedelia e sperimentazione. Vale la pena riportare qui il lavoro di uno sperimentatore che su Medium ha raccolto le evidenze, in soggettiva, di alcune sperimentazioni fatte con diverse sostanze, per lo più psilocibina, con anche una descrizione accurata di un’esperienza con LSD.
L’attitudine è scientifica, la rilevazione delle esperienze è eseguita fedelmente, la posizione mentale assolutamente post-ideologica, senza nessun preconcetto “pro” o “contro” l’uso di psichedelici. La lettura dei report è inoltre fitta di riferimenti a materiale usato dallo sperimentatore per informarsi “prima” della sperimentazione: materiale sempre di qualità, da usare per eventuali approfondimenti.

La trovate qui: Phenomenautics

Qui invece alcuni altri contenuti su questo blog (e altrove) a proposito di psichedelia:

  • MDMA PER IL POST-TRAUMA: BEN SESSA E ALTRI RIFERIMENTI IN RETE
  • MDMA PER IL TRAUMA: VIDEOINTERVISTA A ELLIOT MARSEILLE (A CURA DI JONAS DI GREGORIO)
  • VERSO L’MDMA NEL TRATTAMENTO DEL PTSD
  • RUBRICA: TERAPIE PSICHEDELICHE
  • PODCAST: TERAPIE PSICHEDELICHE
  • PODCAST: ILLUMINISMO PSICHEDELICO
  • Lucid

Si veda anche:

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7 March 2023

“UN RITMO PER L’ANIMA”, TARANTISMO E DINTORNI


di Raffaele Avico

Il DVD “Un ritmo per l’anima”, curato da Giuliano Capani, mette insieme un documento videofilmato e un libretto con raccolte le trascrizioni delle interviste agli autori coinvolti nel progetto.

Il DVD, della durata di 45’ circa, si apre con una costruzione romanzata di una storia di “tarantismo”, dove vediamo una ragazza salentina alle prese con una serie di problemi connessi alla questione del “morso” della taranta: la ragazza si aggira per un paese dove ogni finestra ha i suoi occhi, e in preda a una sorta di stato di transe, raggiunge il mare e batte, a ritmo, due pietre. Su questa scena compare quindi la voce narrante vera e propria, che racconta il fenomeno del tarantismo dalle sue origini, soffermandosi su come “il rito” fosse visibile in Salento fino alla fine degli anni ’60, e fornendone una descrizione nelle sue diverse fasi.

Già altri autori avevano tentato di scomporre il rituale nel suo svolgersi: dal momento “a terra”, in cui la tarantolata si contorce sul pavimento, passando per un momento di danza vera e propria e di armonizzazione crescente del corpo con la musica, fino al ritorno a terra, segno di un raggiunto stato di quiete.

Qui però si fa riferimento, in particolare, alla questione dello “scazzicare”. Cosa si intende con il termine scazzicare? La voce narrante ci spiega come i musicisti, prima di riuscire ad agganciare emotivamente la tarantata, spaziavano tra diverse sonorità cercando di capire quale fosse la più emotivamente coinvolgente, quella in grado di “toccare” o agganciare in senso emotivo la donna sottoposta al rituale. Il momento del “tocco”, o di aggancio, è il momento in cui la donna viene “scazzicata”, perturbata dal suono. I musicisti, osservando il comportamento della tarantata, adattano e modulano il suono, così da renderlo sempre più attivante e potenzialmente terapeutico, verso un’armonizzazione di tutte le parti (suonatori, tarantata, collettività che guarda), come in una sorta di cerchio terapeutico.

Il documentario prosegue poi con diverse interviste fatte a personaggi in qualche modo riconosciuti per il loro studio a riguardo del fenomeno:

  1. come primo intervistato, il Dr. Giuliano Guerra, medico psicoterapeuta e allora (si parla del 2001) presidente dell’Associazione Italiana di Ipnosi Terapeutica, spiega il suo punto di vista sulla questione: come prima ipotesi, parla di “quadro” isterico, ovvero, sarebbe stato l’elemento coreografico e corale a curare un disturbo conversivo di origine isterica, nel suo senso quindi più classico e in qualche modo teatralizzato; racconta però come, dal suo punto di vista, la questione potrebbe essere anche declinata in un altro modo: la compresenza di uno stato alterato di coscienza (elemento di sfondo) insieme a un certo potere del suono (e di alcune caratteristiche del suono stesso: la sua ritmica ipnotica, la forza del suono del violino), sarebbero dal suo punto di vista in grado di “agganciare” l’”onda vibratoria negativa” che a suo tempo produsse il “male” (la sofferenza psichica). Qui parliamo dunque, a suo dire, di una “potenzialità sciamanica” del suonatore, che entrando in un profondo stato di connessione interiore con il malato, lo guarisce usando un canale di accesso preferenziale, che in questo caso è il suono.
    É chiaro come in questo caso si vadano a mettere in discussione aspetti più complessi inerenti la cura delle turbe psichiche in generale e la loro natura: esistono in molte culture forme di terapia, e nella nostra ne osserviamo allo stesso modo un ritorno, che usano canali “altri” rispetto alla parola, con risultati quasi sempre positivi.
    Come se la sofferenza psichica avesse forma non solo di “discorso“ interiore in qualche modo distorto, ma possedesse una sua peculiare natura anche solamente incarnata, non vincolata alla questione delle parole, ma anzi in grado di prendere forme altre (suoni? immagini? sensazioni?) e in quanto tale fosse appunto curabile attraverso altri canali. Guerra fa infine notare che si tratta qui di una forma di cura del male “sintomatica”, e non risolutiva, tant’è vero che ciclicamente il “morso” ritornava e si doveva riprocedere a un altro rituale.
  2. Altro intervistato, Georges Lapassade, che focalizza la questione sulla questione bioenergetica esplorata da Reich, psicoanalista dissidente che introdusse una visione alternativa di male psichico, ovvero come di “energia bloccata nel corpo”. Tutto questo è molto simile a quello che oggi si fa in psicoterapia sensomotoria tentando di sbloccare “tendenze all’azione” rimaste congelate nel corpo – si veda per esempio il lavoro di Pat Odgen in ambito psicotraumatologico. Il ballo della tarantata, dal suo punto di vista, sarebbe stato in grado di sbloccare questa quota di energia psichica rimasta bloccata, liberandola e fluidificandola.
    Anche qui, teorie formulate in epoche differenti sembrano convergere in una concettualizzazione univoca (“idraulica”) inerente la dinamica della libido/energia psichica/tendenza all’azione. La questione, in fondo, seppur riformulata in termini differenti e in epoche diverse, ruota sempre intorno allo stesso cardine: qualcosa che voleva essere liberato o espresso, e non ha potuto farlo, qualcosa di solido che vuole tornare liquido.
  3. Viene quindi intervistato Antonio Fassina, medico milanese e direttore, al tempo, del centro “Nuove Terapie” a Milano (oggi rinominato Centro di Terapia Naturali), sulla questione relativa al fenomeno del tarantismo in generale: Fassina parla di competenze sciamaniche inconsapevoli possedute dai terapeuti/musici, compiendo un parallelismo tra le terapia del tarantismo e quelle della psicoterapia di oggi: “il paziente libera, lascia sul lettino del terapeuta quello che una volta lasciava sul pavimento della chiesa di Galatina”. Anche qui viene messo in luce il carattere sintomatico della terapia, in fin dei conti provvisorio: non andando a estirpare alla radice il male, questo poi si presentava, come ciclicamente, e quindi andava, nuovamente, bonificato
  4. Viene intervistato poi Tullio Seppilli, professore di Antropologia medica, che fa riferimento ad altre culture dove la danza e la possessione sembrino aver assunto valore o funzione catartica. La differenza forte, spiega Seppilli, è il fatto che per esempio nelle culture afro-americane brasiliane, in cui si ritrovano corrispettivi laici del nostro tarantismo, il fatto di essere “cavalli del dio”, di essere cioè “invasati”, era qualcosa visto positivamente e anzi considerato uno stato speciale di grazia; nello stato invece di transe indotta da una possessione prodotta dal “morso”, la cosa era vissuta con estrema preoccupazione vista la connotazione diabolica del fatto -com’è tipico della religione cristiana. Seppilli colloca nel lavoro di Ernesto Demartino la nascita dell’odierna etnopsichiatria, di fatto riconoscendo all’antropologo italiano ruolo di precursore di una visione più ”ampia” della psichiatria, che abbracci anche la soggettività umana in tutta la sua complessità e natura “sistemica”. Nel 1980 in Canada, a Montreal, venne organizzato un importante convegno chiamato “sciamanesimo ed endorfine”, in cui appunto venne discusso lo stato dell’arte intorno a questi aspetti che riguardavano la connessione tra pratiche di guarigione sciamanica e la psichiatria attuale; il tamburo suonato in modo ritmico -questo uno degli aspetti- è in grado di produrre un rilascio di endorfine con funzione anestetica del dolore psichico, questione appunto centrale se pensiamo a quanto il “tamburello” sia lo strumento cardine di ogni rito di tarantismo.

Altro aspetto messo in luce dal documentario, il parallelismo tra le pratiche di tarantismo e le attuali discipline di meditazione “dinamica”, basate sulla messa in scena del dolore mentale sul teatro del corpo (creazione di uno stato di caos indotto per mezzo di una respirazione volutamente caotica – espressione del dolore per via corporea – riappropriazione dello stato di equilibrio). Anche qui si va idealmente da uno stato di disequilibrio a una condizione di calma, da uno stato di disgregazione a uno stato di integrazione e armonia.
Platone, nel suo simposio, parla della medicina come l’arte umana di cercare equilibrio tra gli opposti, e della musica come di un’invenzione umana che concretizza il mettere insieme l’alto con il basso, il veloce con il lento, il forte con il piano, etc.: strumento dunque elettivo dove si debba eseguire un’operazione di “sintesi” o di riequilibratura di istanze disarmoniche, o di unione di pezzi tra loro scollegati.

Luigi Chiriatti, in uno spezzone del film, racconta di come la pizzica-pizzica come genere musicale, sembri racchiudere in sè un potere liberatorio non solo connesso al contesto salentino: il successo planetario del genere racconterebbe di questo “potere” intrinseco e quindi transculturale (pensiamo al recente successo del Canzoniere Grecanico Salentino negli USA, o al lavoro di recupero di pezzi tradizionali fatto da Ludovico Einaudi nel suo bellissimo Taranta Project).

Insieme a questi intervistati, il documentario Un ritmo per l’anima, importante lavoro di raccolta di testimonianze, vede al suo interno altri noti studiosi sul tema: Caterina Durante -fondatrice teorica del Canzoniere Grecanico Salentino-, Anna Nacci, Daniele Durante (nipote di Caterina Durante e primo tamburellista del Canzoniere Grecanico Salentino) e Mauro Durante, giovane violinista nel film, ora frontman del gruppo co-fondato dal padre.

In sintesi, ciò che emerge dalla visione di questo lavoro e ne definisce l’attualità, è sintetizzabile per punti in due aspetti:

  1. il razionale terapeutico che vuole portare unità dove c’è disgregazione, flessibilità dove c’è rigidità (movente clinico sottoscrivibile da tutte le odierne scuole di pensiero psicoterapeutico)
  2. l’aspetto dello sforzo fisico come strumento di vero risanamento psichico. Nel libretto contenuto nel DVD, viene riportata una testimonianza di Gurdjeff, che scrive: “Per far sì che tutti i centri lavorino nel modo giusto e non si ostacolino tra loro c’è bisogno di un vero sforzo fisico, solo in questo modo si crea la possibilità per l’armonia. Alcune nostre capacità possono essere espresse solo quando sottoponiamo il nostro corpo ad uno sforzo che esige una grande attenzione e un enorme consumo di energia, cioè quando gli sforzi che si fanno sono al limite dell’esaurimento, dandoci così la possibilità di accedere ad un contenitore speciale di energia: il grande accumulatore […]”

Altri documenti relativi al tarantismo, alle sue origini, ai libri che ne parlano, presenti su Psychiatry on Line e su Il Foglio Psichiatrico:

  1. apporti video sul tarantismo parte 1
  2. apporti video sul tarantismo parte 2
  3. intervista a Luigi Chiriatti
  4. “Sul tarantismo”di Luigi Chiriatti
  5. “sul tamburello” di Luigi Chiriatti
  6. “recensione del film “latrodoectus, che morde di nascosto”
  7. recensione di “Il tarantolismo” di Francesco de Raho
  8. immagini del tarantismo: Chiara Samugheo

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9 January 2023

SUICIDIO: SPUNTI DAL LAVORO DI MAURIZIO POMPILI E EDWIN SHNEIDMAN

di Raffaele Avico

In questo post prendiamo alcuni spunti dal lavoro di ricerca a proposito del suicidio effettuato da Maurizio Pompili, a sua volta ispiratosi al padre della suicidologia moderna, Edwin Shneidman.

Esistono aree di sovrapposizione tra i contenuti dei due autori, e peculiarità mutuate dai singoli apporti. Da una scorsa generale del lavoro di entrambi, emergono due aspetti centrali:

  1. il suicidio è un tentativo estremo di riprendere il controllo, di fronte a un dolore mentale percepito come insopportabile. Il fine del suicidio in questo senso non sembra tanto il non vivere, quanto lo spegnere la coscienza e con essa il dolore. Può sembrare paradossale, ma può essere in questo senso pensato come un movimento di autoaffermazione liberatoria, un gesto affermativo.
  2. Il gesto del suicidio viene spesso eseguito in una condizione di “visione a tunnel”: è spesso un gesto impulsivo che libera il soggetto da uno stato mentale rigido, costrittivo e intollerabile.

Vediamo alcuni spunti dal lavoro di Pompili e Shneidman.

  • In senso psicologico, sono 3 le caratteristiche della persona suicida:
    1.  ambivalenza (fino alla fine il soggetto è combattuto nel suo intento suicidario: il dialogo a proposito del “sì o del no” permane fino al momento dell’attuazione)
    2. impulsività (di fronte alla prima citata ambivalenza, il gesto suicidario viene eseguito dando spazio a un impulso che sopravviene e porta il soggetto ad auto-annientarsi)
    3. rigidità e pensiero limitato/visione “tunnel” (lo stato mentale pre-suicidario viene spesso descritto come alterato/dissociato, in particolare nei momenti precedenti l’atto; durante invece il periodo temporalmente precedente il suicidio stesso, è stata osservata la presenza di una visione particolarmente limitata e rigida in senso cognitivo, con una concezione rigidamente pessimistica sulla realtà, e poca libertà di pensiero)
  • fino a due terzi delle persone che commettono suicidio, lasciano segnali che vanno presi sul serio, soprattutto in età adulta: si veda questo studio.
  • più che “depressivo”, si potrebbe definire lo stato mentale del suicida come caratterizzato da disperazione o hopelessness, un costrutto psicologico che si riferisce a quegli schemi cognitivi nei quali il comune denominatore è l’aspettativa negativa verso il futuro; gli individui ritengono che nulla si rivelerà a loro favore, che non avranno mai successo nel corso della vita, che i loro obiettivi importanti non saranno raggiunti e che i loro problemi non verranno risolti. Al senso di hopelessness si accompagna spesso il senso di helplessness, la convinzione di non poter essere aiutato e soprattutto di non potere aiutarsi, di non avere il controllo sugli eventi
  • Nel mondo occidentale attuale il suicidio è un atto conscio di auto-annientamento, meglio definibile come uno stato di malessere generalizzato in un individuo bisognoso alle prese con un problema, che considera il suicidio come la migliore soluzione.
  • La suicidologia classica considera dunque il suicidio come un tentativo, sebbene estremo e non adeguato, di porre fine al dolore insopportabile dell’individuo. Tale dolore converge in uno stato chiamato comunemente stato perturbato nel quale si ritrova l’angoscia estrema, la perdita delle aspettative future, la visione del dolore come irrisolvibile ed unico. Il termine dolore mentale/psychache tenta infatti di esprimere il dramma della mente del soggetto che si suicida nel quale la colpa, la vergogna, la solitudine, la paura, l’ansia sono caratteristiche facilmente identificabili. L’individuo ha dunque necessità di porre fine a tale stato; il rischio di suicidio diviene grave quando quel soggetto lo considera come la migliore ed unica soluzione per porre fine a quel grande dolore psicologico.
  • L’individuo sperimenta come prima accennato uno stato di costrizione psicologica, una visione tunnel, un restringimento delle opzioni normalmente disponibili. Emerge il pensiero dicotomico, ossia il restringimento del range delle opzioni a due soli rimedi: avere una soluzione specifica o totale (quasi magica) oppure la cessazione (suicidio). Il suicidio è meglio comprensibile non come desiderio di morte, ma in termini di cessazione del flusso delle idee, come la completa cessazione del proprio stato di coscienza e dunque risoluzione del dolore psicologico insopportabile.
  • Nella concettualizzazione di Shneidman (1996) il suicidio è il risultato di un dialogo interiore; la mente passa in rassegna tutte le opzioni. Emerge il tema del suicidio e la mente lo rifiuta e continua la verifica delle opzioni: il soggetto trova il suicidio, lo rifiuta di nuovo; alla fine la mente accetta il suicidio come soluzione, lo pianifica, lo identifica come l’unica risposta, l’unica opzione disponibile.
  • C’è un dolore mentale che, quando risolto, allontana le idee suicidarie: Pompili dà molta più importanza alla presenza di dolore mentale (qui un approfondimento su questo) come elemento di diagnosi, che non ad altri fattori. La sua tesi è che proprio questo elemento, il “dolore mentale”, rappresenti il punto chiave, il sintomo da ricercare per eseguire una corretta formulazione del rischio suicidario. Si veda: The relationship between mental pain, suicide risk, and childhood traumatic experiences: results from a multicenter study.
  • Valutare il rischio di suicidio è un compito particolarmente arduo. Questa complessa meta-analisi della letteratura esistente sull’argomento ha portato alla constatazione che i fattori di rischio sono predittori deboli e imprecisi del comportamento suicidario: in questo studio gli autori concludono che la capacità predittiva dei fattori di rischio non è migliorata negli ultimi cinquant’anni e che, anzi, è rimasta modesta anche nei periodi di follow-up più frequenti rispetto alla norma. I segnali d’allarme vengono spesso raccolti in un acronimo utile a elencarli, per tenerli a mente: in inglese, IS PATHWARM?

Secondo Shneidman (1996) ci sono 10 elementi che sono presenti in almeno il 95% dei soggetti suicidi; egli li chiama Commonalities of Suicide:

  1. Lo scopo del suicidio è trovare una soluzione; non si tratta mai di un atto privo di fine. Si riferisce invece al voler uscire da una crisi, da una situazione insopportabile che genera il dolore psicologico;
  2. Il fine del suicidio è quello della cessazione della coscienza. Si può meglio comprendere il suicidio se lo si considera come un atto che abolisce la coscienza dell’individuo dove alberga il dolore mentale insopportabile e perciò si propone come la migliore soluzione per l’individuo. È questa la miscela esplosiva per il suicidio, ossia il momento in cui l’individuo, abbandonate altre possibilità di soluzione, inizia l’organizzazione dell’atto letale;
  3. Lo stimolo al suicidio è il dolore psicologico. Se la cessazione è ciò che l’individuo cerca di ottenere, il dolore psicologico è ciò da cui l’individuo cerca di fuggire. Nei suicidi si ritrova, ad un’attenta analisi, la combinazione tra volere la cessazione della coscienza e l’allontanamento dal dolore psicologico insopportabile. Il suicidio non esita mai dai momenti felici. I pazienti descrivono tale dolore in molti modi come “Sono morto dentro”, “Sentivo un dolore fortissimo dentro”; “Sentivo onde di dolore propagarsi nel mio corpo”. Il suicidio è una risposta ad appannaggio esclusivo dell’uomo nei confronti di un dolore psicologico estremo. Se si riduce il livello di sofferenza il suicidio non si verifica;
  4. Lo stressor comune nei suicidi si riferisce ai bisogni psicologici insoddisfatti. Paradossalmente, il soggetto suicida tenta la carta del suicidio per soddisfare bisogni psicologici vitali rimasti frustrati. Questo porta nuovamamente a concludere che possono esserci molte morti nelle quali manca la motivazione del soggetto (incidenti, morti naturali), ma ogni suicidio riflette alcuni bisogni psicologici non soddisfatti;
  5. Lo stato emotivo dei soggetti suicidi è riferibile all’hopelessness-helplessness. Questi soggetti affermano “Non c’è nulla che io possa fare (oltre al suicidio) e non c’è nessuno che possa aiutarmi (con il dolore che sto soffrendo);
  6. Lo stato cognitivo tipico del soggetto suicida è l’ambivalenza. I soggetti suicidi sono caratterizzati dall’ambivalenza tra la vita e la morte fino al compimento dell’atto letale. Sebbene si apprestino alla morte desiderano ardentemente essere salvati;
  7. I soggetti suicidi presentano uno stato di costrizione mentale. Il suicidio può essere compreso come uno stato di costrizione psicologica transitoria che coinvolge le emozioni e l’intelletto. I soggetti suicidi infatti affermano “Non c’era altro che potessi fare”, “L’unica via di uscita era la morte”, “L’unica cosa che potessi fare era uccidermi”. È questa la visione tunnel di cui spesso si parla, nella quale vi è un restringimento del campo delle opzioni disponibili; e nel quale la mente è sintonizzata su due sole possibilità: una soluzione lieta (quasi magica) oppure la cessazione, il suicidio. In questi casi vige la legge del tutto o del nulla.
  8. L’azione tipica dei suicidi è la fuga, un esodo da qualcosa di angosciante;
  9. L’atto interpersonale tipico dei soggetti suicidi è la comunicazione dell’intenzione. Dalle prime autopsie psicologiche è emerso che nelle morti equivoche, poi classificate come suicidi, veniva comunicato l’intento suicidario in modo più o meno esplicito. Questi soggetti, piuttosto che comunicare ostilità, rabbia o depressione, comunicavano verbalmente o con il loro comportamento il fatto che si sarebbero uccisi;
  10. I pattern del suicidio sono assimilabili agli schemi adattativi della vita dell’individuo suicida. In altre parole, osservando come una certa persona si è comportata in altri momenti difficili della propria vita si può prevedere come quella persona si approcci al suicidio. Probabilmente durante altre difficoltà quella persona ha sperimentato la tendenza al pensiero dicotomico e alla fuga dal dolore. Sebbene il suicidio, per definizione, sia un evento mai sperimentato in precedenza, possiamo indagare la mente dei soggetti nei confronti del gesto letale analizzando lutti, separazioni, perdite di vario genere.

SUGGERIMENTI PER LA GESTIONE DELLA CRISI SUICIDARIA

Come comunicare

  • ascoltare attentamente, con calma
  • comprendere i sentimenti dell’altro con empatia
  • emettere segnali non verbali di accettazione e rispetto
  • esprimere rispetto per le opinioni e i valori della persona in crisi
  • parlare onestamente e con semplicità
  • esprimere la propria preoccupazione, l’accudimento e la solidarietà
  • concentrarsi sui sentimenti della persona in crisi

Come non comunicare

  • interrompere troppo spesso
  • esprimere il proprio disagio
  • dare l’impressione di essere occupato e frettoloso
  • dare ordini
  • fare affermazioni intrusive o poco chiare
  •  fare troppe domande

Domande utili

  • Ti senti triste?
  • Senti che nessuno si prende cura di te?
  • Pensi che non valga la pena di vivere?
  • Pensi che vorresti suicidarti?

Indagine sulla pianificazione del suicidio

  • Ti è capitato di fare piani per porre fine alla tua vita?
  • Hai un idea di come farlo?

Indagine su possibili metodi di suicidio

  • Possiedi farmaci, armi da fuoco o altri mezzi per commettere il suicidio?
  • Sono facilmente accessibili e disponibili?

Indagine su un preciso lasso di tempo

  • Hai deciso quando vuoi porre fine alla tua vita?
  • Quando hai intenzione di farlo?

SUICIDIO ADULTO, ELEMENTI A CUI PRESTARE ATTENZIONE DURANTE IL COLLOQUIO CLINICO:

  • parlare del suicidio o della morte
  • dare segnali verbali come “Magari fossi morto” o “Ho intenzione di farla finita”
  • oppure segnali meno diretti come “A che serve vivere?”, “Ben presto non dovrai più preoccuparti di me” e “A chi importase muoio?”
  • isolarsi dagli amici e dalla famiglia
  • esprimere la convinzione che la vita non ha senso e non ha speranza;
  • disfarsi di cose care;
  • mostrare un miglioramento improvviso e inspiegabile dell’umore dopo essere stato depresso;
  • trascurare l’aspetto fisico e l’igiene
  • con riferimento, agli anziani, ma non esclusivamente ad essi:
  • mettere da parte farmaci
  • comprare armi
  • esprimere un improvviso interesse oppure perdere un interesse per la religione
  • trascurare attività quotidiane di routine
  • fissare un appuntamento medico anche per sintomi lievi

SUICIDIO GIOVANILE/ADOLESCENZIALE. ELEMENTI A CUI PRESTARE ATTENZIONE DURANTE IL COLLOQUIO CLINICO:

  • mancanza di interesse per le attività abituali;
  • generale calo delle qualità (attenzione, memoria etc.);
  • mancanza o diminuzione della forza di volontà;
  • comportamenti negligenti in classe;
  • inspiegabile assenza o ripetute assenze ingiustificate;
  • abuso di tabacco, alcool o droga (compresa la cannabis);
  • coinvolgimento in atti di violenza tra studenti o atti che richiamano l’intervento della polizia;
  • isolamento;
  • hopelessness, cioè l’atteggiamento di mancanza di speranza;
  • dichiarazioni scritte e verbali riguardanti la morte, l’intenzione di morire e la mancanza di voglia di vivere;
  • attrazione per la morte ed il morire;
  • disfarsi di beni o lasciare le proprie volontà;
  • drastici cambiamenti del comportamento o della personalità, come trascurarsi nell’aspetto e isolarsi dagli amici e familiari.

CHE FARE?

Eseguita una valutazione del rischio, e quando in presenza di idee suicidarie ricorrenti, la linea guida generica da seguire la troviamo su molteplici siti a tema, tra cui questo. Viene sempre consigliato il ricorso a personale formato (meglio psichiatri) e, se in presenza di un soggetto in evidente “stato mentale perturbato” e mosso da impulsività suicidaria, la soluzione può essere quella di chiamare soccorsi che possano raggiungere l’individuo dove si trova fisicamente (quindi chiamando, per l’Italia, il 118). Ciò su cui si può intervenire, di fatto, è l’impulsività suicidaria, dal momento che risulta pressochè impossibile interrompere le pianificazioni suicidarie “lunghe”, eseguite a mente fredda.

Altri spunti: https://www.prevenireilsuicidio.it e questa rubrica su Psychiatry On Line.


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6 July 2022

SCOPRIRE LA SIPNEI. INTERVISTA A FRANCESCO BOTTACCIOLI

di Raffaele Avico

Questa intervista con Francesco Bottaccioli vuole introdurre al lavoro della SIPNEI (Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia), e portare alcuni spunti a proposito del paradigma PNEI (psico-neuro-endocrino-immunologia, appunto). Qui il sito della SIPNEI: https://sipnei.it/

La SIPNEI, nata nel 2001, si propone di promuovere un modo integrato di concettualizzare l’”essere umano” in quanto oggetto della medicina/psichiatria/psicologia clinica.

Bottaccioli, presidente onorario della SIPNEI e suo fondatore, è curatore di una rubrica su Psychiatry on line dal titolo “non solo Cartesio” (qui accessibile). La SIPNEI propone una visione sistemica, totale, olistica (nel senso non “new-age” del termine) dell’uomo. Declinato in ambito psicologico/psichiatrico, il “paradigma PNEI” introduce una modalità sistemica di comprensione e di concettualizzazione dei problemi psichiatrici.

La cosa di per sé non è nuova: l’attenzione tuttavia a una presa in carico integrata delle problematiche mediche diviene qui l’oggetto di studio, l’obiettivo centrale della proposta. La SIPNEI propone inoltre una diversa concezione della visita medica, che in quanto mossa da uno sguardo “comprensivo/olistico”, dovrebbe già da subito essere integrata, con un professionista in area medica affiancato da un professionista in area “psi” (psichiatra, psicologo, psicoterapeuta).

Consideriamo alcuni punti:

  • la mente è incarnata, si riflette nel corpo, ed è da esso influenzata in modo diretto. Alcuni dicono “il corpo è la mente” proponendo una lettura uguale, unificata dell’organismo corpo-mente. Esiste una molteplicità di problematiche psichiatriche originate da disturbi prima di tutto corporei, sperimentati in primis su quel piano. Le due cose spesso di fondono. La depressione per esempio viene descritta come una problematica fisica, corporea; allo stesso modo, soffrire di una patologia cronica a livello fisico espone allo sviluppo di problemi sul piano psicologico. Come in molteplici questioni attuali, esistono posizioni estreme e polarizzate, che il paradigma PNEI tende a rifiutare (come le posizioni biologiste per cui la psicopatologia sarebbe il risultato finale del solo alterarsi del panorama neurobiologico dell’individuo, o le posizioni all’opposto “psicologiste”, proposte per esempio da quegli psicoterapisti che in ragione di una visione riduzionistica -appunto- si pongono contro l’uso di psicofarmaci in psicoterapia). Si tratta qui di superare le posizioni polarizzate, per addentrarsi nel complesso ambito dell’integrazione/coesistenza di saperi e punti di vista diversi.
  • Due termini spesso confusi che ben descrivono la doppia direzione di influenza mente-corpo, sono disturbo psicosomatico e disturbo somatopsichico. Nel primo caso, rintracciamo conseguenze sul piano corporeo, di un problema originato in area psicologica. Contratture, dermatiti, gastriti psicosomatiche, ma anche certe forme di insonnia, possono essere considerate come problematiche causate, in origine, da un problema “mentale”. Al contrario (e in questo caso parliamo di disturbo somatopsichico), come prima accennato, soffrire di un problema corporeo cronico, conduce allo sviluppo di sofferenze anche sul piano mentale. Pensiamo a persone colpite da problematiche fisiche croniche difficilmente curabili: il riverbero di uno stato fisico alterato ricade velocemente anche sul piano psicologico, inducendo sbalzi d’umore, sensazione di impotenza, umore disforico.
  • Gli stessi sintomi psicologici andrebbero considerati come interconnessi tra di loro, entro una visione sistemica. Ne abbiamo scritto qui a proposito del lavoro di Denny Borsboom; si tratta di superare il concetto di causalità lineare (per cui A causa B) per abbracciare quello di causalità circolare, elemento questo fortemente spinto in particolare da alcune scuole di psicoterapia come la psicoterapia sistemica (A causa B che causa C che interferisce con A, e così via). Questa visione obbliga uno psicoterapeuta a interrogarsi non su un sintomo e sulle sue cause, ma su come questo sintomo si inserisca in un quadro complesso e ampio, poco determinabile a priori se non allargando la visuale, pensando quello stesso sintomo inserito tra altri sintomi o altri problemi.

Nell’intervista qui sotto riportata Francesco Bottaccioli racconta della sua formazione universitaria, facendo anche riferimento a un periodo di praticantato/studio relativo alla medicina tradizionale cinese. La SIPNEI, come società scientifica, muove i suoi passi a partire da questa idea di apertura e integrazione, nel tentativo di superare un certo riduzionismo soprattutto in area psichiatrico-psicoterapeutica: molteplici evidenze, dall’epigenetica allo studio degli effetti del microbiota agli effetti del cambio di “stile di vita” sulla psicologia degli individui (ne abbiamo scritto qui) , all’importanza dell’integrazione psicofarmacopsicoterapia, ci raccontano di una sorta di “cambio di paradigma” in atto (o almeno auspicato).

Si tratta di saper “sostare” nella non conoscenza, e in un territorio complesso con molteplici zone d’ombra poco conosciute, soprattutto in area “psi”, immaginando molteplici vertici osservativi da cui osservare un certo fenomeno clinico, e insieme molteplici punti di “ingresso” a partire dai quali tentarne il trattamento o la cura.

Rappresenta infine, la proposta della SIPNEI, un segnale incoraggiante e controcorrente in tempi di semplificazione, polarizzazione, paranoia e risposte facili a temi complessi: un tentativo di “complessificare“ e raffinare lo strumento di indagine in ragione della complessità stessa dell’oggetto di studio.

La SIPNEI organizza per ottobre il suo congresso nazionale; si terrà a Firenze il 1 e il 2 ottobre. Qui tutte le informazioni.

Per quanto riguarda la bibliografia e gli spunti di approfondimento citati da Bottaccioli in questa intervista, qui di seguito (con relativi link) alcuni dei libri e degli ultimi lavori pubblicati:

LIBRI:

  • Bottaccioli F, Bottaccioli AG (2022) Fondamenti di psiconeuroendocrinoimmunologia, RED
  • Bottaccioli F, Bottaccioli AG (2017) Psiconeuroendocrinoimmunologia e scienza della cura integrata. Il Manuale. EDRA
  • Bottaccioli F (2014) Epigenetica e Psiconeuroendocrinoimmunologia, EDRA

ARTICOLI SCIENTIFICI

  • Bottaccioli AG, Bottaccioli F, Minelli A. Stress and the psyche-brain-immune network in psychiatric diseases based on psychoneuroendocrine immunology: a concise review. Ann N Y Acad Sci. 2019 Feb;1437(1):31-42. doi: 10.1111/nyas.13728. Epub 2018 May 15. PMID: 29762862.
  • Bottaccioli AG, Bologna M, Bottaccioli F. Psychic Life-Biological Molecule Bidirectional Relationship: Pathways, Mechanisms, and Consequences for Medical and Psychological Sciences-A Narrative Review. Int J Mol Sci. 2022 Apr 1;23(7):3932. doi: 10.3390/ijms23073932. PMID: 35409300; PMCID: PMC8999976. FREE
  • Bottaccioli, F.; Bottaccioli, A.G.; Marzola, E.; Longo, P.; Minelli, A.; Abbate-Daga, G. Nutrition, Exercise, and Stress Management for Treatment and Prevention of Psychiatric Disorders. A Narrative Review Psychoneuroendocrine Immunology-Based. Endocrines 2021, 2, 226-240. FREE
  • Fioranelli M, Bottaccioli AG, Bottaccioli F, Bianchi M, Rovesti M, Roccia MG. Stress and Inflammation in Coronary Artery Disease: A Review Psychoneuroendocrine Immunology-Based. Front Immunol. 2018 Sep 6;9:2031. doi: 10.3389/fimmu.2018.02031. PMID: 30237802; PMCID: PMC6135895. FREE
  • Bottaccioli AG, Bottaccioli F, Carosella A, Cofini V, Muzi P, Bologna M. Psycho Neuro Endocrino Immunology-based meditation (PNEIMED) training reduces salivary cortisol under basal and stressful conditions in healthy university students: Results of a randomized controlled study. Explore (NY). 2020 May-Jun;16(3):189-198. doi: 10.1016/j.explore.2019.10.006. Epub 2019 Nov 14. PMID: 31982328. FREE
  • Bottaccioli F, Carosella A, Cardone R, Mambelli M, Cemin M, D’Errico MM, Ponzio E, Bottaccioli AG, Minelli A. Brief training of psychoneuroendocrine immunology-based meditation (PRIMED) reduces stress symptom ratings and improves control on salivary cortisol secretion under basal and stimulated conditions. Explore (NY). 2014 May-Jun;10(3):170-9. doi: 10.1016/j.explore.2014.02.002. Epub 2014 Feb 25. PMID: 24767264. FREE

Sulla meditazione a orientamento PNEI (PNEIMED):

  • Carosella A, Bottaccioli AG, Bottaccioli F (2020) Meditazione passioni e salute, II ed. Tecniche Nuove
  • Carosella A, Bottaccioli F (2012) Meditazione, psiche e cervello, II ed., Tecniche Nuove
  • I corsi Pneimed (si veda sul sito SIPNEI)

Per quanto riguada le riviste erogate dalla società SIPNEI, sono qui reperibili:

  1. PNEI NEWS
  2. SIPNEI REVIEWS (dalla rivista SIPNEI REVIEW è scariabile gratuitamente, qui, un lungo approfondimento a proposito del cambio di paradigma in area psicologico/psichiatrica, citato prima nell’articolo)

Qui di seguito l’intervista, buona visione!


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

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21 May 2022

GARBAGE IN, GARBAGE OUT.  INTERVISTA FIUME A ZIO HACK

di Raffaele Avico

In questa intervista “fiume” a Francesco, in arte “Zio Hack”, vengono introdotte alcuni temi a riguardo del biohacking, della produttività, della crescita personale.

La letteratura a proposito della crescita e del miglioramento personale è molto vasta, e si configura come una costola del corpus teorico psicologico “applicato”, a metà tra la clinica e la psicologia sperimentale/generale, nel tentativo di capire come funziona la mente umana per “agire” in modo pragmatico, con l’obiettivo di auto-migliorarsi. Questo modo di intervenire sulla psicologia individuale esclude la collettività e l’ambiente di sviluppo, i primi anni di vita e il “problema del trauma”, riducendo per così dire il lavoro terapeutico al momento presente e al “funzionamento dell’Io”.

Per questo, in ambito di letteratura sulla crescita personale ci troviamo spesso ad avere a che fare con testi estremamente pragmatici, applicati, procedurali, pervasi da un assunto di fondo comune a tutti, ovvero: “la tua vita dipende da ciò che sei, e ciò che sei dipende da ciò che fai”. Ne consegue che modificando il proprio comportamento, si dovrebbe arrivare a modellare la propria realtà e il proprio “stare nel mondo”. C’è inoltre, costante, l’invito a “internalizzare” il locus of control, ovvero ad assumersi la “totale responsabilità” di ciò che si è (pensiamo per esempio a derive estreme -molto “americane”- come il progetto “extreme ownership”).

Zio Hack è uno dei precursori in Italia della divulgazione in ambito di crescita personale, già presente in rete dalla fine degli anni ‘90 (1998). Siamo al punto più alto dell’attuale panorama underground sullo sviluppo personale in Italia.

In questa intervista parla di biohacking, time-management e produttività, raccontando del suo stesso percorso di crescita e soprattutto delle sue fonti.

Il punto centrale del suo lavoro, come emerge dall’intervista, è rappresentato dal concetto di piramide. Le piramidi rappresentano il risultato finale di un lungo lavoro di sistematizzazione di fonti a riguardo della crescita personale, divisi per area. Troviamo dunque la “piramide del benessere”, o la “piramide successo personale”, strutturate per “piani sovrapposti” organizzati secondo una logica gerarchica.

Prendendo per esempio la piramide del benessere, osserviamo vari livelli di intervento progressivo, partendo dall’abbandono delle dipendenze, proseguendo attraverso il “problema della gestione della stress”, per poi andare alla qualità del sonno, etc. Le piramidi rappresentano una sintesi del molto materiale raccolto da Francesco nel corso del tempo.

Qui l’intervista, editata in una forma piuttosto grezza, senza tagli.

Zio Hack rappresenta un “aggregatore” di fonti, che lui stesso sostiene aver raffinato nel tempo, attraverso un lavoro progressivo di “setaccio” e potatura di ciò che storicamente si rivelò “fuffa”.

Alcune fonti/spunti/takeaways presenti nel video:

  • portale MOM di Franco Fabbro (meditazione orientata alla mindfulness): http://www.medita-mom.it/
  • Rhonda Patrick e il portale FOUND MY FITNESS (divulgazione scientifica e biohacking di altissima qualità
  • il lavoro di David Sinclair a proposito della biotecnologia usata per contrastare l’invecchiamento
  • il lavoro di Derek Siver, a proposito del “decluttering”, della ripulitura del segnale (“se non è un super-sì, è un super-no”) →https://sive.rs/
  • l’incredibile lavoro di divulgazione di Huberman (professore a Stanford School of Medicine)
  • ambito crescita finanziaria→ Dave Ransey https://www.ramseysolutions.com/
  • ambito nutrizione: https://examine.com/ e Stefano Vendrame (miglior divulgazione in ambito nutrizione in Italia)
  • a proposito della scrittura espressiva, ZIo Hack cita gli studi e i lavori di Pennabeker (qui per approfondire). Scrivere ha il doppio beneficio di ridare una forma narrativa (consequenziale, con un prima, un durante e un dopo) a un pensiero eventualmente disorganizzato, e di aiutare nel processo di simbolizzazione di materiale emotivo “grezzo” (ne avevamo scritto qui a proposito del concetto di affect labeling ). É di fatto uno strumento di regolazione dell’emotività, che viene usato in senso terapeutico in moteplici ambiti, per esempio per il PTSD, per modulare la rabbia (soprattutto in psicoterapia strategica), o per consolidare l’identità (attraverso per esempio la scrittura di un’autobiografia)
  • il lavoro di Connirae Andreas e Steve Andreas come precursori del metodo PNL e della tecnica EMDR (havening.org, che nel protocollo EMDR viene chiamato butterfly hug, qui descritto in modo approfondito, e qui); sempre a proposito della psicolinguistica, interessante il passaggio a proposito delle strutture progressive attraverso cui “intervenire” nel lavoro sul cambiamento: 1) linguaggio 2) visione 3) corpo, che in effetti ricapitolano le fasi progressive dello sviluppo umano (nasciamo cinestesici, corporei, preverbali e precognitivi, tutto quello che esiste di “ulteriore”, come il linguaggio, viene dopo -come dire che un reale cambiamento, per essere veramente tale, deve essere incarnato, “ingrained” in inglese)

La visione di Zio Hack è pragmatica, utilitaristica, empirica, americana con però un sano, più che mai necessario scetticismo europeo, all’insegna del “va bene purchè funzioni”. Chiude l’intervista con 3 pratiche per la crescita personale, indiscutibilmente virtuose: “una pratica meditativa qualunque”, la lettura di qualità (dato che “garbage in, garbage out”) e il movimento/attività fisica, propedeutico agli altri due.

Qui il suo sito: migliorati.org


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

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10 May 2022

PTSD: ALCUNE SLIDE IN FREE DOWNLOAD

di Raffaele Avico

Qui di seguito alcune slide a proposito della teoria del PTSD, in free download.

Consentono di farsi un’idea generale sugli sviluppi più attuali relativi alla teoria del trauma psichico.

Contengono molte delle tematiche indagate a tema “trauma” su questo blog (PTSD con o senza sintomi dissociativi, il modello a cascata di Ruth Lanius, l’approccio liottiano al problema, gli approcci psicoterapici, etc.).

É possibile scaricarle qui: PRESENTAZIONE PTSD.


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

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3 May 2022

MANAGEMENT DELL’INSONNIA

di Raffaele Avico, Luca Proietti


PREMESSE TEORICHE

  • l’insonnia può avere diverse cause; nel caso in cui tu abbia escluso ragioni mediche, è possibile che un sonno frammentato o difficoltoso dipenda da uno stato di stress protratto, o da uno stato mentale di “sopraffazione”
  • di fronte a una minaccia, la nostra mente si attiva per trovare una soluzione, e con essa il nostro sistema nervoso autonomo simpatico. Quando il sistema nervoso autonomo simpatico è attivato, la mente accelera alla ricerca di soluzioni, il corpo si “prepara all’azione”, il respiro si accorcia; in questo stato mentale, la mente non si abbandona al sonno per una ragione di assenza di senso di sicurezza percepita (qui due approfondimenti su rapporto tra ptsd e insonnia: 1 e 2)
  • osserva la tua vita allo stato presente: è possibile che la tua insonnia derivi da uno scarso senso di padronanza/controllo (mastery): in questo senso potrebbe aiutarti tentare di lavorare sul tuo stile di vita, rendendolo maggiormente regolare/disciplinato, con delle routines che diano una struttura alla tua settimana
  • se hai subìto degli eventi che ritieni essere stati per te traumatici, è possibile che il tuo corpo abbia “accusato il colpo”. Il corpo è il primo a subire gli effetti (tra cui l’insonnia) di uno o più eventi traumatici; ci sono molte evidenze sul fatto che praticare attività sportiva aerobica aiuti il corpo a “dissipare” il trauma; di conseguenza, lavorare sul trauma attraverso l’attività fisica potrà aiutarti nell’insonnia
  • proteggiti dal senso di sovraccarico cognitivo: riduci e migliora la qualità dei tuoi input (qui un approfondimento)

MODALITÁ COMPORTAMENTALI

  • crea un ambiente protetto: il luogo del sonno dovrebbe essere un luogo dedicato al sonno e non ad altre attività
  • evita di usare schermi a luce blu prima di dormire; attiva la suoneria del tuo smartphone, e lascialo in un’altra stanza
  • cerca di tenerti legger* in termini alimentari prima di coricarti; prova con il digiuno intermittente
  • valuta la possibilità di usare una coperta ponderata nel caso in cui tu faccia fatica a distendere il corpo, a sciogliere in nervi
  • ritualizza il sonno: crea routines che predispongano la tua mente a entrare in modalità “sonno” quando si presentino; tenta di rendere confortevole e accogliente il luogo in cui dormi
  • non controllare il momento del sonno; tentare di controllare quello che per sua natura è spontaneo (il ritmo del cuore, il ritmo e la profondità del respiro, lo scivolare nel sonno) lo complica e paradossalmente procura un senso di perdita di controllo. Tenta di accettare i contenuti di pensiero che passano per la tua mente mentre stai tentando di addormentarti, senza volerli cambiare. Accetta tutto ciò che proviene dal tuo corpo senza tentare di controllarlo
  • Se ti accorgi che ti stai auto-imponendo di dormire, prova a cambiare strategia, imponendoti di stare svegli*; insieme a questo, accetta la possibilità che tu possa non dormire
  • per contrastare lo stress, prova ad approcciare la mindfulness attraverso clarity (https://clarityapp.it/)

APPROCCIO FARMACOLOGICO (a cura di Luca Proietti)

Vi sono differenti modi per intervenire farmacologicamente sull’insonnia, in ogni caso il farmaco deve sempre essere utilizzato in seconda battuta rispetto alle indicazioni per l’igiene del sonno.

Altro punto che è fondamentale chiarire è che in quei casi in cui l’insonnia sia secondaria o accompagni un’altra problematica come un disturbo dell’umore (depressione, mania), un disturbo post-traumatico o un disturbo d’ansia la terapia farmacologica dovrà essere primariamente indirizzata verso quella problematica e la terapia del sintomo insonnia potrà essere solo di supporto fino a quando non è stata risolta la problematica principale.

Dal punto di vista neurobiologico i mediatori coinvolti nel sonno sono soprattutto l’ormone Melatonina e differenti neurotrasmettitori quali Acetilcolina, Istamina, Noradrenalina e Dopamina.

La Melatonina è un ormone prodotto dall’Epifisi che è responsabile dell’alternanza dei ritmi circadiani, in particolare l’aumento della Melatonina, che durante la notte favorisce il sonno.

La Melatonina viene prescritta a formulazioni pronte da sola o in associazione con altri principi attivi naturali come la Valeriana per i casi di insonnia iniziale, cioè in chi ha difficoltà ad addormentarsi.

Quando si tratta invece di regolarizzare il ritmo sonno-veglia o vi è un insonnia centrale o terminale, quindi con rispettivi risvegli durante la notte o anticipato la mattina, si preferiscono formulazioni a rilascio prolungato o modificato. Queste formulazioni possono anche essere d’aiuto nel caso di altri disturbi del sonno come le parasonnie.

Gli altri neurotrasmettitori, in particolare Acetilcolina e Istamina, ma anche Dopamina e Noradrenalina, attivano in maniera diffusa la corteccia cerebrale per cui sono responsabili dello stato di veglia, mentre se i loro recettori sono bloccati si ha riduzione dell’attivazione corticale, fino al sonno e alla sedazione. Pertanto, alcuni farmaci di altre categorie come la Mirtazapina (fino a 15 mg) e il Trazodone (fino a 100 mg), farmaci antidepressivi “atipici”, possono essere utilizzati la sera per il loro importante effetto antistaminico che tende a favorire il sonno.

Possono essere utilizzati nel trattamento dell’insonnia anche due antidepressivi Triciclici quali la Trimipramina (fino a 25 mg) e l’Amitriptilina (fino a 10 mg) che bloccano i recettori dell’Istamina e dell’acetilcolina e interagiscono anche con i recettori serotoninergici 5HT2A.

Un altro farmaco che può essere utilizzato in alternativa a questi è la Quetiapina (fino a 50 mg), un antipsicotico atipico di seconda generazione che a questi dosaggi interagisce principalmente e quasi esclusivamente con i recettori dell’Istamina.

In maniera parziale tutti questi 5 farmaci bloccano anche i recettori alpha della noradrenalina, anch’essi coinvolti nel mantenimento stato di veglia.

É importante che i farmaci vengano utilizzati ai dosaggi indicati, che non sono i loro dosaggi terapeutici abituali, perché aumentando il dosaggio aumentano gli effetti peculiari di ciascun farmaco. L’Amitriptillina, per esempio, salendo di dosaggio esplica il suo potente effetto antidepressivo, così come la Quetiapina quello antipsicotico.

Questi farmaci sono molto utili nel trattamento dell’insonnia centrale e terminale, ma possono essere anche impiegati per l’insonnia iniziale, quando cioè l’insonnia colpisce l’induzione del sonno (l’addormentamento).

In particolare, la formulazione in gocce del Trittico, ad esempio, risulta molto utile in prima battuta e soprattutto se è presente insonnia iniziale, mentre se persiste insonnia terminale o centrale si può passare a una formulazione di Trazodone r.p. in compresse che favorisce il mantenimento del sonno.

Un altro neurotrasmettitore coinvolto nel sonno è il GABA. Il GABA, al contrario degli altri neurotrasmettitori (Acetilcolina, Dopamina, Noradrenalina) inibisce l’attivazione corticale e promuove il sonno. Tra i farmaci che agiscono su questo recettore troviamo le Benzodiazepine.

In generale le Benzodiazepine, siano a breve o lunga emivita (triazolam, lorazepam, delorazepam, lormetazepam, flurazepam, etc.) andrebbero sempre evitate, se non per quei rari casi di insonnia passeggera, per la loro tendenza a dare assuefazione e dipendenza.

Perchè evitare le benzodiazepine?

  • Le benzodiazepine a brevissima emivita come il Triazolam, Lormetazepam, Brotizolam possono aiutare nell’induzione del sonno, ma danno moltissima dipendenza.
  • Le benzodiazepine a più lunga emivita come il Lorazepam o a emivita lunghissima come il Flurazepam andrebbero comunque utilizzate in casi di emergenza e per brevissimo tempo, anche perché tendono a dare tolleranza, dipendenza, e ad alterare l’architettura del sonno.
  • L’Alprazolam, spesso prescritto per l’insonnia, non ha in realtà nessuna indicazione o razionale di utilizzo per questo tipo di problematica.

Esistono infine i cosiddetti Z-Drugs, farmaci come lo Zolpidem, che agiscono sempre sui recettori GABA, che altererebbero meno l’architettura del sonno e darebbero meno dipendenza, anche se dati recenti hanno messo in dubbio questi aspetti. Lo zolpidem e gli Z-Drugs, possono essere utilizzati per la fase di induzione del sonno andando così a sostituire le benzodiazepine a emivita brevissima.

In nessun modo questo testo può sostituire il consulto con un medico, un medico specialista o uno psicologo abilitati alla formazione. Le informazioni fornite infatti sono di carattere generale e  hanno uno scopo puramente informativo e divulgativo e non sostituiscono in alcun modo il parere, la diagnosi o l’intervento del medico o di altri operatori sanitari. Le nozioni e le eventuali informazioni riguardanti procedure e terapie mediche, posologie e/o descrizioni di farmaci o prodotti hanno natura esclusivamente illustrativa e non consentono di acquisire le capacità indispensabili per il loro uso o la realizzazione. Gli autori non si assumono alcuna responsabilità in relazione ai risultati o conseguenze di un qualsiasi utilizzo delle informazioni pubblicate, alla loro accuratezza, adeguatezza, completezza e aggiornamento.


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

Article by admin / Formazione / neuroscienze, psichiatria, psicoanalisi, psicoterapia

7 March 2022

GLI PSICHEDELICI COME STRUMENTO TRANSDIAGNOSTICO DI CURA, IL MODELLO BIPARTITO DELLA SEROTONINA E L’INFLUENZA DELLA PSICOANALISI

di Gjergj Cerri

Il panorama attuale della salute mentale rappresenta un punto di svolta nella storia della psichiatria. Ci troviamo di fronte ad un notevole aumento di persone che soffrono di depressione, con cifre che raggiungono i 300 milioni a livello globale e con quasi 800 000 suicidi commessi ogni anno.

Di farmaci realmente nuovi ed efficaci ce ne sono pochi e per di più, il trattamento psicofarmacologico puro, seppur un metodo molto efficace nel rendere più accessibile a larga scala la cura dei disturbi psichici, rappresenta uno strumento le cui limitazioni sono note. Tra queste ultime si annoverano un range non insignificante di effetti avversi, una modesta efficacia rispetto al placebo in alcuni casi e una fetta della popolazione pari al 20% per la quale questi strumenti non inducono l’outcome desiderato.

Di fronte a questa situazione, sembra intuibile e logica la necessità di uno strumento che non solo riesca ad agire in modo da indurre un benessere a lungo termine agendo a livello etiologico e non solo sintomatologico, ma che riesca per di più a permettere alle persone sane di mantenere una buona salute psichica a lungo termine. Riguardo questi due punti credo sia di fondamentale importanza menzionare il modello di psicopatologia che colloca quest’ultima in uno spettro, agli estremi dei quali c’è la psicopatologia e dall’altro lato la sanità mentale, con tutte le possibili variazioni all’interno. È grazie a questo modello di psicopatologia che possiamo effettivamente usare strumenti che permettano una vera e propria profilassi per le malattie mentali, significativamente carente rispetto alla profilassi delle malattie prettamente “organiche”. Per ricalcare questa necessità, ricordiamo che la WHO già nel 2004 ha evidenziato per la prima volta l’importanza di strumenti simili.
Come abbiamo imparato da questa ultima pandemia, la salute mentale rappresenta un pilastro nella qualità di vita di ciascuno di noi, ma oltre a questo ci ha anche fatto capire quanto rapidamente può evolvere la ricerca delle cure per una malattia una volta riconosciuta la sua etiologia.

Il problema dell’etiologia dei disturbi psichici è stato un argomento controverso e di lunga data, i cui “conflitti” tra gli eminenti dei vari filoni possono aver contribuito all’assenza di una teoria unificante, per quanto questa possa essere altrettanto un tema controverso in ambito di neuroscienze e psichiatria. Quello che sta trasparendo dagli ultimi studi è che gli psichedelici possano rappresentare un ponte tra i vari strati di concezione della mente e della psicopatologia, tra i quali i due più importanti quello biologico e quello psicologico. Ormai lo sappiamo che questa distinzione è di natura arbitraria e non totalmente corretta e che più si va a fondo più questa linea divisoria sbiadisce.

Per di più queste sostanze stanno mostrando efficacia terapeutica in una lunga serie di disturbi psichici, come DCA, autismo, dipendenza, DAG, depressione, ansia e DOC. Tutti questi disturbi sono stati associati ad un’assenza di flessibilità cognitiva e psicologica. I ricercatori stanno cercando di capire i meccanismi grazie ai quali gli psichedelici riescono a svolgere la loro azione terapeutica e le loro scoperte hanno messo in evidenzia alcuni modelli di concezione della mente in alcuni casi, e creato nuovi in altri. I meccanismi sono tanti e diversi, ma il punto fondamentale è la neuroplasticità in senso neurobiologico e la flessibilità in senso psicologico. È grazie a questo fenomeno che si riesce a uscire da pattern di pensiero e di comportamento tipici dei disturbi psichici. Usando la teoria dei sistemi dinamici si può intendere l’azione dei psichedelici come volta ad un appiattimento del panorama energetico della mente e cervello, riducendo l’influenza degli attrattori, ovvero tutti quei moduli cognitivo-comportamentali responsabili delle manifestazioni psicopatologiche. Tutto ciò comporterebbe la riduzione “dell’energia psichica” necessaria per cambiare il modo di pensare e di comportarsi.

Questo meccanismo terapeutico sembra sia correlato al pathway del recettore 5HT2A della serotonina. Secondo il modello bipartito della serotonina, possiamo suddividere le funzioni della serotonina in due grandi pathway, quello del recettore 5HT1A e quello del recettore 5HT2A. In poche parole, il pathway del recettore 5HT1A è responsabile del coping passivo dello stress (tolleranza) mentre quello del recettore 5HT2A è responsabile del coping attivo nel quale si cerca di affrontare ed eliminare la fonte dello stress.

Focalizzandoci brevemente su questo secondo pathway, possiamo dire che sono per appunto questi recettori il target primario degli psichedelici e che grazie a questi viene mediata la neuroplasticità e la flessibilità psicologica.
Il pathway mediato dal recettore 5HT2A sembra essere molto diverso da quello del recettore 5HT1A. Quest’ultimo agisce da isolante di fronte allo stress, aumentandone la tolleranza grazie a una riduzione dell’attività cortico-limbica di fronte agli stimoli negativi, mediata dall’azione inibitoria dei recettori 5HT1A. È questo il pathway sfruttato in ambito terapeutico dagli antidepressivi come gli SSRI.
D’altro canto, abbiamo il pathway del recettore 5HT2A che permette di aprire una finestra di plasticità nella quale la sensibilità agli stimoli sembra essere aumentata e questo rappresenta un meccanismo neutrale, nè nocivo né terapeutico. Grazie all’utilizzo del set e setting giusto, questa sensibilità può essere sfruttata per ricalibrare pattern disfunzionali, portandolo a divenire così un mezzo terapeutico.

Figura 2 Differenze tra i pathway del recettore 5HT1A e 5HT2A

La differenza significativa tra questi due pathway può indicare verso un possibile uso complementare tra i farmaci che agiscono in modo separato su questi due pathway. È stato infatti proposto che un’attivazione combinata del pathway del recettore 5HT1A e 2A possa avere una influenza positiva complementaria a livello affettivo, grazie alla tolleranza allo stress (1A) e la flessibilità psicologica (2A). Questa possibile combinazione è ancora lontana dal focus della ricerca in ambito psichedelico, tenendo conto dell’incombente rischio di sviluppo di una sindrome serotoninergica.
La plasticità può essere interpretata secondo la teoria del cervello entropico di Carhart-Harris come un aumento di entropia, un aumento di disordine evidentemente essenziale per permettere quel flusso di informazioni bottom-up, che permettono a loro volta di modificare pattern irrigiditi (modello REBUS). Secondo questa teoria, sviluppata grazie a indagini di neuroimmagine in pazienti sotto effetto di psichedelici, le variazioni di entropia rappresentano un meccanismo importante per capire la patogenesi di vari disturbi psichici. A bassi livelli entropici predomina la rigidità e abbiamo disturbi come la depressione ed il DOC, mentre ad alti livelli entropici abbiamo quadri psicotici e le esperienze psichedeliche. A bassi livelli di entropia abbiamo una rigidità del controllo top-down che non permette una ricalibrazione costante delle credenze e pattern in base a quello che viene percepito, mentre dal lato opposto abbiamo un’assenza di tale controllo, risultante nella perdita dei principi direttivi e una sovrabbondanza di stimoli sensoriali.

Non è questa la prima volta in cui si accenna la presenza di una parte della psiche contenente immagini, percezioni e pensieri apparentemente disordinati e di un’altra parte della psiche responsabile del controllo funzionale della prima. Fu Freud grazie ai suoi processi primari e secondari a dare via a questo modello. Secondo lui i processi primari erano caratterizzati da materiale psichico disordinato, vago e simbolico mentre quelli secondari erano caratterizzati da ordine, precisione e controllo razionale. Per rendere tutto ciò più intuibile, questo processo secondario era secondo lui una responsabilità dell’ego che conteneva e metteva ordine in tutti i processi secondari. Da riconoscere alla psicanalisi in ambito psichedelico è anche il concetto dei meccanismi di difesa come principale spiegazione dei disturbi psichici, implicando la presenza di un core disfunzionale transdiagnostico che viene manifestato in vari modi a seconda di fattori predisponenti biologici, sociali e psicologici.
Riassumendo, siamo di fronte ad un panorama mentale globale che necessita più che mai di strumenti che riescano ad agire a livello etiologico nei soggetti malati e che riescano ad agire da prevenzione primaria nella parte restante della popolazione. Il core etiologico di tanti disturbi sembra essere l’assenza di plasticità e gli psichedelici rappresentano uno strumento la cui efficacia è attribuibile all’aumento di quest’ultima. Grazie al modello bipartito della serotonina possiamo capire meglio il meccanismo d’azione di questi strumenti e riuscire a trovare il metodo migliore nella somministrazione di questo tipo di terapia e capire le possibili interazioni e complementarietà con altri farmaci che agiscono sui circuiti serotoninergici. I vari modelli di concezione della mente approfonditi grazie agli studi con queste sostanze ci permetteranno, per quanto possibile, di avvicinarci alla Grand Unified Theory della mente, rendendo gli psichedelici la prossima pietra miliare nella storia della psichiatria.

Qui di seguito alcune risorse per approfondire, su questo blog e altrove, il tema “psichedelici”:

  • MDMA PER IL POST-TRAUMA: BEN SESSA E ALTRI RIFERIMENTI IN RETE
  • MDMA PER IL TRAUMA: VIDEOINTERVISTA A ELLIOT MARSEILLE (A CURA DI JONAS DI GREGORIO)
  • VERSO L’MDMA NEL TRATTAMENTO DEL PTSD
  • RUBRICA: TERAPIE PSICHEDELICHE
  • PODCAST: TERAPIE PSICHEDELICHE
  • PODCAST: ILLUMINISMO PSICHEDELICO

Inoltre:

Bibliografia:
Carhart-Harris, R. L., & Nutt, D. J. (2017). Serotonin and brain function: a tale of two receptors. Journal of psychopharmacology (Oxford, England), 31(9), 1091–1120. https://doi.org/10.1177/ 0269881117725915
očárová, R., Horáček, J., & Carhart-Harris, R. (2021). Does Psychedelic Therapy Have a Transdiagnostic Action and Prophylactic Potential?. Frontiers in psychiatry, 12, 661233. https://doi.org/10.3389/ fpsyt.2021.661233
S. Parker Singleton, Andrea I. Luppi, Robin L. Carhart-Harris, Josephine Cruzat, Leor Roseman, Gustavo Deco, Morten L. Kringelbach, Emmanuel A. Stamatakis, Amy Kuceyeski (2021) Psychedelics Flatten the brain’s energy landscape: evidence from receptor-informed network control theory, bioRxiv 2021.05.14.444193;
https://doi.org/10.1101/ 2021.05.14.444193
Swanson L. R. (2018). Unifying Theories of Psychedelic Drug Effects. Frontiers in pharmacology, 9, 172. https://doi.org/10.3389/ fphar.2018.00172

Article by admin / Formazione / neuroscienze, psichiatria, psicologia, psicotraumatologia

17 January 2022

LE TEORIE BOTTOM-UP NELLA PSICOTERAPIA DEL POST-TRAUMA (di Antonio Onofri e Giovanni Liotti)

di Antonio Onofri, Giovanni Liotti

PREMESSA #1: questo articolo è tratto dai volumi Cecilia La Rosa e Antonio Onofri (a cura di): Dal basso in alto (e ritorno). Nuovi approcci bottom-up: terapia cognitiva, corpo, EMDR, ApertaMenteWeb, Roma 2017 e da Antonio Onofri e Cecilia La Rosa (a cura di): Il corpo nell’EMDR. Dal basso in alto (e ritorno): casi clinici. ApertaMenteWeb, Roma 2021. Per gentile concessione di www.ApertaMenteWeb.com

PREMESSA #2: su questo blog abbiamo diffusamente parlato di sindromi post traumatiche e teorie bottom-up: il materiale riguardante le sindromi post-traumatiche è consultabile qui

Le emozioni e i processi primari e secondari secondo Panksepp

Negli ultimi anni stiamo assistendo a una trasformazione del modello generale con il quale le moderne neuroscienze che studiano i processi emozionali negli animali e negli esseri umani considerano l’evoluzione della mente. Sempre maggiore attenzione viene prestata all’idea che lo sviluppo evoluzionistico proceda “dal basso verso l’alto” (bottom- up) secondo una concezione gerarchica dell’organizzazione cerebrale in maniera almeno complementare all’evoluzione del controllo “dall’alto verso il basso” esercitato dalle strutture cerebrali superiori su quelle inferiori (Panksepp e Biven 2012).

Una tale visione – e i dati offerti dalla ricerca scientifica – sembrerebbe confermare alcune antiche intuizioni sulle interazioni mente-corpo e suggerire l’abbandono di ogni rigida dicotomia tra lo studio delle malattie fisiche e quello dei disturbi emotivi. Le nuove prospettive bottom-up, che questo volume si ripropone di illustrare e descrivere, sembrano infatti ribaltare la concezione interpretativa, valutativa e quindi prettamente cognitiva delle emozioni, almeno per quanto riguarda quei processi emotivi che Panksepp e Biven (2012) considerano primari, ancestrali, quasi – istintuali e localizzati nel cervello più antico, strettamente connessi a funzioni di sopravvivenza (e riproduzione). Proprio questi processi emozionali primari, del resto, sembrano prendere il sopravvento in non poche condizioni psicopatologiche. “Quando gli affetti hanno la meglio, la cura della parola è destinata a fallire in quanto il metodo interpretativo, lo strumento psicoterapeutico cardine, può essere spesso inefficace nei confronti delle nostre passioni primitive.” (Panksepp 2012). Se è vero infatti che come esseri umani possediamo espansioni cerebrali di livello superiore che ci permettono di pensare in maniera approfondita e di riflettere sulla nostra natura, per molte persone in molte condizioni, e per molti pazienti che presentano disturbi psichiatrici, le emozioni non appaiono certo sotto il controllo completo della mente superiore. Tanto che proprio tale osservazione rende spesso necessario il ricorso alle terapie farmacologiche, più in grado – anche se certamente in maniera ancora molto grossolana – di arrivare a questi processi emotivi “più bassi”.

Sembra riemergere, nelle sopra menzionate considerazioni, una concezione decisamente gerarchica non solo del cervello, ma anche delle stesse emozioni. Per esempio, Panksepp e Biven (2012) leggono le risposte emozionali quasi – istintive in termini di esperienze psicologiche di processo primario, che in un secondo momento si unirebbero a una varietà di meccanismi di memoria e apprendimento chiamati processi secondari del cervello. I processi mentali di ordine ancora superiore, al vertice dell’attività cerebrale, son quelli che permettono di riflettere sui dati dell’esperienza e dell’apprendimento e vengono chiamati processi terziari. Secondo una tale visione, né le abilità cognitive, né la capacità di pensare in termini verbali sono considerate condizioni necessarie per una coscienza di tipo affettivo. “Nel sentire i nostri stati affettivi – sono ancora Panksepp e Biven che scrivono – non abbiamo bisogno di sapere che cosa stiamo sentendo. In altre parole, i sentimenti emotivi di processo primario sono affetti grezzi che prendono automaticamente decisioni importanti per noi”. Le reazioni corporee, sia di tipo viscerale sia motorie, sembrano in grado di influenzare – e spesso rafforzare – le stesse esperienze emotive primarie. Nel costituirsi e nell’esprimersi delle emozioni sembra dunque imprescindibile la considerazione di aspetti gerarchici della struttura e delle funzioni del cervello/mente.

La concezione gerarchica del cervello secondo J.H.Jackson

Una prima compiuta concezione gerarchica delle strutture e funzioni del cervello/mente, formulata in accordo con l’allora nascente pensiero evoluzionistico, è legata al nome di John Hughlings Jackson (per un’antologia degli scritti di Jackson, vedi Taylor 1958). Una breve sintesi della teoria di Jackson può essere utile per cogliere alcuni aspetti cruciali della sua concezione gerarchica, che mai ha cessato di influenzare neurologia e psichiatria (Franz e Gillett 2011).

Le applicazioni del pensiero di Darwin allo studio del cervello/mente, precedenti all’opera di Jackson, sostenevano che le strutture cerebrali di specie evoluzionisticamente più antiche venissero sostituite da nuove strutture nel corso dell’evoluzione di specie più recenti. Jackson sostenne, al contrario, che le strutture più evoluzionisticamente recenti del cervello si stratificano su una base costituita dalle strutture più antiche, le quali dunque permangono, con mutamenti soltanto secondari e limitati, nel nevrasse di specie più recenti. Secondo Jackson, le funzioni delle strutture cerebrali più antiche vengono rappresentate di nuovo nelle reti neurali più recenti (neostrutture), le quali così permettono forme di elaborazione dell’informazione più articolate e flessibili. Non solo le strutture neurali più evoluzionisticamente antiche non scompaiono dai cervelli delle specie più recenti, ma esse continuano a elaborare input informativi dai quali dipendono le funzioni delle neostrutture. Di grande importanza è anche l’idea Jacksoniana che le strutture evoluzionisticamente recenti esercitino funzioni di controllo e inibizione su quelle più arcaiche. Infine, le strutture più recenti sarebbero anche le più sensibili a “dissolversi” (dissolution o de-evolution, nella terminologia di Jackson), in modo contingente, di fronte a influenze ambientali patogene. Le manifestazioni conseguenti alla dissoluzione delle funzioni cerebrali superiori (evoluzionisticamente recenti) sarebbero espressione dell’attività delle funzioni inferiori (evoluzionisticamente più antiche) che, non più controllate e rese flessibili dalle superiori, appaiono come automatismi sregolati (Jackson 1884/1958).

Le concezioni evoluzionistiche di Jackson si sono rivelate influenti in psicopatologia per oltre un secolo, e lo sono ancora. Per esempio, il concetto di dissoluzione è stato usato recentemente per comprendere le risposte dissociative ai traumi psicologici (Farina et al. 2015; Meares 1999, 2012) e – classicamente – per distinguere, nella schizofrenia, i sintomi positivi da quelli negativi (Berrios 1985). Tutte queste influenze sulla psicopatologia del pensiero di Jackson sono riconducibili all’attenta considerazione, da parte del neurologo inglese, dell’intreccio continuo di processi che vanno dal basso verso l’alto (bottom-up) e – ricorsivamente – dall’alto verso il basso (top-down) nel complesso sistema gerarchico che l’evoluzione avrebbe progressivamente selezionato nel “costruire” il cervello/mente umano.

L’attività mentale secondo Pierre Janet e Sigmund Freud

Continuando a rivolgere la nostra attenzione alle radici storiche della moderna psicotraumatologia, appare interessante ricordare come una delle principali critiche rivolte da Pierre Janet alla teoria di Freud, riguardante la concezione dei rapporti fra attività mentali coscienti e sub-coscienti (o inconsce, nella teoria psicoanalitica) potrebbe essere meglio apprezzata, nel linguaggio delle neuroscienze contemporanee, proprio considerando la diversa attenzione prestata da parte dei due Autori ai processi top-down e bottom-up. Janet riteneva, nell’ipotizzare la genesi della dissociazione post-traumatica, che si trattasse soprattutto di un processo bottom-up procedente dai livelli inferiori della mente e del cervello verso i livelli superiori (autocoscienza e neocorteccia). Freud, invece, si mostrava più interessato, nella sua teoria psicopatologica, a descrivere i meccanismi che avanzerebbero in senso inverso, top-down (Liotti e Farina 2013). Per Freud erano infatti i livelli superiori della mente, connessi alle funzioni dell’Io, a mettere in atto l’esclusione difensiva dall’auto-coscienza delle emozioni e degli altri contenuti mentali disturbanti, che venivano così a collocarsi in un livello inferiore, inconscio, di attività mentale (Liotti 2014).

Janet affermava che i processi più alti della coscienza umana, cioè quelli più caratterizzati dall’esercizio attivo della volontà e della libertà, si pongono al vertice di una gerarchia di sistemi mentali e cerebrali i cui livelli inferiori risulterebbero di fatto automatici (parlava infatti di automatismi psicologici, Janet 1898). I livelli superiori, che richiedono un’elevata quantità di tensione psicologica (come Janet chiamava l’energia mentale) subirebbero, in altre parole, l’influenza disaggregante dei livelli inferiori, automatici, sottoposti al trauma. Gli effetti di questo fenomeno sarebbero l’esaurimento di quella tensione psicologica necessaria per un efficace funzionamento dell’autocoscienza, e di conseguenza un funzionamento mentale privo di coscienza riflessiva (sub-cosciente), con la comparsa dei diversi automatismi psicologici tipici dei sintomi dissociativi post-traumatici. In altre parole, secondo Janet, i processi mentali legati a memorie traumatiche farebbero emergere gli automatismi mentali normalmente celati dalle funzioni caratterizzanti la coscienza integra cui Janet (1907) attribuiva quelle attività che denominava come sintesi personale (coscienza piena dell’Io), funzione di realtà e presentificazione (in sostanza, la capacità di distinguere il passato dal presente e l’immaginazione dalla realtà).

Riassumendo al massimo, potremmo dire che secondo il sistema gerarchico delle funzioni di coscienza proposto da Janet, la funzione di realtà e la presentificazione costituiscano i livelli superiori, la sintesi personale un livello intermedio, e gli automatismi sub-coscienti i livelli inferiori. L’eccesso di tensione psicologica nei livelli inferiori della gerarchia (di cui l’esempio prototipico sono le emozioni veementi attivate dalle memorie traumatiche) porterebbe così all’esaurimento della tensione anche nei livelli superiori, e quindi all’emergere degli automatismi in uno stato soggettivo di coscienza alterata. Ecco emergere chiaramente, da questa sintesi, l’importanza che Janet attribuiva ai processi bottom-up nella genesi della sintomatologia post- traumatica.

Freud, invece, sottolineava come fossero le funzioni dell’Io a generare le influenze patogene, attraverso l’esclusione difensiva dalla coscienza di impulsi ed emozioni e la formazione dell’Inconscio proprio come conseguenza della rimozione, privilegiando così i processi top-down nello spiegare l’origine dei sintomi (sia quelli legati a memorie di eventi traumatici sia quelli più generali legati a conflitti interiori fra le esigenze dell’Es e quelle del Super-Io).

Il sistema di difesa secondo Stephen Porges

Le ricerche e le teorie attuali proposte dalla psicofisiologia – e applicabili al campo di studi ormai comunemente denominato come psicotraumatologia – sembrerebbero accordarsi maggiormente con la prospettiva di Janet rispetto a quella di Freud. Tra i contributi più importanti della psicofisiologia a questo riguardo citiamo la teoria polivagale (Porges 2011), secondo la quale le reazioni dell’organismo di fronte a eventi che ne minacciano la vita o l’integrità sono regolate da un sistema neurobiologico localizzato nel tronco encefalico che coinvolge le strutture del sistema nervoso vegetativo, e cioè da un lato la rete neurale centrale che controlla il sistema ortosimpatico e dall’altro il nucleo del vago (parasimpatico) con la sua bipartizione (i complessi vagali dorsale e ventrale) (per le implicazioni cliniche della teoria polivagale cfr. anche il capitolo 7, di Gabriella Giovannozzi , in questo stesso volume).

Le ricerche che utilizzano la teoria polivagale suggeriscono che l’attivazione del sistema di difesa dai pericoli ambientali, durante l’esposizione a un evento traumatico e probabilmente anche durante la sua rievocazione nella memoria, potrebbe influenzare proprio “dal basso in alto” le strutture e le funzioni cerebrali superiori (proponendo quindi una visione concorde con quella proposta da Janet) più di quanto queste ultime influenzino il sistema di difesa. Si spiegherebbero forse così, cioè con un’azione bottom-up esercitata dal sistema di difesa dai pericoli ambientali, anche l’ipometabolismo della corteccia frontale durante la rievocazione di memorie traumatiche e l’utilità di molti approcci terapeutici come quelli descritti nei diversi capitoli di questo volume (dall’EMDR, alla mindfulness, alla terapia sensomotoria etc.) che utilizzano grandemente i processi bottom-up, e non solo top-down, nella psicoterapia soprattutto delle reazioni post-traumatiche complesse caratterizzate da quote importanti di dissociazione. In altre parole, l’attivazione del sistema di difesa dai pericoli ambientali – localizzato nel tronco encefalico – eserciterebbe da un lato profondi effetti sull’esperienza corporea (mediata dall’ortosimpatico e dal parasimpatico) e dall’altra genererebbe quella particolare percezione e coscienza di sé – di tipo dissociativo – che si accompagna alle suddette disfunzioni corticali.

Anche queste nuove acquisizioni sembrerebbero confermare l’idea di Janet, secondo il quale la risposta disfunzionale al trauma psicologico, una volta che si sia in presenza di una particolare vulnerabilità del Sistema Nervoso, sia sostanzialmente l’effetto della cosiddetta emozione veemente (che potremmo considerare in sostanza come un’emozione primaria di eccezionale intensità, se preferissimo utilizzare il più moderno linguaggio di Panksepp) sulle funzioni mentali superiori della coscienza. La risposta patologica al trauma psicologico, in altre parole, andrebbe considerata, secondo Janet, come un deficit funzionale della coscienza causato direttamente dalla memoria traumatica. Tale visione diverge profondamente dalla proposta freudiana, secondo il quale la patologia post-traumatica sarebbe invece l’effetto di un’attività difensiva da parte dell’Io, volta a escludere dalla coscienza emozioni e rappresentazioni avvertite come inaccettabili.

Sullo stesso tema, infatti, Janet – parlando delle sue prime osservazioni cliniche (precedenti al 1894) -scriveva: “… il ricordo traumatico non poteva essere espresso durante la veglia e si presentava solo in condizioni particolari in un altro stato psicologico … [uno stato] … di modificazione della coscienza che avevo cercato di descrivere … come subcoscienza per disgregazione [désagrégation] … Questa dissociazione … mi sembrava in relazione con l’esaurimento provocato da cause diverse e in particolare dall’emozione.” (Janet 1923, tr. it. p. 37). Janet, nel contrapporre la propria prospettiva a quella di Freud, usava le seguenti parole: “il Dr Sigmund Freud … considerò come una rimozione quel che io attribuivo a un restringimento della coscienza … ma soprattutto trasformò un’osservazione clinica e un procedimento terapeutico con indicazioni precise e limitate in uno smisurato sistema di filosofia medica.” (Janet 1923, tr. it. p. 38).

La differenza fra l’idea che in persone particolarmente vulnerabili la coscienza possa subire più o meno passivamente una sorta di “esaurimento”, cioè un patologico restringimento delle sue attività (il “sub-cosciente” secondo Janet), come effetto di eventi o di ricordi traumatici, e l’idea secondo la quale si tratti invece di un’attiva operazione mentale di tipo prettamente difensivo nella genesi della dissociazione post-traumatica, appare ancora più chiara se si confrontano le seguenti parole di Freud con quelle appena citate di Janet: “… mi è più volte riuscito di dimostrare che la scissione del contenuto di coscienza è la conseguenza di un atto di volontà del malato, e che cioè essa è indotta da uno sforzo di volontà la cui motivazione è comunque rintracciabile.” (Freud 1894, tr. it. 1968, p. 121).

Liotti (2014) ricorda come la teoria secondo la quale la dissociazione post-traumatica sia una difesa dal dolore mentale (nel senso di un’operazione psichica in qualche modo voluta, anche se inconscia) è stata certamente predominante nel campo della psicotraumatologia, anche oltre l’ambiente psicodinamico. Tuttavia, anche in ambito psicoanalitico sono state espresse alcune importanti perplessità su questa teoria, sia indirettamente (Lyons-Ruth 2008) sia direttamente (Howell 2011, 35-36; Meares 2012, 139-147), su basi sia cliniche sia di ricerca.. Tali perplessità hanno portato ormai diversi psicoanalisti a riflettere sulla possibilità che esista un importante aspetto della dissociazione post-traumatica non inquadrabile come attivamente difensivo, bensì automatico, proprio come riteneva Janet, che almeno si affiancherebbe a quello più tipicamente difensivo ipotizzato da Freud (vedi, per esempio, Craparo 2013). In ambito non psicoanalitico, invece, prospettive teoriche e terapeutiche fondate esplicitamente sulle tesi di Janet molto di più che su quelle di Freud sono facilmente reperibili anche in italiano (solo per citarne alcuni, Liotti e Farina 2011; Ogden, Pain, Fisher 2006a; van der Hart, Nijenhuis, Steele 2006).

I contributi della psicologia sperimentale

Come abbiamo già detto, i risultati di un ormai significativo numero di ricerche sperimentali, sia nell’ambito della psicologia generale, sia delle neuroscienze, sembrano convergere nell’affermare la sostenibilità (se non altro parziale) della tesi janetiana sulla natura primaria – cioè non secondaria a una “volontà” difensiva nel senso inteso da Freud – del restringimento del campo di coscienza come risposta a un trauma psicologico. A tale proposito, possiamo ricordare come l’esperimento effettuato da Horowitz e Telch (2007) abbia fornito risultati sostanzialmente incompatibili con l’idea che gli stati dissociativi (equivalenti al restringimento del campo di coscienza o al sub- cosciente della terminologia janetiana) possano ricoprire una valenza

protettiva nei confronti di esperienze dolorose. I partecipanti all’esperimento di Horowitz e Telch, ai quali veniva indotto uno stato dissociativo mediante una stimolazione pulsante audio-visiva, riportavano una maggiore risposta dolorosa durante l’immersione della mano in acqua ghiacciata rispetto a quelli in uno stato di coscienza più usuale: un risultato assolutamente in contrasto con l’ipotesi che la dissociazione funga da protezione dal dolore. L’unico modo per conciliare questo tipo di risultati con quelli provenienti da altri studi sperimentali, che invece mostrerebbero una certa correlazione fra stati mentali dissociativi e analgesia, consiste nel ricorrere nuovamente a quanto andiamo scoprendo relativamente al sistema cerebrale deputato a gestire le minacce ambientali e il dolore conseguenti a un trauma (Porges 2011). Tale sistema sembrerebbe infatti operare oscillando alternativamente fra una iperattivazione neurovegetativa (l’hyperarousal mediato dall’ortosimpatico), come nell’esperimento di Horowits e Telch, che può amplificare la paura e il dolore, e una ipoattivazione (l’hypoarousal mediato dal vago) che invece può essere correlata all’ottundimento del sensorio e pertanto a una certa analgesia. Entrambe queste modalità operative comportano quel che Janet avrebbe chiamato restringimento del campo di coscienza e abbassamento del livello mentale (Janet 2016).

Possiamo ormai disporre di un certo numero di ricerche, provenienti dal campo di studio delle neuroscienze, che sembrerebbero confermare l’idea che vi sia un diretto e passivo abbassamento del livello mentale generale, più che un’attività difensiva intrapsichica, come risposta a traumi o a ricordi traumatici (per una rassegna, vedi Liotti e Farina 2013). Diversi studi sperimentali hanno infatti mostrato un ipometabolismo, come conseguenza dell’attivazione di ricordi traumatici, nelle stesse zone della corteccia cerebrale deputate sia ad azioni che comportano attivi “sforzi di volontà” da parte dell’Io (secondo la visione di Freud), sia alle funzioni mentali superiori della coscienza. Pertanto, un tale ipometabolismo sembra corrispondere di più alla visione janetiana di un restringimento del campo di coscienza e di un abbassamento del livello mentale generale che non all’idea freudiana di un motivato “sforzo di volontà”, seppur inconscio (Liotti e Farina 2013): come potrebbe infatti uno sforzo di volontà corrispondere a un ipometabolismo proprio in quelle zone corticali del cervello che dovrebbero essere più impegnate negli atti di volontà?

Considerazioni analoghe, relative alla compatibilità tra le tesi di Janet e i risultati delle neuroscienze sperimentali, potrebbero essere avanzate a proposito dei dati provenienti da quelle ricerche che utilizzano, in condizioni patologiche connesse alla dissociazione post-traumatica, la rilevazione dell’attività bioelettrica della corteccia cerebrale al posto dell’indagine di variabili metaboliche. Una di queste ricerche dimostra, attraverso la rilevazione dei potenziali evocati, un deficit nella “sintesi” dell’onda P300, che si presenta normalmente unitaria (Meares 2012), e che invece non riuscirebbe a raggiungere la “sintesi” nelle patologie post-traumatiche, restando quindi sdoppiata nelle sue due componenti (una prevalentemente frontale e una seconda prevalentemente parietale).

In conclusione, ecco quindi che appare se non altro ragionevole affiancare, al tradizionale studio dei processi mentali e degli interventi clinici ascrivibile al campo denominabile come top-down, anche l’indagine dei fenomeni mentali bottom-up e – parallelamente – degli strumenti terapeutici in grado di facilitare cambiamenti “dal basso in alto” delle funzioni mentali di ordine superiore. E’ proprio questo tema che i curatori del presente volume, attraverso i diversi contributi presentati, hanno voluto indagare.


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

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  • Psicoterapia assistita da psichedelici: intervista a Matteo Buonarroti 14 March 2024
  • BRESCIA, FEBBRAIO 2024: DUE ESTRATTI DALLA MASTERCLASS “VERSO UNA NUOVA TERAPIA ESPOSITIVA DI PRECISIONE” 27 February 2024
  • CAPIRE LA DISPNEA PSICOGENA: DA “SENZA FIATO” DI GIORGIO NARDONE 14 February 2024
  • POPMED TALKS 5 February 2024
  • NASCE L’ASSOCIAZIONE COALA (TORINO) 1 February 2024
  • Camilla Stellato: “Diventare genitori” 29 January 2024
  • Offline is the new luxury, un documentario 22 January 2024
  • MARCO ROVELLI, LA POLITICIZZAZIONE DEL DISAGIO PSICHICO E UN PODCAST DI psicologia fenomenologica 10 January 2024
  • La terapia espositiva enterocettiva (per il disturbo di panico) – di Emiliano Toso 8 January 2024
  • INTRODUZIONE A VIKTOR FRANKL 27 December 2023
  • UN APPROFONDIMENTO DI MAURIZIO CECCARELLI SULLA CONCEZIONE NEO-JACKSONIANA DELLE FUNZIONI MENTALI 14 December 2023
  • 3 MODI DI INTENDERE LA DISSOCIAZIONE: DA UN INTERVENTO DI BENEDETTO FARINA 12 December 2023
  • Il burnout oltre i luoghi comuni (DI RICCARDO GERMANI) 23 November 2023
  • TRATTAMENTO INTEGRATO DELL’ANSIA: INTERVISTA A MASSIMO AGNOLETTI ED EMILIANO TOSO 9 November 2023
  • 10 ARTICOLI SUL JOURNALING E SUI BENEFICI DELLO SCRIVERE 6 November 2023
  • UN’INTERVISTA A GIUSEPPE CRAPARO SU PIERRE JANET 30 October 2023
  • CONTRASTARE IL DECADIMENTO COGNITIVO: ALCUNI SPUNTI PRATICI 26 October 2023
  • PTSD (in podcast) 25 October 2023
  • ANIMALI CHE SI DROGANO, DI GIORGIO SAMORINI 12 October 2023
  • VERSO UNA TERAPIA ESPOSITIVA DI PRECISIONE: PREFAZIONE 7 October 2023
  • Congresso Bari SITCC 2023: un REPORT 2 October 2023
  • GLI INCONTRI ORGANIZZATI DA AISTED, Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione 25 September 2023
  • CANNABISCIENZA.IT 22 September 2023
  • TERAPIA ESPOSITIVA (IN PODCAST) 18 September 2023
  • TERAPIA ESPOSITIVA: INTERVISTA A EMILIANO TOSO (PARTE SECONDA) 4 September 2023
  • POPMED: 10 articoli/novità dal mondo della letteratura scientifica in ambito “psi” (ogni 15 giorni) 30 August 2023
  • DIFFUSIONE PATOLOGICA DELL’ATTENZIONE E SUPERFICIALITÀ DIGITALE. UN ESTRATTO DA “PSIQ” di VALERIO ROSSO 23 August 2023
  • LE FRONTIERE DELLA TERAPIA ESPOSITIVA. INTERVISTA A EMILIANO TOSO 12 August 2023
  • NIENTE COME PRIMA, DI MANGIASOGNI 8 August 2023
  • NASCE IL “GRUPPO DI INTERESSE SULLA PSICOPATOLOGIA” DI AISTED (Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione) 26 July 2023
  • Psychedelic Science Conference 2023 – lo stato dell’arte sulle terapie psichedeliche  15 July 2023
  • RENDERE NON NECESSARIA LA DISSOCIAZIONE: DA UN ARTICOLO DI VAN DER HART, STEELE, NIJENHUIS 29 June 2023
  • EMBODIED MINDS: INTERVISTA A SARA CARLETTO 21 June 2023
  • Psychiatry On Line Italia: 10 rubriche da non perdere! 7 June 2023
  • CURARE LA PSICHIATRIA DI ANDREA VALLARINO (INTRODUZIONE) 1 June 2023
  • UN RICORDO DI LUIGI CHIRIATTI, STUDIOSO DI TARANTISMO 30 May 2023
  • PHENOMENAUTICS 20 May 2023
  • 6 MESI DI POPMED, PER TORNARE ALLA FONTE 18 May 2023
  • GLI PSICOFARMACI PER LO STRESS POST TRAUMATICO (PTSD) 8 May 2023
  • ILLUSIONI IPNAGOGICHE, SONNO E PTSD 4 May 2023
  • SI PUÓ DIRE MORTE? INTERVISTA A DAVIDE SISTO 27 April 2023
  • CENTRO SORANZO: INTERVISTA A MAURO SEMENZATO 12 April 2023
  • Laetrodectus, che morde di nascosto 6 April 2023
  • STABILIZZAZIONE E CONFINI: METTERE PALETTI PER REGOLARSI 4 April 2023
  • L’eredità teorica di Giovanni Liotti 31 March 2023
  • “UN RITMO PER L’ANIMA”, TARANTISMO E DINTORNI 7 March 2023
  • SUICIDIO: SPUNTI DAL LAVORO DI MAURIZIO POMPILI E EDWIN SHNEIDMAN 9 January 2023
  • SUPERHERO THERAPY. INTERVISTA A MARTINA MIGLIORE 5 December 2022
  • Allucinazioni nel trauma e nella psicosi. Un confronto psicopatologico 26 November 2022
  • FUGA DI CERVELLI 15 November 2022
  • PSICOTERAPIA DELL’ANSIA: ALCUNI SPUNTI 7 November 2022
  • LA Q DI QOMPLOTTO 25 October 2022
  • POPMED: UN ESEMPIO DI NEWSLETTER 12 October 2022
  • INTERVISTA A MAURO BOLOGNA, PRESIDENTE SIPNEI 10 October 2022
  • IL “MANUALE DELLE TECNICHE PSICOLOGICHE” DI BERNARDO PAOLI ED ENRICO PARPAGLIONE 6 October 2022
  • POPMED, UNA NEWSLETTER DI AGGIORNAMENTO IN AREA “PSI”. PER TORNARE ALLA FONTE 30 September 2022
  • IL CONVEGNO SIPNEI DEL 1 E 2 OTTOBRE 2022 (FIRENZE): “LA PNEI NELLA CLINICA” 20 September 2022
  • LA TEORIA SULLA NASCITA DEL PENSIERO DI WILFRED BION 1 September 2022
  • NEUROFEEDBACK: INTERVISTA A SILVIA FOIS 10 August 2022
  • La depressione come auto-competizione fallimentare. Alcuni spunti da “La società della stanchezza” di Byung Chul Han 27 July 2022
  • SCOPRIRE LA SIPNEI. INTERVISTA A FRANCESCO BOTTACCIOLI 6 July 2022
  • PERFEZIONISMO: INTERVISTA A VERONICA CAVALLETTI (CENTRO TAGES ONLUS) 6 June 2022
  • AFFRONTARE IL DISTURBO DISSOCIATIVO DELL’IDENTITÁ 28 May 2022
  • GARBAGE IN, GARBAGE OUT.  INTERVISTA FIUME A ZIO HACK 21 May 2022
  • PTSD: ALCUNE SLIDE IN FREE DOWNLOAD 10 May 2022
  • MANAGEMENT DELL’INSONNIA 3 May 2022
  • “IL LAVORO NON TI AMA”: UN PODCAST SULLA HUSTLE CULTURE 27 April 2022
  • “QUI E ORA” DI RONALD SIEGEL. IL LIBRO PERFETTO PER INTRODURSI ALLA MINDFULNESS 20 April 2022
  • Considerazioni sul trattamento di bambini e adolescenti traumatizzati 11 April 2022
  • IL COLLASSO DEL CONTESTO NELLA PSICOTERAPIA ONLINE 31 March 2022
  • L’APPROCCIO “OPEN DIALOGUE”. INTERVISTA A RAFFAELLA POCOBELLO (CNR) 25 March 2022
  • IL CORPO, IL PANICO E UNA CORRETTA DIAGNOSI DIFFERENZIALE: INTERVISTA AD ANDREA VALLARINO 21 March 2022
  • RECENSIONE: L’EREDITÁ DI BION (A CURA DI ANTONIO CIOCCA) 20 March 2022
  • GLI PSICHEDELICI COME STRUMENTO TRANSDIAGNOSTICO DI CURA, IL MODELLO BIPARTITO DELLA SEROTONINA E L’INFLUENZA DELLA PSICOANALISI 7 March 2022
  • FOTOTERAPIA: JUDY WEISER e il lavoro con il lutto 1 March 2022
  • PLACEBO E DOLORE: IL POTERE DELLA MENTE (da un articolo di Fabrizio Benedetti) 14 February 2022
  • INTERVISTA A RICCARDO CASSIANI INGONI: “Metodo T.R.E.®” E TECNICHE BOTTOM-UP PER L’APPROCCIO AL PTSD 3 February 2022
  • SPIDER, CRONENBERG 26 January 2022
  • LE TEORIE BOTTOM-UP NELLA PSICOTERAPIA DEL POST-TRAUMA (di Antonio Onofri e Giovanni Liotti) 17 January 2022
  • 24 MESI DI PSICOTERAPIA ONLINE 10 January 2022
  • LA TOSSICODIPENDENZA COME TENTATIVO DI AMMINISTRARE LA SINDROME POST-TRAUMATICA 7 January 2022
  • La Supervisione strategica nei contesti clinici (Il lavoro di gruppo con i professionisti della salute e la soluzione dei problemi nella clinica) 4 January 2022
  • PSICHEDELICI: LA SCIENZA DIETRO L’APP “LUMINATE” 21 December 2021
  • ASYLUMS DI ERVING GOFFMAN, PER PUNTI 14 December 2021
  • LA SINDROME DI ASPERGER IN BREVE 7 December 2021
  • IL CONVEGNO DI SAN DIEGO SULLA PSICOTERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI (marzo 2022) 2 December 2021
  • PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA E DEEP BRAIN REORIENTING. INTERVISTA A PAOLO RICCI (AISTED) 29 November 2021
  • INTERVISTA A SIMONE CHELI (ASSOCIAZIONE TAGES ONLUS) 25 November 2021
  • TRAUMA: IMPOSTAZIONE DEL PIANO DI CURA E PRIMO COLLOQUIO 16 November 2021
  • TEORIA POLIVAGALE E LAVORO CON I BAMBINI 9 November 2021
  • INTRODUZIONE A BYUNG-CHUL HAN: IL PROFUMO DEL TEMPO 3 November 2021
  • IT (STEPHEN KING) 27 October 2021
  • JUDITH LEWIS HERMAN: “GUARIRE DAL TRAUMA” 22 October 2021
  • ANCORA SU PIERRE JANET 15 October 2021
  • PSICONUTRIZIONE: IL LAVORO DI FELICE JACKA 3 October 2021
  • MEGLIO MALE ACCOMPAGNATI CHE SOLI: LE STRATEGIE DI CONTROLLO IN INFANZIA (PTSDc) 30 September 2021
  • OVERLOAD COGNITIVO ED ECOLOGIA MENTALE 21 September 2021
  • UN LUOGO SICURO 17 September 2021
  • 3MDR: UNO STRUMENTO SPERIMENTALE PER COMBATTERE IL PTSD 13 September 2021
  • UN LIBRO PER L’ESTATE: “COME ANNOIARSI MEGLIO” DI PIETRO MINTO 6 August 2021
  • “I fondamenti emotivi della personalità”, JAAK PANKSEPP: TAKEAWAYS E RECENSIONE 3 August 2021
  • LIFESTYLE PSYCHIATRY 28 July 2021
  • LE DIVERSE FORME DI SINTOMO DISSOCIATIVO 26 July 2021
  • PRIMO LEVI, LA CARCERAZIONE E IL TRAUMA 19 July 2021
  • “IL PICCOLO PARANOICO” DI BERNARDO PAOLI. PARANOIA, AMBIVALENZA E MODELLO STRATEGICO 14 July 2021
  • RECENSIONE PER PUNTI DI “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE” 8 July 2021
  • I VIRUS: IL LORO RUOLO NELLE MALATTIE NEURODEGENERATIVE 7 July 2021
  • LA PLUSDOTAZIONE SPIEGATA IN BREVE 1 July 2021
  • COS’É LA COGNITIVE PROCESSING THERAPY? 24 June 2021
  • SULLA TERAPIA ESPOSITIVA PER I DISTURBI FOBICI: IL MODELLO DI APPRENDIMENTO INIBITORIO DI MICHELLE CRASKE 19 June 2021
  • É USCITO IL SECONDO EBOOK PRODOTTO DA AISTED 15 June 2021
  • La psicologia fenomenologica nelle comunità terapeutiche -con il blog Psicologia Fenomenologica. 7 June 2021
  • PSICHIATRIA DI COMUNITÁ: LA SCELTA DI UN METODO 31 May 2021
  • PTSD E SPAZIO PERIPERSONALE: DA UN ARTICOLO DI DANIELA RABELLINO ET AL. 26 May 2021
  • CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA: UN CONVEGNO ONLINE CON VALERIO ROSSO, MARCO CREPALDI, LUCA PROIETTI, BERNARDO PAOLI, GENNARO ROMAGNOLI 22 May 2021
  • MDMA PER IL PTSD: NUOVE EVIDENZE 21 May 2021
  • MAP (MULTIPLE ACCESS PSYCHOTHERAPY): IL MODELLO DI PSICOTERAPIA AD APPROCCI COMBINATI CON ACCESSO MULTIPLO DI FABIO VEGLIA 18 May 2021
  • CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA: UN CONVEGNO GRATUITO ONLINE (21 MAGGIO) 13 May 2021
  • BALBUZIE: COME USCIRNE (il metodo PSICODIZIONE) 10 May 2021
  • PANICO: INTERVISTA AD ANDREA IENGO (PANICO.HELP) 7 May 2021
  • Psicologia digitale e pandemia COVID19: il report del Centro Medico Santagostino di Milano dall’European Conference on Digital Psychology (ECDP) 4 May 2021
  • SOLCARE IL MARE ALL’INSAPUTA DEL CIELO. Liberalizzare come terapia: il problema dell’autocontrollo in clinica 30 April 2021
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO” 25 April 2021
  • La psicologia fenomenologica nelle comunità terapeutiche 25 April 2021
  • 3 STRUMENTI CONTRO IL TRAUMA (IN BREVE): TAVOLA DISSOCIATIVA, DISSOCIAZIONE VK E CAMBIO DI STORIA 23 April 2021
  • IL MALADAPTIVE DAYDREAMING SPIEGATO PER PUNTI 17 April 2021
  • UN VIDEO PER CAPIRE LA DISSOCIAZIONE 12 April 2021
  • CORRELATI MORFOLOGICI E FUNZIONALI DELL’EMDR: UNA PANORAMICA SULLA NEUROBIOLOGIA DEL TRATTAMENTO DEL PTSD 4 April 2021
  • TRAUMA E DISSOCIAZIONE IN ETÁ EVOLUTIVA: (VIDEO)INTERVISTA AD ANNALISA DI LUCA 1 April 2021
  • GLI EFFETTI POLARIZZANTI DELLA BOLLA INFORMATIVA. INTERVISTA A NICOLA ZAMPERINI DEL BLOG “DISOBBEDIENZE” 30 March 2021
  • SVILUPPARE IL PENSIERO LATERALE (EDWARD DE BONO) – RECENSIONE 24 March 2021
  • MDMA PER IL POST-TRAUMA: BEN SESSA E ALTRI RIFERIMENTI IN RETE 22 March 2021
  • 8 LIBRI FONDAMENTALI SU TRAUMA E DISSOCIAZIONE 14 March 2021
  • VIDEOINTERVISTA A CATERINA BOSSA: LAVORARE CON IL TRAUMA 7 March 2021
  • PRIMO SOCCORSO PSICOLOGICO E INTERVENTO PERI-TRAUMATICO: IL LAVORO DI ALAIN BRUNET ED ESSAM DAOD 2 March 2021
  • “SHARED LIVES” NEL REGNO UNITO: FORME DI PSICHIATRIA D’AVANGUARDIA 25 February 2021
  • IL TRAUMA (PTSD) NEGLI ANIMALI (PARTE 1) 21 February 2021
  • FLOW: una definizione 15 February 2021
  • NEUROBIOLOGIA DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO (PTSD) 8 February 2021
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE (SECONDA PARTE): FINE PENA MAI 3 February 2021
  • INTERVISTA A COSTANZO FRAU: DISSOCIAZIONE, TRAUMA, CLINICA 1 February 2021
  • LO SPETTRO IMPULSIVO COMPULSIVO. I DISTURBI OSSESSIVO COMPULSIVI SONO DISTURBI DA ADDICTION? 25 January 2021
  • ANATOMIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (E PSICOTERAPIA) 15 January 2021
  • LA STRANGE SITUATION IN BREVE e IL TRAUMA COMPLESSO 11 January 2021
  • GIORNALISMO = ENTERTAINMENT 6 January 2021
  • SIMBOLIZZARE IL TRAUMA: IL RUOLO DELL’ATTO ARTISTICO 2 January 2021
  • PSICHIATRIA: IL MODELLO DE-ISTITUZIONALIZZANTE DI GEEL, BELGIO (The Openbaar Psychiatrisch Zorgcentrum) 28 December 2020
  • STABILIZZARE I SINTOMI POST TRAUMATICI: ALCUNI ASPETTI PRATICI 18 December 2020
  • Psicoterapia breve strategica del Disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Intervista ad Andrea Vallarino e Luca Proietti 14 December 2020
  • CRONOFAGIA DI DAVIDE MAZZOCCO: CONTRO IL FURTO DEL TEMPO 10 December 2020
  • PODCAST: SPECIALIZZAZIONE IN PSICHIATRIA E CLINICA A CHICAGO, con Matteo Respino 8 December 2020
  • COME GESTIRE UNA DIPENDENZA? 4 PIANI DI INTERVENTO 3 December 2020
  • INTRODUZIONE A JAAK PANKSEPP 28 November 2020
  • INTERVISTA A DANIELA RABELLINO: LAVORARE CON RUTH LANIUS E NEUROBIOLOGIA DEL TRAUMA 20 November 2020
  • MDMA PER IL TRAUMA: VIDEOINTERVISTA A ELLIOT MARSEILLE (A CURA DI JONAS DI GREGORIO) 16 November 2020
  • PSICHIATRIA E CINEMA: I CINQUE MUST-SEE (a cura di Laura Salvai, Psychofilm) 12 November 2020
  • STRESS POST TRAUMATICO: una definizione e alcuni link di approfondimento 7 November 2020
  • SCOPRIRE IL FOREST BATHING 2 November 2020
  • IL TRAUMA COME APPRENDIMENTO A PROVA SINGOLA (ONE TRIAL LEARNING) 28 October 2020
  • IL PANICO COME ROTTURA (RAPPRESENTATA) DI UN ATTACCAMENTO? da un articolo di Francesetti et al. 24 October 2020
  • LE PENSIONI DEGLI PSICOLOGI: INTERVISTA A LORENA FERRERO 21 October 2020
  • INTERVISTA A JONAS DI GREGORIO: IL RINASCIMENTO PSICHEDELICO 18 October 2020
  • IL RITORNO (MASOCHISTICO?) AL TRAUMA. Intervista a Rossella Valdrè 13 October 2020
  • ASCESA E CADUTA DEI COMPETENTI: RADICAL CHOC DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA 6 October 2020
  • L’EMDR: QUANDO USARLO E CON QUALI DISTURBI 30 September 2020
  • FACEBOOK IS THE NEW TOBACCO. Perchè guardare “The Social Dilemma” su Netflix 28 September 2020
  • SPORT, RILASSAMENTO, PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA: oltre la parola per lo stress post traumatico 21 September 2020
  • IL MODELLO TRIESTINO, UN’ECCELLENZA ITALIANA. Intervista a Maria Grazia Cogliati Dezza e recensione del docufilm “La città che cura” 15 September 2020
  • IL RITORNO DEL RIMOSSO. Videointervista a Luigi Chiriatti su tarantismo e neotarantismo 10 September 2020
  • FARE PSICOTERAPIA VIAGGIANDO: VIDEOINTERVISTA A BERNARDO PAOLI 2 September 2020
  • SUL MERCATO DELLA DOPAMINA: INTERVISTA A VALERIO ROSSO 31 August 2020
  • TARANTISMO: 9 LINK UTILI 27 August 2020
  • FRANCESCO DE RAHO SUL TARANTISMO, tra superstizione e scienza 26 August 2020
  • ATTACCHI DI PANICO: IL MODELLO SUL CONTROLLO 7 August 2020
  • SHELL SHOCK E PRIMA GUERRA MONDIALE: APPORTI VIDEO 31 July 2020
  • LA LUNA, I FALÒ, ANGUILLA: un romanzo sulla melanconia 27 July 2020
  • VIDEOINTERVISTA A FERNANDO ESPI FORCEN: LAVORARE COME PSICHIATRA A CHICAGO 20 July 2020
  • ALCUNI ESTRATTI DALLA RUBRICA “GROUNDING” (PDF) 14 July 2020
  • STRESS POST TRAUMATICO: IL MODELLO A CASCATA. Da un articolo di Ruth Lanius 10 July 2020
  • OTTO KERNBERG SUGLI OBIETTIVI DI UNA PSICOANALISI: DA UNA VIDEOINTERVISTA 3 July 2020
  • SONNO, STRESS E TRAUMA 27 June 2020
  • Il SAFE AND SOUND PROTOCOL, UNO STRUMENTO REGOLATIVO. Videointervista a GABRIELE EINAUDI 23 June 2020
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  • STRESS, RESILIENZA, ADATTAMENTO, TRAUMA – Alcune definizioni per creare una mappa clinicamente efficace 5 June 2020
  • DA “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE”: COS’É LA NEUROCEZIONE 3 June 2020
  • AUTO-TRADIRSI. UNA DEFINIZIONE DI MORAL INJURY 28 May 2020
  • BASAGLIA RACCONTA IL COVID 26 May 2020
  • FONDAMENTI DI PSICOTERAPIA: LA FINESTRA DI TOLLERANZA DI DANIEL SIEGEL 20 May 2020
  • L’EBOOK AISTED: “AFFRONTARE IL TRAUMA PSICHICO: il post-emergenza.” 18 May 2020
  • NOI, ESSERI UMANI POST- PANDEMICI 14 May 2020
  • PUNTI A FAVORE E PUNTI CONTRO “CHANGE” di P. Watzlawick, J.H. Weakland e R. Fisch 9 May 2020
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  • SULL’IMMOBILITÀ TONICA NEGLI ANIMALI. Alcuni spunti da “IPNOSI ANIMALE, IMMOBILITÁ TONICA E BASI BIOLOGICHE DI TRAUMA E DISSOCIAZIONE” 30 April 2020
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  • LO STATO DELL’ARTE INTORNO ALLA DIMENSIONE SOCIALE DELLA MEMORIA: SUL MODO IN CUI SI E’ ARRIVATI ALLA CREAZIONE DEL CONCETTO DI RICORDO CONGIUNTO E SU QUANTO LA VITA RELAZIONALE INFLUENZI I PROCESSI DI SVILUPPO DELLA MEMORIA 25 April 2020
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  • AGGIUNGERE LEGNA PER SPEGNERE IL FUOCO. TERAPIA BREVE STRATEGICA E DISTURBI FOBICI 17 April 2020
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  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.3 10 April 2020
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.2 – MODELLO ITALIANO E MODELLO SVIZZERO A CONFRONTO, CON OMAR TIMOTHY KHACHOUF! 6 April 2020
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  • 10 ANNI DI E.J.O.P: DOVE SIAMO? 31 March 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.2 27 March 2020
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  • NELLE CORNA DEL BUE LUNARE: IL LAVORO DI LIDIA DUTTO 16 March 2020
  • LA COLPA NEL DOC: LA MENTE OSSESSIVA DI FRANCESCO MANCINI 12 March 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.1 6 March 2020
  • PREFAZIONE DI “PTSD: CHE FARE?”, a cura di Alessia Tomba 5 March 2020
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO”: EP.1 – FERNANDO ESPI FORCEN 29 February 2020
  • NERVATURE TRAUMATICHE E PREDISPOSIZIONE AL PTSD 13 February 2020
  • RIMOZIONE E DISSOCIAZIONE: FREUD E PIERRE JANET 3 February 2020
  • TEORIA DEI SISTEMI COMPLESSI E PSICOPATOLOGIA: DENNY BORSBOOM 17 January 2020
  • LA CULTURA DELL’INDAGINE: IL MASTER IN TERAPIA DI COMUNITÀ DEL PORTO 15 January 2020
  • IMPATTO DELL’ESERCIZIO FISICO SUL PTSD: UNA REVIEW E UN PROGRAMMA DI ALLENAMENTO 30 December 2019
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IL BLOG

Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

A CURA DI:

  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
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