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Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in psichiatria e psicoterapia

8 May 2024

INVITO A BION

di Redazione POPMed

Abbiamo scritto in precedenza su Bion, psicoanalista di provenienza indiana e naturalizzato inglese.

Bion iniziò tardi la sua carriera da psichiatra e psicoanalista: i primi anni lo videro impegnato in altri studi (storia), oltre ad essere caratterizzati dallo scoppio delle due guerre mondiali, che lo psicoanalista conobbe prima da soldato civile, poi da medico militare (e da osservatore attento: risalgono a quegli anni le sue intuizioni sui conosciuti “assunti di base”).

Questo post raccoglie alcuni contenuti che, della teoria di Bion, forniranno alcuni punti fermi, aspetti della sua teoria che non possono essere trascurati. Qui di seguito un brevissimo indice dei contenuti:

  1. PRIMA PARTE: un approfondimento sulla teoria sulla nascita del pensiero di Bion, e spunti dal lavoro di Antonino Ferro
  2. SECONDA PARTE: riportato per intero, un articolo del 1981 (inedito in rete) scritto da Mauro Mancia, uno dei padri della neuropsicoanalisi italiana, che scrisse questo contributo tentando di raccordare gli aspetti teorici bioniani con quello che -al tempo- si sapeva di neuroscienza del sonn

..continua su POPMed.

Article by admin / Recensioni / psicoanalisi, psicologia, recensioni

29 January 2024

Camilla Stellato: “Diventare genitori”

di Raffaele Avico

Per chi fosse interessato al tema del parenting, consigliamo il lavoro di una psicoterapeuta romana, Camilla Stellato, autrice di Diventare genitori.

Diventare Genitori rappresenta un buon manuale introduttivo per chi voglia approcciarsi al tema del parenting senza avere già conoscenze pregresse in ambito di psicoterapia e psicologia infantile. La Stellato ha una formazione in psicoanalisi transazionale, e sta divulgando e approfondendo il tema del parenting integrando differenti visioni e approcci teorici, compresa la prospettiva metacognitiva interpersonale di DiMaggio, di cui ci siamo spesso occupati su POPMed.

Per introdursi al suo lavoro, mettiamo qui un link a un suo intervento sul ciclo della rabbia che spesso un genitore può sperimentare nei primi anni di accudimento di un bimbo o di una bimba, spiegato passo dopo passo e in modo molto chiaro.

All’interno del volume Diventare Genitori troviamo elencate alcune problematicità inerenti la “transizione alla genitorialità”, compresi alcuni spunti pratici per far fronte ai problemi più comuni.

La Stellato giustifica le sue affermazioni con evidenze scientifiche di livello alto, per esempio -parlando di come il legame di coppia cambi dopo l’inizio della genitorialità- il lavoro di una sociologa torinese, Manuela Naldini, a proposito di uno squilibrio tra i carichi dei due genitori una volta nat* il/la figli*, un ritorno a una modalità “anni ‘50”, per via di quello che la Naldini, sulla scia di altri autori, chiama ri-tradizionalizzazione.

A livello di letteratura scientifica, “ri-tradizionalizzazione” sembra essere un fenomeno non solo italiano, ma internazionale.

Eccone una definizione generica:

”La parola “ri-tradizionalizzazione” suggerisce un ritorno a pratiche o modelli più tradizionali. Nel contesto del parenting, potrebbe riferirsi a un movimento o a un approccio che cerca di abbracciare o ripristinare pratiche di genitorialità considerate più tradizionali o classiche. Le pratiche di genitorialità tradizionali possono variare da cultura a cultura e da epoca a epoca, ma spesso coinvolgono ruoli di genere più definiti, con aspettative specifiche per le madri e i padri, modelli familiari più conservatori e un’enfasi su valori culturali o religiosi tradizionali”.

  • Qui un lavoro italiano del 2014.
  • Qui un articolo tedesco sul tema.

NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

Article by admin / Recensioni / psichiatria, psicoanalisi, psicologia

10 January 2024

MARCO ROVELLI, LA POLITICIZZAZIONE DEL DISAGIO PSICHICO E UN PODCAST DI psicologia fenomenologica

di Raffaele Avico

I redattori del blog psicologiafenomenologica.it hanno avviato da poco un podcast condotto da Gianluca D’Amico, chiamato Cosedapazzi.

Nell’ultima puntata viene intervistato Marco Rovelli a proposito di un suo libro uscito di recente, Soffro dunque siamo. Rovelli in questa intervista si mostra bravissimo nel portare una lettura della sofferenza psichica integrata agli aspetti più sociali, cosa che, oggi, risulta essere preziosa, vista la tendenza a concentrare la problematicità psicologico/psichiatrica solamente su elementi individuali. Rovelli pone l’accento su uno degli elefanti della stanza della sofferenza mentale del presente, la comparsa di forme di psicopatologia direttamente collegate alla cultura della performance dominante e al senso di frammentazione e di scarsa tenuta sociale in cui siamo immersi.

Possiamo estrarre da questa intervista alcune riflessioni e spunti.

[continua su POPMed]

Article by admin / Recensioni / psicologia, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale

6 November 2023

10 ARTICOLI SUL JOURNALING E SUI BENEFICI DELLO SCRIVERE

di redazione POPMed

PREMESSA: Questo articolo è un estratto da POPMed, una newsletter a cadenza bi-settimanale a proposito di psichiatria, psicologia clinica, neuroscienze, avanguardie di ricerca, salute mentale. Il tema è il journaling, ovvero il “tenere un diario”.

Scrivere aiuta la mente a digerire percetti/contenuti complessi (come i traumi), consente di lavorare sulla propria identità, sulla propria storia, aiuta a mettere in fila i pensieri. Rappresenta una pratica virtuosa, ottima da integrare al lavoro di psicoterapia. 

Ma partiamo subito con i 10 consueti “item”. 

Dobbiamo anticipare che questi lavori non vogliono “aggiornare” ma “approfondire”: sono quindi non necessariamente “recenti” o di ultima pubblicazione.

1. Per cominciare con il journaling

Partiamo con un articolo generico riguardante gli effetti mentali e fisici della scrittura “espressiva”. Uno psicoanalista di origine indiana e naturalizzato inglese, Wilfred Bion, parlava di “apparato per pensare i pensieri”, intendendo con questo una funzione della mente utile a “simbolizzare” i percetti sensoriali/emotivi più “grezzi” (che chiamava elementi beta). Partendo da questo spunto teorico (qui maggiormente approfondito), è utile pensare alla scrittura come a uno strumento funzionale a un lavoro di simbolizzazione di elementi emotivi “beta” complessi da digerire, come appunto ricordi traumatici o semplicemente spiacevoli. Questo articolo racconta la storia del paradigma della Scrittura espressiva ideato e divulgato da Pennebaker (che ritroveremo nell’ultimo articolo citato, quello storico), il primo a pensare alla scrittura in questo modo (come strumento di simbolizzazione di eventi problematici). L’articolo esplora la letteratura a riguardo citando i maggiori lavori sulla scrittura espressiva, elencando anche le ipotesi più probabili necessarie a spiegarne il funzionamento (le due più probabili, gli autori concludono, sono il “processamento cognitivo derivato dal narrare” – e quindi mettere in ordine – i percetti/pensieri, e la funzione espositiva dello scrivere). Ottimo per iniziare.

Eccovi l’articolo:

Emotional and physical health benefits of expressive writing

2. Simbolizzare un trauma scrivendone pt.1

Esiste un sotto-filone di studi riguardanti il journaling che tenta di chiarire come la scrittura possa aiutare nelle esperienze traumatiche.
In psicoterapia breve strategica si utilizza il romanzo del trauma come strumento creativo da usare per ri-significare e sgonfiare gli eventi più indigesti in senso psichico. Scrivere può aiutare nel lavoro di esposizione all’evento traumatico (una sorta di EMDR ma in “versione scritta”). Per introdurci al tema “trauma e journaling”, partiamo da questo articolo del 2002.

Eccovi l’articolo:

Journaling about stressful events: Effects of cognitive processing and emotional expression.

3. Simbolizzare un trauma scrivendone pt.2

Sulla scia di questo filone di studi, è stato da poco pubblicato su Jama un lavoro di approfondimento sulla scrittura a proposito del trauma: i ricercatori si sono chiesti se la scrittura espressiva a riguardo degli eventi del trauma fosse paragonabile all’esposizione prolungata, che è una tecnica espositiva specifica per gli stati post-traumatici. In questo articolo, che vale la pena approfondire (qui ne troviamo un commento in lingua inglese), un gruppo di 178 veterani di guerra fu sottoposto a un esperimento di confronto tra le due tipologie di intervento: il gruppo fu “mescolato casualmente” e gli individui divisi e assegnati al gruppo di scrittura espressiva e al gruppo di terapia espositiva prolungata. Partendo dal presupposto che tutti i soggetti partissero da uno stato clinico uniforme, a 10 settimane dall’intervento si osservò come i pazienti sottoposti a scrittura espressiva sembrassero stare meglio come (o addirittura di più di) quelli dell’altro gruppo; inoltre, va considerato che il percorso di scrittura sembrava essere stato molto più rapido e con minori tassi di abbandono. Questo articolo è ottimo per cominciare, per chi fosse interessato, un lavoro di esplorazione della letteratura a riguardo degli “effetti benefici della scrittura sul trauma”. Questo libro potrebbe essere un altro elemento da tenere in considerazione (a proposito del prima citato romanzo del trauma)

Eccovi l’articolo:

Written Exposure Therapy vs Prolonged Exposure Therapy in the Treatment of Posttraumatic Stress Disorder

4. Journaling e meme

Il journaling può prendere diverse forme. Nel contenitore del journaling scritto, che implica l’atto dello scrivere, troviamo due tipologie di journaling principali: il journaling “guidato” e quello a “flusso libero”.
Il “journaling guidato” impiega domande o schemi predefiniti per favorire l’auto-consapevolezza emotiva e personale, mentre il “journaling a flusso libero” permette di scrivere liberamente i pensieri senza una struttura predefinita, favorendo l’espressione spontanea.
Esistono però altre forme di journaling, che troviamo riassunte nell’articolo che qui sotto linkiamo. Gli autori, nel presentare il loro lavoro di ricerca, intendono allargare l’ambito di studio inerente il journaling scritto ad altre forme di espressione (sempre però con una funzione riflessiva, per esempio quello inerente le foto con didascalia, di cui troviamo un approfondimento qui). Questo articolo ipotizza che l’uso dei meme possa essere uno strumento multimediale e interessante da integrare o sostituire al journaling. Molto attuale.

Eccovi l’articolo:

MEMEories: Internet Memes as Means for Daily Journaling

5. Lo specchio di carta

Un articolo interessante e dal titolo suggestivo: il Paper mirror, ovvero un approfondimento sul concetto di reflective journal, un tipo particolare di diario che dovrebbe aiutare a sviluppare la capacità metacognitive, simile per certi versi agli esercizi consigliati da alcuni psicoterapeuti CBT (CESPA).
Si tratta di elaborare un’azione (what), le sue conseguenze (so what) e i suoi sviluppi (what next).

Eccovi l’articolo:

Paper Mirror: Understanding Reflective Journaling

6. Il journaling durante il Covid

Durante la pandemia di COVID-19 fu creato un sito sperimentale chiamato “The Pandemic Project” per aiutare le persone a gestire la situazione emergenziale. Il sito offriva esercizi di scrittura espressiva e journaling, con domande a riguardo di vari aspetti dell’impatto della pandemia sulla salute mentale come la solitudine, i cambiamenti nei rapporti interpersonali e le preoccupazioni economiche. Gli utenti ricevevano feedback tramite e-mail dopo aver completato gli esercizi, molto brevi (5/10 minuti ciascuno). Tra le altre cose, nel board di creazione di questo sito compare proprio Pennebaker, coinvolto in prima persona, e Laura Vergani, una ricercatrice nostrana

Eccovi l’articolo:

Feeling overwhelmed by the Pandemic? Expressive Writing can Help

7. Remember the days: mail e journaling

Un commovente lavoro a proposito dell’implementazione del metodo “Pennebaker” attraverso l’utilizzo della mail, uscito nel 2004. A quel tempo la mail era usata per lo più attraverso computer fissi e rappresentava un modo ufficiale/professionale di comunicare, non essendo ancora stato sdoganato attraverso i primi blackberry (per lo più posseduti da manager progressisti/illuminati/molto ricchi) e infine dagli Iphone a partire dal 2007. Implementare il metodo Pennebaker, gli autori si chiedono in questo lavoro, potrebbe prendere una forma “epistolare” virtuale? Concludono: “Technology will both enable and restrict interactions in new ways.”

Eccovi l’articolo:

Emotional Expression in Cyberspace: Searching for Moderators of the Pennebaker Disclosure Effect via E-Mail

8. Altre applicazioni della scrittura pt.1: lutto

The Conversation riporta un articolo che mette insieme diversi altri lavori a riguardo della scrittura. L’autrice osserva come, a partire da una ricerca sommaria della letteratura inerente il journaling e la scrittura espressiva, possiamo renderci conto di come scrivere possa aiutarci nel diventare più consapevoli sul nostro mondo interno, possa fornirci efficacia, ci possa aiutare nel lutto.
A proposito del journaling relativo al lutto, sempre su The Conversation troviamo un rimando a un articolo scritto dalla stessa autrice (Christina Thatcher) che tuttavia si focalizza sul “lutto causato da droga e de-legittimato”, non esprimibile/espresso, e su come la scrittura possa aiutare nel portarne alla luce l’emotività e il senso. Affascinante osservare come la scrittura (non in termini quindi di “semplice” scrittura di un diario) possa prendere molteplici forme ed essere usata in contesti differenziati.

Eccovi l’articolo:

In Dialogue: How Writing to the Dead and the Living Can Increase Self-Awareness in Those Bereaved by Addiction

9. Altre applicazioni della scrittura pt.2: autobiografia e Duccio Demetrio

Duccio Demetrio si occupa da tempo di autobiografia, filosofia e scrittura espressiva.
Sull’autobiografia ha fondato un movimento e un’università in Toscana, la LUA, Libera Università dell’Autobiografia (qui il sito). Scrivere un’autobiografia richiede un processo di rilettura e di riprocessamento di eventi passati, letti con il senno dell’”oggi”: rappresenta di fatto un lavoro di riconferma e “scrittura” dell’identità stessa, molto simile a quello che un paziente fa in psicoterapia.
La LUA propone corsi di formazione, online e dal vivo, e ha aperto un centro di ricerca a nome Athe Gracci.
Da questo centro ricaviamo l’indicazione per un articolo che raccoglie e riassume il “pensiero narrativo” e la “visione” di Demetrio stesso. Dall’articolo:
“D’altra parte, se l’esercizio autobiografico porta alla scoperta della dignità e dell’autostima di sé, conduce anche a una consapevolezza della “soggettività personale illusoria” nella misura in cui appare legata a una storia, una famiglia e un mondo in cui è immersa. Il soggetto finisce per espandere il proprio giardino per scoprire di far parte di uno più ampio in cui ci sono altri esseri umani. La consapevolezza di appartenere al mondo fa sì che la prima volta in cui ci si guarda sia combinata con una dimenticanza di sé verso gli altri. In questo modo, l’autobiografia inizia con un potenziamento obbligato del soggetto e fluisce paradossalmente nell’apertura agli altri, nell’ascolto delle storie degli altri. Si potrebbe dire che la narrazione dell’alterità viene a dissipare ogni tentazione ingannevole di soddisfazione autobiografica.L’esercizio autobiografico appare quindi nella proposta narrativa di Demetrio come un atto trasformativo, ed è questa la sua connessione radicale con l’educazione. Infatti, su una base educativa, è presente la curiosità che stimola la cura di sé”

Eccovi l’articolo:

The biographical approach of Duccio Demetrio

10. L’inizio di tutto: Pennebaker nel 1986

ARTICOLO STORICO! Il primo articolo di Pennebaker a proposito del journaling, riguardante in particolare il tema del journaling usato per lavorare sugli eventi stressanti. L’inizio del filone di ricerche inerenti il journaling, almeno in ambito di psicologia clinica. Sempre su Pennebaker, si veda questo.

Eccovi l’articolo:

Confronting a traumatic event: Toward an understanding of inhibition and disease.

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Article by admin / Generale, Formazione / psichiatria, psicologia

12 October 2023

ANIMALI CHE SI DROGANO, DI GIORGIO SAMORINI

di Raffaele Avico

Giorgio Samorini è un riferimento in Italia per la “scienza delle droghe”, gli studi sulle piante allucinogene, sulla storia dell’utilizzo di psichedelici, per l’ambito dell’etnobotanica in generale. Per avere idea del portato del suo lavoro, è sufficiente dare un’occhiata al suo sito: samorini.it

In questo volume corto e scorrevole, Samorini descrive molte specie animali intenti a consumare sostanze psicotrope di vario tipo (già presenti in natura o create dall’uomo, come l’alcol). Samorini osserva come si debbano distinguere due modalità di consumo di sostanze psicotrope tra gli animali:

  • consumo condizionato, indotto da un certo tipo di comportamento dell’uomo, come il coltivare certe piante o attivamente effettuare esperimenti sugli animali usando sostanze psicotrope (come il famoso esperimento dei ragni sotto caffeina)
  • consumo naturale, ricercato dagli animali in assenza di elementi umani a fare da rinforzo, all’apparenza per “puro piacere” o alla ricerca di un’alterazione del funzionamento del sistema nervoso

Tra le specie animali, molte consumano attivamente sostanze psicotrope, come gli elefanti (Samorini raccoglie parecchie evidenze sulla ricerca da parte degli elefanti dell’effetto inebriante dell’alcol), gli orsi, molti uccelli e soprattutto le capre; esistono anche molte evidenze di animali “inferiori” (con un sistema nervoso basico/semplice) alla ricerca di sostanze dal potere psicotropo, come le sfingi -particolari falene-, i cervi volanti, ma anche le lumache, le mosche, le drosofile (moscerini della frutta), e altri.

Procedendo nella lettura, Samorini si avvicina al tema “animali che si curano”, raccogliendo evidenze di come diverse specie si auto-curino con elementi naturali terapeutici; da notare come Samorini sottolinei più volte la fallacia della prospettiva antropocentrica –per cui l’essere umano tende a negare l’idea che gli animali producano comportamenti direttamente causati da un tipo di pensiero più articolato del semplice stimolo/risposta. Samorini osserva a proposito di questo come gli animali esibiscano comportamenti sessuali slegati dalla semplice riproduzione, anche omosessuali, oltre ad indursi come già detto stati di eccitazione euforica attraverso sostanze trovate in natura, producendo associazioni di causa-effetto articolate (per esempio, Samorini parla di manguste che sfruttano il senso di intorpidimento e confusione dei topi alterati dall’aver ingerito canapa, al fine di aggredirli).

Samorini si chiede come sia possibile che diverse specie animali si “droghino” per puro piacere (senza che ci sia insomma una finalità nutritiva, istintuale), e risponde che questo fenomeno sarebbe impossibile senza ipotizzare l’esistenza di un “pensiero” maggiormente articolato e proto-cosciente nella mente degli animali stessi, compresi gli animali inferiori (come appunto le mosche). Gli animali possiedono risorse che non comprendiamo in pieno: il modello comportamentista/antropocentrico ci impedisce tuttavia di immaginare o pensare agli animali stessi come dotati di una quota di ragionamento senziente, articolato, non necessariamente o solamente mosso dall’istinto.

La scienza che studia il comportamento autocurativo degli animali è chiamata zoofarmacognosia: Samorini raccoglie in questo volume molte evidenze di comportamenti di questo tipo, non basato sulla preservazione di un semplice stato omeostatico (con comportamenti auto-regolativi basati sul feedback, come un neonato che trovandosi causalmente la sua stessa mano di fronte al volto, inizi a succhiarla auto-gratificandosi), ma producendo comportamenti articolati, lunghi, con “attese” e “tempistiche di medicazione” complesse che farebbero propendere per, ancora una volta, una visione differente a riguardo della coscienza degli animali, “post-”comportamentista, maggiormente cognitivista, con una maggiore spazio da attribuire al loro stesso “pensiero”.

Inoltre, Samorini osserva come l’utilizzo degli psichedelici e delle piante medicinali da parte degli animali, precede storicamente quello fatto dagli umani, che proprio dagli animali avrebbero osservato come utilizzare gli elementi naturali per auto-medicarsi.

Nell’utlima parte di questo corto saggio, l’autore introduce il tema dell’omosessualità animale, diffusa in più di 450 specie, frequentissima ma ancora oggi declassata dagli etologi ad “aberrazione” o “divergenza”. Samorini spiega che una visione di questo tipo dipende dall’adesione ortodossa di alcuni studiosi al paradigna darwinista, per cui ogni azione in natura verrebbe giustificata dal bisogno di procacciare e ottenere risorse scarse, o di riprodursi, nella direzione di un’evoluzione costante volta a un miglioramento funzionale, a una maggiore utilità.

Esistono paradigmi nuovi e post-darwinisti, tuttavia, che meglio si adatterebbero a spiegare questi comportamenti in natura. Samorini cita il concetto di “esuberanza biologica”, la “teoria del caos”, spingendosi fino alla fisica quantistica, che meglio si adatterebbero a una lettura non riduzionistica o antropocentrica di questi comportamenti assolutamente normali ma “esuberanti” in senso evolutivo. Seguendo il paradigma dell’esuberanza biologica, in natura sarebbe cioè necessario produrre varianza, novità, alterità, così come per la teoria del caos è importante che il caos stesso introduca variazioni casuali funzionali a produrre salti evolutivi, al fine di migliorare e far evolvere lo stato delle cose. Questi comportamenti (l’omosessualità, l’uso non riproduttivo della sessualità negli animali, la ricerca di uno stato di alterazione assolutamente deliberata e non funzionale ad alcunchè negli animali), una volta riletti in modo non moralistico e al di là della posizione antropocentrica, potrebbero essere riletti usando questi nuovi, più vasti paradigmi, post-darwiniani, altrettamento “scientifici”. A riguardo dell’esuberanza biologica, si veda questo approfondimento da un articolo pubblicato nel 2000 su Jama.

Si veda anche questo approfondimento fatto da Vice.

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25 September 2023

GLI INCONTRI ORGANIZZATI DA AISTED, Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione

di Raffaele Avico

AISTED ha attivato da poco un gruppo di lavoro sulla psicopatologia in prospettiva neo-jacksoniana.
La prospettiva neo-jacksoniana, nel promuovere un certo modello di mente, è stata promossa dai lavori di Henri Ey, che questo gruppo di lavorò tenterà di mettere in luce e divulgare.

Per rendere vivo il lavoro del gruppo, AISTED ha organizzato degli incontri con esperti del settore. Il primo incontro sarà il 16 ottobre con Giuseppe Craparo, aperto a TUTTI previa iscrizione da qui. Sul lavoro di Craparo, si veda anche questo e questa rubrica su Psichiatry on line. Gli altri partecipanti agli incontri, per ora, saranno Antonio Onofri e Maurizio Ceccarelli (come in foto).

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18 September 2023

TERAPIA ESPOSITIVA (IN PODCAST)

di Raffaele Avico

In questa puntata PODCAST, troviamo unite le due interviste a Emiliano Toso, per chi voglia approfondire il tema “terapia espositiva“.

https://www.spreaker.com/user/12079364/toso-tutto

Qui invece i link agli articoli che contengono le interviste in formato video, ed altro (sempre a tema terapia espositiva):

  1. LE FRONTIERE DELLA TERAPIA ESPOSITIVA. INTERVISTA A EMILIANO TOSO
  2. TERAPIA ESPOSITIVA: INTERVISTA A EMILIANO TOSO (PARTE SECONDA)
  3. SULLA TERAPIA ESPOSITIVA PER I DISTURBI FOBICI: IL MODELLO DI APPRENDIMENTO INIBITORIO DI MICHELLE CRASKE
  4. TERAPIA ESPOSITIVA IN REALTÀ VIRTUALE PER IL TRATTAMENTO DEI DISTURBI D’ANSIA: META-ANALISI DI STUDI RANDOMIZZATI

NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

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4 September 2023

TERAPIA ESPOSITIVA: INTERVISTA A EMILIANO TOSO (PARTE SECONDA)

di Raffaele Avico

Nelle scorse settimane abbiamo pubblicato un’intervista a Emiliano Toso a proposito della terapia espositiva. Toso da anni approfondisce il tema dell’’“esposizione”, che è uno strumento della psicoterapia soprattutto a orientamento cognitivo-comportamentale, trasversale a molteplici diagnosi ed interventi (risulta utile verso tutti quegli eventi/stimolo predittivi di minaccia).

A partire da un nuovo modello concettuale della terapia (apprendimento inibitorio), in questa seconda parte dell’intervista, Toso presenta una serie di strategie al lavoro di esposizione, in grado di massimizzarne gli effetti:

  1. Organizzare esposizioni che rendano altamente probabile la predizione di minaccia dichiarata;
  2. Eliminare comportamenti/stimoli protettivi;
  3. Durante le esposizioni mantenere elevata l’aspettativa di minaccia (contrastare l’abituazione);
  4. Amplificare la gratificazione che consegue l’omissione della minaccia attesa;
  5. Eseguire attività aerobica prima di ogni esposizione;
  6. Restrizione calorica/digiuno prima di ogni esposizione;
  7. Coltivare il benessere intestinale;
  8. Coltivare una buona igiene del sonno;
  9. Gestire lo stress in generale;
  10. Variare il più possibile i contesti di esposizione.

Particolare rilievo Toso attribuisce ad un suo personale nuovo modo di spiegare le difficoltà che il paziente tende ad avere nel provare la gratificazione che segue l’omissione della minaccia attesa (“Il paziente avrebbe difficoltà nel provare gratificazione dopo una esposizione, in quanto tale gratificazione verrebbe eclissata da quella che otterrebbe evitando lo stesso stimolo. É un gioco di forze gravitazionali!”).

Le osservazioni di Toso si basano su un lavoro di raccolta di materiale e studio della materia molto ampio, durato anni. Derivano insomma da un lavoro di ricerca indipendente, che nel prossimo futuro troverà un “contenitore” dedicato attraverso la pubblicazione di un volume focalizzato a tema (“Toso E. (2023). Verso una terapia espositiva di precisione.  Dalla scienza dell’estinzione della paura alla clinica. Giovanni Fioriti ed.”).

Il punto centrale, in molteplici disturbi, è la regolazione della paura. Molti pazienti arrivano all’osservazione di uno psicoterapeuta in quanto investiti da una paura che non riescono né a regolare, né tantomeno a estinguere. Si tratta spesso di soggetti provenienti da storie complesse di sviluppo, che hanno in età molto precoce “appreso” il senso di allarme, memorizzandolo per via somatica, non essendo ancora in grado di simbolizzarlo nè di spiegarlo in termini verbali/cognitivi. I registri di memoria sono d’altronde molteplici, e la memoria somatica è antica e resistente al cambiamento.

Trattando il tema “esposizione”, parliamo però anche di altre problematiche, come le “classiche” fobie specifiche, il problema del panico, l’essere sopravvissuti al trauma, etc.: la mente rimane imprigionata in una condizione di allarme protratto, o di attivazione “simpatica” protratta, il che crea diverse conseguenze sul piano psico-fisico, spesso innescando altri problemi. Il cuore del problema rimane però la paura, e il cercare di capire come fare a “estinguerla”.

Buona visione!

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18 May 2023

6 MESI DI POPMED, PER TORNARE ALLA FONTE

di redazione POPMed

Amicə, è passato tanto tempo da quando vi abbiamo parlato per la prima volta di POPMed.

Dove siamo arrivati in questo nostro tortuoso viaggio nell’oceano della letteratura scientifica?

Siamo qui per raccontarvi questi ultimi 6 mesi!

Come sapete, il fine di questo progetto resta quello di promuovere un giornalismo scientifico di qualità orientato al reale della pratica clinica, con una ricaduta diretta sulla dimensione professionale: raffinare quindi la presentazione di tutte quelle informazioni – complesse, insidiose, talvolta contraddittorie – presenti nella letteratura scientifica relativa alla macro-area della salute mentale e, come avevamo scritto qualche tempo fa, “essere delle lenti attraverso cui potervi affacciare con sicurezza a uno scorcio della letteratura scientifica esistente.”

“Tornare alla fonte” non sono quindi solo parole: sono un progetto, una direzione, una strada da percorrere costantemente nell’affacciarsi alla cosa scientifica. L’invito resta quello di poterla percorrere insieme.

Proprio con questo spirito – oltre alla newsletter, cuore del progetto, con i suoi 10 articoli scientifici contortati da sinossi introduttiva e approfondimenti specifici – abbiamo voluto lasciarvi anche qualche dritta su come navigare in quel tempestoso oceano della letteratura scientifica. Ricordatevi: non siamo qui solamente per darvi in pasto qualche articolo già addentato, masticato, digerito. Siamo qui soprattutto con l’intento di creare, insieme, un discorso complesso e co-partecipato sull’importanza del ritornare alla scienza e della sua connessione con la clinica.

Per chi non lo sapesse, qualche giorno fa abbiamo presentato, con un po’ di emozione, Per tornare alla fonte, la nostra prima micro-rivista digitale interattiva; una rivista da consultare quando nell’incertezza sentite, letteralmente, il bisogno critico di tornare alla fonte, di ripercorrere la storia di un articolo a partire dal suo concepimento fino alla pubblicazione. Essenzialmente vuole essere una sorta di manifesto per promuovere una prospettiva critica nell’avvicinarsi alla cosa scientifica; un breve manuale introduttivo per permettere a tutti – professionisti e non – di riscoprire la letteratura scientifica nel suo stesso intricato, complesso, incoerente e incerto farsi. Riscoprire quindi la scienza stessa, con uno strumentario adatto, capace di conferirvi la sicurezza –  o consapevolezza – necessaria per non perdervi.

Si tratta di una rivista digitale – ossia scaricabile in formato pdf e facilmente consultabile sui diversi dispositivi mobili (computer, tablet e smartphone) – e interattiva, in quanto all’interno sono presenti numerosi approfondimenti a cui potrete accedere direttamente e senza ulteriori costi nel corso della lettura tramite dei link esterni. Tra questi, riflessioni/contenuti di associazioni e professionisti con cui ci sembra di condividere, seppur in forme e spazi differenti, lo stesso fine, ossia la valorizzazione di una comunicazione qualitativamente orientata della cosa scientifica: potrete trovare – per esempio – organizzazioni quali il CEST (Centro per l’Eccellenza e gli Studi Transdisciplinari) e personaggi come Barbascura X.

Se invece non ci conoscete ancora, ma siete rimasti attratti da tutto questo e volete avere un assaggio delle precedenti newsletter o degustare la letteratura scientifica in maniera inedita, immediata, interattiva e graficamente accattivante, potete iscrivervi e ricevere la rivista The Best of POPMed 2022-2023 in cui sono stati raccolti quelli che, secondo noi, sono i 20 articoli scientifici più rappresentativi – in termini tanto contenutistici quanto valoriali – del nostro progetto. Anche in questo caso si tratta di una micro-rivista digitale interattiva.

Che tu sia quindi unə giovane interessato alla macro-area della salute mentale o unə professionista della cura, confidiamo questo progetto possa essere per te! Ti va di venirci a trovare? Se tutto questo ti interessa e vuoi supportarci, iscriviti e aiutaci a crescere! Ti aspettiamo per tornare, insieme, alla fonte! Se verrai, ci ritroveremo in mare, buon viaggio!

Raffaele, Francesco, Andrea

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Article by admin / Editoriali, Formazione / psichiatria, psicologia, psicoterapia, psicoterapiacognitivocomportamentale

6 October 2022

IL “MANUALE DELLE TECNICHE PSICOLOGICHE” DI BERNARDO PAOLI ED ENRICO PARPAGLIONE


di Raffaele Avico

Il Manuale delle tecniche psicologiche curato da Bernardo Paoli ed Enrico Parpaglione, psicoterapeuti torinesi, raccoglie un vasto numero di tecniche psicoterapiche, disposte in ordine alfabetico e raggruppate a partire da diversi parametri (dalla scuola di appartenenza, al disturbo verso cui la tecnica sembra maggiormente efficace), descritte anche nel razionale terapeutico (che senso ha usare questa tecnica? cosa dovrebbe ottenere e per quale ragione?).

Nell’editarlo (in 6 anni di lavoro), gli autori hanno chiesto a molti professionisti di esprimersi sulle tecniche che ritenessero maggiormente efficaci nel loro lavoro quotidiano con i pazienti, al di là della loro scuola di appartenenza.

In una delle prefazioni, giustamente chiamata “verso una psicologia”, viene chiarito l’intento “integrativo” degli autori nel presentare tecniche mutuate da più approcci psicoterapici, appunto cercando di focalizzare l’attenzione non tanto sulle scuole di orientamento, ma su cosa funziona e perché nella pratica del lavoro clinico.

Si tratta di un lavoro scritto a uso e consumo di chi, quotidianamente, lavora con pazienti in psicoterapia; è dunque indirizzato a psicoterapeuti, psicologi, counsellor e psichiatri che possiedano una qualche formazione in psicoterapia (la scuola di specialità in psichiatria non è spesso sufficiente a formare uno psichiatra -di formazione medica- a un lavoro psicoterapeutico, ma qui si aprirebbe tutto un altro discorso).

Le tecniche provengono da più orientamenti, e sono ben riassunte nei capitoli dedicati; l’aspetto realmente interessante è la “disclosure” che i terapeuti/autori fanno sul “perché” venga proposta tale tecnica piuttosto che un’altra. Possiamo cioè avere un affaccio diretto sul razionale clinico: per esempio, nella scheda iniziale sull’ABC, leggiamo che la ricerca degli “antecedenti” (per esempio in un attacco di panico) e l’analisi dei pensieri collegati ad essi, dovrebbero fornire al paziente una diversa consapevolezza sul suo stesso modo di interpretare l’accaduto, essendo la tecnica pensata per aumentare la metacognizione del paziente.

Le tecniche descritte sono 110, gli psicoterapeuti e psicologi coinvolti, più di 60.

Il lettore che non debba usarlo per ragioni professionali, vi troverà spunti per “lavorare” in senso psicologico con il suo stesso pensiero, e molteplici esercizi da usare per capirsi meglio, o semplicemente per stimolarsi a un’evoluzione interiore.

Per il lettore psicoterapeuta, il manuale potrà affiancarsi ad altri volumi di “pronto” utilizzo nel lavoro clinico, come per esempio il Dizionario di Psicologia di Galimberti, o il bellissimo Il dono della terapia di Yalom.

Alcune delle tecniche, estratte dall’indice:

  • Grounding (Gilda L. Schiavoni) 
  • Immaginazione attiva (Federica Marzeo)
  • Improprietà situnzionali (Fabio Leonardi) 
  • Intenzione paradossa (Domenico Bellanton) 
  • Interpretazione del transfert (Luca Settembre)
  • Ironia (Bernardo Paola) .
  • Lasciare la testa tra le mani (Alessandro Bianchi)
  • Lavoro con il sogno (Mara Lastretli) 
  • Lettera al genitore (Enrico Parpaglione)
  • Lettere apologetiche (Fabio Leonardi)
  • Lettere di rabbia (Luca Proietti) 
  • Levitazione del braccio (Gladys Bounous)
  • Libere associazioni (Francesco Impagliazzo)
  • Life-line (Simona Filippini)
  • Mandala (Sonia Bertinat e Valentina Mossa) 
  • Metodologia dell’incontro (Simona Adelaide Martini)
  • Mindful eating (Raffaella Gian.)
  • Mindfulness informale (Marco R. Elena e Enrico Parpaglione) 
  • Modellamento (Davide Gallo) 
  • Moviola (Alice Caloiaro)
  • Observation project (Daniela Bulgarelli)
  • Peggiori immagini e sensazioni (Morena Petrongolo)
  • Photolangage (Morena Petrongolo)
  • Ponte emotivo (Enrico Parpaglione)
  • Povero me (Fabio Leonardi)
  • Pozzo dell’oblio (Simona Filippini)
  • Prescrizione del sintomo (Morena Petrongolo)
  • Psicoritratto (Michele Cannavò)
  • Pulpito delle lamentele (Davide Algeri)
  • Quattro cavalieri (Sara De Maria) 
  • Quattro riconoscimenti (Simone Curto)
  • Rappresentazione delle polarità (Valeria Natali)
  • Rescripting immaginativo (Enrico Parpaglione)
  • Respirazione diaframmatica aiutata (Marcello Schmid)
  • Rilassamento muscolare progressivo (Chiara Piscopia)
  • Sabotaggio benevolo (Davide Algeri) 
  • Scaling (Valeria Saladino e Bernardo Paoli)
  • Sculture familiari (Martina Zilio)
  • Sedia vuota (Paola Biondi)

Su questo blog avevamo intervistato Bernardo Paoli qui, e avevamo recensito “Il Piccolo Paranoico“, qui.

Qui per acquistare il volume.


NB “POPMED”, UNA NEWSLETTER DI AGGIORNAMENTO A TEMA “PSI”, A PAGAMENTO.  Qui per iscriverti.

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30 September 2022

POPMED, UNA NEWSLETTER DI AGGIORNAMENTO IN AREA “PSI”. PER TORNARE ALLA FONTE

di Raffaele Avico, Francesco della Gatta

Nasce Popmed, una newsletter a cadenza bi-settimanale di aggiornamento in ambito di letteratura scientifica in area “psi”.

Ha un costo di 9,90€ al mese.

Qui di seguito, la sua presentazione sulla piattaforma Substack.

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Ogni due settimane, 10 articoli in ambito di letteratura scientifica che non dovresti perdere.

Ciao, siamo Raffaele Avico e Francesco Della Gatta, fondatorI di PopMed, una newsletter a cadenza bi-settimanale pensata per proporti una decina di argomenti inerenti la salute mentale ricavati da un lavoro di compulsazione di PUBMED.

Cos’è PUBMED?

Pubmed è il più grande archivio mondiale di articoli scientifici e materiale medico/psichiatrico/psicologico.

Pubmed contiene lo scibile umano in termini di ricerca scientifica in ambito medico, compreso tutto ciò che riguarda la salute mentale.

Saperlo usare bene apre a un orizzonte infinito di conoscenza.

L’obiettivo di questa newsletter è semplice: ogni due settimane ti invieremo una decina di articoli che crediamo possano essere importanti in ambito di ricerca sul tema “psi” (psichiatria, psicologia clinica, avanguardie di ricerca in tema psicologia, salute mentale), presentandoteli con una sinossi minima.

Trovi qui un esempio di newsletter inviata.

A te poi il compito di esplorare, se vorrai, i link che ti invieremo.

Questo, per 9,90€ al mese.

Due cose sui link:

  • Rimandano ad articoli free, che non dovrai pagare (la cosa non ti costringerà a incaponirti su ShiHub 🙂 )
  • Saranno spesso in lingua inglese
  • Riguarderanno aspetti di “avanguardia”, ovvero sviluppi recenti della letteratura, tranne uno (nel senso che tra i 10 articoli ce ne sarà uno “storico”, di impatto epocale)
  • Daremo priorità ad articoli con alto impatto scientifico (meta-analisi e review, ma anche articoli RCT)

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Ma, perché abbiamo deciso di creare un servizio di aggiornamento in ambito salute mentale?

Viviamo in un tempo di continui “attentati” al nostro focus, di grande dispersione dell’attenzione. Un vero e proprio “mercato della dopamina” progettato per convogliare la nostra attenzione su oggetti digitali che dovremmo consumare/acquistare.

Anche in ambito di salute mentale e avanguardie di ricerca, riteniamo importante muoverci nella direzione di una “raffinatura”, di una “pulizia” progressiva del “segnale”, anche nel macro-ambito della divulgazione.

Il nostro progetto vuole tornare alla “Fonte”, in tutti i sensi.

Crediamo che un lavoro sulle fonti, possa far risparmiare molto del tempo speso in rete, che potremmo utilizzare meglio o per fare altro. 

Per questo abbiamo voluto creare un servizio incentrato sulla fruizione semplice (10 link) e contemporaneamente sulla qualità.

Se c’è un luogo non ancora profanato dal mercato dell’attenzione, questo è la redazione di una rivista scientifica, per sua natura un luogo regolato da tempistiche lunghe, da cicli di controllo sulla qualità; esistono anche qui delle eccezioni e meccanismi indotti da “fattori commerciali”: tuttavia, le riviste scientifiche sono il punto più “a monte” verso cui un ricercatore o un interessato all’ambito “salute mentale” possa spingersi per auto-aggiornarsi.

Tutto ciò che viene dopo, più a valle, è divulgazione.

Nell’attività di divulgazione, per esempio tra le mura di una redazione di una testata giornalistica non scientifica, le notizie o i fatti della scienza vengono spesso “sporcati” per ragioni economiche, essendo l’elemento emotivo causa di “engagement” e lettura della notizia stessa. Questo non avviene sempre, ma in un mercato editoriale impoverito e sovraccarico, rappresenta un rischio reale. 

A cascata, una cattiva informazione proposta a una massa di individui non sempre in grado di soppesare o filtrarla, produce sofferenza mentale, polarizzazione e confusione. 

“Tornare alla fonte” significa in questo senso due cose:

  1. proporre un aggiornamento non filtrato che consegni al lettore notizie e informazioni di prima mano, con cui possa crearsi una propria idea sugli eventi della ricerca scientifica
  2. favorire la “pulizia del segnale”, tentando cioè di garantire la diffusione di un giornalismo scientifico di qualità, non guastato da logiche economiche. Le riviste scientifiche sono anch’esse regolate da fattori economici (non ci illudiamo del contrario): pur fiduciosi, tenteremo di selezionare contenuti il più possibile “puri” da riviste ad altissima rilevanza scientifica.

A chi è rivolto questo servizio?

A professionisti, interessati ai temi delle salute mentale e delle neuroscienza, ad appassionati di psicoterapia che vogliano leggere del materiale di qualità sulle migliori teorie e prassi, a individui impegnati che desiderino giovarsi di un aggiornamento “per punti”, sintetico ma di qualità.

COME SCEGLIEREMO I LINK DA INVIARE? LA GERARCHIA DELLE FONTI

Questa immagine riassume in modo sintetico la gerarchia della letteratura scientifica.

Come si osserva, gli articoli che assumono maggior valore sono articoli pensati per raggruppare i risultati di altri articoli, o che presentano particolari protocolli di ricerca (come gli studi RCT). 

PopMed si rifarà a questi ultimi esempi di lavoro scientifico, per necessità escludendo quelli protetti da un paywall.

Seppur esistano portali -illegali!- come SciHub attraverso i quali i paywall potrebbero essere aggirati, abbiamo optato per consigliare articoli aperti: già tra questi, la quantità di informazioni e dati di grande rilevanza, è sterminata.

Buona lettura/studio, e grazie per la fiducia che vorrete darci!

Raffaele e Francesco


Qui per iscriverti!

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6 June 2022

PERFEZIONISMO: INTERVISTA A VERONICA CAVALLETTI (CENTRO TAGES ONLUS)

di Raffaele Avico

Del Centro Tages Onlus di Firenze, su questo blog abbiamo in passato già intervistato Simone Cheli, qui.

In questa intervista, Veronica Cavalletti (direttrice del suddetto centro) fornisce alcune delucidazioni a proposito del cosiddetto “perfezionismo clinico“, un tratto di personalità caratterizzato da standard elevati richiesti a sè e agli altri, fonte di notevoli problematiche dal momento che questi standard appaiono per lo più irraggiungibili.

Il Centro Tages Onlus ha avviato un progetto di ricerca, studio e trattamento del perfezionismo, qui raggiungibile.

Vengono citati autori di punta, riferimenti bibliografici, modelli di concettualizzazione del problema, e molto altro.

Qui l’intervista:

  • Buongiorno Veronica, cosa si intende con perfezionismo clinico? Cosa lo distingue da quello “sano”?

Per quanto alcuni autori abbiano suggerito l’idea di poter distinguere tra perfezionismo sano e patologico, le ricerche condotte da quello che da molti è considerato il massimo esperto mondiale sul tema, ovvero Paul Hewitt, sembrano avvalorare l’idea che il perfezionismo sia sempre patologico. In tal senso possiamo avere manifestazioni subcliniche, ma mai una condizione sana e adattativa come ad esempio postulata per i tratti di personalità del Big Five.

Nei lavori di Paul Hewitt, Gordon Flett, Samuel Mikail e colleghi, il perfezionismo è un tratto o stile interpersonale caratterizzato dalla ricerca per sé o per gli altri di standard elevati irraggiungibili. Nella ricerca di questi standard le persone possono sperimentare varie forme di sofferenza, in particolare nei termini di criticismi inter- e intra-personali. Più specificamente, il Modello Comprensivo del Comportamento Perfezionistico (nella versione originale inglese “Comprehensive Model of Perfectionistic Behavior” – CMPB) descrive le manifestazioni del perfezionismo attraverso tre elementi: le componenti di tratto che spiegano come si orienti tale perfezionismo (auto-diretto; etero-diretto; socialmente prescritto); le componenti interpersonali di autopresentazione (autopromozione perfezionistica; non esposizione dell’imperfezione; non disvelamento dell’imperfezione); e le componenti intrapersonali (ovvero le cognizioni automatiche perfezionistiche).

Tutte queste complesse manifestazioni sono appunto sempre fonte di sofferenza per la persona, anche se a livelli diversi. Pertanto, Hewitt e colleghi non individuano mai una forma sana di perfezionismo.

  • Veronica, come si manifesta nella vita di un individuo, il perfezionismo? Può essere considerato un tratto di personalità?

Nella formulazione originaria fatta da Hewitt e Flett il perfezionismo era definito come una dimensione di tratto. Successivamente tale definizione si è ampliata includendo, come dicevo, nel CMPB anche componenti interpersonali e intrapersonali. Riassumendo possiamo considerare il perfezionismo come un complesso stile di personalità che può esporre la persona a forme anche molto gravi di sofferenza. Secondo una classica prospettiva diatesi-stress, l’interazione tra eventi di vita e vulnerabilità soggettiva possono portare a quello che definiamo psicopatologia. È a mio avviso importante sottolineare come le manifestazioni del perfezionismo (che ricordo abbiamo definito sempre problematico) siano assai difformi e spesso gravi. Da un lato, un recentissimo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Clinical Psychology Review da parte di Flett e Hewitt, suggerisce come il perfezionismo rappresenti una sorta di emergenza sanitaria della nostra società. Percepiamo infatti costantemente una pressione ad adeguarci a standard elevati e a mascherare la nostra identità. Dall’altro lato, il medesimo gruppo di ricerca ha pubblicato una mole impressionante di dati che evidenziano come il perfezionismo possa portare a gravi manifestazioni psicopatologiche e di sofferenza, fra cui anche il suicidio.

Le caratteristiche stesse del perfezionismo, basate sulla tendenza a percepire forti pressioni intra- e inter-personali e a mascherare la sofferenza che ne deriva, lo rendono estremamente “pericoloso” da un punto di vista clinico. Nel caso ad esempio del rischio suicidario, le persone con tratti perfezionistici mostrano un’alta letalità connessa alla loro ideazione. I tratti che generano in esse sofferenza, sono gli stessi che le portano a mascherare l’ideazione e a percepire come intollerabile il fallimento di un agito suicidario.

  • Veronica, la psicologia clinica ha spiegato in che modo nasce il perfezionismo?

Devo nuovamente fare riferimento al modello di Hewitt e colleghi per questo. Se infatti altri autori hanno riportato alcuni studi che correlano fattori prossimali e distali con l’insorgenza del perfezionismo, il gruppo canadese è l’unico ad aver integrato tali dati in un modello coerente, che hanno poi successivamente testato in numerosi studi su campioni clinici e non.

Il Modello della Disconnessione Sociale del Perfezionismo (“Perfectionism Social Disconnection Model” – PSDM) aiuta il clinico ad orientarsi nella comprensione del caso integrando elementi evolutivi su come sia emerso questo tratto di personalità e strategie terapeutiche per una concettualizzazione condivisa con il paziente. Il modello è particolarmente complesso e dettagliato. Riassumendo possiamo dire che il perfezionismo emerge a partire dalle prime interazione con il caregiver o altre figure significative. Senza offrire semplicistiche spiegazioni (es. “è tutta colpa dei genitori”), Hewitt e colleghi evidenziano come vi siano dei bisogni non soddisfatti – a causa delle asincronie nel rapporto con il caregiver – che divengono eccessivi e nel tempo portano alla manifestazione di comportamenti perfezionistici, nonché a svariate forme di sofferenza psicologica e ad una generale disconnessione sociale. Nel perfezionismo diviene evidente il ben noto paradosso nevrotico: per cercare di essere accettata e riconosciuta, la persona sviluppa strategie perfezionistiche rigide e immodificabili che in realtà la allontanano sempre più dagli altri.

  • Veronica, quali sono le forme di trattamento più efficaci? Si basano su quale razionale clinico?

I protocolli con maggiori evidenze sono sicuramente la Cognitive Behavioral Therapy (CBT) per il perfezionismo di Roz Shafran e la Dynamic Relational Therapy (DRT) di Hewitt e colleghi. Durante un recente simposio tenutosi a Losanna, per il congresso del SEPI (Society for the Exploration fo Psychotherapy Integration), David Kealey ha mostrato i dati preliminari di una recente meta-analisi in cui emerge come la CBT per il perfezionismo riveli ad oggi un’efficacia assai limitata. I dati invece a favore del DRT sembrano sottolineare l’importanza di tale protocollo. Il DRT è la declinazione pratica e clinica di quanto ho detto sinora in riferimento al CMPB e al PSDM. Integrando una prospettiva dinamica interpersonale con componenti cognitive, Hewitt e colleghi partono da una concettualizzazione condivisa del modello di sviluppo per poi individuare e trattare tutte le componenti inter- e intra-personali attraverso cui il perfezionismo si manifesta.

Negli ultimi due anni io e il dott. Simone Cheli (dei Centri Clinici Tages) abbiamo avviato una stretta collaborazione tra il “Centro per lo Studio e il Trattamento del Perfezionismo” di Tages Onlus e il “Perfectionism and Psychopathology Lab” fondato e diretto da Paul Hewitt. Da questa collaborazione, è nato un protocollo di gruppo che integra il DRT con le pratiche e il razionale evoluzionistico della Compassion-Focused Therapy (CFT). L’intervento (Mindful Compassion for Perfectionism – MCP) è stato oggetto di due pubblicazioni preliminari e sarà oggetto di un futuro trial clinico randomizzato controllato.

  • Veronica, ritieni che il perfezionismo rappresenti per il paziente un sintomo con dei vantaggi secondari per gestire altri problemi, per esempio l’ansia?

Diciamo che il perfezionismo instaura frequentemente un ciclo interpersonale maladattivo e autoperpetuantesi. Gli enormi sforzi a cui si sottopone la persona e il costante mascheramento della sofferenza che ne deriva, vengono spesso interpretati dagli altri come un limitato bisogno di supporto e una sorta di chirurgica freddezza. Secondo il paradosso nevrotico che citavo prima, la persona può arrivare ad esasperare ulteriormente tali manifestazioni nell’erronea convinzione che così facendo l’altro la accetterà e apprezzerà.

Nello studio che abbiamo condotto per validare gli strumenti di assessment di Hewitt e colleghi, abbiamo ad esempio evidenziato una elevata correlazione tra tutte le componenti perfezionistiche e la cosiddetta distress overtolerance, ovvero la convinzione di dover sopprimere e accettare la propria sofferenza. Tornando alla tua domanda, direi che le persone possono, attraverso il perfezionismo, rinforzare una credenza disfunzionale sulla necessità di sperimentare costantemente ansia, piuttosto che gestirla o ridurla in alcun modo!

Oltre a ciò, se vogliamo parlare di vantaggi secondari, mi verrebbe da dire che il perfezionismo – almeno in alcuni contesti (come performance, lavoro etc.) – è un atteggiamento socialmente rinforzato o comunque citato nel linguaggio comune come qualcosa di positivo, ma ciò non significa che permetta ‘davvero’ alla persona di funzionare meglio, anzi.

  • Veronica, ci consigli qualche spunto teorico? Nei vostri Centri Clinici Tages come ci lavorate?

Sicuramente consiglio a chi sia interessato all’argomento la lettura del manuale di Hewitt, Flett e Mikail (la traduzione italiana è pubblicata da Fioriti Editore). Nel libro trovate anche i riferimenti ai due Centri sul perfezionismo che citavo, quello canadese di Hewitt e quello di Tages Onlus.

Nei nostri Centri Clinici Tages cerchiamo di offrire, come per le altre problematiche, un intervento integrato e modulare. Utilizziamo dunque approcci diversi cercando di adattare le strategie più efficaci ai problemi presentati dal paziente, e lo facciamo lungo un percorso che può alternare professionisti e percorsi diversi. Per quanto riguarda nello specifico il trattamento del perfezionismo, nei due articoli che citavo abbiamo descritto quello che solitamente facciamo, ovvero un’integrazione tra la DRT, la Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) e la CFT. Ad esempio, in un recente case study descriviamo una paziente con tendenza al mascheramento perfezionistico trattata prima attraverso una terapia individuale in cui abbiamo integrato la TMI con il modello di concettualizzazione della DRT, e poi tramite il percorso di gruppo della MCP.

In altri percorsi, il perfezionismo emerge durante l’assessment come uno dei diversi tratti presenti, ma non necessariamente il più prominente. In tal caso, valutiamo in sede di équipe come trattare questo aspetto alla luce della concettualizzazione complessiva del caso, ad esempio decidendo se affrontarlo specificamente nel percorso individuale (ad esempio perché rinforza o mantiene la problematica principale etc.) o valutando l’utilità di un gruppo MCP che supporti il percorso individuale del paziente.


Ps su questo blog le interviste possono essere aggregate a partire dal pulsante “interviste” nel menù principale, oppure da qui

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21 May 2022

GARBAGE IN, GARBAGE OUT.  INTERVISTA FIUME A ZIO HACK

di Raffaele Avico

In questa intervista “fiume” a Francesco, in arte “Zio Hack”, vengono introdotte alcuni temi a riguardo del biohacking, della produttività, della crescita personale.

La letteratura a proposito della crescita e del miglioramento personale è molto vasta, e si configura come una costola del corpus teorico psicologico “applicato”, a metà tra la clinica e la psicologia sperimentale/generale, nel tentativo di capire come funziona la mente umana per “agire” in modo pragmatico, con l’obiettivo di auto-migliorarsi. Questo modo di intervenire sulla psicologia individuale esclude la collettività e l’ambiente di sviluppo, i primi anni di vita e il “problema del trauma”, riducendo per così dire il lavoro terapeutico al momento presente e al “funzionamento dell’Io”.

Per questo, in ambito di letteratura sulla crescita personale ci troviamo spesso ad avere a che fare con testi estremamente pragmatici, applicati, procedurali, pervasi da un assunto di fondo comune a tutti, ovvero: “la tua vita dipende da ciò che sei, e ciò che sei dipende da ciò che fai”. Ne consegue che modificando il proprio comportamento, si dovrebbe arrivare a modellare la propria realtà e il proprio “stare nel mondo”. C’è inoltre, costante, l’invito a “internalizzare” il locus of control, ovvero ad assumersi la “totale responsabilità” di ciò che si è (pensiamo per esempio a derive estreme -molto “americane”- come il progetto “extreme ownership”).

Zio Hack è uno dei precursori in Italia della divulgazione in ambito di crescita personale, già presente in rete dalla fine degli anni ‘90 (1998). Siamo al punto più alto dell’attuale panorama underground sullo sviluppo personale in Italia.

In questa intervista parla di biohacking, time-management e produttività, raccontando del suo stesso percorso di crescita e soprattutto delle sue fonti.

Il punto centrale del suo lavoro, come emerge dall’intervista, è rappresentato dal concetto di piramide. Le piramidi rappresentano il risultato finale di un lungo lavoro di sistematizzazione di fonti a riguardo della crescita personale, divisi per area. Troviamo dunque la “piramide del benessere”, o la “piramide successo personale”, strutturate per “piani sovrapposti” organizzati secondo una logica gerarchica.

Prendendo per esempio la piramide del benessere, osserviamo vari livelli di intervento progressivo, partendo dall’abbandono delle dipendenze, proseguendo attraverso il “problema della gestione della stress”, per poi andare alla qualità del sonno, etc. Le piramidi rappresentano una sintesi del molto materiale raccolto da Francesco nel corso del tempo.

Qui l’intervista, editata in una forma piuttosto grezza, senza tagli.

Zio Hack rappresenta un “aggregatore” di fonti, che lui stesso sostiene aver raffinato nel tempo, attraverso un lavoro progressivo di “setaccio” e potatura di ciò che storicamente si rivelò “fuffa”.

Alcune fonti/spunti/takeaways presenti nel video:

  • portale MOM di Franco Fabbro (meditazione orientata alla mindfulness): http://www.medita-mom.it/
  • Rhonda Patrick e il portale FOUND MY FITNESS (divulgazione scientifica e biohacking di altissima qualità
  • il lavoro di David Sinclair a proposito della biotecnologia usata per contrastare l’invecchiamento
  • il lavoro di Derek Siver, a proposito del “decluttering”, della ripulitura del segnale (“se non è un super-sì, è un super-no”) →https://sive.rs/
  • l’incredibile lavoro di divulgazione di Huberman (professore a Stanford School of Medicine)
  • ambito crescita finanziaria→ Dave Ransey https://www.ramseysolutions.com/
  • ambito nutrizione: https://examine.com/ e Stefano Vendrame (miglior divulgazione in ambito nutrizione in Italia)
  • a proposito della scrittura espressiva, ZIo Hack cita gli studi e i lavori di Pennabeker (qui per approfondire). Scrivere ha il doppio beneficio di ridare una forma narrativa (consequenziale, con un prima, un durante e un dopo) a un pensiero eventualmente disorganizzato, e di aiutare nel processo di simbolizzazione di materiale emotivo “grezzo” (ne avevamo scritto qui a proposito del concetto di affect labeling ). É di fatto uno strumento di regolazione dell’emotività, che viene usato in senso terapeutico in moteplici ambiti, per esempio per il PTSD, per modulare la rabbia (soprattutto in psicoterapia strategica), o per consolidare l’identità (attraverso per esempio la scrittura di un’autobiografia)
  • il lavoro di Connirae Andreas e Steve Andreas come precursori del metodo PNL e della tecnica EMDR (havening.org, che nel protocollo EMDR viene chiamato butterfly hug, qui descritto in modo approfondito, e qui); sempre a proposito della psicolinguistica, interessante il passaggio a proposito delle strutture progressive attraverso cui “intervenire” nel lavoro sul cambiamento: 1) linguaggio 2) visione 3) corpo, che in effetti ricapitolano le fasi progressive dello sviluppo umano (nasciamo cinestesici, corporei, preverbali e precognitivi, tutto quello che esiste di “ulteriore”, come il linguaggio, viene dopo -come dire che un reale cambiamento, per essere veramente tale, deve essere incarnato, “ingrained” in inglese)

La visione di Zio Hack è pragmatica, utilitaristica, empirica, americana con però un sano, più che mai necessario scetticismo europeo, all’insegna del “va bene purchè funzioni”. Chiude l’intervista con 3 pratiche per la crescita personale, indiscutibilmente virtuose: “una pratica meditativa qualunque”, la lettura di qualità (dato che “garbage in, garbage out”) e il movimento/attività fisica, propedeutico agli altri due.

Qui il suo sito: migliorati.org


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

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11 April 2022

Considerazioni sul trattamento di bambini e adolescenti traumatizzati

di Davide Boraso


PREMESSA: questo è un estratto dal libro PTSD: che fare?

Il trattamento di bambini o adolescenti traumatizzati deve tener conto di altri fattori oltre che quelli citati in relazione al lavoro con gli adulti.

Gli interventi rivolti a questo tipo di utenza devono porsi quattro obiettivi/punti di arrivo centrali:

  1. la sicurezza dell’ambiente di vita abituale del bambino (casa, scuola e ambiente sociale)
  2. lo sviluppo delle competenze nella regolazione emotiva e nel funzionamento interpersonale
  3. l’elaborazione del significato dell’esperienza traumatica in modo che il giovane possa assumere prospettive più positive e adattive, aumentando la fiducia verso il futuro
  4. il rafforzamento delle capacità di resilienza e l’allargamento della propria rete di “sicurezza” sociale

Il problema principale, per questi pazienti, è rappresentato dalla mancanza di sicurezza, e molti sforzi sono impiegati nel sopravvivere a un ambiente continuamente traumatizzante.

La prima fase del trattamento deve concentrarsi quindi sulla creazione di un sistema di cura e di sicurezza nel quale il bambino e la famiglia possano iniziare a sviluppare benessere. Spesso, questo significa per il clinico collaborare con i servizi di protezione per l’infanzia e il sistema giudiziario, così da promuovere un ambiente di vita più sicuro. È importante coinvolgere anche la famiglia e la scuola così come altre figure di supporto importanti, al fine di creare una rete che crei senso di protezione nell’ambiente di vita.

Il terapeuta dovrà quindi concentrarsi sulla capacità del bambino di sperimentare sicurezza in ogni ambiente, a partire dal setting terapeutico. È probabile che all’aumentare del senso di sicurezza diminuiscano anche i disturbi comportamentali del bambino.

In seconda istanza occorre concentrarsi sulla capacità di auto- regolazione: non avendo avuto la possibilità di sperimentare una relazione con attaccamento sicuro, il bambino cresciuto nel contesto di uno “sviluppo traumatico”, non ha potuto imparare a co-regolare il proprio stato emotivo con il caregiver. Tali abilità dovranno essere sviluppate nel setting terapeutico e risultano fondamentali gli interventi diretti alla stabilizzazione dei sintomi.

Raggiunta una sufficiente competenza sulla regolazione emotiva è possibile iniziare il lavoro sui ricordi traumatici. È possibile che in alcuni casi la fase di lavoro sulla regolazione emotiva sia lunga e complessa dato che, in situazioni estremamente traumatiche, possono non essere presenti ricordi legati a senso di sicurezza e connessione amorevole con l’altro; in questi casi i tentativi di installare risorse o utilizzare strategie di cambiamento potrebbero inizialmente rivelarsi fallimentari.

È quindi necessario, in questi casi, aiutare il bambino a sperimentare senso di sicurezza e di connessione (senza paura) all’interno della relazione terapeutica, con eventuali interventi esperienziali.

Successivamente, sarà possibile iniziare il trattamento psicosociale per il recupero dei danni causati dall’abuso e riabilitare le abilità perdute o mai formatesi. Lo sviluppo di queste abilità di base, come la capacità di riconoscere i propri sentimenti e costruire relazioni interpersonali, avvengono nel contesto terapeutico e con il coinvolgimento di “tutti” i caregiver affinché questi possano continuare il rinforzo del lavoro anche fuori del setting ambulatoriale. L’obiettivo finale è la trasmissione e il mantenimento di tali abilità nel quotidiano.

Questo sforzo finale può avere il suo centro nel trattamento, ma necessita della collaborazione della famiglia e dei servizi sociali presenti sul territorio.

Anche ai bambini, come per gli adulti, è fondamentale fornire una buona psicoeducazione sul funzionamento psichico, sul trauma e sui suoi effetti. Ciò restituisce chiavi di lettura corrette rispetto ad alcuni comportamenti, riduce il senso di colpa e di indegnità rispetto a reazioni automatiche che non si sanno controllare e stimola l’auto osservazione.

Con i bambini occorrono cautele nel fare comunicazioni riguardanti il trauma; tra i modi più utilizzati e sicuri vi sono le metafore: esse permettono di spiegare, ma allo stesso tempo di prendere una distanza da situazioni che altrimenti potrebbero risultare soverchianti.

Esiste una grande quantità di metafore che possono essere utilizzare o costruite per comunicare sul trauma a seconda dell’età e del livello intellettivo del bambino; alcune interessanti riportate da Puliatti (2017, La psicotraumatologia nella pratica clinica –qui alcuni spunti da questo libro) sono:

  • l’analogia della perla: si può iniziare domandando se si sa cos’è una perla. Si può utilizzare un’immagine a supporto spiegando che la creazione di una perla è un evento straordinario. La vita di una perla inizia con un oggetto estraneo che entra nell’ostrica. Per proteggersi dall’irritazione causata dall’intruso, l’ostrica produce una sostanza. Col tempo, l’oggetto estraneo verrà completamente rinchiuso da diversi strati di quella sostanza protettiva prodotta dall’ostrica. Il risultato è una meravigliosa perla, che rappresenta il sistema protettivo e difensivo dell’ostrica. Quando si apre l’ostrica si trova la meravigliosa perla: “aprire il guscio è importante così possiamo trovare la tua perla, quella che hai costruito per difenderti dalle brutte cose che ti sono accadute”
  • l’analogia dell’albero: quando un albero è avvolto dall’oscurità o i rami sono danneggiati, esso continua a cercare la luce. La perdita di un ramo fa sì che l’albero si trasformi e cresca in modi eccezionali, che gli danno una forma unica. Quando attraversiamo situazioni difficili nella vita, anche noi dobbiamo allungarci per ritrovare luce e, con essa, un’opportunità per crescere e trasformarci. “Il mio lavoro come aiutante, è quello di supportarti nel trovare ancora la luce nella tua vita. Mentre cerchi la luce, si svilupperanno e cresceranno in te qualità speciali, rendendoti la persona unica che sei”
  • l’analogia della borsa delle cose mescolate: quando ci accadono cose brutte, proviamo molti sentimenti e pensieri confusi. Non ci sentiamo bene nelle nostre menti, corpi e cuori. È come portare delle borse con cose mescolate e alla rinfusa. Quando siamo così occupati a portare tutte queste borse, non abbiamo spazio nei nostri cuori, nelle nostre menti e nei nostri corpi, per i sentimenti e i pensieri buoni. Se lavoriamo per rendere queste borse più piccole o addirittura per liberarcene, avremo lo spazio per i sentimenti e i pensieri buoni.

Questi sono solo alcuni degli esempi che si possono fare per spiegare ai bambini come il trauma può impattare sulla loro vita: in alternativa si possono utilizzare concetti più “scientifici” come la finestra di tolleranza, opportunamente spiegato a seconda dell’età e delle abilità cognitive del bambino.

PS: questo è un estratto dal libro PTSD: che fare?


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

Article by admin / Formazione / psicologia, psicoterapiacognitivocomportamentale, psicotraumatologia, PTSD

31 March 2022

IL COLLASSO DEL CONTESTO NELLA PSICOTERAPIA ONLINE

di Raffaele Avico

Lavorare facendo psicoterapia online porta con sé una serie di stravolgimenti del setting inteso in modo classico.

Il setting, nel lavoro di psicoterapia, rappresenta il contenitore, il “luogo” entro il quale il lavoro di psicoterapia si svolge. Diviene un elemento imprescindibile laddove nel corso della psicoterapia debbano essere garantiti una serie di fattori a vantaggio del paziente, come la riservatezza, la sicurezza psicofisica, la possibilità di accedere a un “luogo per pensare”, la possibilità della psicoterapia stessa di diventare un dispositivo di “simbolizzazione“.

Tutto questo avviene a partire dalla creazione di un contenitore/setting, con diverse modalità. Storicamente le scuole di psicoterapia psicodinamica riservarono grandissima attenzione alla creazione di un setting sufficientemente solido, arrivando a estremismi oggi criticati, come il rigore assoluto in termini di ritmo delle sedute effettuate, il pagamento “ a tutti i costi” delle sedute saltate, la lunghezza delle sedute stesse.

Genericamente sappiamo che il setting si costituisce di due elementi principali: le sue componenti fisiche, e le sue componenti mentali/relazionali:

  1. DIMENSIONE FISICA DEL SETTING. Si intende in questo caso tutto ciò che ha a che fare con gli aspetti fisici del setting, quindi spazio e tempo. Classicamente il setting prevede uno spazio/contesto sempre uguale, quindi uno studio, con caratteristiche peculiari, una durata delle sedute fissa, una certa regolarità nello svolgimento dei colloqui.
  2. DIMENSIONE RELAZIONALE DEL SETTING. Parliamo in questo caso di ciò che concerne la posizione mentale del terapeuta nei confronti del suo paziente, ovvero la possibilità del terapeuta di creare un “contenitore di pensiero” anche al di là degli elementi concreti del setting. Chi ha lavorato in ambienti di comunità sa bene come non sempre il setting necessita di elementi concreti, quanto piuttosto di una certa modalità di stare con il paziente, facendolo sentire accolto, fornendo ascolto.

Con il lavoro online, tutto questo salta; o almeno, degli elementi qui sopra citati, rimangono in piedi solo la questione tempo e la questione “posizione mentale”.

L’elemento “spazio” si configura completamente collassato: spesso ci troviamo a fare colloqui con persone collegate dall’abitacolo di una macchina, da un parco, da casa propria o dall’ufficio. Tutto questo rappresenta un cambio epocale, enorme, delle abitudini di lavoro, per l’intera categoria degli psicoterapeuti. I due anni trascorsi di pandemia sembrano aver distorto e messo profondamente in crisi il modello classico di setting, proponendone uno nuovo, più fluido, “smaterializzato” (si veda a proposito questo intervento).

É un setting fluido, portatile, fruibile ovunque da parte dei pazienti, vincolato solo da criteri temporali, formalizzato solamente dalla presenza del terapeuta stesso.

Alcuni aspetti da tenere in considerazione di questo cambio sono:

  • essendo che il terapeuta non può contare sugli elementi di contesto che aiutavano a creare un ambiente di cura (sappiamo dagli studi sul placebo quanto l’ambiente faccia la sua parte), è possibile che per creare setting debbano essere iper-investiti gli elementi che restano, ovvero il tempo e la posizione mentale del terapeuta
  • chi lavora online si rende perfettamente conto di come esista il rischio di una dissoluzione degli elementi di setting: per contrastare questa deriva è importante si focalizzi sullo specificare in modo chiaro le regole del gioco in termini di tempo (quanto dura una seduta, ogni quanto verrà fatta, come si farebbe dal vivo) e di rispetto di un certo assetto professionale della conversazione.
  • la psicoterapia online è maggiormente fruibile e accessibile a livello anche di costo: questo è destinato a durare; è probabile che molte delle persone che arrivano in psicoterapia online, non sarebbero arrivate allo studio privato di un terpeuta, per una questione prima di tutto di costi, ma anche di comodità e accessibilità. La psicoterapia online si sta configurando come un primo avamposto di presa in carico di bisogni della cittadinanza, come un anello di congiunzione tra il territorio e i servizi di presa in carico intesi in senso “classico”
  • La maggiore fruibilità della terapia online, ha fatto impennare il numero di richieste, portandolo a livelli mai raggiunti. Questo in concomitanza con molteplici eventi  avversi a livello sociale, che hanno alzato il livello di stress sociale, con diverse conseguenze, tra cui la produzione di un bonus sociale dedicato alla cura della propria salute mentale.

Genericamente, il setting inteso in senso “rigido” è più un’idea che non una prassi, più uno standard verso cui tendere che non la normalità del lavoro di uno psicoterapeuta che lavori con le persone. É probabile che la rigidità del setting “classico” sia un’idealizzazione di una prassi non rispettata neppure da Freud stesso. La psicoterepia online sembra arrivata per restare, portando con sè una serie di stravolgimenti nel lavoro psicoterapico che dovranno assumere una forma strutturata nel prossimo futuro, un modo nuovo di intendere il setting, con pro e contro.

Alcuni approfondimenti. Per chi volesse approfondire la questione setting in senso “classico”.


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

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IL BLOG

Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
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  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

A CURA DI:

  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
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