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Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in psichiatria e psicoterapia

21 March 2022

IL CORPO, IL PANICO E UNA CORRETTA DIAGNOSI DIFFERENZIALE: INTERVISTA AD ANDREA VALLARINO

di Andrea Vallarino, Raffaele Avico


PER UNA CORRETTA DIAGNOSI DIFFERENZIALE (a cura di Andrea Vallarino)

La sindrome da attacchi di panico rappresenta la via finale di diverse condizioni patologiche.

Le fobie, i disturbi ossessivi, i disturbi ossessivi compulsivi, le paranoie, ma anche i disturbi alimentari come il vomiting, molto spesso, hanno come sintomatologia principale o di accompagnamento o come evento finale del percorso patogeno l’attacco di panico. Questo pone quindi molti problemi di diagnosi differenziale, complicati anche dal fatto che, nel gergo comune, l’attacco di panico ha preso il posto del cosiddetto esaurimento nervoso ed anche della depressione. I pazienti, anni fa, si presentavano dicendo che soffrivano da tempo di un “po’ di esaurimento nervoso”, o più recentemente si presentavano parlando di depressione; ora l’attacco di panico è il modo prevalente da parte dei pazienti di presentare i propri disagi.
Occorre quindi fare molta attenzione a discriminare i segnali di patologia dei pazienti, anche perché la logica dei vari disturbi che possono presentare panico è molto differente da problema e problema; e la logica della patologia è quella che deve guidare la logica della terapia.Per fare questo in terapia strategica diventa fondamentale individuare il Sistema Percettivo Reattivo della persona da cui parte la patologia.
Il Sistema Percettivo Reattivo è appunto un sistema ridondante di relazione tra la sensazione di base della persona e le soluzioni per gestirla. Nel caso ad esempio del panico tra la sensazione della paura e le soluzioni di gestione della paura che nel caso del panico sono il controllo che fa perdere il controllo, creando un circolo vizioso tra la paura e il tentativo di controllarla, creando ancora più paura che verrà ancora di più controllata in modo rigido, creando ancora più paura fuori controllo, con reazioni legate al panico contraddistinte da sudorazione fredda, tremore alle gambe, tachicardia, dispnea, senso di depersonalizzazione.
Di fronte ad un attacco di panico sperimentato dalla persona una prima volta, ci può essere la tentata soluzione dell’evitamento costante delle situazioni in cui si potrebbe ricreare il panico. La tentata soluzione prevalente diventa l’evitamento oppure l’affrontare la situazione con l’aiuto di un “angelo custode”: la moglie, il fidanzato, una figura costante di riferimento. Evitamento e richiesta di aiuti diventano le tentate soluzioni che configurano la patologia come una fobia pura. Molto spesso in queste persone l’attacco di panico resta uno solo, il primo ed unico. Con le tentate soluzioni dell’evitamento e dell’aiuto non sperimentano altri attacchi, ma costruiscono una vita sempre più ritirata e bloccata. Queste situazioni di fobia pura sono ormai delle rarità, in quanto la società e la patomorfosi delle sindromi psichiatriche è andata e va sempre più verso la soluzione del controllo.
La reazione verso il primo attacco di panico diventa quindi il controllo delle reazioni del panico. La persona non è tanto spaventata dalla paura di una situazione ma si spaventa per le sue stesse reazioni. La tachicardia, la dispnea, il tremore alle gambe, la sudorazione fredda diventano oggetto di controllo rigido talvolta in via preventiva, scatenando quello che definiamo il controllo che fa perdere il controllo. Controllando il cuore, la respirazione, la sudorazione ottengono in modo paradossale di alterare queste fondamentali reazioni altrimenti fisiologiche. Come dire che l’attacco di panico se lo portano da casa e lo mettono paradossalmente nelle situazioni percepite come paurose. Il controllo paradossalmente produce la perdita di controllo. In questo caso si produce un patologia che definiamo fobico ossessiva, laddove all’evitamento descritto prima si aggiunge il controllo oppure anche ossessivo fobica laddove il controllo reiterato nel tempo conduce ad un successivo incremento delle perdite di controllo tale per cui la persona in seguito arriverà ad evitare le situazioni percepite come pericolose.
Queste due situazioni sono le classiche situazione che descrivono la sindrome da attacco di panico, che però interviene anche in altre sindromi governate da altri sistemi percettivi reattivi.
É il caso dei disturbi ossessivi compulsivi che si caratterizzano per la presenza di rituali compulsivi. Pensiamo ai rituali di pulizia o a quelli scaramantici propiziatori o preventivi o di controllo come quelli di ripetere costantemente azioni per verificare di averle fatte bene. Il controllo dei rubinetti del gas per controllare che siano bene chiusi, la chiusura di porte e finestre ripetute ossessivamente che precludono una normale esistenza per le continue perdite di tempo causate dall’invasività dei rituali. Molto spesso, al termine di un esaurimento psicofisico legato al logorio causato dalle ritualità, può comparire l’attacco di panico. In questo caso il lavoro va fatto sui rituali e sulla credenza che sostiene i rituali. L’attacco di panico viene risolto in questo caso in maniera indiretta.
Similmente occorre lavorare se il panico è legato ad una paranoia. La paranoia, come la compulsione è legata ad un controllo, ma non è il controllo che fa perdere il controllo del classico attacco di panico, un controllo che fa ottenere qualcosa di meno. É il controllo dell’incontrollabile che crea un qualcosa di più, un nemico. Si pensi alla paranoia di gelosia in cui il marito, contrariamente alla realtà, è convinto che la moglie lo tradisca. Comincerà a cercar i segni del tradimento e li troverà anche in dettagli di nessuna importanza, comincerà a chiedere conto alla moglie dei movimenti e delle azioni producendo nella moglie l’idea di dover nascondere al marito anche le più innocenti azioni, confermando al marito che la moglie è reticente e che quindi gli sta nascondendo qualcosa. Il controllo dell’incontrollabile. Nessuna persona altra da noi è da noi controllabile al cento per cento, per cui qualunque controllo produrrà un qualcosa di inaspettato: un nemico. Il controllo produce qualcosa in più: la credenza di avere un nemico, un nemico a sua insaputa, che non vuole essere nemico, ma che noi consideriamo tale, una costruzione paranoica che creerà paura e panico, ma con una logica di credenza, diversa dalla logica dell’evitamento fobico e dal controllo ossessivo che fa perdere il controllo.
Queste distinzioni, che appaiono sottili, sono importanti perché guidano in modo chirurgico la terapia seguendo logiche differenti.
Nel caso degli evitamenti fobici occorrerà bloccare la tentata soluzione dell’evitamento attraverso ristrutturazioni che creeranno percezioni differenti che a cascata creeranno azioni differenti. Si dovrà mettere la paura dell’evitamento al posto della paura della situazione.
Nel caso del controllo del reazioni della paura che paradossalmente creano il panico si dovrà usare un contro-paradosso.
Nel caso dei rituali ossessivi compulsivi o della paranoia si dovrà con gradualità rompere la credenza del controllo perfetto o del nemico da combattere.
Nel caso dei disordini alimentari, in particolare il vomiting sia compulsivo che isterico, oltre alle tentate soluzioni cambia anche la sensazione di base che non è più la paura, ma il piacere e si dovrà lavorare in terapia per costruire piaceri normali al posto di piaceri perversi come appunto il mangiare per poi vomitare.


IL PANICO E IL CONTROLLO

In questa puntata del podcast del Foglio Psichiatrico, abbiamo chiesto alcuni chiarimenti ad Andrea Vallarino a proposito del tema del panico e a riguardo del tema del controllo.

Il problema del panico, così come delle altre tipologie di disturbo che Vallarino cita nel corso della conversazione, riguarda anche il rapporto con il proprio corpo, come ben sottolineato nelle parole sopra riportate di Andrea Vallarino.

Facciamo alcuni chiarimenti riassuntivi a riguardo di diverse problematiche:

  • Nel panico, a seguito di un attacco di forte ansia iniziale, il soggetto comincia a controllare ossessivamente il corpo e i suoi segnali, per scongiurare un successivo attacco. L’attenzione si rivolge in questo modo verso l’interno, in modo costante, nel tentativo di “controllare” reazioni in realtà spontanee del corpo (diventando per questo un “controllo che fa perdere il controllo”, come su questo blog abbiamo già approfondito)
  • nell’ipocondria, il soggetto vive ogni segnale proveniente dal corpo come un “prodromo”, un segnale cioè indicativo di un disturbo di gravità molto maggiore che starebbe per accadere
  • nel disturbo post-traumatico, il corpo diviene il teatro delle ripercussioni post-traumatiche, con molteplici livelli di compromissione, compresi cambi posturali, disturbi da iper-attivazione protratta e altri

In questi casi i problemi di natura psicologica trovano nel corpo il loro terreno di sviluppo.

In particolare nel panico e nell’ipocondria, l’aspetto centrale risulta essere il rapporto con il proprio corpo, la mente focalizzata costantemente sul corpo e il grado di controllo che su questo il soggetto intenda esercitare. Come abbiamo altrove approfondito, sono la memoria dell’evento e il controllo stesso (nel panico) e la credenza di essere destinati a sviluppare malattie gravi (nell’ipocondria) a mantenere in vita il problema.

Il risultato finale è, da parte del soggetto, il vivere in una realtà sempre più piccola, limitata dal “problema” onnipresente e pervasivo nella mente, estremamente invalidante.

Nel caso della terapia del disturbo di panico si giova di molteplici strumenti di intervento:

  1. l’abbandono del controllo e gli strumenti mutuati dalla terapia strategica e dalla psicoterapia CBT
  2. le tecniche comportamentali con funzione di doppio compito in grado di distrarre il paziente dallo stesso pensiero del panico, e insieme naturalmente calmanti, come la respirazione lenta
  3. la terapia espositiva: fare “come se” il problema non esistesse e fare quindi cose che fino a poco prima sembravano impossibili, così da creare dei precedenti positivi in grado di aumentare per il soggetto la fiducia nelle sue stesse possibilità di azione
  4. farmaci somministrati con diversi razionali clinici (tra cui anche l’effetto placebo)

Il rapporto con il rischio e con l’idea della morte rappresenta un elemento ulteriore da tenere in considerazione, dato che introiettare una quota di fatalismo e accettare il rischio rappresenta spesso un movimento liberatorio, sbloccante

Qui altro in collaborazione con Andrea Vallarino sui temi “controllo” e “panico”.

Qui l’intervista ad Andrea Vallarino, buon ascolto!

https://www.spreaker.com/user/psychiatryonlinepodcast/intervista-ad-andrea-vallarino

Article by admin / Formazione / interviste, panico, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale

7 May 2021

PANICO: INTERVISTA AD ANDREA IENGO (PANICO.HELP)

di Raffaele Avico

Su questo blog abbiamo già parlato di panico, facendo riferimento al modello sul controllo.

Abbiamo inoltre approfondito un articolo sulla concettualizzazione del panico inteso come di “momento di rottura (rappresentata) di un attaccamento”.

Il disturbo di panico è conseguente ai primi, pseudocasuali attacchi di panico reali: la persona rimane incastrata nella paura di ritornare ad aver paura, e la cosa può andare avanti per molto tempo.

Il disturbo di panico non coincide dunque con il panico, ma si crea in conseguenza all’aver vissuto uno o più attacchi di panico “veri” nella fase iniziale del disturbo.

In tutto questo, come si accennava, il problema del controllo è centrale. Si tratta in questi casi di un controllo che fa perdere il controllo.

Abbiamo a proposito di questi temi intervistato Andrea Iengo, curatore del servizio Panico.help, su alcuni aspetti generali e di terapia inerenti il disturbo di panico.

Quindi seguito l’intervista:

  1. Andrea, cos’è un attacco di panico? Si può manifestare in diverse forme?
    L’attacco di panico è una reazione psico-fisiologica, cioè una reazione fisica, molto forte, attivata dalla mente. Potremmo definirlo come una sorta di ‘corto circuito’ tra mente e corpo, in cui la mente cerca di controllare le reazioni del corpo, ad esempio le reazioni di paura (tachicardia, sudorazione, respirazione, tensione muscolare), e più ci prova più queste vanno fuori controllo, aumentando quindi la paura stessa, in un circolo vizioso che termina nella ‘scarica’ corporea dell’attacco di panico.
    Da manuale esistono alcune caratteristiche che devono presentare gli attacchi di panico per potersi dire tali, ma è importante sottolineare come, moltissime persone che soffrono di un disturbo da attacchi di panico, dopo aver avuto un primo attacco di panico in gioventù, abbiano strutturato la propria vita per evitare gli attacchi di panico per paura di poterne avere nuovamente uno. Queste sono situazioni in cui, anche se tecnicamente non sono presenti attacchi di panico, osserviamo condizioni di vita che sono pesantemente compromesse da questa paura.
    Attenzione: parlando di attacchi di panico è importante differenziare le situazioni in cui ci troviamo davanti ad un ‘panico primario‘ e quando invece il panico è un sintomo ‘secondario’  di un altro disturbo.
    Un esempio che ho incontrato piuttosto di frequente sono i disturbi ossessivo compulsivi con attacchi di panico, in cui il paziente, quando non riesce ad eseguire correttamente le proprie compulsioni finisce con l’avere degli attacchi di panico. Situazioni analoghe possono sussistere anche con i dubbi ossessivi (vedi ad esempio il DOC da relazione). Un’altra condizione frequente negli attacchi di panico è la preoccupazione per le malattie, molto di frequente quelle cardiache.
    Esistono diverse forme in cui possono manifestarsi gli attacchi di panico, nella definizione del DSM-5 un attacco di panico si presenta come un periodo preciso di intensi paura o disagio, durante il quale quattro (o più) dei seguenti sintomi si sono sviluppati improvvisamente ed hanno raggiunto il picco nel giro di 10 minuti:

    1. palpitazioni, cardiopalmo, o tachicardia
    2. sudorazione
    3. tremori fini o a grandi scosse
    4. dispnea o sensazione di soffocamento
    5. sensazione di asfissia (mancanza d’aria)
    6. dolore o fastidio al petto
    7. nausea o disturbi addominali
    8. parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio)
    9. brividi o vampate di calore.
    10. sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento
    11. derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da sé stessi)
    12. paura di perdere il controllo o di impazzire
  2. Andrea, in che modo il problema del controllo si collega al problema del panico?
    Il panico è l’esasperazione del tentativo di controllare le proprie sensazioni fino ad arrivare ad una situazione in cui queste sensazioni corporee siamo noi stessi ad alimentarle. È quindi proprio il controllo ad essere alla base del panico.
  3. Andrea, solitamente quali sono i passaggi con cui il ddp si struttura?
    Parliamo qui degli attacchi di panico ‘primari’ poichè quelli legati ad altri disturbi vanno inquadrati a partire dal disturbo principale per poter essere compresi.
    Si stima che l’13,2% della popolazione generale abbia avuto almeno un attacco di panico nel corso della propria vita, ma di questi solo il 12,8% soddisfa i criteri del DSM-5 per un disturbo da attacchi di panico (1). Che cosa fanno di diverso le persone che non sviluppano un disturbo rispetto a chi lo sviluppa? In base alla mia esperienza la differenza principale tra queste due categorie di persone è la spiegazione che danno a quell’evento. Chi trova una spiegazione non patologizzante a quell’evento (ad esempio “forse avrò mangiato una cosa che mi ha fatto male”) tenderà a dimenticarsi dell’accaduto dopo pochi giorni e non svilupperà alcun disturbo, chi invece troverà una spiegazione ‘patologizzante’ (“mi sono sentito male perchè ero in uno spazio aperto, quindi sono agorafobico”) tenderà a sviluppare un disturbo.
    Ricordo il caso di un giovane paziente che si è rivolto a me dopo qualche mese dal suo primo attacco di panico. In quell’occasione era scaturito probabilmente da un abuso di alcool (e forse altro) ad una festa, da quel momento in poi si era interrogato tantissimo su quella situazione e aveva letto su internet che gli attacchi di panico sono spesso legati alla paura di prendere i mezzi pubblici (ricordiamo che a lui era accaduto ad una festa, nulla a che vedere con mezzi pubblici). In seguito a questa sua interpretazione degli eventi aveva iniziato a sviluppare quindi un evitamento e successivamente una vera e propria fobia per i mezzi pubblici.
    Quindi, tornando alla domanda, un disturbo da panico si struttura solitamente secondo questa scaletta:

    1. Primo episodio di panico
    2. Analisi delle possibili cause
    3. Evitamento delle situazioni che potrebbero causarlo
    4. Strutturazione di una vita basata su evitamenti e richieste di aiuto
    5. Questo porta all’aumento della paura e alla riduzione sempre maggiore dei propri margini di movimento
    6. Esistono ovviamente situazioni in cui il meccanismo principale non è l’evitamento, e la persona affronta comunque le situazioni, stando però molto male ed organizzandosi in modo da prendere precauzioni di vario genere o chiedendo aiuto a delle altre persone, che queste siano o meno consapevoli del problema.
    7. Anche questi comportamenti contribuiscono alla cronicizzazione del disturbo.
  4. Andrea, quali sono le linee guida più autorevoli al momento pubblicate, per il suo trattamento?
    Le linee guida internazionali per il trattamento degli attacchi di panico prevedono l’utilizzo di terapia espositiva, in cui i pazienti vengono messi di fronte agli stimoli che provocano attacchi di panico, e la terapia cognitivo comportamentale, in cui invece si insegna al paziente a riconoscere e controllare i propri pensieri distorti (2). Purtroppo però alcune categorie di pazienti abbandonano questi tipo di terapia perché non riescono a reggere l’impatto emotivo delle esposizioni oppure dichiarano di sapere bene che quei pensieri sono distorti, ma di non riuscire a fare altrimenti. Negli ultimi 30 anni presso il Centro di terapia strategica di Arezzo è stato sviluppato e sperimentato un protocollo per il trattamento degli attacchi di panico che mira a superare le criticità della terapia dell’esposizione e della terapia cognitivo comportamentale, nello specifico si parte dal presupposto che per ottenere dei risultati in terapia è prima di tutto necessario minimizzare le resistenze del paziente, che altrimenti non seguirà affatto le indicazioni. Per questo le esposizioni e le spiegazioni razionali vengono utilizzate solo dopo aver fatto toccare con mano alla persona il fatto che, con l’utilizzo di tecniche specifiche, è in grado di controllare i suoi attacchi di panico. Si parte quindi prima dall’esperienza diretta, per poi spiegare alla persona come usare quell’esperienza per superare il proprio problema (3).
  5. Andrea, andando sul tuo lavoro, quali prassi hai trovato più utili e soprattutto efficaci?
    Nello specifico mi occupo di terapia breve strategica online, per cui parlerò di questa modalità di intervento. La tecnica sicuramente più efficace che abbia sperimentato nel trattamento degli attacchi di panico è quella della peggiore fantasia, che consiste nel chiedere alla persona di evocare volontariamente le cose che la spaventano di più per ottenere l’effetto paradossale che più provano ad evocarle meno ci riescono. So bene che questa tecnica sembri ‘incredibile’ nel senso che si fa fatica a credere che funzioni, e ammetto di essere stato anche io fortemente scettico nei confronti di questa metodologia finchè non ho avuto modo di verificare in prima persona quanto effettivamente fosse efficace. Un altro aspetto che non bisogna, a mio avviso, mai sottovalutare per il trattamento del disturbo da attacchi di panico, è il coinvolgimento familiare: molto spesso la famiglia convivente è fortemente condizionata da questo disturbo e, sebbene non ce ne si renda conto, contribuisce ad alimentarlo. Nello specifico le due dinamiche più dannose che si mettono in atto sono quelle del parlare continuamente del problema e quella di accorrere in aiuto sostituendosi alla persona che soffre di panico. Così facendo infatti il disturbo diventa completamente invalidante in poco tempo. Per questo motivo trovo molto utile coinvolgere i familiari, anche direttamente, nelle prime fasi del trattamento, per accordarci su delle modalità più corrette di gestione del problema.
  6. Andrea, hai qualche film, documentario o libro da suggerire?
    Il libro che suggerisco di leggere a chi soffre di questo disturbo è
    La terapia degli attacchi di panico: Liberi per sempre dalla paura patologica di Giorgio Nardone.

NOTE

  1. De Jonge, P., Roest, A. M., Lim, C. C., Florescu, S. E., Bromet, E. J., Stein, D. J., … & Scott, K. M. (2016). Cross‐national epidemiology of panic disorder and panic attacks in the world mental health surveys. Depression and anxiety, 33(12), 1155-1177.
  2. https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-psichiatrici/ ansia-e-disturbi-correlati-allo-stress/attacchi-di-panico-e-disturbo-di-panico
  3.  Nardone, G. (2016). La terapia degli attacchi di panico: Liberi per sempre dalla paura patologica. Ponte alle Grazie.

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Article by admin / Formazione / andreaiengo, interviste, panico, psicotraumatologia, raffaeleavico

24 October 2020

IL PANICO COME ROTTURA (RAPPRESENTATA) DI UN ATTACCAMENTO? da un articolo di Francesetti et al.

 
di Raffaele Avico

PARTE 1
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Siamo abituati a pensare al panico come a un evento improvviso che interviene nella vita di un individuo, per lo più caratterizzato da ricadute corporee: lo conosciamo a partire dai suoi sintomi fisici (fame d’aria, senso di soffocamento, tachicardia, sudorazione); sappiamo che tentare di controllarlo nel suo esprimersi, conduce spesso al fallimento o addirittura a un peggioramento del sintomo stesso.
Sappiamo inoltre che il panico accade poche volte, realmente, nella vita di un individuo: il disturbo che ne consegue, il disturbo di panico, è una cosa differente e riguarda la paura che il panico si ripresenti: si genera una paura della paura, che rappresenta il disturbo vero e proprio.
Il soggetto, spesso, diviene un attento osservatore del proprio corpo: ogni spasmo, ogni segnale anomalo viene interpretato come possibile segnale di un ritorno del panico originario, creando grandi effetti di evitamento, richieste di rassicurazione nei confronti dell’ambiente circostante, controllo -appunto (si veda per un approfondimento sul tema controllo questo lavoro fatto con Luca Proietti e Andrea Vallarino).
Non è ben chiaro quale sia la causa primeva del panico, ma esistono alcune letture più interessanti di altre.
Questo articolo molto recente di Francesetti et al (2020), tenta di mettere insieme le neuroscienze affettive di Panksepp alla teoria dell’esperienza soggettiva di taglio gestaltico/fenomenologico.
Seguendo questa chiave di lettura, il panico accade in ragione di un senso enorme di rottura relazionale rappresentata dal soggetto.
Gli autori osservano come il panico si presenti spesso, per la prima volta, durante una fase di transizione del soggetto verso livelli più “alti” di autonomia. La sua comparsa, si colloca quasi sempre prima dei 35 anni, anni di sperimentazione e allontanamento progressivo dagli ambienti relazionalmente protetti dell’infanzia.
Inoltre, osservano come il panico possa essere interpretato come un senso di sovra-esposizione dell’individuo al mondo circostante, senza una mediazione relazionale percepita come presente.
Vediamo meglio il contenuto dell’articolo, per punti:
  1. l’episodio di panico non è spiegabile come un episodio di paura: la paura viene anzi vissuta come reazione a una prima violenta sensazione di impazzimento/isolamento: è dunque, la paura, un’emozione secondaria, che viene dopo
  2. in questa tipologia di problematica, diviene centrale per il soggetto la questione dell’interocezione. L’interocezione è la consapevolezza del proprio corpo, una sguardo d’insieme che l’individuo fa sul suo stesso stato corporeo, minuto dopo minuto, divenendo questo un lavoro continuo e ininterrotto di auto-osservazione
  3. gli autori osservano come il problema centrale del panico, seguendo questa lettura, sarebbe l’incapacità di metabolizzare i segnali del corpo, di ricondurli cioè a qualcosa che abbia a che fare con un vissuto emotivo o relazionale. Questi pazienti, in effetti, sono molto concentrati sul funzionamento del loro corpo, come se dal buon funzionamento di quest’ultimo dipendesse l’intero loro funzionare in termini generali: manca in modo clamoroso l’idea che i segnali del corpo possano essere una conseguenza -e non la causa– degli stati emotivi da loro sperimentati in alcuni frangenti
  4. gli autori propongono di leggere il panico come una reazione estrema da ansia da separazione non riconosciuta: si tratterebbe di considerare questi episodi come causati da rotture (anche solo ipotizzate o immaginate) di legami di attaccamento importanti, cosa che produrrebbe un senso di iper-esposizione della persona al mondo, non più mediata da una o più persone che facciano da “scudo”. Nel mito, lo stesso Pan fu abbandonato, bambino, in una foresta (sovra-esposto quindi all’ambiente, in modo non mediato)
  5. In senso più “neuro”, Panksepp ha osservato l’esistenza di due sistemi di allarme:1) un allarme incentrato sulla paura e connesso alla presenza di una minaccia percepita nell’ambiente (la fear response) -amigdala, ippocampo, sostanza grigia periacqueduttale- e, 2) un allarme incentrato sulla separazione, mediato da parti differenti del cervello profondo (qui un approfondimento), in grado di alterare il funzionamento del corpo in modo modo simile a ciò che succede durante il panico (alterazione del respiro, ritmo cardiaco, sensibilità al dolore) -cosa che farebbe immaginare il panico più come una reazione parossistica appunto da separazione, più che non come una reazione di paura. Questa ipotesi sarebbe anche coerente con l’ipotesi polivagale di Porges (si veda questo articolo).
In definitiva, questo articolo parte da aspetti fenomenologici, incrociandoli a dati neuroscientifici per lo più centrati sul lavoro di Panksepp, per proporre una lettura del panico come di un evento vissuto in solitaria, ma avente una radice relazionale.
Il panico sarebbe, in quest’ottica, un enactment, un passaggio all’atto, una reazione patologica di fronte a un vissuto prima di tutto relazionale. Andrebbe quindi trattato, in terapia, come tale.
In relazione a questo, un aspetto interessante, ulteriore, presente in questo articolo, è una lettura ipotetica del panico per modelli cognitivi: si tratterebbe -il panico- del risultato di un momento di conflitto tra due tendenze opposte: una spinta alla separazione/allontanamento da una o più figure affettivamente rilevanti, e un bisogno profondo di sentirne la vicinanza. Gli autori sottolineano nuovamente come il panico si presenti -a loro dire non casualmente – in seno a momenti di vita evolutivamente importanti (momenti di svincolo, lunghi viaggi) con al centro il tema di una possibile rottura relazionale.
Il panico, passa così dall’essere accostato all’emozione della paura, all’essere considerato figlio di altre due esperienze umane, quella della separazione e quella della solitudine (percepita intollerabile di fronte a un mondo inospitale/freddo).

PARTE 2

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Usando il modello liottiano (qui approfondito in area Patreon) come potremmo interpretare un lettura del panico di questo tipo? Abbiamo visto come seguendo questo modello il panico accade perchè viene immaginata, supposta una rottura relazionale profonda, uno stato di sovra-esposizione all’ambiente. É importante sottolineare che rottura relazionale non va intesa qui in senso letterale: non è un rapporto specifico che si va qui a supporre in crisi (per esempio il mio rapporto con mia madre), ma un assetto relazionale, un sentirsi in connessione con figure significative che garantiscono protezione e calore. Per questo, come prima si accennava, il panico potrebbe essere interpretato come una manifestazione estrema di ansia da separazione.
Liotti, come qua abbiamo approfondito, ha speso molta energia nel tentare di comprendere come un individuo si comporti, lungo la crescita, nel contesto di un ambiente traumatico. Un esempio di sviluppo traumatico, è per esempio un contesto in cui un bambino cresca a fianco di una madre con tratti borderline non regolati, con violenti sbalzi d’umore, aggressività verbale e corporea, violazioni di confine.
Liotti, nel suo Sviluppi traumatici scritto con Benedetto Farina, ha osservato la presenza di strategie di controllo funzionali a permettere al bambino la conservazione, il mantenimento di un legame di attaccamento, “a tutti i costi”.
Nel corso nello sviluppo, l’obiettivo per un bambino è infatti mantenere il legame a ogni costo, anche in una condizione di trauma protratto in corso: meglio male accompagnati, che soli.
Per fare questo, dovrà, come abbiamo accennato, mettere in atto delle strategie che gli/le consentano di salvaguardare il legame, anche quando la figura di attaccamento sia una figura abusante/traumatizzante.
Le strategia di controllo gli/le consentiranno dunque di garantirsi protezione all’interno di in un legame di attaccamento, anche quando tutto sembrerebbe spingere perchè questo legame si rompa.
In questo senso, possiamo dire che il fallimento delle strategie controllanti, porta il bambino alla percezione della natura disorganizzata dell’attaccamento in sè, esponendolo a un mondo relazionale profondamento disturbante, e al tempo stesso privandolo del senso di protezione garantito da un rapporto “normalizzato” con la figura di riferimento.
Provando a collegare dunque questa questione con la teoria sul panico espressa nell’articolo di Francesetti, potremmo considerare il panico come un momento di fallimento di una strategia controllante.
Immaginiamo una vignetta clinica:
Francesca, cresciuta a fianco di un padre ciclotimico e alcolista, trovò nel contro-accudimento una strategia di controllo che le consentì di crescere al suo fianco, all’interno di un rapporto di qualità accettabile, caratterizzato da scontri frequenti ma caldo in senso affettivo. Dopo i 30 anni, svincolatasi dal nucleo familiare di origine, mantenne come modalità interpersonale dominante, l’accudimento: tendeva a porsi in modo accudente all’interno dei rapporti creati con partner e amici. Questa strategia di controllo interpersonale -sviluppata in famiglia e portata fuori- si mostrò, nel tempo, insostenibile in termini di prostrazione energetica, con attacchi di ansia quando sotto stress, e un primo attacco di panico avvenuto a 32 anni in occasione del suo trasferimento all’estero, sperimentato con un enorme senso di isolamento relazionale.
Come leggere un attacco di panico di questo tipo?
Se teniamo a mente il modello sul panico prima esposto di Francesetti, e la teoria di Liotti, possiamo leggere il panico di Francesca come un momento di scarsa tenuta delle strategie controllanti da lei messe in atto: esposta a un movimento di “svincolo”, verso un livello di autonomia maggiore, slegata da rapporti intra-familiari che garantissero paradossalmente la tenuta e l’utilità, il senso delle strategie controllanti stesse, Francesca subisce un momento di “rottura relazionale” rappresentata, il senso di non essere connessa a nessuno sul pianeta, in concomitanza- appunto- con l’attacco di panico.
Se torniamo con la mente al mito di Pan, immaginiamo il senso di esposizione terrorizzante del Pan bambino abbandonato dalla madre in un bosco, in quanto deforme (Pan era mezzo uomo, mezzo capra): il disturbo di panico lo potremo osservare, di nuovo, come una sovra-esposizione angosciante al mondo, un’eclissi momentanea dei riferimenti affettivi, il senso di non avere nessuna figura che faccia da mediatore tra noi e il mondo “fuori”.

Ps tutto il materiale su trauma e dissociazione presente su questo blog è consultabile cliccando sul bottone a inizio pagina (o dal menù a tendina) #TRAUMA.

Article by admin / Formazione / panico, psicoanalisi, psicologia, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia, raffaeleavico

7 August 2020

ATTACCHI DI PANICO: IL MODELLO SUL CONTROLLO

di Raffaele Avico

Abbiamo qui sul Foglio Psichiatrico approfondito alcuni aspetti del problema degli attacchi di panico.

L’attacco di panico potrebbe essere definito in modo generico come un attacco di “ansia parossistica”, dove per parossistica intendiamo “estrema”, “estremamente intensa”, “esasperata”.

Un attacco di panico, per essere tale, deve avere una durata limitata nel tempo, non superiore ai 10 minuti. Si presenta accompagnato da sintomi fisici molto marcati e riconoscibili (palpitazione, irrequietezza crescente che diventa intollerabile, accelerazione del respiro) e da una sensazione di perdita di controllo sulla propria stabilità psichica, come si dovesse impazzire, o collassare, o morire.

L’attacco di panico viene quasi sempre vissuto in modo traumatico, e rimane per lungo tempo nella memoria di chi lo abbia sperimentato, rendendolo/a sospettoso e “guardingo” a riguardo di tutto ciò che lo possa innescare o annunciare.

Il diagramma di flusso che potrebbe genericamente riassumere il crearsi di un disturbo di panico (quindi non solo l’attacco stesso, ma tutto ciò che ne consegue dopo), è:

  1. per cause da indagare (ma a volte in modo casuale) viene sperimentato per la prima volta il panico
  2. il ricordo del panico rimane vivido nella mente del soggetto: il soggetto fuoriesce dall’attacco di panico estremamente spaventato
  3. si innesta un comportamento di controllo su due piani: il piano dei contenuti di pensiero, e il piano dei sintomi fisici
  4. il soggetto diventa un attentissimo osservatore dei suoi stessi contenuti di pensiero, e dello stato interno del suo corpo; la consapevolezza a riguardo di ciò che succede “dentro” e “nel corpo” subisce una forte accelerata, rendendo l’individuo altamente sensibile al tema, facilmente suscettibile quando se ne parli,”triggerato” (cioè “attivato”) da qualsiasi indizio possa rievocare, anche alla lontana, il problema dell’attacco di panico stesso
  5. il soggetto mette in atto comportamenti di controllo ed evitamento: tenterà cioè di controllare il flusso del suo stesso pensiero, cercando di normalizzarlo, e allo stesso tempo il procedere fisiologico del suo corpo, sempre allertato a riguardo dell’emergere di possibili “indizi di pericolo”
  6. l’evitamento, allontana l’individuo da luoghi/persone/atmosfere o esperienze
  7. il controllo, irrigidisce il soggetto su una posizione di “preoccupazione” costante; inoltre, è frequentemente sperimentato un senso di “distacco” dal momento presente, all’emergere dell’allarme: il soggetto è assorbito dal rash di allarme, accede al mondo dei pensieri, si focalizza sul funzionamento del suo corpo tentando di bloccarne ogni deviazione dalla norma; di fatto viene tentato un controllo sul sistema nervoso autonomo, impossibile per definizione
  8. il controllo ossessivo risulta fallimentare, alimentato da una sovra-interpretazione di ogni singolo micro-segnale dal corpo ricondotto al tema “panico”: aumenta così l’ansia, verso nuovo panico

Come si osserva spesso, un vero attacco di panico è presente magari una o due volte nella vita di un soggetto: tutto il “dopo”, sarà il disturbo, la paura che il panico stesso si ripresenti.

Il tema del controllo, come si nota, è qui centrale.

Ne abbiamo già scritto qui, intervistando Andrea Vallarino a proposito del “controllo che fa perdere il controllo”: Vallarino chiarisce molto bene (nel video che riportiamo sotto) come il tema sia quello di contrastare il controllo, di fatto “ammorbidendo” la potenza espressa nell’individuo nell’osservarsi.

Rendiamoci conto che il problema del panico è un problema mantenuto da un sovrapporsi progressivo di distorsioni cognitive: è, di fatto, un problema originatosi per via cognitiva.

Leggere un problema di questo tipo attraverso le emozioni non ha senso se non entro due aspetti:

  1. a riguardo della paura sperimentata
  2. a riguardo di ciò che “scatenò” il primo attacco, nel caso in cui se ne volessero indagare i retroscena, che tuttavia a volte sono casuali, non sempre sviscerabili; in ogni caso non serve necessariamente, come altrove abbiamo scritto, capire il “perchè”: in questi casi è più importante capire il “come” questo problema viene mantenuto

Il problema del controllo è purtroppo rintracciabile in altre situazioni.

L’impressione è che vi siano più livelli di pensiero, sovrapposti: un primo livello, “naturale”, con cui l’individuo riflette e pensa secondo il suo proprio stile, così come ha sempre fatto; un secondo livello, sovrastrutturale, allo stesso tempo in grado di operare un controllo feroce sulla forma del pensiero del primo livello, operando un giudizio di valore sulla qualità di quest’ultimo.

A seconda poi del responso formulato in seguito a questa operazioni di controllo e giudizio, l’individuo potrà sperimentare un aumento o un rilascio della tensione.

In ogni caso, il controllo manifesta il suo potenziale “distruttivo” quando riesce a interferire con meccanismi fisiologici che necessiterebbero di spontaneità e “istinto”, come durante un atto sessuale.

Osserviamo in questi casi quanto il subentro del controllo (come il voler controllare la tenuta di un’erezione durante un atto sessuale) riesca in realtà a produrre cali di performance, spegnimento del desiderio, impossibilità di vivere il momento presente.

Oppure, viene spesso fatto notare come per un insonne, il voler controllare il momento dell’addormentamento sia in grado di interferire sul naturale “scivolare” nel sonno stesso da parte del “controllore”, a conferma di come l’accanirsi della nostra volontà di controllo su processi fisiologici regolati da meccanismi “autonomi” rischi quasi sempre di peggiorare la situazione.

Tornando al tema degli attacchi di panico, è più che probabile che il raggiungere una posizione di “accettazione” di ciò che succede dentro la mente e nel corpo, lasciando per così dire che il corpo e la mente si “esprimano” come devono, conduca l’individuo a liberarsi dal problema.

Il risolvere un problema del genere, infine, viene spesso percepito dal soggetto come una “liberazione”, come se la “sovrastruttura” di pensieri prima citata venisse implicitamente considerata un parassita “esterno”, alieno a sè, oppure una gabbia in qualche modo auto-eretta nel tempo.

Sempre sul panico, per approfondire, si veda questo articolo.

Article by admin / Formazione / neuroscienze, panico, psichiatria, psicoanalisi, psicologia, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale, raffaeleavico

11 June 2020

IL CONTROLLO CHE FA PERDERE IL CONTROLLO: UNA VIDEOINTERVISTA AD ANDREA VALLARINO SUL DISTURBO DI PANICO

di Raffaele Avico, Luca Proietti

In questa video intervista fatta ad Andrea Vallarino, vengono approfonditi alcuni aspetti della clinica del disturbo di panico. Il disturbo di panico è un disturbo che si struttura a seguito di uno o più episodi di “ansia parossistica” (cioè l’attacco di panico in sè, che ha durata limitata nel tempo –circa 10 minuti come qui approfondito dal nostro collega Andrea Iengo– ma ha profonde ripercussioni sulla vita dell’individuo).

Il disturbo di panico è una “paura della paura” che si protrae nel tempo, anche per anni a seguito anche solo di un singolo episodio di panico.

La psicoterapia breve strategica (che trova il suo epicentro culturale nel Centro di Psicoterapia Breve e Strategica di Arezzo, intorno alla figura di Giorgio Nardone, “maestro” dello stesso Vallarino qui intervistato) per trattare questo tipo di problema usa modalità e strumenti innovativi, che consentono una presa in carico rapida e spesso una remissione veloce di questo tipo di sintomo.

La scuole di psicoterapia strategica ha trovato un folto numero di detrattori (soprattutto tra le schiere degli psicoanalisti ortodossi) convinti che, prendendo in carico un problema attraverso questo tipo di approccio, si escluderebbero dalla “scena” psichica dell’individuo importanti elementi di indagine come le memorie infantili, l’inconscio, lo stile di attaccamento.

Il fatto che manchino evidenze solide in termini di ricerca in ambito di Psicoterapia Breve Strategica è, ai fatti, un dato reale. Abbiamo in precedenza approfondito alcuni aspetti teorici dell’approccio, recensendo Change.

Il problema grosso, nei disturbi di panico e negli attacchi di panico, sembra essere il comprenderne la causa. Qui le diverse scuole lanciano ipotesi esplicative (dal ritorno di materiale rimosso alle cadute “identitarie” o “di appartenenza” in ambito psicoanalitico, a un disturbo sperimentato in concomitanza con un’interruzione immaginata di un attaccamento, per la CBT): purtroppo nessuna di queste scuole è in grado di spiegarne in maniera convincente una causa unica. Supporre un evento rimosso o immaginare una “rottura dell’attaccamento” rappresentata dal soggetto, sembra più una narrazione costruita a posteriori per dare senso a un evento casuale, che non una spiegazione realistica costruita su basi teoriche solide: sposta il problema su qualcosa di lontano ed esterno, come una sorta di proiezione. Sembra cioè una rappresentazione fatta per il terapeuta, poco utile al paziente. Tante, raffinate spiegazioni sui meccanismi causali, sembrano convergere su un unico problema centrale: del panico, se ne possono comprendere le manifestazioni quando questo sia già avvenuto. Ma sul perchè si presenti, su cosa l’abbia indotto, resta un punto interrogativo.

La psicoterapia strategica sposta quindi il problema non tanto sul come si originò, ma su come, nel momento presente, questo venga mantenuto. Dal perchè, quindi, al come. Vallarino parla in questa intervista di un evento “casuale”, di fatto slegato dal passato o da elementi costituenti del soggetto. Non tutti i soggetti infatti colpiti da panico, sono individui con un passato difficile, o con deficit metacognitivi. Anzi: spesso sono individui con grandi capacità intellettive e portati al ragionamento introspettivo.

In questa intervista, Vallarino ragiona sul disturbo di panico, aprendo con una riflessione sulle tentate soluzioni messe in atto dal paziente nel tentativo, iniziale, di auto-gestirsi il problema.

Le tentate soluzioni, sono 3:

  1. evitamento (di tutto ciò che abbia a che fare con il disturbo, i luoghi, le atmosfere che lo possano riportare alla memoria del soggetto con il rischio che il panico riaccada)
  2. la creazione di “angeli custodi” che consentano al soggetto di fare cose solo se accompagnato
  3. il controllare il pensiero e il corpo. Sul controllo abbiamo scritto un approfondimento qui.

Il controllo, come vedremo nell’intervista, è il punto centrale intorno al quale si struttura il disturbo di panico.

Al di là della causa unica che sta dietro al primo attacco di panico (qualcuno è in grado di trovarla?), quello che sembrerebbe risultare problematico in questa sindrome, è l’affaticamento vissuto dal soggetto colpito dal panico, nel periodo successivo al suo presentarsi. Un affaticamento giunto nel tentativo di controllare ogni manifestazione naturale non solo del pensiero, ma anche del corpo. Questi soggetti, sembrano diventare infatti perfetti ascoltatori del loro corpo, e gonfiare a dismisura le proprie competenze meta-cognitive, nel tentativo di controllare il loro stesso pensiero, così scongiurando -in teoria- il presentarsi di un nuovo attacco di panico.

Nella videointervista a Vallarino, vengono inoltre discussi altri punti intorno a questo tema:

  1. il panico può essere considerato un evento traumatico, e il disturbo di panico uno stress post-traumatico?
  2. cos’è la causalità circolare?
  3. cos’è il paradosso e perchè in questi casi si dovrebbe intervenire in modo contro-paradossale?
  4. le tecniche di rilassamento funzionano per il disturbo di panico?
  5. esistono psicofarmaci efficaci per il disturbo di panico?
  6. dove approfondire in termini bibliografici e sitografici?

Un ultimo punto da sottolineare su questi aspetti, è il tema del paradosso. Il disturbo di panico, infatti, sembra rispondere a una logica paradossale: più cerco di controllare, più perdo controllo. Sembra infatti, in questo caso, un “controllo che fa perdere il controllo”. Per rompere questo circolo vizioso, il soggetto dovrebbe quindi tentare di abbandonare il controllo, operando quello che Vallarino chiama azione contro-paradossale.

Il tema del paradosso, pur sfuggente, sembra essere estremamente pertinente in psicologia clinica. La mente sembra, nell’ambito di alcuni disturbi più che in altri -per esempio il disturbo di panico appunto, o alcune forme di DOC- avvitarsi in gabbie logiche di difficile risoluzione. Il disturbo di panico, in particolar modo, sembra seguire questa logica paradossale. Per approfondire.

Qui di seguito il video:


Ps tutto il materiale su trauma e dissociazione presente su questo blog è consultabile cliccando sul bottone a inizio pagina (o dal menù a tendina) #TRAUMA.

 

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  • CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA: UN CONVEGNO GRATUITO ONLINE (21 MAGGIO) 13 May 2021
  • BALBUZIE: COME USCIRNE (il metodo PSICODIZIONE) 10 May 2021
  • PANICO: INTERVISTA AD ANDREA IENGO (PANICO.HELP) 7 May 2021
  • Psicologia digitale e pandemia COVID19: il report del Centro Medico Santagostino di Milano dall’European Conference on Digital Psychology (ECDP) 4 May 2021
  • SOLCARE IL MARE ALL’INSAPUTA DEL CIELO. Liberalizzare come terapia: il problema dell’autocontrollo in clinica 30 April 2021
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO” 25 April 2021
  • La psicologia fenomenologica nelle comunità terapeutiche 25 April 2021
  • 3 STRUMENTI CONTRO IL TRAUMA (IN BREVE): TAVOLA DISSOCIATIVA, DISSOCIAZIONE VK E CAMBIO DI STORIA 23 April 2021
  • IL MALADAPTIVE DAYDREAMING SPIEGATO PER PUNTI 17 April 2021
  • UN VIDEO PER CAPIRE LA DISSOCIAZIONE 12 April 2021
  • CORRELATI MORFOLOGICI E FUNZIONALI DELL’EMDR: UNA PANORAMICA SULLA NEUROBIOLOGIA DEL TRATTAMENTO DEL PTSD 4 April 2021
  • TRAUMA E DISSOCIAZIONE IN ETÁ EVOLUTIVA: (VIDEO)INTERVISTA AD ANNALISA DI LUCA 1 April 2021
  • GLI EFFETTI POLARIZZANTI DELLA BOLLA INFORMATIVA. INTERVISTA A NICOLA ZAMPERINI DEL BLOG “DISOBBEDIENZE” 30 March 2021
  • SVILUPPARE IL PENSIERO LATERALE (EDWARD DE BONO) – RECENSIONE 24 March 2021
  • MDMA PER IL POST-TRAUMA: BEN SESSA E ALTRI RIFERIMENTI IN RETE 22 March 2021
  • 8 LIBRI FONDAMENTALI SU TRAUMA E DISSOCIAZIONE 14 March 2021
  • VIDEOINTERVISTA A CATERINA BOSSA: LAVORARE CON IL TRAUMA 7 March 2021
  • PRIMO SOCCORSO PSICOLOGICO E INTERVENTO PERI-TRAUMATICO: IL LAVORO DI ALAIN BRUNET ED ESSAM DAOD 2 March 2021
  • “SHARED LIVES” NEL REGNO UNITO: FORME DI PSICHIATRIA D’AVANGUARDIA 25 February 2021
  • IL TRAUMA (PTSD) NEGLI ANIMALI (PARTE 1) 21 February 2021
  • FLOW: una definizione 15 February 2021
  • NEUROBIOLOGIA DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO (PTSD) 8 February 2021
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE (SECONDA PARTE): FINE PENA MAI 3 February 2021
  • INTERVISTA A COSTANZO FRAU: DISSOCIAZIONE, TRAUMA, CLINICA 1 February 2021
  • LO SPETTRO IMPULSIVO COMPULSIVO. I DISTURBI OSSESSIVO COMPULSIVI SONO DISTURBI DA ADDICTION? 25 January 2021
  • ANATOMIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (E PSICOTERAPIA) 15 January 2021
  • LA STRANGE SITUATION IN BREVE e IL TRAUMA COMPLESSO 11 January 2021
  • GIORNALISMO = ENTERTAINMENT 6 January 2021
  • SIMBOLIZZARE IL TRAUMA: IL RUOLO DELL’ATTO ARTISTICO 2 January 2021
  • PSICHIATRIA: IL MODELLO DE-ISTITUZIONALIZZANTE DI GEEL, BELGIO (The Openbaar Psychiatrisch Zorgcentrum) 28 December 2020
  • STABILIZZARE I SINTOMI POST TRAUMATICI: ALCUNI ASPETTI PRATICI 18 December 2020
  • Psicoterapia breve strategica del Disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Intervista ad Andrea Vallarino e Luca Proietti 14 December 2020
  • CRONOFAGIA DI DAVIDE MAZZOCCO: CONTRO IL FURTO DEL TEMPO 10 December 2020
  • PODCAST: SPECIALIZZAZIONE IN PSICHIATRIA E CLINICA A CHICAGO, con Matteo Respino 8 December 2020
  • COME GESTIRE UNA DIPENDENZA? 4 PIANI DI INTERVENTO 3 December 2020
  • INTRODUZIONE A JAAK PANKSEPP 28 November 2020
  • INTERVISTA A DANIELA RABELLINO: LAVORARE CON RUTH LANIUS E NEUROBIOLOGIA DEL TRAUMA 20 November 2020
  • MDMA PER IL TRAUMA: VIDEOINTERVISTA A ELLIOT MARSEILLE (A CURA DI JONAS DI GREGORIO) 16 November 2020
  • PSICHIATRIA E CINEMA: I CINQUE MUST-SEE (a cura di Laura Salvai, Psychofilm) 12 November 2020
  • STRESS POST TRAUMATICO: una definizione e alcuni link di approfondimento 7 November 2020
  • SCOPRIRE IL FOREST BATHING 2 November 2020
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  • LE PENSIONI DEGLI PSICOLOGI: INTERVISTA A LORENA FERRERO 21 October 2020
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  • IL RITORNO (MASOCHISTICO?) AL TRAUMA. Intervista a Rossella Valdrè 13 October 2020
  • ASCESA E CADUTA DEI COMPETENTI: RADICAL CHOC DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA 6 October 2020
  • L’EMDR: QUANDO USARLO E CON QUALI DISTURBI 30 September 2020
  • FACEBOOK IS THE NEW TOBACCO. Perchè guardare “The Social Dilemma” su Netflix 28 September 2020
  • SPORT, RILASSAMENTO, PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA: oltre la parola per lo stress post traumatico 21 September 2020
  • IL MODELLO TRIESTINO, UN’ECCELLENZA ITALIANA. Intervista a Maria Grazia Cogliati Dezza e recensione del docufilm “La città che cura” 15 September 2020
  • IL RITORNO DEL RIMOSSO. Videointervista a Luigi Chiriatti su tarantismo e neotarantismo 10 September 2020
  • FARE PSICOTERAPIA VIAGGIANDO: VIDEOINTERVISTA A BERNARDO PAOLI 2 September 2020
  • SUL MERCATO DELLA DOPAMINA: INTERVISTA A VALERIO ROSSO 31 August 2020
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  • ATTACCHI DI PANICO: IL MODELLO SUL CONTROLLO 7 August 2020
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  • VIDEOINTERVISTA A FERNANDO ESPI FORCEN: LAVORARE COME PSICHIATRA A CHICAGO 20 July 2020
  • ALCUNI ESTRATTI DALLA RUBRICA “GROUNDING” (PDF) 14 July 2020
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  • OTTO KERNBERG SUGLI OBIETTIVI DI UNA PSICOANALISI: DA UNA VIDEOINTERVISTA 3 July 2020
  • SONNO, STRESS E TRAUMA 27 June 2020
  • Il SAFE AND SOUND PROTOCOL, UNO STRUMENTO REGOLATIVO. Videointervista a GABRIELE EINAUDI 23 June 2020
  • IL CONTROLLO CHE FA PERDERE IL CONTROLLO: UNA VIDEOINTERVISTA AD ANDREA VALLARINO SUL DISTURBO DI PANICO 11 June 2020
  • STRESS, RESILIENZA, ADATTAMENTO, TRAUMA – Alcune definizioni per creare una mappa clinicamente efficace 5 June 2020
  • DA “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE”: COS’É LA NEUROCEZIONE 3 June 2020
  • AUTO-TRADIRSI. UNA DEFINIZIONE DI MORAL INJURY 28 May 2020
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  • L’EBOOK AISTED: “AFFRONTARE IL TRAUMA PSICHICO: il post-emergenza.” 18 May 2020
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  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.2 27 March 2020
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE: RISTRETTI.IT 25 March 2020
  • NELLE CORNA DEL BUE LUNARE: IL LAVORO DI LIDIA DUTTO 16 March 2020
  • LA COLPA NEL DOC: LA MENTE OSSESSIVA DI FRANCESCO MANCINI 12 March 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.1 6 March 2020
  • PREFAZIONE DI “PTSD: CHE FARE?”, a cura di Alessia Tomba 5 March 2020
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO”: EP.1 – FERNANDO ESPI FORCEN 29 February 2020
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  • TEORIA DEI SISTEMI COMPLESSI E PSICOPATOLOGIA: DENNY BORSBOOM 17 January 2020
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IL BLOG

Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

A CURA DI:

  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
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