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Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in psichiatria e psicoterapia

8 May 2024

INVITO A BION

di Redazione POPMed

Abbiamo scritto in precedenza su Bion, psicoanalista di provenienza indiana e naturalizzato inglese.

Bion iniziò tardi la sua carriera da psichiatra e psicoanalista: i primi anni lo videro impegnato in altri studi (storia), oltre ad essere caratterizzati dallo scoppio delle due guerre mondiali, che lo psicoanalista conobbe prima da soldato civile, poi da medico militare (e da osservatore attento: risalgono a quegli anni le sue intuizioni sui conosciuti “assunti di base”).

Questo post raccoglie alcuni contenuti che, della teoria di Bion, forniranno alcuni punti fermi, aspetti della sua teoria che non possono essere trascurati. Qui di seguito un brevissimo indice dei contenuti:

  1. PRIMA PARTE: un approfondimento sulla teoria sulla nascita del pensiero di Bion, e spunti dal lavoro di Antonino Ferro
  2. SECONDA PARTE: riportato per intero, un articolo del 1981 (inedito in rete) scritto da Mauro Mancia, uno dei padri della neuropsicoanalisi italiana, che scrisse questo contributo tentando di raccordare gli aspetti teorici bioniani con quello che -al tempo- si sapeva di neuroscienza del sonn

..continua su POPMed.

Article by admin / Recensioni / psicoanalisi, psicologia, recensioni

29 January 2024

Camilla Stellato: “Diventare genitori”

di Raffaele Avico

Per chi fosse interessato al tema del parenting, consigliamo il lavoro di una psicoterapeuta romana, Camilla Stellato, autrice di Diventare genitori.

Diventare Genitori rappresenta un buon manuale introduttivo per chi voglia approcciarsi al tema del parenting senza avere già conoscenze pregresse in ambito di psicoterapia e psicologia infantile. La Stellato ha una formazione in psicoanalisi transazionale, e sta divulgando e approfondendo il tema del parenting integrando differenti visioni e approcci teorici, compresa la prospettiva metacognitiva interpersonale di DiMaggio, di cui ci siamo spesso occupati su POPMed.

Per introdursi al suo lavoro, mettiamo qui un link a un suo intervento sul ciclo della rabbia che spesso un genitore può sperimentare nei primi anni di accudimento di un bimbo o di una bimba, spiegato passo dopo passo e in modo molto chiaro.

All’interno del volume Diventare Genitori troviamo elencate alcune problematicità inerenti la “transizione alla genitorialità”, compresi alcuni spunti pratici per far fronte ai problemi più comuni.

La Stellato giustifica le sue affermazioni con evidenze scientifiche di livello alto, per esempio -parlando di come il legame di coppia cambi dopo l’inizio della genitorialità- il lavoro di una sociologa torinese, Manuela Naldini, a proposito di uno squilibrio tra i carichi dei due genitori una volta nat* il/la figli*, un ritorno a una modalità “anni ‘50”, per via di quello che la Naldini, sulla scia di altri autori, chiama ri-tradizionalizzazione.

A livello di letteratura scientifica, “ri-tradizionalizzazione” sembra essere un fenomeno non solo italiano, ma internazionale.

Eccone una definizione generica:

”La parola “ri-tradizionalizzazione” suggerisce un ritorno a pratiche o modelli più tradizionali. Nel contesto del parenting, potrebbe riferirsi a un movimento o a un approccio che cerca di abbracciare o ripristinare pratiche di genitorialità considerate più tradizionali o classiche. Le pratiche di genitorialità tradizionali possono variare da cultura a cultura e da epoca a epoca, ma spesso coinvolgono ruoli di genere più definiti, con aspettative specifiche per le madri e i padri, modelli familiari più conservatori e un’enfasi su valori culturali o religiosi tradizionali”.

  • Qui un lavoro italiano del 2014.
  • Qui un articolo tedesco sul tema.

NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

Article by admin / Recensioni / psichiatria, psicoanalisi, psicologia

8 August 2023

NIENTE COME PRIMA, DI MANGIASOGNI

di Raffaele Avico

Niente come prima è un libro sulla salute mentale. Racconta le vicende di due ragazzi di all’incirca 25 anni, alle prese con la delicata fase della svincolo dalla famiglia di origine. Edoardo e Rebecca, cresciuti nello stesso paesino di provincia, vivono in due grandi città, presi ognuno da angosce e paure diverse. Rimandiamo a chi voglia leggere il libro il resto della trama, cercando qui di trarne alcuni spunti di riflessione:

  1. il libro è ambientato in luoghi di fantasia: città di fantasia, quartieri e fermate della metropolitana di fantasia: questo rende universale, metafisica la vicenda, un po’ come nei libri di Dino Buzzati, anch’essi ambientati in luoghi irreali, utilizzati a fare da cornice a vicende tutte interiori/psicologiche
  2. le vicende raccontate nel libro procurano un estremo senso di rispecchiamento: si ha l’impressione che ciò che accade ai protagonisti, possa accadere a chiunque di noi in qualsiasi luogo, e soprattutto nell’epoca attuale. É in fondo un libro sulla società dell’oggi: le vicende di Edoardo e Rebecca raccontano di una generazione di neo-laureati alle prese con un mondo del lavoro ossessionato dalla produttività, nelle mani di manager e figure adulte nevrotiche e aggressive, vissute dai ragazzi in modo persecutorio. Spesso viene descritto il senso di incomunicabilità tra una generazione (quella degli adulti) ferma a una rappresentazione ormai superata di una società basata sull’equazione impegno=risultato, e la generazione dei giovani, costantemente interconnessi in modo virtuale ma estremamente soli,  spaventati dalle richieste degli stessi adulti -poco in grado di comprendere a fondo una società all’apparenza troppo veloce
  3. Procedendo nella lettura del romanzo viene spontaneo chiedersi quanto il problema si strutturi all’interno dell’individuo (pensiamo per esempio a Edoardo) o quanto al suo esterno. Il problema sembra essere: il senso di spaesamento e impotenza di Edoardo, dipende dalla sua difficoltà di esporsi a un mondo troppo aggressivo, o è la società stessa, con le sue richieste, a essersi trasformata in qualcosa di mostruoso/inarrivabile? L’autore sembra porre maggiormente l’accento su questa seconda opzione: il libro raccoglie in sé molti dei messaggi lanciati da Mangiasogni (l’autore) sulla sua pagina instagram, con pesanti critiche al concetto di superlavoro, di hustle culture (ne avevamo parlato qui), al rischio di overload cognitivo, al bisogno costante di performare. Come avevamo scritto a proposito del lavoro di Byung Chul Han, nella “società della performance” la pressione alla performatività sembra essere così tanto pervicace, così tanto interiorizzata, da diventare una parte interna dell’individuo, costretto ad auto-sfruttarsi e portato ad autopunirsi.
  4. Edoardo, giovane professionista vessato/mobbizzato dal suo capo in una blasonata azienda della “city”, vive una vita come “dissociata in verticale”: la sua settimana si struttura in modo routinario, con i giorni della settimana spesi alienandosi al lavoro e il weekend trascorso al paesino di origine, dedicato a quelli che definisce “rituali riumanizzanti”. Interessante la presenza di figure genitoriali putative (la professoressa del liceo, il macellaio), veri e propri “sacerdoti del passaggio”, punti fermi utili a Edoardo nella sua tempesta emotivo/esistenziale inerente il suo processo di svincolo. Il passaggio dal paese/famiglia di origine al contesto città/vita adulta viene eseguito per step, in modo graduale.
  5. Quello che accomuna i due giovani, Edoardo e Rebecca, sembra essere il peso delle aspettative proiettate su di essi dai genitori: Edoardo vive la sua vita come una sorta di riscatto vissuto per interposta persona eseguito dai suoi genitori; Rebecca ha aderito docilmente alle indicazioni della madre a riguardo di quella che avrebbe dovuto essere la sua vita professionale. C’è dunque il tema dello svincolo, di nuovo, intrecciato però alla questione “aspettative genitoriali”. A un certo punto del romanzo, la scelta di fronte a Edoardo sembra essere senza scampo, una sorta di doppio legame senza vie di uscita: da un lato l’alienazione della città, dall’altra la regressione del paese/ambiente genitoriale; in questa situazione di stallo, la figura di Raudo sembra rappresentare, per un po’, una terza via percorribile: la creazione di qualcosa di proprio, la modalità “imprenditoriale” vissuta come possibilità di svincolo/affermazione. Per quanto riguarda Rebecca, sarà la morte della madre a consentirle, finalmente, di riappropriarsi della sua individualità, pur nel paradosso di una libertà ottenuta a prezzo di un lutto.
  6. Il “mostro” che compare nelle vite dei due giovani, è la rappresentazione figurata di una parte interna dei protagonisti, che emerge quando questi riescono ad “abbassare un po’ le difese” in modo da lasciarla esprimere. In esso vengono incarnati i dettami del sistema famiglia (devi fare quello che ti diciamo, non devi tradirci) e del sistema società (devi produrre, se vuoi puoi, è colpa tua se non sai cosa fare della tua vita), un senso di colpa invincibile, la “tensione verso l’aggressione” degli altri e di sè.
  7. non esiste un verso scontro generazionale, tuttavia: i ragazzi sembrano “orfani”, ovvero, percepiscono le generazioni precedenti come non in grado di comprendere la velocità e le pressioni del mondo attuale. In questo romanzo le figure adulte tentano di “vendere” un’idea di realtà, una rappresentazione di “come dovrebbero andare le cose” che ai ragazzi sembra anacronistica; a tratti si ha anche l’impressione che questi ultimi non vogliano comprarla, quell’idea di mondo, rifiutandola a priori, “per una questione di principio”. Questa frattura, il sentirsi orfani, questo scollamento getta i ragazzi in un vuoto di senso, in un deserto senza segni e simboli all’interno del quale sembra impossibile visualizzare un orizzonte (o un futuro). Allo stesso tempo, i surrogati e i diversivi offerti dall’iper-produzione mediatica, dal continuo esporsi al confronto sociale attraverso internet, sembrano solo voler capitalizzare su quello stesso disagio, acutizzandolo. Sembra esserci un’unica cosa da fare: chiedere aiuto, dare un nome al malessere, narrarlo.
  8. Troviamo un po’ ovunque alcune altre tematiche estremamente attuali: l’eco-ansia (paura del futuro/paura dei disastri ambientali), la fomo (paura di perdere occasioni) e soprattutto la pervasività degli input mediatici, così come il confronto sociale e le emozioni negative ad esso collegate.

Nel complesso, il romanzo di Mangiasongi descrive una realtà dai tratti distopici che potrebbe tranquillamente essere la quotidianità per un qualunque “stagista” di una grande città come Milano o Torino. È nel suo insieme una profonda critica alla hustle culture, al culto per la performance, alla tendenza a disumanizzare, descrive lo stallo della “classe disagiata” e soprattutto il senso di tradimento vissuto da una generazione che sembra aver perso fiducia nelle promesse fatte dalle figure adulte.

Qui Niente come prima su Amazon.

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NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

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7 June 2023

Psychiatry On Line Italia: 10 rubriche da non perdere!

di Raffaele Avico

Per POPMed in collaborazione con Psychiatry On Line, abbiamo scelto dall’archivio della rivista alcune rubriche meritevoli di essere “poste sotto osservazione”, particolarmente brillanti nei contenuti portati.

Le rubriche della rivista sono dei “blog interni“, verticali su un solo tema, che raccontano dal punto di vista peculiare di quel particolare esperto, sulla “sua” tematica elettiva: raccolgono alcuni dei nomi/gruppi più autorevoli dell’area “psichiatria/psicoterapia” italiana.

Buona lettura!

  1. CUORE DI TENEBRA a cura di Gilberto Di Petta. Non ha bisogno di presentazioni: uno dei più grandi fenomenologi della scena odierna, racconta la quotidianità di un SPDC della periferia napoletana. In assoluto la rubrica più letta su Psychiatry On Line.
  2. NON SOLO CARTESIO, a cura di Francesco Bottaccioli. Bottaccioli, socio onorario e fondatore della SIPNEI, approfondisce tematiche relative alla socio-psiconeuroendocrinoimmunologia, dettagliando risultati di ricerca e chiarificando il razionale che sta dietro al lavoro della SIPNEI stessa.
  3. FAST FOOD, a cura di Giovanni Abbate Daga. Il prof. Daga dirige il reparto per i DCA delle Molinette di Torino, considerato un centro d’eccellenza per la gestione dei disturbi alimentari in tutta Italia. In questa rubrica tiene insieme gli aspetti più innovativi relativi alla ricerca, e l’elemento umano necessario a gestire problematiche così complesse.
  4. LA FORMAZIONE E LA CURA. Galzigna è stato uno dei fondatori di Psychiatry on Line, epistemologo e fine osservatore della realtà del dibattito scientifico (qui un approfondimento su un suo lavoro).
  5. LA PSICHIATRIA PER BENE. Gerardo Favaretto in questa rubrica intervista molti nomi di punta della psichiatria nostrana, e apre un “diario” a proposito dei servizi di salute mentale in corrispondenza della pandemia da Covid19, nella prima metà del 2020.
  6. I MEDICI-GAY ed i pazienti LGBT di ogni medico!. Abbiamo già citato su POPMed Manlio Converti, che da tempo si spende (e lo fa anche in questa rubrica) per divulgare le tematiche LGBTQIA+, inserendole nella cornice “salute mentale”. Particolarmente interessante vista la preparazione dello stesso Converti.
  7. I PORTI APERTI. Una rubrica che illustra dall’interno il lavoro degli operatori IESA di Collegno. IESA è un servizio di accoglienza per pazienti psichiatrici, nel contesto di famiglie normali, diffuso in tutta Europa e in Italia (ma la rubrica è scritta dal primo nucleo operativo italiano, quello di Collegno appunto).
  8. Riflessioni (in)attuali. Una rubrica (sempre molto aggiornata e attuale) a cura di Sarantis Thanopulos, presidente della Società Psicoanalitica Italiana (SPI).
  9. PSICOANALISI AL PRESENTE. Una rubrica di Alex Pagliardini (stimato lacanista) su Lacan, ripensato nel modo più attuale possibile. Nutrita e ricca.
  10. NOI DUE. Una rubrica a proposito dei gruppi di uditori di voci, strumento terapeutico per pazienti “vociferati”, che rappresenta una grande risorsa per riconsegnare un senso e un possibile significato al sintomo voce. A cura dell’Associazione Italiana Noi e le Voci.

Qui, infine, alcuni spunti sul materiale video di Psychiatry On Line!


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Article by admin / Formazione / neuroscienze, psicoanalisi

12 April 2023

CENTRO SORANZO: INTERVISTA A MAURO SEMENZATO

di Raffaele Avico

Nel contesto di SERENIS, un’intervista a Mauro Semenzato, operatore del Centro Soranzo (centrosoranzo.it).
Il Centro Soranzo è un centro di eccellenza sul trattamento integrato dei disturbi da addiction. Al suo interno vengono usati approcci psicoterapici trauma-informed, interventi bottom-up incentrati sul corpo, lavori di gruppo, musicoterapia, mindfulness, etc.
Mauro è uno degli operatori e conosce molto bene il modello del Centro Soranzo, e ci parlerà appunto di come funziona la presa in carico di un paziente, il modello di cura, l’equipe di lavoro, il razionale che accomuna i diversi aspetti del lavoro, e altri aspetti operativi del Centro Soranzo.

Buon ascolto!


https://www.spreaker.com/user/psychiatryonlinepodcast/centrosoranzo


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Article by admin / Formazione, podcast / addiction, psicoanalisi, psicotraumatologia

7 March 2023

“UN RITMO PER L’ANIMA”, TARANTISMO E DINTORNI


di Raffaele Avico

Il DVD “Un ritmo per l’anima”, curato da Giuliano Capani, mette insieme un documento videofilmato e un libretto con raccolte le trascrizioni delle interviste agli autori coinvolti nel progetto.

Il DVD, della durata di 45’ circa, si apre con una costruzione romanzata di una storia di “tarantismo”, dove vediamo una ragazza salentina alle prese con una serie di problemi connessi alla questione del “morso” della taranta: la ragazza si aggira per un paese dove ogni finestra ha i suoi occhi, e in preda a una sorta di stato di transe, raggiunge il mare e batte, a ritmo, due pietre. Su questa scena compare quindi la voce narrante vera e propria, che racconta il fenomeno del tarantismo dalle sue origini, soffermandosi su come “il rito” fosse visibile in Salento fino alla fine degli anni ’60, e fornendone una descrizione nelle sue diverse fasi.

Già altri autori avevano tentato di scomporre il rituale nel suo svolgersi: dal momento “a terra”, in cui la tarantolata si contorce sul pavimento, passando per un momento di danza vera e propria e di armonizzazione crescente del corpo con la musica, fino al ritorno a terra, segno di un raggiunto stato di quiete.

Qui però si fa riferimento, in particolare, alla questione dello “scazzicare”. Cosa si intende con il termine scazzicare? La voce narrante ci spiega come i musicisti, prima di riuscire ad agganciare emotivamente la tarantata, spaziavano tra diverse sonorità cercando di capire quale fosse la più emotivamente coinvolgente, quella in grado di “toccare” o agganciare in senso emotivo la donna sottoposta al rituale. Il momento del “tocco”, o di aggancio, è il momento in cui la donna viene “scazzicata”, perturbata dal suono. I musicisti, osservando il comportamento della tarantata, adattano e modulano il suono, così da renderlo sempre più attivante e potenzialmente terapeutico, verso un’armonizzazione di tutte le parti (suonatori, tarantata, collettività che guarda), come in una sorta di cerchio terapeutico.

Il documentario prosegue poi con diverse interviste fatte a personaggi in qualche modo riconosciuti per il loro studio a riguardo del fenomeno:

  1. come primo intervistato, il Dr. Giuliano Guerra, medico psicoterapeuta e allora (si parla del 2001) presidente dell’Associazione Italiana di Ipnosi Terapeutica, spiega il suo punto di vista sulla questione: come prima ipotesi, parla di “quadro” isterico, ovvero, sarebbe stato l’elemento coreografico e corale a curare un disturbo conversivo di origine isterica, nel suo senso quindi più classico e in qualche modo teatralizzato; racconta però come, dal suo punto di vista, la questione potrebbe essere anche declinata in un altro modo: la compresenza di uno stato alterato di coscienza (elemento di sfondo) insieme a un certo potere del suono (e di alcune caratteristiche del suono stesso: la sua ritmica ipnotica, la forza del suono del violino), sarebbero dal suo punto di vista in grado di “agganciare” l’”onda vibratoria negativa” che a suo tempo produsse il “male” (la sofferenza psichica). Qui parliamo dunque, a suo dire, di una “potenzialità sciamanica” del suonatore, che entrando in un profondo stato di connessione interiore con il malato, lo guarisce usando un canale di accesso preferenziale, che in questo caso è il suono.
    É chiaro come in questo caso si vadano a mettere in discussione aspetti più complessi inerenti la cura delle turbe psichiche in generale e la loro natura: esistono in molte culture forme di terapia, e nella nostra ne osserviamo allo stesso modo un ritorno, che usano canali “altri” rispetto alla parola, con risultati quasi sempre positivi.
    Come se la sofferenza psichica avesse forma non solo di “discorso“ interiore in qualche modo distorto, ma possedesse una sua peculiare natura anche solamente incarnata, non vincolata alla questione delle parole, ma anzi in grado di prendere forme altre (suoni? immagini? sensazioni?) e in quanto tale fosse appunto curabile attraverso altri canali. Guerra fa infine notare che si tratta qui di una forma di cura del male “sintomatica”, e non risolutiva, tant’è vero che ciclicamente il “morso” ritornava e si doveva riprocedere a un altro rituale.
  2. Altro intervistato, Georges Lapassade, che focalizza la questione sulla questione bioenergetica esplorata da Reich, psicoanalista dissidente che introdusse una visione alternativa di male psichico, ovvero come di “energia bloccata nel corpo”. Tutto questo è molto simile a quello che oggi si fa in psicoterapia sensomotoria tentando di sbloccare “tendenze all’azione” rimaste congelate nel corpo – si veda per esempio il lavoro di Pat Odgen in ambito psicotraumatologico. Il ballo della tarantata, dal suo punto di vista, sarebbe stato in grado di sbloccare questa quota di energia psichica rimasta bloccata, liberandola e fluidificandola.
    Anche qui, teorie formulate in epoche differenti sembrano convergere in una concettualizzazione univoca (“idraulica”) inerente la dinamica della libido/energia psichica/tendenza all’azione. La questione, in fondo, seppur riformulata in termini differenti e in epoche diverse, ruota sempre intorno allo stesso cardine: qualcosa che voleva essere liberato o espresso, e non ha potuto farlo, qualcosa di solido che vuole tornare liquido.
  3. Viene quindi intervistato Antonio Fassina, medico milanese e direttore, al tempo, del centro “Nuove Terapie” a Milano (oggi rinominato Centro di Terapia Naturali), sulla questione relativa al fenomeno del tarantismo in generale: Fassina parla di competenze sciamaniche inconsapevoli possedute dai terapeuti/musici, compiendo un parallelismo tra le terapia del tarantismo e quelle della psicoterapia di oggi: “il paziente libera, lascia sul lettino del terapeuta quello che una volta lasciava sul pavimento della chiesa di Galatina”. Anche qui viene messo in luce il carattere sintomatico della terapia, in fin dei conti provvisorio: non andando a estirpare alla radice il male, questo poi si presentava, come ciclicamente, e quindi andava, nuovamente, bonificato
  4. Viene intervistato poi Tullio Seppilli, professore di Antropologia medica, che fa riferimento ad altre culture dove la danza e la possessione sembrino aver assunto valore o funzione catartica. La differenza forte, spiega Seppilli, è il fatto che per esempio nelle culture afro-americane brasiliane, in cui si ritrovano corrispettivi laici del nostro tarantismo, il fatto di essere “cavalli del dio”, di essere cioè “invasati”, era qualcosa visto positivamente e anzi considerato uno stato speciale di grazia; nello stato invece di transe indotta da una possessione prodotta dal “morso”, la cosa era vissuta con estrema preoccupazione vista la connotazione diabolica del fatto -com’è tipico della religione cristiana. Seppilli colloca nel lavoro di Ernesto Demartino la nascita dell’odierna etnopsichiatria, di fatto riconoscendo all’antropologo italiano ruolo di precursore di una visione più ”ampia” della psichiatria, che abbracci anche la soggettività umana in tutta la sua complessità e natura “sistemica”. Nel 1980 in Canada, a Montreal, venne organizzato un importante convegno chiamato “sciamanesimo ed endorfine”, in cui appunto venne discusso lo stato dell’arte intorno a questi aspetti che riguardavano la connessione tra pratiche di guarigione sciamanica e la psichiatria attuale; il tamburo suonato in modo ritmico -questo uno degli aspetti- è in grado di produrre un rilascio di endorfine con funzione anestetica del dolore psichico, questione appunto centrale se pensiamo a quanto il “tamburello” sia lo strumento cardine di ogni rito di tarantismo.

Altro aspetto messo in luce dal documentario, il parallelismo tra le pratiche di tarantismo e le attuali discipline di meditazione “dinamica”, basate sulla messa in scena del dolore mentale sul teatro del corpo (creazione di uno stato di caos indotto per mezzo di una respirazione volutamente caotica – espressione del dolore per via corporea – riappropriazione dello stato di equilibrio). Anche qui si va idealmente da uno stato di disequilibrio a una condizione di calma, da uno stato di disgregazione a uno stato di integrazione e armonia.
Platone, nel suo simposio, parla della medicina come l’arte umana di cercare equilibrio tra gli opposti, e della musica come di un’invenzione umana che concretizza il mettere insieme l’alto con il basso, il veloce con il lento, il forte con il piano, etc.: strumento dunque elettivo dove si debba eseguire un’operazione di “sintesi” o di riequilibratura di istanze disarmoniche, o di unione di pezzi tra loro scollegati.

Luigi Chiriatti, in uno spezzone del film, racconta di come la pizzica-pizzica come genere musicale, sembri racchiudere in sè un potere liberatorio non solo connesso al contesto salentino: il successo planetario del genere racconterebbe di questo “potere” intrinseco e quindi transculturale (pensiamo al recente successo del Canzoniere Grecanico Salentino negli USA, o al lavoro di recupero di pezzi tradizionali fatto da Ludovico Einaudi nel suo bellissimo Taranta Project).

Insieme a questi intervistati, il documentario Un ritmo per l’anima, importante lavoro di raccolta di testimonianze, vede al suo interno altri noti studiosi sul tema: Caterina Durante -fondatrice teorica del Canzoniere Grecanico Salentino-, Anna Nacci, Daniele Durante (nipote di Caterina Durante e primo tamburellista del Canzoniere Grecanico Salentino) e Mauro Durante, giovane violinista nel film, ora frontman del gruppo co-fondato dal padre.

In sintesi, ciò che emerge dalla visione di questo lavoro e ne definisce l’attualità, è sintetizzabile per punti in due aspetti:

  1. il razionale terapeutico che vuole portare unità dove c’è disgregazione, flessibilità dove c’è rigidità (movente clinico sottoscrivibile da tutte le odierne scuole di pensiero psicoterapeutico)
  2. l’aspetto dello sforzo fisico come strumento di vero risanamento psichico. Nel libretto contenuto nel DVD, viene riportata una testimonianza di Gurdjeff, che scrive: “Per far sì che tutti i centri lavorino nel modo giusto e non si ostacolino tra loro c’è bisogno di un vero sforzo fisico, solo in questo modo si crea la possibilità per l’armonia. Alcune nostre capacità possono essere espresse solo quando sottoponiamo il nostro corpo ad uno sforzo che esige una grande attenzione e un enorme consumo di energia, cioè quando gli sforzi che si fanno sono al limite dell’esaurimento, dandoci così la possibilità di accedere ad un contenitore speciale di energia: il grande accumulatore […]”

Altri documenti relativi al tarantismo, alle sue origini, ai libri che ne parlano, presenti su Psychiatry on Line e su Il Foglio Psichiatrico:

  1. apporti video sul tarantismo parte 1
  2. apporti video sul tarantismo parte 2
  3. intervista a Luigi Chiriatti
  4. “Sul tarantismo”di Luigi Chiriatti
  5. “sul tamburello” di Luigi Chiriatti
  6. “recensione del film “latrodoectus, che morde di nascosto”
  7. recensione di “Il tarantolismo” di Francesco de Raho
  8. immagini del tarantismo: Chiara Samugheo

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Article by admin / Recensioni / neuroscienze, psichiatria, psicoanalisi, raffaeleavico

6 October 2022

IL “MANUALE DELLE TECNICHE PSICOLOGICHE” DI BERNARDO PAOLI ED ENRICO PARPAGLIONE


di Raffaele Avico

Il Manuale delle tecniche psicologiche curato da Bernardo Paoli ed Enrico Parpaglione, psicoterapeuti torinesi, raccoglie un vasto numero di tecniche psicoterapiche, disposte in ordine alfabetico e raggruppate a partire da diversi parametri (dalla scuola di appartenenza, al disturbo verso cui la tecnica sembra maggiormente efficace), descritte anche nel razionale terapeutico (che senso ha usare questa tecnica? cosa dovrebbe ottenere e per quale ragione?).

Nell’editarlo (in 6 anni di lavoro), gli autori hanno chiesto a molti professionisti di esprimersi sulle tecniche che ritenessero maggiormente efficaci nel loro lavoro quotidiano con i pazienti, al di là della loro scuola di appartenenza.

In una delle prefazioni, giustamente chiamata “verso una psicologia”, viene chiarito l’intento “integrativo” degli autori nel presentare tecniche mutuate da più approcci psicoterapici, appunto cercando di focalizzare l’attenzione non tanto sulle scuole di orientamento, ma su cosa funziona e perché nella pratica del lavoro clinico.

Si tratta di un lavoro scritto a uso e consumo di chi, quotidianamente, lavora con pazienti in psicoterapia; è dunque indirizzato a psicoterapeuti, psicologi, counsellor e psichiatri che possiedano una qualche formazione in psicoterapia (la scuola di specialità in psichiatria non è spesso sufficiente a formare uno psichiatra -di formazione medica- a un lavoro psicoterapeutico, ma qui si aprirebbe tutto un altro discorso).

Le tecniche provengono da più orientamenti, e sono ben riassunte nei capitoli dedicati; l’aspetto realmente interessante è la “disclosure” che i terapeuti/autori fanno sul “perché” venga proposta tale tecnica piuttosto che un’altra. Possiamo cioè avere un affaccio diretto sul razionale clinico: per esempio, nella scheda iniziale sull’ABC, leggiamo che la ricerca degli “antecedenti” (per esempio in un attacco di panico) e l’analisi dei pensieri collegati ad essi, dovrebbero fornire al paziente una diversa consapevolezza sul suo stesso modo di interpretare l’accaduto, essendo la tecnica pensata per aumentare la metacognizione del paziente.

Le tecniche descritte sono 110, gli psicoterapeuti e psicologi coinvolti, più di 60.

Il lettore che non debba usarlo per ragioni professionali, vi troverà spunti per “lavorare” in senso psicologico con il suo stesso pensiero, e molteplici esercizi da usare per capirsi meglio, o semplicemente per stimolarsi a un’evoluzione interiore.

Per il lettore psicoterapeuta, il manuale potrà affiancarsi ad altri volumi di “pronto” utilizzo nel lavoro clinico, come per esempio il Dizionario di Psicologia di Galimberti, o il bellissimo Il dono della terapia di Yalom.

Alcune delle tecniche, estratte dall’indice:

  • Grounding (Gilda L. Schiavoni) 
  • Immaginazione attiva (Federica Marzeo)
  • Improprietà situnzionali (Fabio Leonardi) 
  • Intenzione paradossa (Domenico Bellanton) 
  • Interpretazione del transfert (Luca Settembre)
  • Ironia (Bernardo Paola) .
  • Lasciare la testa tra le mani (Alessandro Bianchi)
  • Lavoro con il sogno (Mara Lastretli) 
  • Lettera al genitore (Enrico Parpaglione)
  • Lettere apologetiche (Fabio Leonardi)
  • Lettere di rabbia (Luca Proietti) 
  • Levitazione del braccio (Gladys Bounous)
  • Libere associazioni (Francesco Impagliazzo)
  • Life-line (Simona Filippini)
  • Mandala (Sonia Bertinat e Valentina Mossa) 
  • Metodologia dell’incontro (Simona Adelaide Martini)
  • Mindful eating (Raffaella Gian.)
  • Mindfulness informale (Marco R. Elena e Enrico Parpaglione) 
  • Modellamento (Davide Gallo) 
  • Moviola (Alice Caloiaro)
  • Observation project (Daniela Bulgarelli)
  • Peggiori immagini e sensazioni (Morena Petrongolo)
  • Photolangage (Morena Petrongolo)
  • Ponte emotivo (Enrico Parpaglione)
  • Povero me (Fabio Leonardi)
  • Pozzo dell’oblio (Simona Filippini)
  • Prescrizione del sintomo (Morena Petrongolo)
  • Psicoritratto (Michele Cannavò)
  • Pulpito delle lamentele (Davide Algeri)
  • Quattro cavalieri (Sara De Maria) 
  • Quattro riconoscimenti (Simone Curto)
  • Rappresentazione delle polarità (Valeria Natali)
  • Rescripting immaginativo (Enrico Parpaglione)
  • Respirazione diaframmatica aiutata (Marcello Schmid)
  • Rilassamento muscolare progressivo (Chiara Piscopia)
  • Sabotaggio benevolo (Davide Algeri) 
  • Scaling (Valeria Saladino e Bernardo Paoli)
  • Sculture familiari (Martina Zilio)
  • Sedia vuota (Paola Biondi)

Su questo blog avevamo intervistato Bernardo Paoli qui, e avevamo recensito “Il Piccolo Paranoico“, qui.

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Article by admin / Recensioni / psicoanalisi, psicologia, psicotraumatologia

3 May 2022

MANAGEMENT DELL’INSONNIA

di Raffaele Avico, Luca Proietti


PREMESSE TEORICHE

  • l’insonnia può avere diverse cause; nel caso in cui tu abbia escluso ragioni mediche, è possibile che un sonno frammentato o difficoltoso dipenda da uno stato di stress protratto, o da uno stato mentale di “sopraffazione”
  • di fronte a una minaccia, la nostra mente si attiva per trovare una soluzione, e con essa il nostro sistema nervoso autonomo simpatico. Quando il sistema nervoso autonomo simpatico è attivato, la mente accelera alla ricerca di soluzioni, il corpo si “prepara all’azione”, il respiro si accorcia; in questo stato mentale, la mente non si abbandona al sonno per una ragione di assenza di senso di sicurezza percepita (qui due approfondimenti su rapporto tra ptsd e insonnia: 1 e 2)
  • osserva la tua vita allo stato presente: è possibile che la tua insonnia derivi da uno scarso senso di padronanza/controllo (mastery): in questo senso potrebbe aiutarti tentare di lavorare sul tuo stile di vita, rendendolo maggiormente regolare/disciplinato, con delle routines che diano una struttura alla tua settimana
  • se hai subìto degli eventi che ritieni essere stati per te traumatici, è possibile che il tuo corpo abbia “accusato il colpo”. Il corpo è il primo a subire gli effetti (tra cui l’insonnia) di uno o più eventi traumatici; ci sono molte evidenze sul fatto che praticare attività sportiva aerobica aiuti il corpo a “dissipare” il trauma; di conseguenza, lavorare sul trauma attraverso l’attività fisica potrà aiutarti nell’insonnia
  • proteggiti dal senso di sovraccarico cognitivo: riduci e migliora la qualità dei tuoi input (qui un approfondimento)

MODALITÁ COMPORTAMENTALI

  • crea un ambiente protetto: il luogo del sonno dovrebbe essere un luogo dedicato al sonno e non ad altre attività
  • evita di usare schermi a luce blu prima di dormire; attiva la suoneria del tuo smartphone, e lascialo in un’altra stanza
  • cerca di tenerti legger* in termini alimentari prima di coricarti; prova con il digiuno intermittente
  • valuta la possibilità di usare una coperta ponderata nel caso in cui tu faccia fatica a distendere il corpo, a sciogliere in nervi
  • ritualizza il sonno: crea routines che predispongano la tua mente a entrare in modalità “sonno” quando si presentino; tenta di rendere confortevole e accogliente il luogo in cui dormi
  • non controllare il momento del sonno; tentare di controllare quello che per sua natura è spontaneo (il ritmo del cuore, il ritmo e la profondità del respiro, lo scivolare nel sonno) lo complica e paradossalmente procura un senso di perdita di controllo. Tenta di accettare i contenuti di pensiero che passano per la tua mente mentre stai tentando di addormentarti, senza volerli cambiare. Accetta tutto ciò che proviene dal tuo corpo senza tentare di controllarlo
  • Se ti accorgi che ti stai auto-imponendo di dormire, prova a cambiare strategia, imponendoti di stare svegli*; insieme a questo, accetta la possibilità che tu possa non dormire
  • per contrastare lo stress, prova ad approcciare la mindfulness attraverso clarity (https://clarityapp.it/)

APPROCCIO FARMACOLOGICO (a cura di Luca Proietti)

Vi sono differenti modi per intervenire farmacologicamente sull’insonnia, in ogni caso il farmaco deve sempre essere utilizzato in seconda battuta rispetto alle indicazioni per l’igiene del sonno.

Altro punto che è fondamentale chiarire è che in quei casi in cui l’insonnia sia secondaria o accompagni un’altra problematica come un disturbo dell’umore (depressione, mania), un disturbo post-traumatico o un disturbo d’ansia la terapia farmacologica dovrà essere primariamente indirizzata verso quella problematica e la terapia del sintomo insonnia potrà essere solo di supporto fino a quando non è stata risolta la problematica principale.

Dal punto di vista neurobiologico i mediatori coinvolti nel sonno sono soprattutto l’ormone Melatonina e differenti neurotrasmettitori quali Acetilcolina, Istamina, Noradrenalina e Dopamina.

La Melatonina è un ormone prodotto dall’Epifisi che è responsabile dell’alternanza dei ritmi circadiani, in particolare l’aumento della Melatonina, che durante la notte favorisce il sonno.

La Melatonina viene prescritta a formulazioni pronte da sola o in associazione con altri principi attivi naturali come la Valeriana per i casi di insonnia iniziale, cioè in chi ha difficoltà ad addormentarsi.

Quando si tratta invece di regolarizzare il ritmo sonno-veglia o vi è un insonnia centrale o terminale, quindi con rispettivi risvegli durante la notte o anticipato la mattina, si preferiscono formulazioni a rilascio prolungato o modificato. Queste formulazioni possono anche essere d’aiuto nel caso di altri disturbi del sonno come le parasonnie.

Gli altri neurotrasmettitori, in particolare Acetilcolina e Istamina, ma anche Dopamina e Noradrenalina, attivano in maniera diffusa la corteccia cerebrale per cui sono responsabili dello stato di veglia, mentre se i loro recettori sono bloccati si ha riduzione dell’attivazione corticale, fino al sonno e alla sedazione. Pertanto, alcuni farmaci di altre categorie come la Mirtazapina (fino a 15 mg) e il Trazodone (fino a 100 mg), farmaci antidepressivi “atipici”, possono essere utilizzati la sera per il loro importante effetto antistaminico che tende a favorire il sonno.

Possono essere utilizzati nel trattamento dell’insonnia anche due antidepressivi Triciclici quali la Trimipramina (fino a 25 mg) e l’Amitriptilina (fino a 10 mg) che bloccano i recettori dell’Istamina e dell’acetilcolina e interagiscono anche con i recettori serotoninergici 5HT2A.

Un altro farmaco che può essere utilizzato in alternativa a questi è la Quetiapina (fino a 50 mg), un antipsicotico atipico di seconda generazione che a questi dosaggi interagisce principalmente e quasi esclusivamente con i recettori dell’Istamina.

In maniera parziale tutti questi 5 farmaci bloccano anche i recettori alpha della noradrenalina, anch’essi coinvolti nel mantenimento stato di veglia.

É importante che i farmaci vengano utilizzati ai dosaggi indicati, che non sono i loro dosaggi terapeutici abituali, perché aumentando il dosaggio aumentano gli effetti peculiari di ciascun farmaco. L’Amitriptillina, per esempio, salendo di dosaggio esplica il suo potente effetto antidepressivo, così come la Quetiapina quello antipsicotico.

Questi farmaci sono molto utili nel trattamento dell’insonnia centrale e terminale, ma possono essere anche impiegati per l’insonnia iniziale, quando cioè l’insonnia colpisce l’induzione del sonno (l’addormentamento).

In particolare, la formulazione in gocce del Trittico, ad esempio, risulta molto utile in prima battuta e soprattutto se è presente insonnia iniziale, mentre se persiste insonnia terminale o centrale si può passare a una formulazione di Trazodone r.p. in compresse che favorisce il mantenimento del sonno.

Un altro neurotrasmettitore coinvolto nel sonno è il GABA. Il GABA, al contrario degli altri neurotrasmettitori (Acetilcolina, Dopamina, Noradrenalina) inibisce l’attivazione corticale e promuove il sonno. Tra i farmaci che agiscono su questo recettore troviamo le Benzodiazepine.

In generale le Benzodiazepine, siano a breve o lunga emivita (triazolam, lorazepam, delorazepam, lormetazepam, flurazepam, etc.) andrebbero sempre evitate, se non per quei rari casi di insonnia passeggera, per la loro tendenza a dare assuefazione e dipendenza.

Perchè evitare le benzodiazepine?

  • Le benzodiazepine a brevissima emivita come il Triazolam, Lormetazepam, Brotizolam possono aiutare nell’induzione del sonno, ma danno moltissima dipendenza.
  • Le benzodiazepine a più lunga emivita come il Lorazepam o a emivita lunghissima come il Flurazepam andrebbero comunque utilizzate in casi di emergenza e per brevissimo tempo, anche perché tendono a dare tolleranza, dipendenza, e ad alterare l’architettura del sonno.
  • L’Alprazolam, spesso prescritto per l’insonnia, non ha in realtà nessuna indicazione o razionale di utilizzo per questo tipo di problematica.

Esistono infine i cosiddetti Z-Drugs, farmaci come lo Zolpidem, che agiscono sempre sui recettori GABA, che altererebbero meno l’architettura del sonno e darebbero meno dipendenza, anche se dati recenti hanno messo in dubbio questi aspetti. Lo zolpidem e gli Z-Drugs, possono essere utilizzati per la fase di induzione del sonno andando così a sostituire le benzodiazepine a emivita brevissima.

In nessun modo questo testo può sostituire il consulto con un medico, un medico specialista o uno psicologo abilitati alla formazione. Le informazioni fornite infatti sono di carattere generale e  hanno uno scopo puramente informativo e divulgativo e non sostituiscono in alcun modo il parere, la diagnosi o l’intervento del medico o di altri operatori sanitari. Le nozioni e le eventuali informazioni riguardanti procedure e terapie mediche, posologie e/o descrizioni di farmaci o prodotti hanno natura esclusivamente illustrativa e non consentono di acquisire le capacità indispensabili per il loro uso o la realizzazione. Gli autori non si assumono alcuna responsabilità in relazione ai risultati o conseguenze di un qualsiasi utilizzo delle informazioni pubblicate, alla loro accuratezza, adeguatezza, completezza e aggiornamento.


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

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25 March 2022

L’APPROCCIO “OPEN DIALOGUE”. INTERVISTA A RAFFAELLA POCOBELLO (CNR)

di Raffaele Avico

L’Open Dialogue è un modello di intervento in ambito di salute mentale, di derivazione scandinava. Viene usato con pazienti psicotici (ma non solo) coinvolgendo molte persone in contemporanea in una sola stanza, per un tempo di massimo un’ora e mezza. Può essere usato -come tipologia di colloquio- “al bisogno” o in modo maggiormente strutturato. Permette una trasparenza totale del “pensiero” dei curanti di fronte al paziente e alla sua famiglia, fornendo agli utenti un affaccio sul perchè si decida di adottare quale strategia terapeutica, e con quali obiettivi.

Raffaella Pocobello coordina un progetto di ricerca multicentrico internazionale focalizzato sull’efficacia dell’Open Dialogue per il CNR. Qui alcune sue riflessioni e indicazioni utili per chi voglia approfondire il tema.

Buongiorno Raffaella, ci dà una breve definizione dell’Open Dialogue, per comprendere meglio di cosa si tratti?

Il Dialogo Aperto è un approccio terapeutico centrato sulla rete sociale e familiare sviluppato nel contesto dei servizi psichiatrici pubblici della Lapponia, che si caratterizza per due aspetti:

  • Organizzativo: i servizi di salute mentale sono organizzati in modo garantire una risposta tempestiva, flessibilità dell’intervento e continuità terapeutica;
  • Clinico: incontri terapeutici di rete che coinvolgono tutte le persone significative fin dalla prima richiesta di aiuto hanno l’obiettivo di migliorare la comprensione e la risoluzione della situazione critica attraverso il dialogo.

A partire dagli anni ‘90 questo approccio è stato studiato in modo sistematico, sia nei suoi aspetti di processo che di esito. La valutazione di processo ha permesso di individuare sette principi chiave che descrivono il dialogo aperto:

  1. Aiuto immediato: l’intervento avviene entro le 24 ore dalla richiesta di aiuto in caso di crisi;
  1. Prospettiva orientata alla rete sociale: i membri della rete sociale della persona in difficoltà e tutti i professionisti dei servizi coinvolti nella crisi sono invitati a partecipare agli incontri;
  1. Flessibilità e mobilità della equipe: gli incontri sono pianificati in base ai bisogni unici di ogni persona, famiglia e contesto. Questo implica che l’equipe è disponibile e pronta a spostarsi sul territorio e che molti interventi sono domiciliari;
  1. Responsabilità: chi riceve la richiesta di aiuto che ha il compito di organizzare il primo incontro, fino al quale non sarà presa nessuna decisione relativa al trattamento. Inoltre, la responsabilità è condivisa all’interno del team;
  1. Continuità psicologica: la stessa equipe integrata segue la rete sociale nel tempo. Almeno alcuni componenti del team rimangono gli stessi, mentre altri professionisti possono intervenire occasionalmente, se utile;
  1. Tollerare l’incertezza: si costruisce uno spazio “sicuro” in cui discutere apertamente anche delle proposte di trattamento ed evitando decisioni affrettate;
  1. Dialogismo: nel facilitare gli incontri, i terapeuti invitano tutte le “voci” a contribuire al dialogo. Per voci si intende sia quelle delle diverse persone che partecipano all’incontro (polifonia orizzontale), sia le voci interne e multiple evocate dalla conversazione in ogni singolo partecipante (polifonia verticale). Per esempio, il terapeuta partecipa al dialogo attraverso le voci che derivano dalle sue competenze professionali (come essere un medico o un assistente sociale o uno psicologo, seguire un certo orientamento, etc.), ma anche con quelle relative alla sua vita personale e il suo mondo interiore. Non nel senso di raccontare la propria vita, ma nel modo in cui risponde alla situazione presente (per esempio nel tono, nella postura, nei commenti). Questo ultimo aspetto, il dialogismo, è quello su cui più si concentra la formazione degli operatori.

Il razionale clinico di intervento: per quale motivo viene applicato e ponendosi quali obiettivi?

La prima volta che ho ascoltato Jaakko Seikkula, il principale referente del Dialogo Aperto, mi hanno colpito due concetti della sua presentazione:

  • l’obiettivo principale del Dialogo Aperto non è produrre un cambiamento, né dirigerlo, ma promuovere il dialogo. Attraverso il dialogo, emergeranno e si mobilizzeranno le risorse della persona in crisi, della sua rete sociale e dei servizi di salute mentale a supporto. Questo obiettivo secondo me è alla base anche del clima partecipato ed egualitario che si crea negli incontri, e che è forse l’aspetto che più mi ha motivato a studiare questo approccio;
  • non c’è una selezione delle persone per cui il dialogo Aperto è adatto, né altri servizi ai quali inviare persone con questo o quel disagio. Quando la persona chiama, se nella conversazione emerge un problema specifico, per esempio uso di alcol, si chiede se il servizio può invitare professionisti che sono esperti di questo problema a unirsi al team. Non c’è mai qualcuno a cui viene detto di chiamare altrove. Ricordo lo stupore in aula dei colleghi che raccontavano quanto invece nei servizi di salute mentale si faccia l’opposto, e quanto l’intervento sia spesso frammentato.

Steve Pilling (UCL), che ora sta sperimentando il Dialogo Aperto in UK, per esempio dice che in Inghilterra hanno servizi per tutti e posto per nessuno.

Come si svolge, in concreto, un colloquio svolto con un paziente usando il metodo Open Dialogue?

Più che un metodo, il Dialogo Aperto è un approccio, complesso e a molti livelli. Queste le fasi di un incontro:

  1. In un tipico incontro di Dialogo Aperto, la persona in crisi, alcune persone della sua rete sociale e almeno due professionisti della salute mentale si siedono in cerchio.
  2. Di solito, comincia a parlare il professionista che ha risposto alla richiesta di aiuto e ha organizzato l’incontro, che racconta l’idea dell’incontro, chi ha chiamato e chi è stato invitato e (spesso) chiede ai presenti come propongono di usare il tempo dell’incontro.
  3. Chi facilita l’incontro (ci sono diversi approcci) fa in modo che tutti possano essere ascoltati, facendo domande prevalentemente aperte, invitando i partecipanti a parlare di ciò che ritengono più rilevante in quel momento. I professionisti non preparano alcun piano/agenda per l’incontro e il loro compito è quello di adattare le loro domande e affermazioni a quello che è stato detto, riprendendo le parole usate e promuovendone un approfondimento, evitando interventi su temi non emersi e interpretazioni. Durante l’incontro possono avvenire una o più conversazioni riflessive, in cui i professionisti discutono tra loro (anche su questo ci sono diversi approcci, più o meno strutturati), utilizzando un linguaggio semplice e rispettoso. Durante il dialogo tra gli operatori, il paziente e la rete sociale rimangono in ascolto.
  4. Sebbene le parole rivestano un ruolo importante, una parte significativa del dialogo avviene senza parole, nella espressione delle sensazioni e delle reazioni che emergono spontaneamente, in particolare quelle che precedono le parole. Per questo la ricerca più recente di Seikkula si è focalizzata sull’embodiment, e nell’insegnamento del Dialogo Aperto in alcuni programmi è presente una componente di mindfulness. Infatti, una delle sfide principali del terapeuta è quella di essere presente nel qui e ora, in ascolto e responsivo del dialogo che avviene ma anche del proprio dialogo interno.
  5. Prima di chiudere l’incontro, si chiede ai partecipanti se ci sono questioni importanti che vorrebbero che emergessero prima della fine e se, quando e dove fissare un nuovo appuntamento. A questo punto, i contenuti più significativi dell’incontro vengono sintetizzati, soprattutto se ci sono decisioni importanti che sono state prese o da prendere. La durata dell’incontro è variabile, anche se viene indicato che di solito 90 minuti sono un tempo adeguato.

Negli ultimi anni, la pandemia ci ha spinto a sperimentare il Dialogo Aperto anche online. Anche se non ci sono ancora studi a riguardo, chi ha fatto questa esperienza è sorpreso che l’approccio sembri adattabile, e i feedback sono positivi.

Quali sono i riferimenti teorici di questa pratica, e quali i testi dove, volendo, approfondire il tema?

Il Dialogo Aperto è caratterizzato da un certo eclettismo.

Alle sue origini c’è il Need-Adapted Approach (approccio adattato al bisogno), il cui principale referente è Alanen. Negli Settanta lui e il suo team a Turku si dedicarono in particolare alla esperienza psicotica, proponendo interventi che integravano diversi modelli terapeutici (psicologici, psicodinamici, sistemici e psichiatrici, sociali e riabilitativi) a seconda delle esigenze del paziente.

Anche la scuola sistemica, in particolare l’approccio di Boscolo e Cecchin, hanno avuto una influenza nello sviluppo del Dialogo Aperto.

Ma l’influenza a mio avviso più significativa è quella del norvegese Tom Andersen, che si ritrova in due pratiche fondamentali:

  • Il rispetto della regola semplice ma rivoluzionaria, che a partire dal 1984 è stata adottata anche in Lapponia, di non parlare del paziente e della famiglia in loro assenza.
  • dalla applicazione di questa regola, deriva la pratica della “conversazione riflessiva” (o gruppo riflessivo, reflective team), in cui i professionisti parlano tra loro durante gli incontri terapeutici, dando sempre la possibilità ai pazienti e alla famiglia di ascoltare e rispondere a quanto detto.

Infine, il riferimento filosofico principale è quello del filosofo russo Mikhail Bakhtin sulla polifonia e il dialogismo. Un altro riferimento importante è Dostoevskij: cosi come il narratore non può fare altro che mettersi in relazione con le voci dei diversi protagonisti, modificando la trama del romanzo in base al loro contributo, così il terapeuta ha la responsabilità di fare emergere risorse e soluzioni dai partecipanti all’incontro, rinunciando a dirigerlo e ad avere un piano predefinito.

Tra le letture consigliate per saperne di più ci sono due libri in italiano:

  • Il dialogo aperto. L’approccio finlandese alle gravi crisi psichiatriche, del 2016. Di Jaakko Seikkula e curato da Chiara Tarantino, edito da Fioriti
  • Metodi dialogici nel lavoro di rete, di Tom Arkil e Jaakko Seikkula, del 2013, edito da Erickson.

Presto ne uscirà anche un nuovo sull’utilizzo del Dialogo Aperto nel trattamento della psicosi, in lingua inglese edito da Routledge, che sarà edito in Italia da Fioriti.

Una bibliografia estesa in lingua inglese è consultabile sul sito del progetto internazionale HOPEnDialogue, a questo link.

HOPEnDialogue è il primo studio multicentrico internazionale sul Dialogo Aperto, coordinato dal CNR.


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14 December 2021

ASYLUMS DI ERVING GOFFMAN, PER PUNTI

di Raffaele Avico

PREMESSA: questo post fa parte di una serie di articoli a tema “operatori di comunità”. La rubrica raccoglie riflessioni a proposito del lavoro di comunità, tema poco esplorato soprattutto usando il punto di vista di chi ci lavori o ci abbia lavorato. Il mestiere dell’operatore di comunità comprende una serie di mansioni quasi mai raccontate. Il ruolo non è d’altronde riconosciuto né valorizzato a livello sociale: la sua importanza è tuttavia centrale in una macchina complessa come quella di una struttura psichiatrica di tipo comunitario. Il ruolo dell’operatore di comunità è oggi ricoperto da educatori professionali o più spesso psicologi non psicoterapeuti iscritti ad albi speciali attraverso cui attestano una pregressa carriera in ambito di psichiatria di comunità. Si tratta di un ruolo ibrido che tiene insieme componenti normativo/educative, aspetti di holding psicologico (espresso attraverso colloqui di supporto psicologico e diversi altri strumenti), aspetti organizzativo/disciplinari e una visione di lavoro in equipe. Un ruolo complessissimo cui andrebbe riconosciuto maggiore valore, essendo centrale sul territorio in ambito psichiatrico. Qui la rubrica.


Il trattato Asylums di Goffman è considerato un classico sulla letteratura sui rischi delle istituzioni totali. È composto da diversi saggi, tra i quali il più importante e conosciuto è il primo, che apre il libro, dal titolo “Sulle istituzioni totali”.

Il saggio si configura come un’opera miliare di sociologia delle istituzioni, per la brillantezza degli approfondimenti dell’autore, impegnatosi per più di un anno in un’opera di osservazione diretta di un ospedale psichiatrico americano con più di 7000 degenti, e per la ricchezza dei contenuti, di eccezionale attualità.

Vediamo, di seguito, i punti più importanti della trattazione di Goffman.

  • Goffman mette sullo stesso piano istituzioni totali di diversa tipologia come carceri, campi di concentramento, istituzioni psichiatriche, istituzioni militaresche come navi e campi di addestramento, e istituzioni religiose chiuse come monasteri e abbazie. Il principio e la forma sociologica che le accomuna, l’autore spiega, è la stessa, e va sotto il nome, appunto, di “istituzione totale”.
  • La maggior parte del lavoro fatto da Goffman ha a che vedere con la realtà dell’istituzione psichiatrica; è per questo forse che il libro è ricordato in particolare come esempio di letteratura inerente la “psichiatria democratica”.
  • L’istituzione totale prevede una replica, in piccolo, della società esterna, con però leggi diverse; al suo interno, la divisione principale è tra gli “staff” (cioè chi vi lavora) e gli “internati” o degenti. Nel primo saggio “sulle istituzioni totali”, Goffman fa una lettura lucidissima di quelli che sono i rapporti di potere tra internati e staff, di fatto grottescamente distorti dal “microclima” in cui questi siano a doversi espletare: particolarmente suggestive le delucidazioni sui cosiddetti momenti di “rilassamento” di queste stesse dinamiche di potere, di fatto utili esclusivamente alla sopravvivenza omeostatica dell’istituzione stessa. Come il carnevale medioevale rappresentava un momento di rovesciamento funzionale e salubre alla sopravvivenza e al buon funzionamento, fluido, della società dell’epoca, così, nell’istituzione totale, sono previsti momenti di rilassamento e maggiore commistione tra internati e staff, entro forme precise e di fatto stereotipiche. Goffman cita la “partita di calcio” tra internati e staff, il “teatro” come luogo di possibile inversione e rimescolamento dei ruoli, la cena conviviale con operatori e internati mischiati a Natale e Capodanno, momenti insomma in cui i rapporti di potere sembrano assottigliarsi e per un momento annullarsi. In realtà però tali momenti risultano funzionali al loro stesso rafforzamento. Impressionante notare, come chiunque abbia lavorato in un’istituzione odierna chiusa (comunità terapeutiche, strutture di cura di varia forma), come Goffman descriva dinamiche a tutt’oggi vive e attivamente ricreate all’interno di queste strutture.
  • Nella descrizione di quella che chiama “carriera morale del malato mentale” (secondo saggio breve), Goffman descrive il processo che fa sì che l’istituzione promuova uno schiacciamento del Sè del degente, fino a una sua completa “istituzionalizzazione”. Un aspetto su cui Goffman si concentra, è il potere “stigmatizzante” o connotante del luogo dell’istituzione stessa. Ovvero, è l’essere stato in carcere o in manicomio a dare avvio al processo di “etichettamento” del degente e alla sua successiva “carriera” (termine scelto con cura) da malato psichico. Chi per esempio riuscisse a non fare il carcere, ma a scontare la sua pena in modo alternativo, verrebbe salvato dal marchio connotante del luogo/istituzione; Goffman in questo modo sottolinea come possa essere forte l’impatto dell’istituzione totale sia sul Sè (per l’individuo stesso) che sull’immagine costruita agli occhi degli altri.
  • Un aspetto approfondito da Goffman è l’adattamento dell’individuo all’istituzione totale, che suddivide in “primario” (adesione totale alla forma dell’istituzione e apologia della sua morale) e “secondario” (adesione parziale e tentativi -repressi o no- di disorganizzare la forma dell’istituzione). Goffman qui si spende in una descrizione minuziosa di una serie di comportamenti messi in atto dagli internati, volti a sovvertire l’ordine istituzionale in modi più o meno raffinati: dall’usare particolari oggetti al fine di procurarsi vantaggi pratici, al “lavorarsi il sistema”, all’”usare” l’istituzione stessa per ottenere vantaggi di vita (non pagare più un affitto, garantirsi vitto e alloggio). Tutto ciò è argomento evidentemente attuale;
  • Goffman pone l’accento sulla funzione squisitamente sociale e custodialistica, dell’istituzione, e in particolare quella psichiatrica. Nel momento in cui un certo numero di persone si trovassero d’accordo , in modo implicito, nel dover o voler “allontanare” dal gruppo sociale un terzo individuo (immaginiamo il gruppo composto da parenti, curanti interpellati e conoscenti del futuro degente), la “macchina” istituzionale verrebbe avviata e, una volta “internato” l’individuo, si creerebbero le condizioni necessarie a far sì che la ragione sottesa al suo internamento fosse di volta in volta confermata, con la collusione, in pratica, di tutti gli attori coinvolti. Goffman fa qui una rilevazione macroscopica di un meccanismo molto potente (sociale) che di fatto esclude alcuni individui dal campo visivo degli altri, considerati sani.
    Nel triangolo composto da “persona di fiducia”, futuro degente e operatori sanitari, questi ultimi saranno quelli preposti a caricarsi della responsabilità dello “strappo” famigliare. La persona di fiducia (tutore, parente prossimo) è colui che è deputato a rinforzare la motivazione alla cura dell’internato e tenere vivo, al contempo, il rapporto con lui/lei. L’internamento viene a rappresentare così, in alcuni casi, una sorta di sacrificio umano sull’altare della buona pace pubblica.
  • Goffman fa notare che in un ambiente di istituzione totale di taglio psichiatrico si potrà creare un ambiente persecutorio in cui sarà impossibile NON comunicare, per l’internato, agli occhi degli staff. Ogni segno di rivolta, così come ogni segno di acquiescenza eccessiva,  viene interpretato con occhio clinico, al fine di confermare la motivazione stessa all’internamento dell’individuo, come in un gioco di “ruoli iperdefiniti” rigidi e immutabili agli occhi dell’istituzione stessa.
  • Interessante anche il riferimento fatto da Goffman alla “geografia della libertà”, con zone dell’istituzione a scarsa, media e alta sorveglianza da parte dello staff, luoghi “neutri” o sicuri dover poter finalmente essere “se stessi” e zone alle quali il libero accesso avrebbe significato una “progressione” avvenuta nella carriera da internato (maggiori privilegi, maggiore libertà). A proposito di questi luoghi neutri, esclusi dalla politica dell’istituzione totale, Goffman cita il bagno come rifugio ultimo dover poter ricongiungersi con un sé non intaccato dall’istituzione (Goffman osserva questo riferendosi anche alla realtà dei campi di concentramento).
  • Ciò che distingue un’istituzione da un’istituzione totale sono i suoi confini. Le dinamiche di istituzioni di questo tipo sono tali perchè il loro essere “chiuse” le costituirà a luoghi “altri” entro i quali questo tipo di dinamiche (scissionali, foriere di polarizzazioni) possano attecchire (si confronti a questo proposito il concetto di eterotopia di Foucault). Dove non ci fosse “sottosistema chiuso” queste dinamiche perderebbero di senso, divenendo grottesche o assurde (che è l’impressione di chi, dall’”esterno”, osservi per la prima volta il funzionamento di un’istituzione totale senza viverla).

Le riflessioni di Goffman sono veramente impressionanti. Molte delle sue osservazioni sono valide ancora oggi dove esistano forme, magari mutate o raffinate, di istituzione totale. Questo libro andrebbe letto da chiunque lavori o abbia lavorato in strutture chiuse come comunità riabilitative, case di cura, carceri, o ambienti “chiusi”. Ci troverà un’attualità veramente incredibile, come se il libro, del 1961, fosse pubblicato poco fa. Nel libro potrà essere rintracciata una certa ideologia anti-psichiatrica, soprattutto quando l’autore si interroga sul senso ultimo dell’istituzione intesa come luogo di cura. L’obiettivo di Goffman è probabile fosse quella dell’antropologo: descrivere e calarsi in un certo ambiente, facendo un “giro lungo”, per metterne alla luce le fattezze e i meccanismi, senza per forza darne un giudizio di valore -che però in questo caso, a ben vedere, c’è.

PS A riguardo delle istituzioni totali, su questo blog abbiamo recentemente pubblicato alcuni approfondimenti sulla psicologia della carcerazione, qui reperibili.


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7 December 2021

LA SINDROME DI ASPERGER IN BREVE

di Raffaele Avico

I disturbi dello spettro autistico sono variegati e molteplici.

Di per sè il disturbo autistico è un enorme contenitore nosografico entro cui possiamo trovare molteplici aspetti e difficoltà di diverso tipo; un tratto comune, che si declina in modi più o meno intensi, è l’apparente rifiuto attivo della socialità o dei comportamenti pro-sociali.

Entro questo contenitore, troviamo anche una forma di disturbo autistico per così dire più moderata, o “ad alto funzionamento”, chiamato Asperger. Questo articolo rappresenta una review di altri lavori che, in letteratura, hanno cercato di comprendere a fondo il problema.

Vi si tracciano i confini del problema, in particolare in senso comportamentale. La sindrome di Asperger presenta caratteristiche peculiari. L’articolo evidenzia alcuni punti salienti:

  • tramite alcuni strumenti di osservazione (eye-tracking), si è notato che i bambini con Asperger sembravano maggiormente fissare, durante l’interazione, la zona della bocca, senza incrociare gli occhi dell’interlocutore; questo problema (l’evitamento dei “richiami” sociali), riguarda i disturbi dello spettro autistico in generale
  • i soggetti colpiti da Asperger sembrano avere difficoltà a sintonizzarsi con l’emotività delle altre persone, comprese le figure di riferimento affettivo; inoltre, sembrano avere difficoltà a capire alcune sfumature del linguaggio (cosa che rende loro difficili capire l’umorismo, l’ironia, il sarcasmo e il ragionamento metaforico/astratto); in questo senso possiamo parlare di “pensiero concreto” (qui una definizione)
  • tendenzialmente è possibile che soggetti con Asperger manifestino reazioni più aggressive o ostili nei confronti di persone non conosciute
  • alcune caratteristiche cognitive sembrano essere particolarmente comuni: in particolare, un elemento costante è una compromissione in quella che viene definita “teoria della mente”, cioè la possibilità di rappresentare dentro la propria mente i pensieri dell’altro/a; essendo che i disturbi dello spettro autistico vengono posti su un continuum, queste difficoltà potranno presentarsi con diversi gradi di intensità (la Sindrome di Asperger è in questo senso più vicina alla “normalità”)
  • si osserva spesso una tipologia un pensiero “visivo”, cioè costruito “per immagini” e poggiante su una memoria molto durevole e “fotografica”; al contrario tutto quello che è “sonoro” sembra essere posto in secondo piano (con a volte “impressioni” di sordità da parte dei genitori)

La diagnosi di Asperger, andrebbe fatta considerando il soggetto nella sua globalità, pur mantenendo un focus sulle abilità sociali (che rappresentano il vulnus centrale, primario del problema).

In questa interessante pagina di Spazio Asperger, viene riportato un elenco di elementi caratteristici della sindrome, che come abbiamo detto andrebbe considerata come una variante del disturbo autistico ad “alto funzionamento”: alcuni problemi legati al disturbo autistico, sembrano presentarsi anche qui; altre funzioni, tuttavia, sembrano meglio preservate.

Leggiamo qui alcuni punti a proposito della questione Teoria della Mente, che come abbiamo detto rappresenta la capacità di calarsi nei panni degli altri e capirne i pensieri e le intenzioni; avere una difficoltà in questo senso, comporterà per il bambini affetto da Sindrome di Asperger la presenza di:

  • Difficoltà nel decodificare i messaggi dallo sguardo delle altre persone
  • Tendenza ad un’interpretazione letterale di quello che dicono le altre persone
  • Tendenza ad essere considerati maleducati ed irrispettosi
  • Notevole onestà
  • Ritardo nello sviluppo dell’arte della persuasione, del compromesso e della risoluzione di conflitti
  • Forma diversa d’introspezione e autoconsapevolezza
  • Problemi nel decodificare quando qualcosa provoca imbarazzo
  • Tempi maggiori per processare informazioni sociali a causa dell’utilizzo della ragione piuttosto che dell’intuito
  • Sfinimento fisico ed emotivo causato dalla socializzazione

Infine, questo video potrebbe dare un’idea chiara di cosa vuol dire, da adulti, soffrire di Asperger: vengono citati i diversi limiti ma anche i vantaggi, i diversi bisogni, le sfaccettature umane del problema.

Viene anche giustamente ricordato come il soggetto Asperger sembri possedere un’intelligenza spesso superiore alla media in termini di QI, funzionante però a “isole” con interessi specifici iper-verticali aventi (anche) funzione ansiolitica e di regolazione emotiva:

 

NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI).

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7 July 2021

I VIRUS: IL LORO RUOLO NELLE MALATTIE NEURODEGENERATIVE

 di Marco Colamartino

Non possiamo negare che la parola “virus” sia ormai diventata di uso comune a causa della pandemia mondiale che stiamo vivendo.

Eppure, anche se il negazionismo di questi tempi è diffuso ed alcuni sostengono l’esistenza di strani complotti, i virus ci sono sempre stati e molti di questi sono molto pericolosi anche per il nostro sistema nervoso. Essendo dei parassiti endocellulari obbligati, i virus hanno bisogno delle nostre cellule per replicarsi e per diffondersi e mutano continuamente per adattarsi all’ospite che infettano.

I virus che possono infettare l’essere umano ed avere ripercussioni anche serie sul nostro sistema nervoso sono generalmente gli herpesvirus di tipo 1-2 o 3 (HHV1 e HHV2 sono anche conosciuti come “herpes simplex” mentre HHV3 è l’herpes zoster virus, responsabile della varicella), il citomegalovirus (CMV), l’HIV, l’Espstein Barr virus (EBV), l’Ebola e alcuni virus della rabbia. Una certo rilievo hanno anche il virus del morbillo e il coxsackievirus conosciuto per la “mani-bocca-piedi” che può provocare meningite asettica. (Dando et al., 2014).

Anche il SARS-CoV-2 sembra coinvolgere, con dei meccanismi ancora oggi in fase di studio, il nostro sistema nervoso.

Pericolosi per il nostro sistema nervoso sono anche alcuni batteri (basti pensare allo streptococco, responsabile della forma più diffusa di meningite) ma anche parassiti, miceti, e protozoi.

Ritornando a parlare dei virus, i meccanismi noti per cui un virus può riuscire ad entrare nel nostro sistema nervoso centrale sono tre:

  • Utilizzando i terminali nervosi periferici (molti virus utilizzano questo meccanismo, come per esempio alcuni herpesvirus e alcuni coronavirus) (van Riel et al., 2015)
  • Infettando e danneggiando le cellule endoteliali della Barriera Ematoencefalica (Verma et al., 2009; Fletcher et al., 2012)
  • Infettando le cellule immunitarie che attraversano la Barriera Ematoencefalica (questo meccanismo è utilizzato dal virus dell’HIV. Tale virus diventa un vero e proprio “cavallo di Troia” riuscendo così ad entrare nel SNC). (Larochelle et al., 2011; Takeshita and Ransohoff, 2012; Bostanciklioglu, 2020).

Una volta entrati nel SNC, questi virus possono provocare encefaliti, mieliti o meningiti virali. Anche se molto spesso l’azione virale sul SNC termina con la sconfitta del virus, alcuni di questi possono provocare dei danni progressivi a strutture cerebrali, alle funzioni cerebrali e alla cognizione; inoltre, questi virus possono provocare infezioni croniche o entrare in fase latente per riattivarsi poi in particolari condizioni (come per esempio il virus dell’HIV, il virus del morbillo e alcuni herpesvirus) (Rodriguez et al., 2020).

Ma quali sono i disturbi del sistema nervoso che possono essere influenzati da infezioni virali?

  • Disturbo neurodegenerativo da HIV = come scritto sopra, il virus dell’HIV riesce a infettare le cellule del sistema nervoso utilizzando i linfociti e i monociti come veicoli. Le principali cellule target dell’HIV sono quelle della microglia, gli astrociti ed i neuroni motori e corticali; per questo motivo il soggetto con HIV va incontro ad una progressiva demenza con associati disturbi motori, cognitivi e comportamentali (Almeida and Lautenschlager, 2005).
  • Il morbo d’Alzheimer = il morbo d’Alzheimer è un disturbo neurodegenerativo caratterizzato da un graduale declino cognitivo. Il morbo è associato ad un’attivazione del sistema immunitario e ad un’infiammazione periferica cronica (Culibrk and Hahn, 2020). Nei soggetti con l’Alzheimer si rileva la presenza di gomitoli neurofibrillari in alcune strutture cerebrali (dovuti all’alterazione della proteina TAU) e di placche senili (che sono accumuli della glicoproteina amiloide). Le funzioni cognitive più compromesse sono la memoria, l’attenzione, la capacità di organizzare ed elaborare informazioni complesse, di elaborare il pensiero astratto e la capacità di valutare e prendere delle decisioni. Studi recenti hanno osservato che alcuni virus possono contribuire al manifestarsi del morbo di Alzheimer, in modo particolare gli herpesvirus (HHV1 – HHV6 – HHV7) (Lovheim et al., 2015; Readhead et al.,2018), l’Epstein Barr virus e il citomegalovirus (Carbone et al., 2014). In modo particolare, tra questi, l’herpesvirus 1 (HHV1) sembra essere particolarmente coinvolto in specifici danni al DNA che possono facilitare l’insorgenza del morbo d’Alzheimer (Looker et al., 2015).
  • La Sclerosi Multipla = la sclerosi multipla è un disturbo neurodegenerativo e neuroinfiammatorio del sistema nervoso centrale caratterizzato da particolari lesioni della mielina del cervello che portano progressivamente a disabilità fisiche e cognitive. Alcuni studi hanno osservato che particolari virus possono facilitare l’insorgenza della Sclerosi Multipla; in modo particolare in soggetti con SM, sono stati trovati elevati livelli trascrizionali nel SNC degli herpesvirus HHV3 e HHV6 (Mancuso et al., 2007; Alvarez-Lafuente et al., 2008) ma anche di alcuni coronavirus (Burks et al., 1980) e dell’Epstein Barr virus (Mameli et al., 2012). Sembra che questi virus possano andare ad interagire con il processo di produzione della mielina nelle lesioni della Sclerosi Multipla (Kremer et al., 2013) ed in quello di demielinizzazione (Rolland et al., 2005).
  • La Sclerosi Laterale Amiotrofica = la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è un disturbo neurodegenerativo caratterizzato da una progressiva perdita dei motoneuroni corticali e spinali. Anche se è noto oggi che la SLA è correlata a particolari mutazioni genetiche (Yousefian-Jazi et al., 2020) alcuni virus sono particolarmente coinvolti nell’insorgenza del disturbo, come il virus dell’HIV che sembra agire nei processi di neuroinfiammazione dei motoneuroni (Moulignier et al., 2001).
  • La Schizofrenia = la schizofrenia è un disturbo neuropsichiatrico caratterizzato da allucinazioni, psicosi e visioni. Si sa poco sulla schizofrenia oggi; le informazioni note sono che ha un esordio precoce (giovane età adulta) e che emerge da un’associazione di fattori genetici ed ambientali. Nei pazienti con schizofrenia è stata osservata una disregolazione della risposta immunitaria che porta ad uno stress neurale consistente (Pearce et al., 2019; Nettis et al., 2020) e sembra che questo possa essere influenzato anche dall’infezione di alcuni tipi di virus, come gli herpesvirus (HHV2) (Arias et al., 2012). Studi recenti hanno anche dimostrato che infezioni virali nel periodo perinatale (dovute ad esempio anche dal virus dell’influenza) possano aumentare i processi neuroinfiammatori e produrre neurotossicità, contribuendo all’insorgenza del disturbo (Perron et al. 2008).

Infine, concludiamo con un approfondimento proprio sul SARS-CoV-2.

Non si è ancora capito se il virus acceda o meno al nostro sistema nervoso: inizialmente si pensava che questo virus potesse giungere al cervello attraverso i nervi olfattivi e forse anche attraverso il nervo vago (Guadarrama-Ortiz et al., 2020; Liu et al., 2020) e che questo meccanismo potesse determinare una risposta neuroinfiammatoria al virus con associati sintomi neurologici come capogiri, cefalea, convulsioni, emorragia intracerebrale ed ictus (Benger et al., 2020; Guadarrama-Ortiz et al., 2020). Uno studio recente però, pubblicato su Nature (“Dysregulation of brain and choroid plexus cell types in severe COVID-19”) ha dimostrato come il virus del SARS-CoV-2 non entri direttamente nel nostro sistema nervoso centrale evidenziando però come i soggetti infettati presentassero una diminuzione della funzionalità dei neuroni della corteccia frontale e una sovraespressione di geni correlati alla depressione e alla schizofrenia. Lo studio però spiega come l’impatto di questo virus sul sistema nervoso centrale sia ancora sotto oggetto di studio; si ipotizza comunque un qualche tipo di coinvolgimento indiretto in quanto più di un terzo dei soggetti infettati presenta sintomi neurologici anche a distanza di molto tempo dall’infezione che si manifestano nella sindrome da fatica cronica ed encefalomielite mialgica (Nath and Smith, 2021).

BIBLIOGRAFIA

Almeida, O. P., and Lautenschlager, N. T. (2005). Dementia associated with infectious diseases. Int. Psychogeriatr. 17, S65–S77.

Alvarez-Lafuente, R., Garcia-Montojo, M., De Las Heras, V., Dominguez-Mozo, M. I., Bartolome, M., Benito-Martin, M. S., et al. (2008). Herpesviruses and human endogenous retroviral sequences in the cerebrospinal fluid of multiple sclerosis patients. Mult. Scler 14, 595–601. doi: 10.1177/ 1352458507086425

Arias, I., Sorlozano, A., Villegas, E., de Dios Luna, J., McKenney, K., Cervilla, J., et al. (2012). Infectious agents associated with schizophrenia: a meta-analysis. Schizophr. Res. 136, 128–136. doi: 10.1016/ j.schres.2011.10.026 

Benger, M., Williams, O., Siddiqui, J., and Sztriha, L. (2020). Intracerebral haemorrhage and COVID-19: Clinical characteristics from a case series. Brain Behav. Immun. 88, 940–944. doi: 10.1016/ j.bbi.2020.06.005

Bostanciklioglu, M. (2020). SARS-CoV2 entry and spread in the lymphaticdrainage system of the brain. Brain Behav. Immun. 87, 122–123. doi: 10.1016/j.

Burks, J. S., DeVald, B. L., Jankovsky, L. D., and Gerdes, J. C. (1980). Two coronaviruses isolated from central nervous system tissue of two multiple sclerosis patients. Science 209, 933–934. doi: 10.1126/ science.7403860

Culibrk, R. A., and Hahn, M. S. (2020). The Role of Chronic Inflammatory Bone and Joint Disorders in the Pathogenesis and Progression of Alzheimer’s Disease. Front. Aging Neurosci. 12:583884. doi: 10.3389/ fnagi.2020.583884

Dando, S. J., Mackay-Sim, A., Norton, R., Currie, B. J., St John, J. A., Ekberg, J. A., et al. (2014). Pathogens penetrating the central nervous system: infection pathways and the cellular and molecular mechanisms of invasion. Clin. Microbiol. Rev. 27, 691–726. doi: 10.1128/ cmr.00118-13

Fletcher, N. F., Wilson, G. K., Murray, J., Hu, K., Lewis, A., Reynolds, G. M., et al. (2012). Hepatitis C virus infects the endothelial cells of the blood-brain barrier. Gastroenterology 142:e636.

Guadarrama-Ortiz, P., Choreno-Parra, J. A., Sanchez-Martinez, C. M.,Pacheco-Sanchez, F. J., Rodriguez-Nava, A. I., and Garcia-Quintero, G. (2020). Neurological Aspects of SARS-CoV-2 Infection: Mechanisms andManifestations. Front. Neurol. 11:1039. doi: 10.3389/ fneur.2020.01039

Kremer, D., Schichel, T., Forster, M., Tzekova, N., Bernard, C., van der Valk, P., et al. (2013). Human endogenous retrovirus type W envelope protein inhibits oligodendroglial precursor cell differentiation. Ann. Neurol. 74, 721–732. doi: 10.1002/ ana.23970

Larochelle, C., Alvarez, J. I., and Prat, A. (2011). How do immune cells overcome the blood-brain barrier in multiple sclerosis? FEBS Lett. 585, 3770–3780. doi:10.1016/ j.febslet.2011.04.066

Liu, X., Liu, Y., Chen, K., Yan, S., Bai, X., Li, J., et al. (2020). Efficacy of ACEIs/ARBs vs CCBs on the progression of COVID-19 patients with hypertension in Wuhan: A hospital-based retrospective cohort study. J. Med. Virol. 93, 854–862.doi: 10.1002/ jmv.26315

Looker, K. J., Magaret, A. S., May, M. T., Turner, K. M., Vickerman, P., Gottlieb, S. L., et al. (2015). Global and Regional Estimates of Prevalent and Incident Herpes Simplex Virus Type 1 Infections in 2012. PLoS One 10:e0140765. doi: 10.1371/ journal.pone.0140765

Lovheim, H., Gilthorpe, J., Adolfsson, R., Nilsson, L. G., and Elgh, F. (2015). Reactivated herpes simplex infection increases the risk of Alzheimer’s disease. Alzheimers Dement 11, 593–599. doi: 10.1016/ j.jalz.2014.04.522

Mameli, G., Poddighe, L., Mei, A., Uleri, E., Sotgiu, S., Serra, C., et al. (2012). Expression and activation by Epstein Barr virus of human endogenous retroviruses-W in blood cells and astrocytes: inference for multiple sclerosis. PLoS One 7:e44991. doi: 10.1371/ journal.pone.0044991

Mancuso, R., Delbue, S., Borghi, E., Pagani, E., Calvo, M. G., Caputo, D., et al. (2007). Increased prevalence of varicella zoster virus DNA in cerebrospinal fluid from patients with multiple sclerosis. J. Med. Virol. 79, 192–199. doi: 10.1002/jmv.20777

Moulignier, A., Moulonguet, A., Pialoux, G., and Rozenbaum, W. (2001). Reversible ALS-like disorder in HIV infection. Neurology 57, 995–1001. doi:10.1212/wnl.57.6.995

Nath, A., and Smith, B. (2021). Neurological issues during COVID-19: An overview. Neurosci. Lett. 742:135533. doi: 10.1016/ j.neulet.2020.135533

Nettis, M. A., Pariante, C. M., and Mondelli, V. (2020). Early-Life Adversity,Systemic Inflammation and Comorbid Physical and Psychiatric Illnesses ofAdult Life. Curr. Top. Behav. Neurosci. 44, 207–225. doi:10.1007/7854_2019_89

Pearce, J., Murray, C., and Larkin, W. (2019). Childhood adversity and trauma: experiences of professionals trained to routinely enquire about childhoodadversity. Heliyon 5:e01900.

Perron, H., Mekaoui, L., Bernard, C., Veas, F., Stefas, I., and Leboyer, M. (2008). Endogenous retrovirus type W GAG and envelope protein antigenemia inserum of schizophrenic patients. Biol. Psych. 64, 1019–1023.

Readhead, B., Haure-Mirande, J. V., Funk, C. C., Richards, M. A., Shannon, P., Haroutunian, V., et al. (2018). Multiscale Analysis of Independent Alzheimer’s Cohorts Finds Disruption of Molecular, Genetic, and Clinical Networks by Human Herpesvirus. Neuron 99:e67. doi: 10.1016/ j.neuron.2018.05.023

Rodriguez, C., Gouilh, M. A., Weiss, N., Stroer, S., Mokhtari, K., Seilhean, D., et al. (2020). Fatal Measles Inclusion-Body Encephalitis in Adult with Untreated AIDS. France. Emerg. Infect. Dis. 26, 2231–2234. doi: 10.3201/eid2609.200366

Rolland, A., Jouvin-Marche, E., Saresella, M., Ferrante, P., Cavaretta, R., Creange, A., et al. (2005). Correlation between disease severity and in vitro cytokine production mediated by MSRV (multiple sclerosis associated retroviral element) envelope protein in patients with multiple sclerosis. J. Neuroimmunol. 160, 195–203. doi: 10.1016/j.jneuroim.2004.10.019

Takeshita, Y., and Ransohoff, R. M. (2012). Inflammatory cell trafficking across the blood-brain barrier: chemokine regulation and in vitro models. Immunol. Rev. 248, 228–239.

van Riel, D., Verdijk, R., and Kuiken, T. (2015). The olfactory nerve: a shortcut for influenza and other viral diseases into the central nervous system. J. Pathol. 235, 277–287. doi: 10.1002/ path.4461

Verma, S., Lo, Y., Chapagain, M., Lum, S., Kumar, M., Gurjav, U., et al. (2009). West Nile virus infection modulates human brain microvascular endothelial cells tight junction proteins and cell adhesion molecules: Transmigration across the in vitro blood-brain barrier. Virology 385, 425–433. doi: 10.1016/ j.virol. 2008.11.047

Yousefian-Jazi, A., Seol, Y., Kim, J., Ryu, H. L., Lee, J., and Ryu, H. (2020). Pathogenic Genome Signatures That Damage Motor Neurons in Amyotrophic Lateral Sclerosis. Cells 9:2687. doi: 10.3390/ cells9122687

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1 July 2021

LA PLUSDOTAZIONE SPIEGATA IN BREVE

di Raffaele Avico

Per plusdotazione (giftedness in inglese) è da intendersi come una particolare dotazione in termini cognitivo/intellettivi, posseduta da circa il 2% dei bambini. Questi bambini appaiono molto acuti nelle osservazioni, veloci in termini di performance cognitive, e rischiano spesso di esser confusi con bambini sofferenti di disturbi dell’attenzione o ADHD.

In questo senso è opportuno prestare particolare attenzione al formulare una diagnosi differenziale adeguata. Se per esempio osserviamo un bambino particolarmente agitato e in difficoltà nel momento in cui debba concentrarsi su un compito particolare, potremo pensare a due opzioni distinte, ovvero a una condizione di protratta difficoltà attenzionale (il bambino non riesce a concentrarsi per un tempo sufficiente su nessuno stimolo), contrapposta a una semplice “troppa limitatezza” dello stimolo nei casi, appunto, di una plusdotazione.

È frequente osservare che bambini plusdotati o con QI molto alti (per esempio 130, con la media che si attesta sui 100) presentino nel corso del percorso scolastico alcune difficoltà peculiari, spesso arrivando al drop-out o a sviluppare pesanti forme di sofferenza e fobia scolare.

Perchè avviene questo?

Per cominciare dobbiamo fare riferimento all’aspetto della dissincronia di sviluppo tra capacità cognitive e assetto emotivo. Un bambino plusdotato potrà ragionare a 5 anni come un ragazzino di 10, emotivamente però restando un bambino di 5. È facile intuire come questo tipo di dinamica possa condurre a fraintendimenti e sofferenza nel contesto del rapporto tra lo stesso bambino e i suoi genitori o gli insegnanti.

Molteplici gruppi di lavoro sul tema stanno lavorando affinché la scuola possa erogare servizi speciali a bambini plusdotati, compresa la possibilità -proposta dall’Associazione italiana Sviluppo del Talento e della Plusdotazione- di poter “saltare” due anni scolastici durante la preparazione al percorso universitario.

Per comprendere le sfaccettature e le dimensioni del problema, viene usato un modello teorico multidimensionale che comprende un focus doppio, concentrandosi sulle caratteristiche di personalità e sull’ambiente in cui il bambino si trovi a crescere; riassumiamo quindi con un generico:

PLUSDOTAZIONE = CARATTERISTICHE DI PERSONALITÀ e GENETICHE+AMBIENTE

Per tornare agli aspetti di diagnosi e riconoscimento, sono stati rintracciati quattro errori comunemente fatti nel riconoscere bambini plusdotati:

  1. confondere il bambino plusdotato con un bambino sofferente di ADHD: questo avviene perchè, effettivamente, alcuni comportamenti messi atto da bambini con AHDH possono essere sovrapponibili ad atteggiamenti tenuti da bambini plusdotati; a fare la differenza, in questo caso, sarà la pervasività del problema: nell’ADHD, il problema sarà costante ed endemico, non focalizzato a solo alcuni contesti, come invece accadrà per il plusdotato
  2. confondere il bambino plusdotato con un bambino affetto da sindrome oppositivo-provocatoria: spesso i bambini plusdotati sono particolarmente “volitivi” e possono sembrare, in alcuni frangenti, aggressivi; occorrerà dunque capire in che modo questa aggressività si esprima e con quale costanza durante la vita quotidiana questa si manifesti
  3. confondere il bambino plusdotato con un bambino affetto da disturbo dell’umore o da DOC: è possibile che la presenza di alcune aree di plusdotazione, produca un’alterazione del tono dell’umore del bambino, a tratti “euforico”; questo non dovrà far pensare tuttavia a un disturbo dell’umore a meno che gli stessi sbalzi non si manifestino in modo ricorrente, attraverso cicli lunghi e in modo “estremo”; lo stesso vale per il DOC (quindi attenzione a formulare una giusta diagnosi differenziale tramite un’osservazione “lunga”)
  4. confondere il bambino plusdotato con un bambino affetto da DSA: il tema dei DSA i questi casi è un tema delicato; un po’ come succede per bambini colpiti da disturbi dello spettro autistico, è possibile che bambini plusdotati siano “eccellenti” in aree singole della loro intelligenza, e meno in altre; potrà capitare di riscontrare nella loro produzione scolastica alcune aree di difficoltà (molto frequente la disgrafia)

Come si deve comportare una famiglia con un bambino plusdotato? In questi casi occorrerà saper garantire al bambino i giusti stimoli in una quantità e qualità tale da “stimolarlo”, senza caricarlo però di aspettative irrealistiche che potrebbero produrre dei contraccolpi a livello di autostima. Occorrerà cioè trovare un punto di equilibrio. L’Associazione Italiana per lo Sviluppo del Talento e dei Plusdotati, propone l’inserimento, a scuola, di un mentor formato a questo scopo.

Esiste in Italia, presso l’università di Pavia, un laboratorio che si occupa da anni, in particolare, di Plusdotazione, si chiama LabTalento.

Ulteriori informazioni e approfondimenti il sito dell’AISTAP.


Ps tutto il materiale su trauma e dissociazione presente su questo blog è consultabile cliccando sul bottone a inizio pagina (o dal menù a tendina) #TRAUMA.

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31 May 2021

PSICHIATRIA DI COMUNITÁ: LA SCELTA DI UN METODO

di Raffaele Avico

La scelta di un metodo lavorativo adeguato, in ambiente comunitario, rappresenta lo strumento che permette a utenti e operatori di godere della reciproca presenza, all’interno della Struttura, favorendo lo svilupparsi di un clima di calda operosità e benessere.

Entrando all’interno e potendo osservare il funzionamento di una struttura comunitaria, ci si rende conto dopo poco tempo se la struttura in questione funzioni o meno, se il personale lavori con un sufficiente grado di motivazione, se gli utenti gradiscano il soggiorno all’interno della casa e se esista o meno un clima cooperativo e strutturato su una “missione” condivisa.

Innanzitutto vanno distinte le diverse fasi del percorso di recupero (restando nell’ambito della tossicodipendenza): un percorso di disintossicazione da Centro Crisi presenta caratteristiche e requisiti diversi da un percorso comunitario, così come da un percorso di reinserimento.

Per quanto riguarda il metodo di lavoro da adottare all’interno di una struttura in cui si voglia proporre un percorso di conoscenza di sè rispetto all’abuso di sostanze, senza possibilità di uscire all’esterno (quindi, una percorso comunitario nel senso più “classico” del termine), è utile svolgere un’indagine comparata dei metodi utilizzati in diverse strutture, anche riferendoci a strutture operanti al di fuori dell’Italia.

É possibile reperire spunti e materiale prezioso sul sito della rivista della comunità “il Porto” di Moncalieri (TO), (http://www.terapiadicomunita.org/), che offre la possibilità di consultare un database di articoli relativi al metodo di lavoro in comunità, spesso frutto di trascrizioni effettuate da interventi vocali di relatori, docenti e operatori.

Sul sito sono pubblicati articoli di vario genere, ma assumono particolare rilevanza in questa sede gli articoli che offrono la descrizione dei quadri metodologici utilizzati in contesti molto diversi, come gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Francia.

Seppur riferiti a strutture comunitarie di vario genere, i metodi descritti offrono un elenco delle caratteristiche metodologiche che rendono una Struttura in grado di fornire un supporto adeguato a utenti e operatori.

Da una rapida lettura di alcuni degli articoli descritti, è utile partire dall’apporto teorico di Otto Kernberg (Kernberg O., 1987) che, analizzando la letteratura, volle isolare i concetti fondanti le comunità terapeutiche, facendone un’analisi critica, e sottolineando in particolare due aspetti:

  1. Nel trattamento di comunità il personale e i pazienti funzionano insieme come comunità organizzata per portare avanti la cura. L’idea innovativa e rivoluzionaria evidenziata da Kernberg è che i pazienti, sia individualmente sia in gruppo, partecipano attivamente e sono corresponsabili del proprio trattamento.
  2. La cultura terapeutica si basa sul fatto che tutte le attività e tutte le interazioni debbano divenire oggetto di riflessione allo scopo di rieducare e riabilitare. Deve esserci un confronto tra vita e apprendimento, con un flusso comunicativo aperto tra residenti e operatori fatto di feedback immediati e continui (dev’esserci cioè una cultura dell’indagine).

Kernberg manifesta particolare enfasi nel sottolineare l’importanza di momenti di comunicazione e chiarificazione tra utenti e operatori, attraverso gruppi e discussioni cadenzate.

Egli individua peraltro alcuni aspetti problematici delle comunità terapeutiche, relativi alla distanza tra un approccio gestionale autoritario e un approccio invece più basato su un democrazia “diretta”:

  1. Nella cultura della comunità terapeutica si presuppone che l’autoritarismo sia antiterapeutico e che le decisioni prese sulla base del potere piuttosto che della condivisione vadano contro gli interessi dei pazienti. Nella pratica quotidiana possiamo constatare che l’esercizio dell’autorità e del potere è un aspetto molto delicato ma non sempre risulta dannoso: esiste un’autorità funzionale che si contrappone ad un’autorità inadeguata. Il vero contrasto è tra decisionalità autoritaria e decisionalità funzionale. Una gestione autoritaria può distorcere l’utilizzo delle regole e preclude la possibilità di rendere più completo il trattamento grazie all’uso terapeutico della Comunità come sistema sociale.
  2. Il concetto di comunità terapeutica implica che la democratizzazione del processo di cura sia di per sé terapeutico. Si pensa che la democratizzazione accresca l’autostima del paziente, l’efficacia del suo funzionamento e l’onestà delle sue comunicazioni, avendo perciò un effetto positivo diretto sulla sua crescita personale. Questo aspetto si concretizza nella libertà di adesione al percorso comunitario; le persone sono libere di decidere se stare o meno in comunità, c’è un loro atto di volontà; sappiamo anche che spesso questa “scelta” è condizionata dalle pressioni da parte dei curanti, dei familiari e del contesto esterno.

Un apporto importante è stato inoltre quello fornito da Rex Haigh (R. Haigh, 2002), che individuò 5 qualità di un ambiente terapeutico funzionale, presentate come una sequenza evolutiva. Secondo l’autore le “parole chiave” di una buona cultura di comunità dovrebbero essere:

  1. Attaccamento: una cultura di reciproca affezione, nella quale l’attenzione è rivolta all’unione e al distacco, e lo staff è incoraggiato a sentirsi parte di questo processo. É importante monitorare come le persone arrivano, che sentimenti provano, e come se ne vanno.
  2. Contenimento: una cultura della sicurezza, nella quale c’è una sicura struttura organizzativa e gli staff si sentono supportati, accuditi e sufficientemente protetti nel gruppo. Oltre alla sicurezza fisica, occorre anche pensare alla sicurezza psicologica. Se un giovane operatore sa che c’è una figura a cui rivolgersi per consigli, supporto, guida, che rispetta i giovani colleghi per come sono e per la loro professionalità ed è disponibile e aperto al confronto, con tutta probabilità si sentirà più fiducioso e sicuro nello svolgimento del proprio lavoro, sostenendo maggiormente il carico di stress. Ne consegue l’importanza del ruolo del tutor. D’altro canto anche la rete di relazioni tra gli operatori è un elemento importante di sicurezza, così come una chiara e realistica definizione di limiti, procedure, regole, compiti e ruoli.
  3. Comunicazione: una cultura di apertura e trasparenza, in cui conflitti e difficoltà possono essere espressi, e gli staff sviluppano un’attitudine ad affrontare in modo riflessivo le problematiche con le quali si confrontano continuamente nel corso del proprio lavoro. Spesso ci si riferisce a questa componente con il termine coniato da Tom Main: cultura dell’indagine. La comunicazione ha necessità di tempo, canali e relazioni. I processi proiettivi dei pazienti possono inquinare la vita psichica degli operatori facendoli sentire abusanti, abusati o inutili. Questo richiede di discutere con una certa profondità e ampiezza della propria e dell’altrui esperienza con i pazienti. Un gruppo che faciliti questa comunicazione accresce il morale, abbassa il livello di stress, incrementa il senso di sicurezza e di contenimento sul lavoro, aumenta la comprensione reciproca dei ruoli e delle responsabilità, prevenendo la formazione di sottogruppi distruttivi. Inoltre permette di indirizzare potere, leadership e compiti gerarchici, migliora la relazione tra gli operatori incoraggiando il piacere e la creatività nel gruppo.
  4. Coinvolgimento: una cultura dell’apprendimento dall’esperienza, nella quale i membri del gruppo apprezzano l’un l’altro i propri contributi e hanno la sensazione che il loro lavoro e la loro prospettiva siano valutate. Essere consapevoli della propria relazione con gli altri nel gruppo, definisce la nostra identità e promuove il sentimento di sentirsi parte di qualcosa che è più duraturo e potente di qualcosa prodotto solo da sé stessi. Differenze nel gruppo di lavoro portano ricchezza e varietà. Questa pratica di lavoro può essere espressa solo se il gruppo è dinamico, fiducioso, con la possibilità di pensare liberamente a tal punto da permettere a tutti i membri di trovare una propria collocazione in un modo che è più sofisticato e complesso di una semplice gerarchia. L’obiettivo di lavorare insieme è incrementabile quando i brevi momenti di contatto sono riconosciuti e valorizzati. Occorre comunque tener conto della tendenza all’individualità.
  5. Iniziativa: una cultura di “empowerment”, nella quale tutti i membri del gruppo possono esprimere la propria opinione sul funzionamento dell’istituzione e giocano una parte nel processo decisionale. Il “micromanagement” fa perdere la capacità di analizzare, pensare e decidere insieme. Condividere la responsabilità richiede un considerevole grado di intimità e fiducia perché comporta l’esposizione all’incertezza e all’ansietà.

Interessante inoltre rilevare come, per quanto riguarda il discorso degli obiettivi che una Comunità dovrebbe portare avanti nel lavoro con gli utenti, emergano come prioritari l’ottenere contenimento e il realizzare sviluppo: un doppio asse metodologico che si preoccupi quindi di fornire un sufficiente contenimento degli utenti rispetto alle loro difficoltà individuali, insieme ad un ambiente formativo e di crescita in cui le persone sentano di fare un lavoro su di sè che li faccia crescere e sentire utili.

Sembra essere imprescindibile dunque la presenza di un movimento di cura affiancato da un movimento di formazione e di trasmissione di competenze nuove per la persona.

Per quanto riguarda l’aspetto del contenimento e della cura, Aldo Lombardo (Lombardo, A. 2004) pone due questioni da tenere in considerazione nel lavoro con gli utenti: quanto cioè venga promossa in comunità la qualità della vita dell’utente, insieme a quanto venga corretta e analizzata la sua personalità patologica. Secondo l’autore, non basta infatti promuovere tutte quelle caratteristiche della persona che gli favoriranno un successivo reinserimento sociale (potenziare cioè le sue caratteristiche di personalità più sane e stabili): è necessario nel lavoro con gli utenti prestare attenzione alle manifestazioni disfunzionali della sua personalità, quelle insomma che rendono difficile all’utente l’inserimento sociale, o che lo spingono a comportamenti d’abuso, agli agiti, e così via.

La comunità e le persone che la occupano, da questo punto di vista, rivestono l’importantissima funzione di specchio, per l‘utente: a partire dal confronto con gli altri residenti potrà ricevere rimandi sulle sue stesse modalità relazionali all’interno della struttura e avere quindi un quadro più lucido dei suoi tratti comportamentali disfunzionali verso se stesso e gli altri.

Il movimento di cura dovrà assumere 4 differenti direzioni, nella forma di 4 diversi approcci, da sviluppare contemporaneamente e da tenere sempre presenti nel lavoro con l’utenza:

  1. Approccio educativo: centrato sull’apprendimento adattativo dei sistemi di valori e norme della comunità, utilizza gli strumenti del lavoro, della struttura, del gruppo, dei provvedimenti, dei laboratori, della cura di sé, della gestione del denaro, della responsabilità e dei privilegi.
  2. Approccio psicologico: si articola in spazi di riflessione ed elaborazione della situazione attuale ed eventualmente passata attraverso strumenti come il colloquio, il gruppo, gli incontri familiari;
  3. Approccio sociale: in cui sono stimolate le interazioni sociali in base alle regole della socialità e dell’altruismo con gli strumenti della vita di gruppo, della responsabilità, delle uscite di socializzazione.
  4. Approccio biologico: attraverso l’utilizzo di terapie farmacologiche.

Secondo Olivero Maurizio, ex-responsabile della comunità “Il Porto”, gli strumenti poi da utilizzare all’interno della struttura, dovrebbero essere:

  1. La quotidianità
    É il fulcro della vita comunitaria, ovvero l’ambito in cui il soggetto si sperimenta nell’acquisizione di uno stile di vita diverso ed interiorizza nuove regole. È supportata da un’organizzazione interna della casa che ha la finalità di scandire tempi ed attività, alla quale tutti i residenti sono tenuti a prendere parte. Un aspetto importante per la creazione di un ambiente terapeutico “sufficientemente buono” è la cura costante dell’organizzazione e dei conflitti che possono emergere in essa. Il quotidiano è il plasma della terapia: organizzarlo, dargli un senso e creare le condizioni perché possa essere vissuto con piacere assieme ad altri fa sì che ogni paziente acquisisca gradualmente quello che maggiormente gli manca: vivere i propri sentimenti creando affetto.
  2. La relazione
    Attraverso gli scambi quotidiani intensi e significativi tra residenti e tra residenti ed operatori si tenta di instaurare delle relazioni autentiche, finalizzate a valorizzare le persone. La disposizione dell’operatore è improntata ad un ascolto attivo. Lo stile educativo deve essere calibrato all’evolversi della relazione e della persona, passando attraverso una ridefinizione della dimensione normativa e della dimensione relazionale: il passaggio è dal prescrivere-guidare al dialogare-convincere, per poi giungere a coinvolgere-responsabilizzare e quindi al delegare-valorizzare.
  3. Le regole
    Garantiscono la vita ed i rapporti all’interno del gruppo. Le regole di convivenza per essere accettate vanno chiaramente esplicitate, e si possono suddividere in tre categorie
    1) regole normative di base: residenza volontaria, no sesso, no violenza, no sostanze stupefacenti. Se violate possono portare all’espulsione dell’ospite;
    2) regole di carattere generale: ad esempio il rispetto degli orari e delle persone; regolamentano il vivere quotidiano;
    3) regole specifiche: vengono definite per ogni persona in genere al momento dell’ingresso e possono modificarsi durante il tempo. Un esempio sono le uscite da soli o accompagnati.
    La definizione di regole porta con sé quello di trasgressione. La trasgressione è un modo per comunicare qualcosa di sé e del proprio rapporto con la comunità, provoca un confronto che permette di comprendere la regola e poterla accettare. Le sanzioni devono essere necessariamente correlate all’individuo che trasgredisce e al significato del gesto trasgressivo.
  4. Le attività occupazionali
    Permettono da un lato di misurarsi con elementi di realtà facendo i conti con la frustrazione che può derivare dall’impegno lavorativo (orari, regole, doveri, fatiche, responsabilità), e dall’altro di confrontarsi con le proprie capacità manuali ed intellettuali con l’obiettivo di acquisire una sempre maggiore autonomia. Il lavoro incoraggia un funzionamento autonomo attraverso la valorizzazione delle potenzialità individuali.:

Per quanto riguarda la gestione della struttura, dalla lettura degli articoli contenuti nel sito sopracitato si delinea un miglior funzionamento di una gestione di tipo democratico da parte del gruppo equipe, che potrebbe prendere il nome di democrazia diretta, nel senso di non mediata da tramiti, ma osservata e regolamentata dall’equipe stessa insieme agli utenti.

Interessante a questo proposito osservare il funzionamento della struttura terapeutica inglese “Handerson Hospital”, conosciuta per il grosso esempio che diede a partire dagli anni ’50 alle strutture comunitarie non solo inglesi, ma anche statunitensi e italiane. All’interno di questa struttura (che non trattava nello specifico problematiche di tossicodipendenza, ma piuttosto disturbi di personalità di diverso tipo), le decisioni relative all’ammissione o alla dimissione di un particolare utente venivano prese a partire dall’intervento di tutti gli utenti, che decidevano insieme agli operatori attraverso una decisione democratica. L’idea di fondo era che fosse preferibile responsabilizzare il più possibile gli utenti all’interno del loro percorso di cura, cosicché si sentissero parte integrante del lavoro su di sè e sul gruppo comunità.

Questa responsabilità assumeva varie forme nella vita comunitaria: esistevano per esempio 3 utenti che, mensilmente, ricevevano il compito di funzionare da tramiti tra il gruppo comunità e il gruppo operatori, a cui veniva affidata grossa responsabilità decisionale nelle riunioni di gruppo effettuate settimanalmente. Questo per far sperimentare agli utenti il peso dell’autorità e, come in un gioco di psicodramma allargato, fare in modo che, una volta “destituiti” dal loro incarico potessero reggere meglio e meglio comprendere le dinamiche legate all’autorità (si tenga conto che molti degli utenti accolti avevano avuto grosse difficoltà rispetto al rapporto con le autorità).

Altre particolarità del funzionamento dell’Handersen Hospital: un periodo di trattamento limitato nel tempo (un anno), finalizzato a promuovere la rappresentazione nella mente di utenti e operatori di un percorso con un inizio e una fine, e a prevenire sindromi di burnout nel gruppo équipe, e un forte impulso da parte degli operatori a far “uscire” i sintomi degli utenti attraverso gruppi di discussione caldi, protetti e profondi (l’idea era che si dovesse passare da un agire senza sentire, a un verbalizzare sentendo).

Un’attenzione particolare veniva data poi alla comunicazione tra gli operatori, impegnati in momenti di confronto regolati in modo strutturato e fisso (prima e dopo ogni gruppo, tutte le mattine e tutte le sere).

La questione attuale, relativamente a una tipologia di metodo da attuare all’interno di una struttura comunitaria, riflette i movimenti evolutivi che hanno portato, nella nostra società, a ripensare il ruolo di tossicodipendente e a ridefinire quali possano essere i criteri da osservare nel portare avanti un progetto di cura.

Esistono infatti due tendenze di metodo principali, spesso presenti insieme all’interno del gruppo equipe: un approccio educativo che si contrappone e mescola a un approccio più terapeutico (vista anche la maggiore eterogeneità del gruppo di operatori formati). Nel tempo si è arrivati a considerare come necessario un approccio il più possibile integrato, basato cioè sulla compresenza degli approcci, educativo e psico-sociale, ma modellato sopra le caratteristiche dell’utenza.

Si ritiene per esempio funzionale il caratterizzare l’approccio terapeutico maggiormente in senso educativo quanto più l’utente sembri necessitare di “struttura” interna e regole, cosa che avviene di solito in una fase più precoce della vita. Si parla quindi di un approccio che mantiene delle caratteristiche “rieducative” tanto più l’utente sia giovane e aperto a questo tipo di intervento; con l’avanzare dell’età si tende a prediligere un approccio che punti a rielaborare in senso psicosociale la storia e i vissuti del paziente, dando per scontata l’acquisizione pregressa di una serie di norme e regole personali difficilmente “attaccabile” dal lavoro fatto in struttura.

Lavorare con un approccio integrato comporta la capacità di stare in posizioni di complessità e non-conoscenza anche protratte nel tempo, tentando di considerare le problematiche contingenti a partire da più punti di vista. Il nucleo “caldo” della questione rimane in ogni caso trasversale alle differenze di approccio clinico: si lavora, tramite approcci diversi, “per fare emergere la soggettività dell’individuo intesa come capacità di riconoscere e valutare i propri bisogni, di distinguere la propria volontà da quella degli altri, di affermarsi come soggetto che apprende ad autoregolarsi facendo leva sulle proprie risorse, che si individua rispetto alle figure di attaccamento dall’indifferenziazione dei legami familiari nel rispetto dei confini personali e della chiarezza dei ruoli”.

A questo si collega la questione della personalizzazione dell’intervento: quanto cioè sia personalizzabile l’intervento di cura, immaginando di poterlo posizionare all’interno di un continuum teorico che abbia come estremi un intervento totalmente standardizzato (“militarizzato”) e un intervento invece basato totalmente sulla particolarizzazione del lavoro.

Da una parte si lavora sul rendere il percorso terapeutico totalmente repellente a tentativi da parte degli utenti di costruirselo “ad personam”, tentando in questo modo di favorire l’uguaglianza sociale e la democraticità dei diritti e dei doveri all’interno della struttura. Dall’altra si lavora invece sul rendere personale e unico il percorso dei singoli individui, valorizzandone le differenze, contemporaneamente però rischiando di creare malumori tra gli utenti (alimentando possibili vissuti paranoidi o l’idea che agli occhi del gruppo équipe esistano “figli e figliastri”).

La scelta della posizione in cui collocarsi risulta ardua e plausibilmente uno dei motivi fondanti di un successo o di un insuccesso di un percorso di trattamento.

Gli articoli pubblicati all’interno del sito sopra-citato, rispondono a questo quesito proponendo un modello di intervento che metta insieme entrambe le tendenze. Il motivo di un scelta di questo tipo nasce dall’esperienza soggettiva degli autori degli articoli, secondo i quali gli utenti risponderebbero molto bene all’introduzione di elementi differenzianti un programma dall’altro nel caso in cui riescano a ricondurre questa differenza all’adozione di un criterio “dotato di senso piuttosto che a casualità, arbitrio, ingiustizia o incertezza da parte degli operatori”. L’idea è figlia del tentativo di creare in struttura un clima di trasparenza decisionale e metodologica da parte dell’equipe: gli autori sostengono che gli utenti sappiano ben valutare quanto le singole differenze reciproche possano solo momentaneamente risultare penalizzanti per alcuni di loro, per poi risultare in un successivo vantaggio per tutti.

Per chi fosse interessato a queste tematiche (psichiatria residenziale, comunità terapeutiche, prassi di comunità e lavoro degli operatori), consigliamo questa rubrica (da cui questo articolo è tratto), sul blog Psicologia Fenomenologica.

Fondamentale anche questo master (interamente visibile in rete) organizzato sempre da Il Porto.

Fonti: http://www.terapiadicomunita.org/


Ps tutto il materiale su trauma e dissociazione presente su questo blog è consultabile cliccando sul bottone a inizio pagina (o dal menù a tendina) #TRAUMA. Qui invece l’area membri/Patreon per sostenere il blog, in cambio di contenuti dedicati (4€/mese)

Article by admin / Formazione, Generale / psichiatria, psicoanalisi, psicologia, psicoterapia

24 March 2021

SVILUPPARE IL PENSIERO LATERALE (EDWARD DE BONO) – RECENSIONE

di Raffaele Avico

Edward De Bono, psicologo maltese, da anni lavora in ambito di psicologia individuale e del lavoro promuovendo il concetto di “pensiero laterale”, che ritiene utilissimo per favorire il problem solving, il momento cioè di “risoluzione di un problema”, in qualunque forma o ambito questo si presenti.

I suoi concetti e suoi lavori vengono spesso usati in ambito di strategia aziendale, per risolvere problemi gestionali o immaginare nuove forme e prassi di lavoro, più creative.

Nel suo “Il pensiero laterale”, uscito nel 1969, lo psicologo pone le basi per una corrente della psicologia del lavoro che si struttura intorno al concetto di “pensiero laterale”, appunto, intendendo questo modo di pensare come opposto al tipo di pensiero che Bono invece definisce “verticale”.

In linea con questo, De Bono parla di due tipologie di persone, i “lateralisti” (che usano in prevalenza il pensiero laterale, appunto) e i “verticalisti”, più inclini a usare forme canoniche di pensiero, rigorose e logiche.

De Bono intendeva in questo libro presentare al mondo i suoi studi a riguardo delle modalità “laterali” di affrontare un determinato problema, ovvero cercando di usare un pensiero pre-logico che procede non in modo sequenziale, ma effettuando scarti laterali e balzi in avanti.

Dal suo punto di vista, occorreva che le persone imparassero a famigliarizzare con questo modo di pensare, e per farlo scrisse l’intero libro usando una struttura originale: non si tratta infatti di un libro solamente teorico, ma di un vero manuale esperienziale che ci introduce al pensiero laterale guidandoci attraverso esperimenti e giochi psicologici.

Nei primi capitoli, infatti (il libro è molto corto), De Bono illustra come una figura geometrica complessa possa essere suddivisa in più figure di minore misura, arrivando a scomporla in più parti uguali. Procedendo, l’autore critica la sua stessa metodologia, affermando che usare l’unità di misura con cui ha scomposto l’immagine iniziale, è stata un’operazione totalmente arbitraria: riprocede a scomporre la figura quindi usando un’altra unità di misura di forma differente.

In questo modo, De Bono ci vuole insegnare che spesso usiamo forme pre-costituite e comode per inquadrare un problema complesso: ci invita quindi a rivedere le nostre stesse idee “dominanti”, dopo averle isolate.

Il primo passo per sviluppare famigliarità con il pensiero laterale, è infatti quello di isolare e combattere le ricorrenze e le idee forti, che rischiano di farci perdere preziose occasioni creative.

FAVORIRE IL PENSIERO LATERALE

Il pensiero laterale, De Bono spiega, vuole spazio e mancanza di forma per potersi esprimere.

Deve quindi trovare il giusto spazio di incubazione, al di là delle regole strette delle scadenze e del linguaggio stesso. Su questo punto l’autore sottolinea che spesso il nominare un’idea, o una cosa, la ferma, fissandola, nel tempo. Questo a un “lateralista” non deve accadere. Accedere al pensiero laterale richiede passività e attenzione insieme. Occorre rimanere in attesa con occhio vigile, permanendo nel “vuoto” (assenza di forma), fino a che qualcosa accada. Un po’ come quando si pesca.

In questo modo, De Bono specifica, si otterranno spunti di riflessione che consentiranno alla mente di vedere la stessa cosa con occhio differente (come succede per l’umorismo, quando una stessa scena viene improvvisamente illuminata da una luce diversa) e trovando nuovi spunti creativi.

SAPERE ATTENDERE L’EMERGERE DI UNA NUOVA PROSPETTIVA

Continuando nella sua apologia del caos (e degli spunti che da esso arrivano alla mente), De Bono compie innumerevoli esempi di scoperte scientifiche fatte in modo totalmente casuale, oppure non voluto, magari facendo esperimenti a riguardo di qualcos’altro. In questo modo vennero scoperti molteplici effetti di farmaci, o comportamenti biologici che diedero l’impulso a importanti scoperte scientifiche.

Questo ci dimostra che per fare affiorare nuovi pattern di pensiero, occorre predisporsi ad ascoltare ed attendere che, dal caos, emerga una nuova prospettiva.

L’autore chiarisce con un esempio: pensare in modo verticale equivale ad attaccare, una dopo l’altra, un certo numero di graffette, fino a farne una catena. Pensare in modo laterale, al contrario, vuol dire aprire leggermente ognuna di quelle graffette, metterle in una bacinella e scuoterla fino a che, dal caos, non emergano nuove forme di legame.

VERTICALE E LATERALE INSIEME

De Bono invita il lettore, infine, a sganciarsi dall’idea che le buone scoperte debbano essere figlie di rigidità e precisione, spingendolo ad addentrarsi nel territorio sconosciuto (oggi più che mai) dell’attesa, della pazienza e dell’osservazione del caos interiore, assicurandoci che da questa attesa verranno risultati migliori. Le nuove forme, frutto del pensiero laterale, potranno poi essere realizzate e organizzate, secondariamente, da un’attitudine più “verticale”: per questo De Bono conclude il suo lavoro ragionando sulla necessità che sui luoghi di lavorano debbano essere presenti entrambe le modalità (laterale e verticale), l’una necessaria perchè complementare all’altra.

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  • INTERVISTA A MAURO BOLOGNA, PRESIDENTE SIPNEI 10 October 2022
  • IL “MANUALE DELLE TECNICHE PSICOLOGICHE” DI BERNARDO PAOLI ED ENRICO PARPAGLIONE 6 October 2022
  • POPMED, UNA NEWSLETTER DI AGGIORNAMENTO IN AREA “PSI”. PER TORNARE ALLA FONTE 30 September 2022
  • IL CONVEGNO SIPNEI DEL 1 E 2 OTTOBRE 2022 (FIRENZE): “LA PNEI NELLA CLINICA” 20 September 2022
  • LA TEORIA SULLA NASCITA DEL PENSIERO DI WILFRED BION 1 September 2022
  • NEUROFEEDBACK: INTERVISTA A SILVIA FOIS 10 August 2022
  • La depressione come auto-competizione fallimentare. Alcuni spunti da “La società della stanchezza” di Byung Chul Han 27 July 2022
  • SCOPRIRE LA SIPNEI. INTERVISTA A FRANCESCO BOTTACCIOLI 6 July 2022
  • PERFEZIONISMO: INTERVISTA A VERONICA CAVALLETTI (CENTRO TAGES ONLUS) 6 June 2022
  • AFFRONTARE IL DISTURBO DISSOCIATIVO DELL’IDENTITÁ 28 May 2022
  • GARBAGE IN, GARBAGE OUT.  INTERVISTA FIUME A ZIO HACK 21 May 2022
  • PTSD: ALCUNE SLIDE IN FREE DOWNLOAD 10 May 2022
  • MANAGEMENT DELL’INSONNIA 3 May 2022
  • “IL LAVORO NON TI AMA”: UN PODCAST SULLA HUSTLE CULTURE 27 April 2022
  • “QUI E ORA” DI RONALD SIEGEL. IL LIBRO PERFETTO PER INTRODURSI ALLA MINDFULNESS 20 April 2022
  • Considerazioni sul trattamento di bambini e adolescenti traumatizzati 11 April 2022
  • IL COLLASSO DEL CONTESTO NELLA PSICOTERAPIA ONLINE 31 March 2022
  • L’APPROCCIO “OPEN DIALOGUE”. INTERVISTA A RAFFAELLA POCOBELLO (CNR) 25 March 2022
  • IL CORPO, IL PANICO E UNA CORRETTA DIAGNOSI DIFFERENZIALE: INTERVISTA AD ANDREA VALLARINO 21 March 2022
  • RECENSIONE: L’EREDITÁ DI BION (A CURA DI ANTONIO CIOCCA) 20 March 2022
  • GLI PSICHEDELICI COME STRUMENTO TRANSDIAGNOSTICO DI CURA, IL MODELLO BIPARTITO DELLA SEROTONINA E L’INFLUENZA DELLA PSICOANALISI 7 March 2022
  • FOTOTERAPIA: JUDY WEISER e il lavoro con il lutto 1 March 2022
  • PLACEBO E DOLORE: IL POTERE DELLA MENTE (da un articolo di Fabrizio Benedetti) 14 February 2022
  • INTERVISTA A RICCARDO CASSIANI INGONI: “Metodo T.R.E.®” E TECNICHE BOTTOM-UP PER L’APPROCCIO AL PTSD 3 February 2022
  • SPIDER, CRONENBERG 26 January 2022
  • LE TEORIE BOTTOM-UP NELLA PSICOTERAPIA DEL POST-TRAUMA (di Antonio Onofri e Giovanni Liotti) 17 January 2022
  • 24 MESI DI PSICOTERAPIA ONLINE 10 January 2022
  • LA TOSSICODIPENDENZA COME TENTATIVO DI AMMINISTRARE LA SINDROME POST-TRAUMATICA 7 January 2022
  • La Supervisione strategica nei contesti clinici (Il lavoro di gruppo con i professionisti della salute e la soluzione dei problemi nella clinica) 4 January 2022
  • PSICHEDELICI: LA SCIENZA DIETRO L’APP “LUMINATE” 21 December 2021
  • ASYLUMS DI ERVING GOFFMAN, PER PUNTI 14 December 2021
  • LA SINDROME DI ASPERGER IN BREVE 7 December 2021
  • IL CONVEGNO DI SAN DIEGO SULLA PSICOTERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI (marzo 2022) 2 December 2021
  • PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA E DEEP BRAIN REORIENTING. INTERVISTA A PAOLO RICCI (AISTED) 29 November 2021
  • INTERVISTA A SIMONE CHELI (ASSOCIAZIONE TAGES ONLUS) 25 November 2021
  • TRAUMA: IMPOSTAZIONE DEL PIANO DI CURA E PRIMO COLLOQUIO 16 November 2021
  • TEORIA POLIVAGALE E LAVORO CON I BAMBINI 9 November 2021
  • INTRODUZIONE A BYUNG-CHUL HAN: IL PROFUMO DEL TEMPO 3 November 2021
  • IT (STEPHEN KING) 27 October 2021
  • JUDITH LEWIS HERMAN: “GUARIRE DAL TRAUMA” 22 October 2021
  • ANCORA SU PIERRE JANET 15 October 2021
  • PSICONUTRIZIONE: IL LAVORO DI FELICE JACKA 3 October 2021
  • MEGLIO MALE ACCOMPAGNATI CHE SOLI: LE STRATEGIE DI CONTROLLO IN INFANZIA (PTSDc) 30 September 2021
  • OVERLOAD COGNITIVO ED ECOLOGIA MENTALE 21 September 2021
  • UN LUOGO SICURO 17 September 2021
  • 3MDR: UNO STRUMENTO SPERIMENTALE PER COMBATTERE IL PTSD 13 September 2021
  • UN LIBRO PER L’ESTATE: “COME ANNOIARSI MEGLIO” DI PIETRO MINTO 6 August 2021
  • “I fondamenti emotivi della personalità”, JAAK PANKSEPP: TAKEAWAYS E RECENSIONE 3 August 2021
  • LIFESTYLE PSYCHIATRY 28 July 2021
  • LE DIVERSE FORME DI SINTOMO DISSOCIATIVO 26 July 2021
  • PRIMO LEVI, LA CARCERAZIONE E IL TRAUMA 19 July 2021
  • “IL PICCOLO PARANOICO” DI BERNARDO PAOLI. PARANOIA, AMBIVALENZA E MODELLO STRATEGICO 14 July 2021
  • RECENSIONE PER PUNTI DI “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE” 8 July 2021
  • I VIRUS: IL LORO RUOLO NELLE MALATTIE NEURODEGENERATIVE 7 July 2021
  • LA PLUSDOTAZIONE SPIEGATA IN BREVE 1 July 2021
  • COS’É LA COGNITIVE PROCESSING THERAPY? 24 June 2021
  • SULLA TERAPIA ESPOSITIVA PER I DISTURBI FOBICI: IL MODELLO DI APPRENDIMENTO INIBITORIO DI MICHELLE CRASKE 19 June 2021
  • É USCITO IL SECONDO EBOOK PRODOTTO DA AISTED 15 June 2021
  • La psicologia fenomenologica nelle comunità terapeutiche -con il blog Psicologia Fenomenologica. 7 June 2021
  • PSICHIATRIA DI COMUNITÁ: LA SCELTA DI UN METODO 31 May 2021
  • PTSD E SPAZIO PERIPERSONALE: DA UN ARTICOLO DI DANIELA RABELLINO ET AL. 26 May 2021
  • CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA: UN CONVEGNO ONLINE CON VALERIO ROSSO, MARCO CREPALDI, LUCA PROIETTI, BERNARDO PAOLI, GENNARO ROMAGNOLI 22 May 2021
  • MDMA PER IL PTSD: NUOVE EVIDENZE 21 May 2021
  • MAP (MULTIPLE ACCESS PSYCHOTHERAPY): IL MODELLO DI PSICOTERAPIA AD APPROCCI COMBINATI CON ACCESSO MULTIPLO DI FABIO VEGLIA 18 May 2021
  • CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA: UN CONVEGNO GRATUITO ONLINE (21 MAGGIO) 13 May 2021
  • BALBUZIE: COME USCIRNE (il metodo PSICODIZIONE) 10 May 2021
  • PANICO: INTERVISTA AD ANDREA IENGO (PANICO.HELP) 7 May 2021
  • Psicologia digitale e pandemia COVID19: il report del Centro Medico Santagostino di Milano dall’European Conference on Digital Psychology (ECDP) 4 May 2021
  • SOLCARE IL MARE ALL’INSAPUTA DEL CIELO. Liberalizzare come terapia: il problema dell’autocontrollo in clinica 30 April 2021
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO” 25 April 2021
  • La psicologia fenomenologica nelle comunità terapeutiche 25 April 2021
  • 3 STRUMENTI CONTRO IL TRAUMA (IN BREVE): TAVOLA DISSOCIATIVA, DISSOCIAZIONE VK E CAMBIO DI STORIA 23 April 2021
  • IL MALADAPTIVE DAYDREAMING SPIEGATO PER PUNTI 17 April 2021
  • UN VIDEO PER CAPIRE LA DISSOCIAZIONE 12 April 2021
  • CORRELATI MORFOLOGICI E FUNZIONALI DELL’EMDR: UNA PANORAMICA SULLA NEUROBIOLOGIA DEL TRATTAMENTO DEL PTSD 4 April 2021
  • TRAUMA E DISSOCIAZIONE IN ETÁ EVOLUTIVA: (VIDEO)INTERVISTA AD ANNALISA DI LUCA 1 April 2021
  • GLI EFFETTI POLARIZZANTI DELLA BOLLA INFORMATIVA. INTERVISTA A NICOLA ZAMPERINI DEL BLOG “DISOBBEDIENZE” 30 March 2021
  • SVILUPPARE IL PENSIERO LATERALE (EDWARD DE BONO) – RECENSIONE 24 March 2021
  • MDMA PER IL POST-TRAUMA: BEN SESSA E ALTRI RIFERIMENTI IN RETE 22 March 2021
  • 8 LIBRI FONDAMENTALI SU TRAUMA E DISSOCIAZIONE 14 March 2021
  • VIDEOINTERVISTA A CATERINA BOSSA: LAVORARE CON IL TRAUMA 7 March 2021
  • PRIMO SOCCORSO PSICOLOGICO E INTERVENTO PERI-TRAUMATICO: IL LAVORO DI ALAIN BRUNET ED ESSAM DAOD 2 March 2021
  • “SHARED LIVES” NEL REGNO UNITO: FORME DI PSICHIATRIA D’AVANGUARDIA 25 February 2021
  • IL TRAUMA (PTSD) NEGLI ANIMALI (PARTE 1) 21 February 2021
  • FLOW: una definizione 15 February 2021
  • NEUROBIOLOGIA DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO (PTSD) 8 February 2021
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE (SECONDA PARTE): FINE PENA MAI 3 February 2021
  • INTERVISTA A COSTANZO FRAU: DISSOCIAZIONE, TRAUMA, CLINICA 1 February 2021
  • LO SPETTRO IMPULSIVO COMPULSIVO. I DISTURBI OSSESSIVO COMPULSIVI SONO DISTURBI DA ADDICTION? 25 January 2021
  • ANATOMIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (E PSICOTERAPIA) 15 January 2021
  • LA STRANGE SITUATION IN BREVE e IL TRAUMA COMPLESSO 11 January 2021
  • GIORNALISMO = ENTERTAINMENT 6 January 2021
  • SIMBOLIZZARE IL TRAUMA: IL RUOLO DELL’ATTO ARTISTICO 2 January 2021
  • PSICHIATRIA: IL MODELLO DE-ISTITUZIONALIZZANTE DI GEEL, BELGIO (The Openbaar Psychiatrisch Zorgcentrum) 28 December 2020
  • STABILIZZARE I SINTOMI POST TRAUMATICI: ALCUNI ASPETTI PRATICI 18 December 2020
  • Psicoterapia breve strategica del Disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Intervista ad Andrea Vallarino e Luca Proietti 14 December 2020
  • CRONOFAGIA DI DAVIDE MAZZOCCO: CONTRO IL FURTO DEL TEMPO 10 December 2020
  • PODCAST: SPECIALIZZAZIONE IN PSICHIATRIA E CLINICA A CHICAGO, con Matteo Respino 8 December 2020
  • COME GESTIRE UNA DIPENDENZA? 4 PIANI DI INTERVENTO 3 December 2020
  • INTRODUZIONE A JAAK PANKSEPP 28 November 2020
  • INTERVISTA A DANIELA RABELLINO: LAVORARE CON RUTH LANIUS E NEUROBIOLOGIA DEL TRAUMA 20 November 2020
  • MDMA PER IL TRAUMA: VIDEOINTERVISTA A ELLIOT MARSEILLE (A CURA DI JONAS DI GREGORIO) 16 November 2020
  • PSICHIATRIA E CINEMA: I CINQUE MUST-SEE (a cura di Laura Salvai, Psychofilm) 12 November 2020
  • STRESS POST TRAUMATICO: una definizione e alcuni link di approfondimento 7 November 2020
  • SCOPRIRE IL FOREST BATHING 2 November 2020
  • IL TRAUMA COME APPRENDIMENTO A PROVA SINGOLA (ONE TRIAL LEARNING) 28 October 2020
  • IL PANICO COME ROTTURA (RAPPRESENTATA) DI UN ATTACCAMENTO? da un articolo di Francesetti et al. 24 October 2020
  • LE PENSIONI DEGLI PSICOLOGI: INTERVISTA A LORENA FERRERO 21 October 2020
  • INTERVISTA A JONAS DI GREGORIO: IL RINASCIMENTO PSICHEDELICO 18 October 2020
  • IL RITORNO (MASOCHISTICO?) AL TRAUMA. Intervista a Rossella Valdrè 13 October 2020
  • ASCESA E CADUTA DEI COMPETENTI: RADICAL CHOC DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA 6 October 2020
  • L’EMDR: QUANDO USARLO E CON QUALI DISTURBI 30 September 2020
  • FACEBOOK IS THE NEW TOBACCO. Perchè guardare “The Social Dilemma” su Netflix 28 September 2020
  • SPORT, RILASSAMENTO, PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA: oltre la parola per lo stress post traumatico 21 September 2020
  • IL MODELLO TRIESTINO, UN’ECCELLENZA ITALIANA. Intervista a Maria Grazia Cogliati Dezza e recensione del docufilm “La città che cura” 15 September 2020
  • IL RITORNO DEL RIMOSSO. Videointervista a Luigi Chiriatti su tarantismo e neotarantismo 10 September 2020
  • FARE PSICOTERAPIA VIAGGIANDO: VIDEOINTERVISTA A BERNARDO PAOLI 2 September 2020
  • SUL MERCATO DELLA DOPAMINA: INTERVISTA A VALERIO ROSSO 31 August 2020
  • TARANTISMO: 9 LINK UTILI 27 August 2020
  • FRANCESCO DE RAHO SUL TARANTISMO, tra superstizione e scienza 26 August 2020
  • ATTACCHI DI PANICO: IL MODELLO SUL CONTROLLO 7 August 2020
  • SHELL SHOCK E PRIMA GUERRA MONDIALE: APPORTI VIDEO 31 July 2020
  • LA LUNA, I FALÒ, ANGUILLA: un romanzo sulla melanconia 27 July 2020
  • VIDEOINTERVISTA A FERNANDO ESPI FORCEN: LAVORARE COME PSICHIATRA A CHICAGO 20 July 2020
  • ALCUNI ESTRATTI DALLA RUBRICA “GROUNDING” (PDF) 14 July 2020
  • STRESS POST TRAUMATICO: IL MODELLO A CASCATA. Da un articolo di Ruth Lanius 10 July 2020
  • OTTO KERNBERG SUGLI OBIETTIVI DI UNA PSICOANALISI: DA UNA VIDEOINTERVISTA 3 July 2020
  • SONNO, STRESS E TRAUMA 27 June 2020
  • Il SAFE AND SOUND PROTOCOL, UNO STRUMENTO REGOLATIVO. Videointervista a GABRIELE EINAUDI 23 June 2020
  • IL CONTROLLO CHE FA PERDERE IL CONTROLLO: UNA VIDEOINTERVISTA AD ANDREA VALLARINO SUL DISTURBO DI PANICO 11 June 2020
  • STRESS, RESILIENZA, ADATTAMENTO, TRAUMA – Alcune definizioni per creare una mappa clinicamente efficace 5 June 2020
  • DA “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE”: COS’É LA NEUROCEZIONE 3 June 2020
  • AUTO-TRADIRSI. UNA DEFINIZIONE DI MORAL INJURY 28 May 2020
  • BASAGLIA RACCONTA IL COVID 26 May 2020
  • FONDAMENTI DI PSICOTERAPIA: LA FINESTRA DI TOLLERANZA DI DANIEL SIEGEL 20 May 2020
  • L’EBOOK AISTED: “AFFRONTARE IL TRAUMA PSICHICO: il post-emergenza.” 18 May 2020
  • NOI, ESSERI UMANI POST- PANDEMICI 14 May 2020
  • PUNTI A FAVORE E PUNTI CONTRO “CHANGE” di P. Watzlawick, J.H. Weakland e R. Fisch 9 May 2020
  • APPORTI VIDEO SUL TARANTISMO – PARTE 2 4 May 2020
  • RISCOPRIRE L’ARCHIVIO (VIDEO) DI PSYCHIATRY ON LINE PER I SUOI 25 ANNI 2 May 2020
  • SULL’IMMOBILITÀ TONICA NEGLI ANIMALI. Alcuni spunti da “IPNOSI ANIMALE, IMMOBILITÁ TONICA E BASI BIOLOGICHE DI TRAUMA E DISSOCIAZIONE” 30 April 2020
  • FOBIE SPECIFICHE IN BREVE 25 April 2020
  • JEAN PIAGET E LA SHARING ECONOMY 25 April 2020
  • LO STATO DELL’ARTE INTORNO ALLA DIMENSIONE SOCIALE DELLA MEMORIA: SUL MODO IN CUI SI E’ ARRIVATI ALLA CREAZIONE DEL CONCETTO DI RICORDO CONGIUNTO E SU QUANTO LA VITA RELAZIONALE INFLUENZI I PROCESSI DI SVILUPPO DELLA MEMORIA 25 April 2020
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.3 – MODELLO ITALIANO E MODELLO BELGA A CONFRONTO, CON GIOVANNA JANNUZZI! 22 April 2020
  • RISCOPRIRE PIERRE JANET: PERCHÉ ANDREBBE LETTO DA CHIUNQUE SI OCCUPI DI TRAUMA? 21 April 2020
  • AGGIUNGERE LEGNA PER SPEGNERE IL FUOCO. TERAPIA BREVE STRATEGICA E DISTURBI FOBICI 17 April 2020
  • INTERVISTA A NICOLÓ TERMINIO: L’UOMO SENZA INCONSCIO 13 April 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.3 10 April 2020
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.2 – MODELLO ITALIANO E MODELLO SVIZZERO A CONFRONTO, CON OMAR TIMOTHY KHACHOUF! 6 April 2020
  • ANTONELLO CORREALE: IL QUADRO BORDERLINE IN PUNTI 4 April 2020
  • 10 ANNI DI E.J.O.P: DOVE SIAMO? 31 March 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.2 27 March 2020
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE: RISTRETTI.IT 25 March 2020
  • NELLE CORNA DEL BUE LUNARE: IL LAVORO DI LIDIA DUTTO 16 March 2020
  • LA COLPA NEL DOC: LA MENTE OSSESSIVA DI FRANCESCO MANCINI 12 March 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.1 6 March 2020
  • PREFAZIONE DI “PTSD: CHE FARE?”, a cura di Alessia Tomba 5 March 2020
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO”: EP.1 – FERNANDO ESPI FORCEN 29 February 2020
  • NERVATURE TRAUMATICHE E PREDISPOSIZIONE AL PTSD 13 February 2020
  • RIMOZIONE E DISSOCIAZIONE: FREUD E PIERRE JANET 3 February 2020
  • TEORIA DEI SISTEMI COMPLESSI E PSICOPATOLOGIA: DENNY BORSBOOM 17 January 2020
  • LA CULTURA DELL’INDAGINE: IL MASTER IN TERAPIA DI COMUNITÀ DEL PORTO 15 January 2020
  • IMPATTO DELL’ESERCIZIO FISICO SUL PTSD: UNA REVIEW E UN PROGRAMMA DI ALLENAMENTO 30 December 2019
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI GIULIO TONONI 27 December 2019
  • THOMAS INSEL: FENOTIPI DIGITALI IN PSICHIATRIA 19 December 2019
  • HPPD: HALLUCINOGEN PERCEPTION PERSISTING DISORDER 12 December 2019
  • SU “LA DIMENSIONE INTERPERSONALE DELLA COSCIENZA” 24 November 2019
  • INTRODUZIONE AL MODELLO ORGANODINAMICO DI HENRI EY 15 November 2019
  • IL SIGNORE DELLE MOSCHE letto oggi 4 November 2019
  • PTSD E SLOW-BREATHING: RESPIRARE PER DOMINARE 29 October 2019
  • UNA DEFINIZIONE DI “TRAUMA DA ATTACCAMENTO” 18 October 2019
  • PROCHASKA, DICLEMENTE, ADDICTION E NEURO-ETICA 24 September 2019
  • NOMINARE PER DOMINARE: L’AFFECT LABELING 20 September 2019
  • MEMORIA, COSCIENZA, CORPO: TRE AREE DI IMPATTO DEL PTSD 13 September 2019
  • CAUSE E CONSEGUENZE DELLO STIGMA 9 September 2019
  • IMMAGINI DEL TARANTISMO: CHIARA SAMUGHEO 14 August 2019
  • “LA CITTÀ CHE CURA”: COSA SONO LE MICROAREE DI TRIESTE? 8 August 2019
  • LA TRASMISSIONE PER VIA GENETICA DEL PTSD: LO STATO DELL’ARTE 28 July 2019
  • IL LAVORO DI CARLA RICCI SUL FENOMENO HIKIKOMORI 24 July 2019
  • QUALI FONTI USARE IN AMBITO DI PSICHIATRIA E PSICOLOGIA CLINICA? 16 July 2019
  • THE MASTER AND HIS EMISSARY: PERCHÉ ABBIAMO DUE EMISFERI? 8 July 2019
  • PTSD: QUANDO LA MINACCIA É INTROIETTATA 28 June 2019
  • LA PSICOTERAPIA COME LABORATORIO IDENTITARIO 11 June 2019
  • DEEP BRAIN REORIENTING – IN CHE MODO CONTRIBUISCE AL TRATTAMENTO DEI TRAUMI? 6 June 2019
  • STRANGER DREAMS: STORIE DI DEMONI, STREGHE E RAPIMENTI ALIENI – Il fenomeno della paralisi del sonno nella cultura popolare 4 June 2019
  • ALCUNI SPUNTI DA “LA GUERRA DI TUTTI” DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA 28 May 2019
  • Psicopatologia Generale e Disturbi Psicologici nel Trono di Spade 22 May 2019
  • L’IMPORTANZA DEGLI SPAZI DI ELABORAZIONE E IL “DEFAULT MODE” 18 May 2019
  • LA PEDAGOGIA STEINER-WALDORF PER PUNTI 14 May 2019
  • SOSTANZE PSICOTROPE E INDUSTRIA DEL MASSACRO: LA MODERNA CORSA AGLI ARMAMENTI FARMACOLOGICI 7 May 2019
  • MENO CONTENUTO, PIÙ PROCESSI. NUOVE LINEE DI PENSIERO IN AMBITO DI PSICOTERAPIA 3 May 2019
  • IL PROBLEMA DEL DROP-OUT IN PSICOTERAPIA RIASSUNTO DA LEICHSENRING E COLLEGHI 30 April 2019
  • SUL REHEARSAL 15 April 2019
  • DUE PROSPETTIVE PSICOANALITICHE SUL NARCISISMO 12 April 2019
  • TERAPIA ESPOSITIVA IN REALTÀ VIRTUALE PER IL TRATTAMENTO DEI DISTURBI D’ANSIA: META-ANALISI DI STUDI RANDOMIZZATI 3 April 2019
  • DISSOCIAZIONE: COSA SIGNIFICA 29 March 2019
  • IVAN PAVLOV SUL PTSD: LA VICENDA DEI “CANI DEPRESSI” 26 March 2019
  • A PROPOSITO DI POST VERITÀ 22 March 2019
  • TARANTISMO COME PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA? 19 March 2019
  • R.D. HINSHELWOOD: DUE VIDEO DA UN CONVEGNO ORGANIZZATO DA “IL PORTO” DI MONCALIERI E DALLA RIVISTA PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE 15 March 2019
  • EMDR = SLOW WAVE SLEEP? UNO STUDIO DI MARCO PAGANI 12 March 2019
  • LA FORMA DELL’ISTITUZIONE MANICOMIALE: L’ARCHITETTURA DELLA PSICHIATRIA 8 March 2019
  • PSEUDOMEDICINA, DEMENZA E SALUTE CEREBRALE 5 March 2019
  • FARMACOTERAPIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (DOC) DAL PRESENTE AL FUTURO 19 February 2019
  • INTERVISTA A GIOVANNI ABBATE DAGA. ALCUNI APPROFONDIMENTI SUI DCA 15 February 2019
  • COSA RENDE LA KETAMINA EFFICACE NEL TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE? UN PROBLEMA IRRISOLTO 11 February 2019
  • CONCETTI GENERALI SULLA TEORIA POLIVAGALE DI STEPHEN PORGES 1 February 2019
  • UNO SGUARDO AL DISTURBO BIPOLARE 28 January 2019
  • DEPRESSIONE, DEMENZA E PSEUDODEMENZA DEPRESSIVA 25 January 2019
  • Il CORPO DISSIPA IL TRAUMA: ALCUNE OSSERVAZIONI DAL LAVORO DI PETER A. LEVINE 22 January 2019
  • IL PTSD SOFFERTO DAGLI SCIMPANZÈ, COSA CI DICE SUL NOSTRO FUNZIONAMENTO? 18 January 2019
  • QUANDO IL PROBLEMA È IL PASSATO, LA RICERCA DEI PERCHÈ NON AIUTA 15 January 2019
  • PILLOLE DI MASTERY: DI CHE SI TRATTA? 12 January 2019
  • IL GORGO di BEPPE FENOGLIO 7 January 2019
  • VOCI: VERSO UNA CONSIDERAZIONE TRANSDIAGNOSTICA? 2 January 2019
  • DALLA SCUOLA DI NEUROETICA 2018 DI TRIESTE, ALCUNE RIFLESSIONI SUL PROBLEMA ADDICTION 21 December 2018
  • ACTING OUT ED ENACTMENT: UN ESTRATTO DAL LIBRO RESISTENZA AL TRATTAMENTO E AUTORITÀ DEL PAZIENTE – AUSTEN RIGGS CENTER 18 December 2018
  • CONCETTI GENERALI SUL DEFAULT-MODE NETWORK 13 December 2018
  • NON È ANORESSIA, NON È BULIMIA: È VOMITING 11 December 2018
  • PATRICIA CRITTENDEN: UN APPROFONDIMENTO 6 December 2018
  • UDITORI DI VOCI: VIDEO ESPLICATIVI 30 November 2018
  • IMPUTABILITÀ: DA UN TESTO DI VITTORINO ANDREOLI 27 November 2018
  • OLTRE IL DSM: LA TASSONOMIA GERARCHICA DELLA PSICOPATOLOGIA. DI COSA SI TRATTA? 23 November 2018
  • LIMITARE L’USO DEI SOCIAL: GLI EFFETTI BENEFICI SUI LIVELLI DI DEPRESSIONE E DI SOLITUDINE 20 November 2018
  • IL PTSD IN VIDEO 12 November 2018
  • PILLOLE DI EMPOWERMENT 9 November 2018
  • COME NASCE LA RAPPRESENTAZIONE DI SÈ? UN APPROFONDIMENTO 2 November 2018
  • IL CAFFÈ CI PROTEGGE DALL’ALZHEIMER? 30 October 2018
  • PER AVERE UNA BUONA AUTISTIMA, OCCORRE ESSERE NARCISISTI? 23 October 2018
  • LA MENTE ADOLESCENTE di Daniel Siegel 19 October 2018
  • TALVOLTA È LA RASSEGNAZIONE DEL TERAPEUTA A RENDERE RESISTENTE LA DEPRESSIONE NEI DISTURBI NEURODEGENERATIVI – IMPLICAZIONI PRATICHE 16 October 2018
  • Costruire un profilo psicologico a partire dal tuo account Facebook? La scienza dietro alla vittoria di Trump e al fenomeno Brexit 9 October 2018
  • L’effetto placebo nel Morbo di Parkinson. È possibile modificare l’attività neuronale partendo dalla psiche? 4 October 2018
  • I LIMITI DELL’APPROCCIO RDoC secondo PARNAS 2 October 2018
  • COME IL RICORDO DEL TRAUMA INTERROMPE IL PRESENTE? 28 September 2018
  • SISTEMI MOTIVAZIONALI INTERPERSONALI E TEMI DI VITA. Riflessioni intorno a “Life Themes and Interpersonal Motivational Systems in the Narrative Self-construction” di Fabio Veglia e Giulia di Fini 17 September 2018
  • IL SOTTOTIPO “DISSOCIATIVO” DEL PTSD. UNO STUDIO DI RUTH LANIUS e collaboratori 26 July 2018
  • “ALCUNE OSSERVAZIONI SUL PROCESSO DEL LUTTO” di Otto Kernberg 12 July 2018
  • INTRODUZIONE ALLA MOVIOLA DI VITTORIO GUIDANO 9 July 2018
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI DANIEL SIEGEL 5 July 2018
  • DALL’ADHD AL DISTURBO ANTISOCIALE DI PERSONALITÀ: IL RUOLO DEI TRATTI CALLOUS-UNEMOTIONAL 3 July 2018
  • UNO STUDIO SUI CORRELATI BIOLOGICI DELL’EMDR TRAMITE EEG 28 June 2018
  • MULTUM IN PARVO: “IL MONDO NELLA MENTE” DI MARIO GALZIGNA 25 June 2018
  • L’EFFETTO PLACEBO COME PARADIGMA PER DIMOSTRARE SCIENTIFICAMENTE GLI EFFETTI DELLA COMUNICAZIONE, DELLA RELAZIONE E DEL CONTESTO 22 June 2018
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IL BLOG

Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

A CURA DI:

  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
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